119.La tenda bianca
Dopo le parole che pronunciò Isidoro, ebbe inizio la vera battaglia, mentre la pioggia scrosciava fuori dalla fabbrica, dardeggiandone la copertura e infiltrandosi tra le fessure per penetrare a stille anche di sotto.
Mi sollevai a fatica, notando come, tra coloro che erano stati trascinati verso il basso, fossi l'unica a cui era stata risparmiata la vita, per un qualche motivo inspiegabile. Non osai guardare sotto le macerie che coprivano alcuni di loro, felice che mi fosse stata risparmiata la vista di quello che, ci avrei scommesso, sarebbe stato uno spettacolo orribile. Non osavo immaginare cosa succedeva a un corpo umano una volta che questo veniva premuto oltre l'impossibile dalla forza di gravità, e non volevo certo scoprirlo in quel momento.
Per essere riuscito a trasportare verso il basso buona parte degli Ophliri e anche i due bracci destri di Basilio, il cebrim di Isidoro doveva essere parecchio forte; non c'era più alcun dubbio, ormai: Isidoro era un Naeph. E non aveva nemmeno usato il suo potere al massimo del potenziale, di questo ero certa, perché altrimenti avrebbe potuto rovesciare l'intero fabbricato uccidendoci tutti tra atroci sofferenze in brevissimo tempo.
Invece, aveva deciso di prolungare quella lotta, e la cosa che più mi preoccupava, era che di certo doveva esserci una valida motivazione.
Udendo i rumori degli scontri provenire anche dall'alto compresi che, nel momento preciso in cui il suo attacco aveva avuto luogo, anche sul tetto si erano rivelati una buona quantità di Arkonanti, prima velati da illusioni. Erano stati vicino a noi fin dall'inizio, probabilmente erano lì anche prima del nostro arrivo.
E noi, ignari, che avevamo anche pensato di prenderli di sorpresa.
Schivai alcuni colpi e corsi a nascondermi dietro alcune macerie, dove ebbi il tempo di accorgermi che anche chi si trovava sul tetto non sembrava cavarsela benissimo, ma fui sollevata che almeno i miei amici non fossero tra quelli che erano stati vittima dell'attrazione gravitazionale che mi aveva travolta.
Il mio sguardo corse poi subito al luogo della deflagrazione. Nessuno degli Arkonanti intorno sembrava particolarmente interessato alle macerie, e questo significava che il frammento non era lì. Probabilmente non c'era stata nemmeno Sandy, ma solo una vittima sacrificale, o, sperai, una semplice illusione volta a ingannarci.
Quest'ultima chiaramente non aveva mai avuto alcun tipo di debolezza in seguito all'uso del suo potere, e il frammento era senz'altro già al sicuro da qualche parte nel rifugio degli Arkonanti. Strinsi con forza una delle lame che indossavo nascoste nella tenuta, ricordando come mi fossi sentita felice di rivedere Will, il desiderio di sfiorare di nuovo la sua pelle e il dolore di non poterlo più rivedere.
Era stato tutto un inganno. Mi aveva manipolata, fin dal primo momento, fin dal primo sogno, fin dalla prima nota di violino.
E adesso eravamo finiti in trappola.
Gridai per darmi la forza, proprio come una volta aveva consigliato Padma, e mi lanciai all'attacco cominciando così un inevitabile combattimento che sarebbe ugualmente iniziato a breve, non appena mi avessero raggiunta. Mi ero stancata di fuggire, questa volta dovevo essere coraggiosa, dovevo farlo per compensare il mio terribile errore e salvare ancora il salvabile.
Era colpa mia se adesso ci trovavamo tutti lì, se tutte quelle persone stavano morendo e se altre rischiavano di patire la stessa ingiusta sorte.
Schivai il colpo di un Arkonante abbassandomi per lanciare un piccolo coltello con una rotazione del polso. Mentre questo, dopo aver fischiato per un attimo nell'aria andava a conficcarsi nel polpaccio di un altro Ephuro a pochi metri di distanza che stava per attaccarmi, sfruttai lo slancio dato al braccio per tirare la lama, per ruotare su me stessa e sferrare un'onda di mens sul primo avversario, che però riuscì a rifletterla in tempo, facendo sì che entrambi venissimo sbalzati all'indietro. Aggiustai la mia caduta aggrappandomi con una mano a un pilastro e convertii la forza che mi aveva slanciata a mio vantaggio. Usando il pilastro come appiglio attorno cui ruotare, tornai all'offensiva con una gamba puntata in avanti verso l'Arkonante, animata dalla forza combinata della mia e della sua azione sui mens, che fusa insieme era troppo superiore perché lui potesse opporglisi. Non riuscì così a sfuggire al mio calcio volante, che lo travolse in pieno, senza tuttavia ucciderlo.
