11.Come un bounty

Il ritorno a casa fu confuso e appannato dal cuore che mi esplodeva nelle orecchie riverberando in tutto il corpo. Il fiato mi graffiava i condotti dalla gola ai polmoni, le mie gambe continuavano a muoversi perché sapevano che non appena si fossero fermate sarei crollata. La mia testa era praticamente esplosa, e l'unico pensiero che riuscisse a prevalere sulle macerie era quello che mi spingeva a correre per arrivare in un posto sicuro il prima possibile.

Appena giunta innanzi alla porta che conduceva all'atrio del condominio in cui abitavo, finalmente mi fermai. La ragione mosse i primi incerti passi dentro di me. Mi resi conto che le condizioni pietose in cui mi trovavo – abiti e capelli fradici e insozzati di fango, espressione sconvolta in viso, un odore nauseante di sudiciume – avrebbero di certo destato delle domande.

Di raccontare tutto ai miei genitori non se ne parlava. Non avrebbero potuto capire. Se è per questo nemmeno io ci sto capendo niente...

Per tentare di spiegargli tutto avrei finito per farneticare e balbettare, e non sarei riuscita a esprimermi bene, perché la confusione di quanto appena accaduto mi mandava ancora in frantumi ogni pensiero di senso logico. Insomma, sarebbe stato un disastro e mi sarei solo messa più nei guai, perché non mi avrebbero creduto. E in effetti nemmeno io mi sarei creduta, perché quella storia era assurda. Inverosimile. Inspiegabile. In effetti, stentavo quasi a credere di averla vissuta davvero...

No. Era reale, di questo ero certa, ed era inutile mentire a me stessa.

Dovevo solo pensare una scusa abbastanza intelligente per... mi guardai. Gavettoni. Credibile, sensata, geniale. Inoltre erano sempre troppo buoni per infliggere vere punizioni, forse me l'avrebbero anche lasciata passare. Ero stata educata in modo tanto permissivo che c'era da stupirsi che non fossi diventata una ribelle attaccabrighe...

Però mento senza ritegno. Avrei dovuto fingere, ancora.

Non se lo meritavano, ma non avevo altra scelta.

L'archetto scorreva lentamente sulle corde del violino. Ne uscivano ammalianti note di melanconica gioia. Le dita che tenevano la bacchetta erano magre e affusolate, le unghie corte mangiucchiate.

La pelle era bianca come neve appena adagiata al suolo.

L'arco prese a muoversi con più foga e dallo strumento esplosero note più movimentate, che parlavano di avventure e orrore, di meraviglia e di amore. A momenti la musica si alternava con il ritmo più lento di prima, producendo una melodia incerta, alternata di intensi fischi acuti e struggenti e melodici sbalzi.

Mi entrava nel cuore, me lo strappava in mille pezzi, e poi li riallacciava insieme.

Si trattava certamente di una canzone improvvisata sul momento dal suonatore. Per questo unica e irripetibile nel suo genere.

Era davvero complicato distinguere dei dettagli nell'ambiente buio in cui mi trovavo. Solo piccoli particolari. Il violino era di un caldo color ciliegio, finemente elaborato, non ero così esperta da saper dire se fosse antiquato o meno.

Mi concentrai allora sulle dita del violinista. A chi appartenevano? Chi stava suonando per me? E perché lo faceva ogni notte?

Cercai di vedergli il volto, ma questo era sommerso da un mare di ombre. Non mi era possibile distinguere nemmeno i capelli o gli abiti. Niente.

Mi avvicinai. La musica si fece più vicina e intensa. Mi penetrò ancora più in profondità nel cuore, mentre tentavo, inutilmente, di scorgere almeno parte del volto del violinista. Ne avevo bisogno.

Volevo solo delle risposte.

Distinsi meglio le venature del legno, la vibrazione delle corde tirate nel momento in cui l'archetto vi passava sopra. Una mano che lo teneva delicatamente e l'altra che impugnava invece il manico del violino. Premeva sulle corde, poi sollevava e abbassava le dita con delicatezza.

Mi avvicinai ancora di più. Il mio cuore scandiva le percussioni di quella musica immortale.

Mia, solo mia.

Iniziai a distinguere il mento, poggiato sul legno di ciliegio. Era magro, e puntuto...

Mi sporsi ancora di più in avanti, ero sul punto di...

Un improvviso, orribile suono ruppe l'armonia.

L'oscurità sommerse quel poco che era visibile, mentre il rumore copriva persino le note del violino. Allontanandole da me.

Fino a quando non rimase altro che quel caotico e assordante squillo.

Il suono del telefono di casa che squillava mi spalancò gli occhi. Mi alzai così rapidamente che la vista mi si annebbiò e, per un attimo, credetti di svenire. Che rottura, non posso nemmeno dormire in pace...

Era la prima volta che riuscivo a ricordare qualcosa dei miei sogni, esclusa la musica che mi ronzava poi in testa per il resto della giornata. Almeno avevo la conferma che era qualcuno di esterno a me a suonare e non io... anche se in effetti essendo i sogni un prodotto della mia mente, la responsabile ero pur sempre io. D'altro canto, non mi sarebbe dispiaciuto affatto scoprire chi si celasse nell'ombra...

Cercai gli occhiali sul comodino, ma nel tentativo di infilarmeli le asticelle si impigliarono nei capelli annodati e per poco non rischiai di romperli.

«Arrivo, arrivo!» esclamai sentendo che il telefono continuava a squillare. Uscii fuori dalla mia camera zoppicando perché ancora intenta a infilarmi la seconda pantofola. Dato che mamma e papà si trovavano entrambi a lavoro, toccava a me rispondere al telefono. Quel giorno non me l'ero sentita di andare a scuola, più che altro per quello che era successo il giorno precedente, e perciò ero restata a dormire fino alle... dodici e mezza, come vidi in quel momento sulla sveglia. Ottimo.

Presi la cornetta e me la portai all'orecchio. Finsi un sonoro sbadiglio prima di esordire con un assonnato «Sì?» giusto per far sentire un po' in colpa chiunque avesse chiamato a quell'ora.

«Livvina

La voce era distorta dal telefono, ma l'avrei riconosciuta tra mille. Fu sufficiente a risvegliarmi del tutto.

«Yoann?»

«Oh, Dieu merci, meno male stai bene, senti ti devo parlare di quello che è succes

«No, Yoann, io invece non ne voglio affatto parlare!» esclamai, accesa da un'improvvisa furia. «Credi che non l'abbia visto? Quelle persone sono degli assassini, degli psicopatici, dei-dei...»

Non riuscii a proseguire la frase, la voce mi si era incrinata nel ricordo di quanto vissuto e gli occhi mi bruciavano.

La voce dalla cornetta proseguì: «Mi dispiace tanto che tu abbia dovuto assistere a quelle cose, non avrei mai voluto che andasse così, però non immaginavo che tu...» Ci fu un'interferenza, come di due voci che si sovrapponevano.

«Chi c'è con te? Sei con quelle persone? Yoann, rispondimi!»

Alla seconda interferenza, sentii montare ancora di più la rabbia.

«Sì, ma non è come credi, Liv...»

Presi un respiro profondo, tentando di formulare al meglio quelle parole così difficili. «Yoann, senti, lascia perdere... pensavo che fossimo amici, io pensavo...» Deglutii per ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di rigarmi il viso. «Perché mi hai mentito?»

Mi pentii nell'immediato di quella mia domanda. Non sintetizzava nemmeno un po' quello che provavo e mi faceva apparire infantile. Che motivo avrebbe avuto, dopotutto, per parlarmi della sua stramba vita? Ci conoscevamo da a malapena una settimana, ero io di nuovo, a essermi illusa e fidata troppo presto.

A rispondermi fu un'altra voce, più piccola e sottile. Per un attimo temetti appartenesse a Kerkyra, anche se questa era più squillante e calda al tempo stesso. «Senti, tizia...»