Non feci neanche in tempo a prendere un sospiro di sollievo, che un lieve fruscio avvertì la presenza di un pugnale che sfrecciava verso la mia testa. Mi scansai all'ultimo secondo, sfruttando i riflessi velocizzati dai miei cebrim, e vidi, al rallentatore, la lama scorrermi a pochi centimetri dagli occhi, recidendomi persino una ciocca di capelli.
Mi voltai verso il luogo da cui era stata lanciata, rendendomi così conto che si era trattato del mio coltello. A lanciarlo era stato lo stesso Arkonante che poco prima avevo colpito alla gamba con quella lama.
Rendendosi conto di avermi mancato, sollevò le mani per creare un nuovo attacco di cui però non scoprii mai l'entità perché fu atterrato da una figura vestita in rosso scuro, che gli cadde addosso con un balzo selvaggio precipitando dall'alto, prendendolo di sprovvista e atterrandolo.
Quando si rialzò, riconobbi la chioma dorata di Ewan, ovverosia Elias. Il Tenebroso si era sostituito all'Adelpho già dal momento in cui ci eravamo appostati sul tetto, probabilmente per evitare che il giovane Mindsmith rovinasse il nostro effetto sorpresa, e adesso mi stava facendo un cenno del capo. Era strano vedere le sopracciglia aggrottate e l'espressione corrucciata sul viso solitamente sereno del biondo. Elias mi aveva appena salvato la vita. Perché? Non ero forse la spia, o, peggio, l'Erede di Arkon per lui?
Non ebbi il tempo di chiederglielo, ovviamente, perché gli Arkonanti non avevano la minima intenzione di concederci nemmeno un attimo di tregua. Entrambi nuovamente travolti dai combattimenti, collaborammo in un modo che non mi sarei mai aspettata, parando i colpi diretti all'altro e sferrandone di simultanei in congiunzione. Per gli attacchi più complessi e che provocavano i maggiori danni i suoi occhi si illuminavano, segno che, anche a distanza, i due Adelphi avevano la possibilità di attivare il potere del loro legame, pur con Ewan non propriamente lucido.
Sconfitti tutti gli Arkonanti della nostra zona, iniziammo a dirigerci verso l'alto, dove la situazione sembrava decisamente più critica. Sfruttando alcune delle macerie provocate da Isidoro, saltai su uno dei pilastri e da esso mi issai verso l'alto, leggera come una piuma. Raggiunta una delle travi superiori, tuttavia, la mia pelle fu scalfita da alcuni gelidi pezzi di ghiaccio che precipitavano dal cielo furioso.
Per poco non persi l'equilibrio rischiando di precipitare di nuovo di sotto, sentendo montare in me il solito magone, il cuore che accelerava il battito per l'agitazione che mi provocava la sensazione delle innumerevoli gocce d'acqua sul viso, talmente tante da soffocarmi. Non appena riuscii a scansarmi da quel punto, la paura si affievolì, poi mi presi un attimo per regolarizzare la respirazione.
Sfiorai con le dita i mens sopra la mia testa, disegnando un arco con le braccia, e questi si solidificarono intorno a me, a formare quello che sperai fosse uno scudo sufficiente per la grandine che imperversava. Avevo visto spesso fare da altri Ephuri quel simpatico trucchetto, ma non l'avevo mai provato prima personalmente. Beh, non era male.
Dopodiché mi feci coraggio e seguii Elias, che aveva già raggiunto il tetto prima di me. Il frastuono della pioggia era a dir poco disturbante, e si mescolava al ruggito dei tuoni continui che, a momenti, mi ricordava pericolosamente quello di un treno. Tentando con tutte le forze di ignorare e trattenere qualunque sensazione che preludeva a uno dei miei tipici svenimenti - che al momento era ovviamente di vitale importanza evitare - individuai con un'occhiata rapida intorno a me le dinamiche in atto.
Gli Arkonanti non erano poi così in vantaggio come avevo temuto all'inizio, e gli Ephuri presenti se la stavano cavando egregiamente. Liss, come sempre, era una furia sanguinaria, nemmeno la pioggia mista a grandine che non si curava di evitare sembrava disturbarla, mentre ruotava su sé stessa colpendo mortalmente più Arkonanti nello stesso momento, la coda di cavallo ormai sciolta in una capigliatura spettinata le appiccicava al viso alcune ciocche sporche di rosso. Lauren, entrata in modalità amazzone, non era da meno; quando arrivai stava giusto buttando giù dal tetto tre Arkonanti contemporaneamente con un solo colpo di spada.