«No, Pad, lascia perdere...» Yoann.

«Un corno che lascio perdere! Come ti permetti, di dare la colpa a Yoann! Lui non c'entra niente, non è colpa sua se è stato attaccato da quegli Arkonanti psicoproblematici, il suo unico errore è stato quello di non essersi accorto che tu sei... uhm... diversa»

Quell'ultima parola mi fece definitivamente scoppiare.

Diversa. Mi assillava da tutta la vita quella consapevolezza, l'avevo sempre temuta e non avevo mai trovato il coraggio di affrontarla. Sentirmi chiamare così da loro era troppo.

...Ma allora come spieghi il fatto che ci veda...

...Si sarà sviluppata da poco...

No. Non ero come loro. Non ero un mostro.

«Va al diavolo, tu e tutti i tuoi amici assassini! Non chiamarmi più!»

Ero quasi certa che quella che mi aveva appena parlato fosse una delle ragazze presenti allo scontro avvenuto lungo la Dora. Oddio, potrebbe essere addirittura quella con gli occhi rossi...

Mi sembrò di sentire la voce di Yoann che diceva qualcosa. Non seppi mai che cosa, perché gli attaccai la cornetta in faccia.

Come aveva avuto il mio numero? Non che fosse quello il crimine più efferato di quel gruppetto, questo era certo.

La paura provata il giorno precedente e la mia difficoltà a metabolizzare quanto accaduto mi spingevano a desiderare di non rivedere mai più Yoann e fuggire da qualche parte. Fare le valigie e partire, allontanarsi da tutto quel male per far sì che non potesse raggiungermi. Ma come potevo? E in che modo? Non so nemmeno girare per la mia stessa città senza perdermi, come diamine faccio a organizzare una fuga? Senza contare che dovrei abbandonare i miei genitori... oppure posso convincerli a venire con me! No, se gli spiegassi tutto mi prenderebbero per pazza e mi spedirebbero dal miglior psicanalista in circolazione...

Presi a camminare avanti e indietro per il salotto, ancora in pigiama e con i capelli stropicciati quasi quanto la mia faccia. Ma io non sono pazza. Cioè, almeno credo. Lo sono? ... cambiare scuola! Magari basta cambiare scuola per non rischiare di rivedere Yoann! No, vuole parlarmi, riuscirà a trovarmi di sicuro. E poi sicuramente almeno uno di quei suoi amici strani avrà qualche superpotere con cui potrà trovarmi.

Mi fermai, per prendere un bicchiere e riempirlo con l'acqua del rubinetto, intanto che i pensieri continuavano a mulinare incessanti. Caspita. È vero. E se venissero loro a cercarmi? Quell'Isidoro ha detto "ci occuperemo dopo di lei" ... sempre che esista davvero. Trangugiai l'acqua. Sì, e se fosse tutto un frutto della mia immaginazione?

Tossii. Mi era andata di traverso. Questo spiegherebbe molte cose, a partire dalle stranezze di Yoyo. Cioè, Yoann; per me è praticamente uno sconosciuto. Io non so chi sia. E probabilmente molte delle nostre interazioni le ho inventate, come sostenevano Ahmed e gli altri. Di conseguenza, la mia mente ha prodotto tutto il resto: l'agguato, la Dora, il sangue... se tutto fosse accaduto davvero non sarei mai riuscita a essere così calma da dormire serenamente fino a quest'ora, quasi il mio inconscio già sapesse che è stato tutto frutto della mia immaginazione... e io che non credevo alla gente quando diceva che leggere fa male. Mi ha sviluppato troppo la fantasia e ora sono da internare in manicomio...

Tornai in camera, mi vestii di fretta. Non avevo fame, così meccanicamente presi mano al libro di storia, dato che il giorno seguente iniziavano le interrogazioni sulla materia, e puntai lo sguardo sulle pagine. I miei occhi distinguevano le scritte e le immagini, ma la mia testa non le processava. No, non posso essermi immaginata tutto. Mentre lo vivevo lo sentivo fin troppo reale, nulla è mai stato più vero di quel momento. E poi, il solo fatto che non sia spiegabile razionalmente non lo rende impossibile. Ho sempre percepito che ci fosse qualcosa di più al di fuori di ciò che veniva percepito dalla visione superficiale delle persone, motivo per cui mi sono sempre sentita inespressa e infiltrata come un'intrusa e...

Chiusi il libro con un colpo secco. No, stavo esagerando. Non potevo usare quella mia sensazione di diversità come spiegazione di ogni aspetto inspiegabile della mia vita. O, viceversa, qualsiasi cosa inspiegabile, per spiegare la mia diversità. Ho fame.

Neanche mi accorsi di aver percorso la camera e la cucina, che un attimo dopo mi trovai con un bounty tra le mani, appena tirato fuori dal frigo. Era fatto a casa, io e i miei genitori li avevamo creati appena qualche giorno prima avvolgendo gli ingredienti per dare vita a quelle delizie. Addentai con avidità lo strato di cioccolato fondente. Il gusto del cocco esplose triliardi di scintille nel mio palato. Perché la mia vita non può essere come questa barretta di cocco e cioccolato? Fondente, quasi amara, ma anche dolce. Un labirinto di contrasti in cui perdersi è rassicurante. Prima la mia vita era così, in effetti. E non era perfetta, ma era normale, semplice. Speciale proprio nella sua semplicità.

Deglutii. Ma anche cieca. Non ho fatto che mentirmi per tutta la vita, ignorare i segnali anche quando questi erano troppo evidenti per essere ignorati. Non ho fatto altro che mentire a me stessa. Guardare da un'altra parte.

E rimandare questo momento.

Quello da cui non si può più tornare indietro.

Mi rimescolai il gusto della barretta nel palato, mentre gradualmente questo si scioglieva nella mia saliva e sbiadiva. Fino a scomparire.

Avevo preso la mia scelta nel momento in cui avevo deciso di seguire Yoann e Isidoro. O forse quando avevo rivolto per la prima volta la parola al ragazzo francese. Anzi, forse non avevo affatto preso una scelta, si erano solo esaurite le possibilità di continuare a voltare il capo dall'altra parte.

Il gusto del bounty si era dissolto, portandosi via la mia maschera. Ormai non rimanevo che io.

Io e la verità, la fuori, che mi aspettava.

Fu calamitato dal mio sguardo non appena giunsi nei pressi della via che costeggiava la scuola. Non si trovava al solito posto, ma tutto intorno a lui era uguale a ogni altra mattina: stessi gli studenti, medesimi gli edifici circostanti, simili le auto posteggiate. Eppure, avevo l'impressione che ogni cosa appartenesse a un altro mondo, a una vita antecedente ai fatti di due giorni prima. Forse era tutto uguale al solito, ma erano diversi gli occhi che guardavano il mondo.

Yoann, d'altro canto, era lo stesso. No, è uno sconosciuto, mi impegnai a convincermi.

E soprattutto, non era solo.

Una ragazza conversava con lui, di bassa statura, la pelle ambrata. I capelli corti incorniciavano parte del visino tondo reso tenero dai grandi occhi a mandorla, che però non mentivano alla mia memoria: si trattava di una delle ragazze di parkour, quella che assomigliava a una guerriera di kung fu.

La sua presenza mi destabilizzò. Mi aspettavo di parlare solo con Yoann, non con una di quelli.

Appena Yoann mi notò, fece un cenno all'altra ragazza, ed entrambi vennero verso di me. Il cuore prese a battermi all'impazzata, scandendo ogni loro passo come una condanna a morte. Ma che m'è venuto in mente?

Stavo già riconsiderando la possibilità della fuga tattica per non accettare la realtà, ma sapevo che ormai era tardi. Tanto valeva dare una possibilità a Yoann e vedere cosa avesse da dirmi.