Decisi così di aiutare Yoann, al momento impegnato con due Arkonanti, ma non troppo in difficoltà, quando venni agguantata per un braccio da dietro. Mi voltai, un gancio già pronto per permettermi di sfuggire alla presa, quando mi resi conto che a fermarmi non era nessun Arkonante, bensì Elias.
«Proteggilo» disse. Non appena ebbe finito di pronunciare quella parola, l'espressione seria si trasformò in una stupita, e il ragazzo mi guardò, un sopracciglio sollevato. «Leonia?!»
Una maschera di terrore prese forma sul mio viso mentre riconoscevo la voce stridula per l'attonimento e la straordinaria capacità di non azzeccare mai il mio nome di Ewan, ritornato nel suo corpo.
Ma che gli prendeva a Elias, era forse impazzito? Come aveva potuto separarsi dal suo Adelpho in un momento del genere? Questa cosa non aveva il minimo senso, per quanto sospettassi di lui, pure io dovevo riconoscere che il suo affetto per Ewan mi era sempre sembrato più che sincero, non l'avrebbe mai abbandonato nel pericolo, ne ero certa.
Doveva essere successo qualcosa.
Per lo stupore persi per un attimo controllo sullo scudo che mi proteggeva dalla pioggia, e alcuni chicchi taglienti di grandine mi colpirono dolorosamente, ma mi impegnai nuovamente a restare in me. Senza sapere come, notai con la coda dell'occhio che un Arkonante stava per attaccare Ewan, il quale, confuso e barcollante, non si stava accorgendo di nulla. Con uno scatto istantaneo mi chinai lievemente in avanti per allungare una gamba dietro di me, attraversare con un piede lo scudo di mens che mi proteggeva dalla pioggia, e atterrare l'avversario con un colpo deciso all'addome. Quello fu schiantato all'indietro, scivolò sulla superficie liscia della copertura, e sparì di sotto con un grido. Sgranai gli occhi, stupita dalle conseguenze inaspettate del mio colpo, probabilmente aggravate dalla pioggia, sperando di non averlo appena ammazzato. Mi rassicurai con il pensiero che era difficile che un Ephuro non atterrasse come minimo a quattro zampe; dopotutto, in quello eravamo un po' come i felini!
«Che gli prende?» gridò Yoann a gran voce per farsi udire nel frastuono del temporale, non appena ebbe raggiunto me ed Ewan, così gli spiegai che Elias l'aveva abbandonato. Insieme ci mettemmo a proteggerlo, anche se non ancora per molto, perché la difesa degli Arkonanti si fece presto più debole, segno che stavamo avendo la meglio.
Di comune accordo decidemmo di portarlo di sotto, calandoci sulla stessa trave da cui ero salita prima. Ewan per fortuna fu più collaborativo di quel che avevo inizialmente temuto, e si lasciò aiutare senza problemi, senza ovviamente esimersi da stupide battutine fuori luogo che Yoann e io nemmeno ascoltammo.
Una volta affacciata di sotto, sollevata di trovare finalmente riparo dalla pioggia, mi resi conto che anche nella fabbrica la nostra fazione stava avendo la meglio. Nonostante le numerose perdite anche tra gli Ophliri, una delle unità era rimasta intatta e i suoi componenti stavano combattendo con una furia impareggiabile, facendo stragi di Arkonanti. Molti di quelli ancora in circolazione erano più o meno gravemente feriti, e alcuni si stavano dando alla fuga. Isidoro, non sapevo perché, non stava più usando il suo cebrim da Naeph, e, nonostante le sue ottime capacità di combattimento, si era trasformato in un nemico decisamente più battibile, al momento impegnato con Basilio Cervini. Quest'ultimo, nonostante l'età, si stava dimostrando un ottimo guerriero.
Ce la saremmo cavata, mi resi conto. Anche se all'inizio era sembrato impossibile, eravamo riusciti lo stesso ad avere salva la pelle.
Stavo giusto avendo questo pensiero sollevato, quando all'improvviso tutto intorno a me prese a girare incontrollatamente, la vista mi si appannò.
Sentii solo distrattamente la mano che mi afferrava il braccio all'ultimo impedendomi di precipitare. Le mie gambe prive di vita, penzolanti sopra le macerie della fabbrica, furono l'ultima cosa che riuscii a vedere nitidamente.
Perché se prima ero riuscita a sfuggire alla furia della grandine, ora non potei fare nulla contro le stille di gelo che precipitavano sul mio corpo, da tutte le parti, mentre io inerme, gridavo.