«Calma, non ti facciamo niente» esordì subito la ragazza prima che potessi dire alcunché, forse interpretando la mia espressione. O leggendomi il pensiero. La sua voce mi confermò che si trattava della stessa ragazza con cui avevo parlato al telefono il giorno prima.

Appena mi fu vicina a sufficienza, la studiai attentamente per riconoscere qualche segno di efferata delinquenza nei suoi lineamenti o magari cogliere tracce delle sue abilità sovrannaturali. Nonostante potesse apparire più piccola con i suoi miseri centocinquantadue centimetri virgola uno, un'audacia consapevole le dipingeva nelle iridi color nocciola una denotazione più matura, forse da sedicenne o poco meno. I tratti del viso suggerivano delle origini orientali, non avrei saputo dire precisamente di dove, e i capelli lisci, scalati in un impreciso pixie cut con ciuffi più lunghi sulla parte superiore del capo, erano tinti da strisce color ciliegia che intervallavano le ciocche d'ossidiana lucente.

Insomma, sembrava del tutto normale. Certo, un po' bizzarra e caratterizzata da un'infantile e mascolina noncuranza, come dimostrava la larga canottiera palesemente da uomo, la quale non celava il petto piatto quanto i pantaloncini oversize non nascondevano le gambine paffute tipiche dei bambini. Il suo fisico, insomma, minuto e in carne come quello di un bambolotto appena cresciuto, non era quello atletico che ci si sarebbe aspettati da chi avevo visto, con i miei stessi occhi, svolgere quelle invidiabili acrobazie al limite del verosimile.

Sembrano persone del tutto nella norma, uguali a centinaia di altre, e invece possiedono abilità stupefacenti. È terrificante...

A quel mio pensiero, la ragazzina roteò platealmente gli occhi, come l'avesse percepito. In effetti anche Yoann spesso sembrava leggermi il pensiero. E se...

«Sì, ti stavo "leggendo il pensiero"» rispose la ragazza evidenziando le virgolette con le dita. «Tutti noi lo facciamo, regolarmente. Anche tu imparerai a farlo, perché sei un'Ephura e bla bla bla, ora vieni con noi così che ti venga spiegantrodotto per bene tutto...»

«, Padma, non credi sia meglio spiegare ogni cosa un passo per volta?» la interruppe Yoann. «È evidentemente sconvolta... magari comincia con il presentarti, e poi...»

«È inutile addolcire la pillola, meglio dirle tutto chiaro e tondo così com'è.»

«Sì, ma non tutto insieme, altrimenti non potrebbe processare ben-»

«Senti, Yoann,» questa volta fui io a interrompere il discorso, esasperata da quello scambio, «vorrei solo capire che è successo l'altro giorno e chiudere la faccenda per sempre.»

Per i nervi, mi stavo tirando le bretelle dello zaino tanto da conficcarmele nell'incavo delle spalle in modo quasi doloroso, e le suole delle mie scarpe erano incollate sul pavimento.

La risposta di Padma trasmutò il mio fiato in un liquido rovente che mi bruciò i polmoni: «Non puoi più chiudere la faccenda. Ormai ti hanno vista, sanno chi sei.»

Ci occuperemo dopo di lei...

Deglutii l'acido. Dunque era vero. Ormai non si poteva più tornare indietro.

«Pad! ...» Yoann tentò di dire qualcosa che la vivace ragazza mal interpretò.

«Ah sì, scusa, devo cominciare presentandomi. Mi chiamo Wang Padma, ma puoi chiamarmi semplicemente Padma. O signorina Wang. O Padwang. O Wangma... Comunque-»

«Adesso vorrei parlare con Yoann, se non ti dispiace.»

Mi stupii io stessa del mio tono duro. Non mi riusciva mai di impormi in un dialogo, soprattutto se tra più di due persone. Anche quella Padwang-Wangma, o come cavolo si chiamava, aveva quell'impronta riconoscibile che avevo notato anche in Yoann, la stessa che si rifletteva ogni giorno nel mio specchio. In loro presenza, mi sentivo libera da un peso, quasi normale. In ogni caso, ignorai quei pensieri seducenti e mi focalizzai sul mio obiettivo: mettere in chiaro quella faccenda prima di venire inghiottita del tutto dal terrore che mi provocava.

Un cenno gentile di Yoann, e Padma si arrese, scrollando le spalle irritata, un gesto che su di lei assomigliava a quello di un gatto nervoso che agita la coda. «Va bene, va bene, me ne vado lì in quell'angolino...»

Quando si fu allontanata a sufficienza, la sentii mugugnare: «Che scortepatici...»

Aggrottai le sopracciglia, rendendomi conto che aveva brontolato talmente piano da non essere udibile da un orecchio normale. Era quasi come se quel sussurro fosse stato spostato fino alle nostre orecchie...

«Ma... si inventa le parole?» non potei fare a meno di chiedere a Yoann, appena la sua attenzione fu focalizzata su di me. Anche al telefono si era riferita a quei cosiddetti Arkonanti come a degli "psicoproblematici" ...

«Sì, diciamo così» sorrise radioso lui, gli occhi luccicanti per la tenerezza. L'affetto che provava per quella ragazza era sincero almeno quanto quello che avevo creduto provasse per me... Quando invece mi stava mentendo. «Lo fa in automatico, è come un suo dizionario personale, tanto che a volte è difficile capire quello che dice.»

Annuii, ma restai in silenzio. Silenzio che si allargò tra noi, profondo come un oceano, ma trasparente quanto l'acqua che lo componeva. Per quanto si fosse ricomposto a seguito dell'attacco, tracce del suo malessere gli disegnavano i lineamenti del viso sotto una nuova luce. Il senso di colpa gli incupiva il turchese delle iridi, mentre una trepidante preoccupazione gli stirava le spalle snelle facendolo apparire più alto del solito, senza però ingannare il mio occhio metrico. I suoi nervi tesi rispondevano da soli ai miei dubbi: anche lui era scosso dall'attacco e probabilmente si crucciava per il fatto che io vi avessi assistito. Questo significava forse che io contavo davvero per lui? La nostra amicizia non era stata una semplice illusione?

Concentrati, mi imposi.

«Liv... mi dispiace che tu abbia dovuto vivere una cosa del genere. Adesso sei terrorizzata, e lo capisco. È comprensibile. Avrei voluto poterti raccontare tutto subito ma credevo che tu non fossi... io pensavo che tu...»

«... Non fossi come voi?» completai, una nota cinica a irruvidirmi la voce. «Invece sono... sono una specie di mutante? Un'Ephura

Mi fece uno strano effetto pronunciare quella parola, prima aliena, che si disciolse invece con sorprendente fluidità sulla mia lingua, quasi fosse nata per pronunciarla.

«Sì» confermò lui, deglutendo come a sancire quella conferma, quasi pure lui faticasse ancora ad abituarsi all'idea. «Ma gli Ephuri non sono mutanti. Non sono mostri

Pronunciò quella frase con una greve serietà che non gli avevo mai visto indossare. Ne venni investita. In quel momento non mi stava parlando il gentile, dolce e divertente ragazzo francese a cui mi ero affezionata; ne era emerso il lato che vi si celava dietro, la cui profondità mi spezzò il fiato. I suoi occhi erano diventati tali e quali agli abissi più profondi dell'oceano: un mistero tanto antico e stratificato da sembrare inesplicabile. Forse, però, risolvendo quell'interrogativo, anche tutte le mie domande avrebbero trovato una risposta.

«Ma io non capisco... quelle cose che hanno fatto... sono surreali, inspiegabili, non possono essere reali... com'è possibile?»

Solo formulare delle frasi di senso compiuto per descrivere ciò che avevo visto mi richiedeva un impegno insormontabile, come se la mia razionalità si impedisse di accettarlo.

«Ti spiegheremo tutto, davvero. È molto complesso e io, essendo da poco qui, non sono la persona più... adatta a chiarirti le idee. Però posso portarti da chi potrà farlo. Devi solo fidarti di me.»