E più aprivo la bocca per chiamare aiuto, più mi sentivo soffocare, mentre il fischio vicinissimo di un treno che sembrava sfrecciarmi nelle orecchie, faceva vibrare tutto.
Quando mi accolse il calore che poneva fine alla sofferenza, il mondo si fece buio.
Una finestra si spalanca, la tenda ondeggia all'interno della sala, spinta dal vento inferocito del temporale. L'acqua penetra nell'abitato, macchiando il pavimento lindo.
Rimiro le dita della mia mano, solide, vere, consistenti. Sono viva. Esisto. È così bella questa sensazione. Sono sempre più forte mentre Lei è sempre più debole.
Will è qui, vicino a me. «Liv, lo so che puoi sentirmi» continua a dire, nella vana speranza che Lei possa prendere il controllo su di me.
Ma non accadrà.
Mentre io sono qui, insieme al mio Will, Sandy proietta la sua illusione, e io vedo da quei baratri di luce che ricordano vagamente degli occhi.
La tempesta è arrivata. E con essa la morte.
È stata una scelta di tutti. Tutti dovranno patire. Questa è stata la sentenza scelta dalla mia migliore illusionista, da me concordata.
Una donna dai capelli castani si alza a chiudere la finestra. Il frastuono della pioggia imperversa, come una condanna.
«Liv...»
Non do adito alle parole del ragazzo. Un giorno capirà.
Sandy comincia a tessere le sue illusioni con maestria. Non appena la finestra si chiude, un nuovo vento la spalanca nuovamente, talmente violento da gettare a terra Clara. Suo marito accorre da lei, per aiutarla, mentre la tenda bianca ondeggia a prendere la forma che i due temono più di ogni altra, la stessa che per primi videro in Islanda, sei anni fa.
Ma non basterà a sciogliere le loro anime, a spezzare i loro cuori, a infrangere i loro Clypeus.
Un busso insistente e una voce lontana. Non permetterà a nessuno di disturbarla, ogni possibilità di sopraggiungere è bloccata.
Ora ci sono solo lei e loro.
«Che c'è? Non mi riconoscete?» dicono le mille voci di Hel, mentre muta il suo aspetto ad assumere quello di Sandy.
Una maschera di terrore prende il posto dei visi dei due Ephuri, che indietreggiano senza riuscire a respirare.
«No... non è possibile...» dice l'uomo. Sento, come fosse la mia, una gioia incontenibile innanzi alla riuscita del suo inganno abilmente costruito negli anni, che ora provoca l'infrazione di ogni barriera, ogni ostacolo che ancora proteggeva il frammento fino a un attimo fa.
Frammento che non si è mai spostato, si rende conto Lei con costernazione. Lo metto al sicuro, dove la spia possa trovarlo e consegnarmelo.
Poi permetto a Sandy di svolgere il suo compito.
Non è difficile, spezzati i loro cuori deboli, cucire illusioni mortali nelle loro menti distrutte. Piace così tanto, a Sandy, giocare con le sue vittime, per ucciderle solo quando non avranno più motivo per vivere. Il suo sadismo qualche volta spaventa anche me.
Mostra loro ogni sconfitta, ogni insuccesso risvegliato, tornato dall'oltretomba per giustiziare coloro che avevano fatto di tutto per impedirlo. Centinaia di bambini morti, donne e uomini, Ephuri che avevano chiesto l'aiuto di Clara senza mai riceverlo, e che ogni notte la perseguitavano nei suoi incubi più cupi, ora resi reali. Le emozioni di paura e terrore tornate in vita nelle menti sue e del marito a ricordare tutti i loro fallimenti.
I due ne vengono sommersi. Gridano. Vengono soffocati.
Le loro menti credono di morire e ordinano ai loro cuori di smettere di battere. E questi obbediscono.
I pianti e le grida di chi è chiuso oltre la porta, si spengono innanzi all'ineluttabilità dell'accaduto.
«Mi dispiace Liv. Ma questa... era la soluzione migliore» dice Will, vicino a me, prendendo la mia mano. Una lacrima gli riga il viso.
I due corpi sono accasciati a terra, l'uno di fianco all'altro. Sono vissuti insieme e insieme sono morti. Non avrebbero potuto auspicare a un destino migliore, si dice Sandy.
Dopodiché, compiuto il suo dovere, sparisce così come è comparsa.
La pioggia penetra dalla finestra e bagna Daniel e Clara, immersi in una pozza illusoria del loro stesso sangue, e la grandine scalfisce la loro pelle gelida.
La tenda bianca ondeggia nella stanza, sorda al grido del vento. Silente e spettrale innanzi alla morte.
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