Si umettò le labbra, poi si massaggiò la tempia con due dita, gli occhi attratti dalla punta delle sue scarpe. Infine risollevò lo sguardo, nel quale era stata versata una goccia della sua tipica dolcezza. «Ti fidi di me?»

Faticai a trattenere le mie labbra dall'incurvarsi verso l'alto. Quando faceva quella faccia da cucciolo mi veniva da scompigliargli i capelli e canzonarlo. La tentazione di tornare a ridere con lui come prima, come non fosse accaduto nulla, era soverchiante. Che domande, ovvio che mi fido di lui. Anche se mi aveva tenuto nascosta tutta quella storia, non fidarmi di Yoann sarebbe stato come non credere che il pavimento potesse reggere i miei piedi.

«Ha importanza?» risposi invece. «L'ho sentita bene, ha detto che ormai non ho scelta, mi hanno vista

«Già...» Mi sorrise. «Noi però potremo aiutarti a difenderti.»

«Quindi hai scelto? Possiamo andare?» irruppe in quel momento Padma, piombata nuovamente accanto a Yoann. Ha ascoltato tutto il tempo...

«Adesso?» ribattei, seccata, muovendo un passo indietro.

«Sì. Quando, sennò? Dopo che gli Arkonanti ti avranno già succhiato via il cervello?»

Sbiancai. «Dopo che avranno fatto che cosa

«Padma ovviamente stava scherzando» ridacchiò forzatamente Yoyo.

«Ehm... sì-sì... assolusì...»

Questo non è per niente rassicurante.

Padma si era già incamminata, e da come si voltò indietro supposi ci stesse aspettando per guidarmi nel luogo dove mi volevano condurre. Ma sarà saggio andare dietro questa gente? Dove potrebbero portarmi?

«Non possono essere quelle persone a venire qui?» chiesi, riferendomi ai cosiddetti tizi che avrebbero dovuto spiegarmi tutto meglio di Yoann. «E poi, quella ragazza... ha ucciso una persona, io l'ho vista! Non so se...»

Solo dire quella frase "ucciso una persona" era in grado di farmi rabbrividire, le iridi rosso sangue di quella ragazza impresse a fuoco nella mia memoria.

«Ha ucciso un Arkonante» specificò Yoann. Non sono persone?

«A te non farà niente, tranquilla.» Il suo sorriso rassicurante non mi rassicurò affatto.

In quel momento il cancello dell'ingresso venne aperto e gli studenti più puntuali cominciarono a riversarsi dentro l'istituto. Mi parve di percepire un filo attorcigliarsi attorno alla mia caviglia e tirarmi verso l'interno, il senso del dovere impostato più nell'abitudine del mio corpo che nella mia testa.

«Ma oggi abbiamo le interrogazioni di storia... non sarebbe come tagliare?» Non avevo mai balzato nessuna verifica, se mi assentavo era solo perché stavo talmente male da non riuscire ad alzarmi dal letto. L'istinto da alunna diligente prevaleva sempre in me.

Non prevalse, però, in quel momento. Scoprire dove mi avrebbero condotta Yoann e quella Padma superava ogni altra aspirazione. Dovevo fare luce su quella faccenda. Su tutto.

Le risposte erano lì, dovevo solo muovere un passo avanti, nel vuoto, e tuffarmici.

«Vorresti dirmi che ieri sei riuscita persino a studiare?» chiese Yoyo, sorpreso.

Attesi un attimo, prima di rispondere, chiedendomi se fissare il libro contasse come risposta. «No.»

Lui sogghignò, poi si incamminò.

Ero pazza, a seguire quei sconosciuti, alleati di efferati assassini, in un luogo ignoto. Eppure, non era che una naturale conseguenza delle mie azioni; andava fatto e basta.

Lanciai un'ultima occhiata all'ingresso della scuola, consapevole che da quel momento sarebbe cambiato tutto.

Dopodiché lo seguii, lasciandomi il passato alle spalle.

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