109.La danza del fuoco
Nella piazza immersa nell'oscurità della sera si era radunata una grande folla, in attesa dell'evento conclusivo delle feste che da giorni ravvivavano le strade di Barcellona con curiose degustazioni culinarie, spettacoli di Las Sardanas - una danza tradizionale catalana -, cucaña, e tanto altro, a cui però non avevamo partecipato tanto attivamente pur percependo l'euforia che attraversava la città.
Come per la manifestazione di indipendenza dalla Spagna, e come accaduto a Venezia, si sentiva nei mens una vibrazione febbricitante che quella sera stava raggiungendo il suo massimo culmine, non facendo altro che aumentare il mio nervosismo per quello che sapevo stava per accadere senza che potessi fare alcunché per evitarlo.
«La Festa Major di Sant Roc ricorda l'uomo che, ammalato di peste, si rifugiò tra le mura romane e fu allontanato da tutti meno che dal cane del fornaio del quartiere, che lo nutriva con dei squisiti Panellets, dolcetti prelibati tradizionali della Catalogna - giusto perché, ovviamente non si precludevano la possibilità di viziare il proprio palato, pur dilaniati dall'epidemia» aveva spiegato R.R.R., prima che uscissimo di casa, accarezzando amorevolmente il pappagallo sulla sua spalla. «Fu proprio grazie a quella palla di pelo che riuscì miracolosamente a salvarsi, per poi lasciare la città, e si dice che in questo modo abbia salvato il quartiere. Gli animali sono una delle cose migliori di questo mondo, vero? Subito dopo il mio impareggiabile fascino e il piacere di turlupinare la gente, ovviamente!»
Al momento invece, Trich non c'era, sparito da qualche parte lontana, e mi chiesi se avesse come minimo salutato il suo padrone, dato che di lì a poche ore, forse meno, non avrebbe più avuto questa possibilità.
«E perché dovremmo andare in questa stupida festa? Non mi piacciono le feste» aveva ribattuto Liss, incrociando le braccia. A quel punto Padma e io ci eravamo scambiate un rapido sguardo ilare, ricordando quanto l'islandese si fosse divertita al compleanno del Cherubino, a Venezia, quando si era travestita da Maria.
«Dovresti smettere di porti domande quando si tratta di qualcosa che io vi dico di fare, cara» il ghigno saccente di R.R.R. mi aveva fatto male al cuore, «ma se proprio non puoi fare a meno di saperlo... è l'ultima possibilità che avete per salvarmi, fallita quella sarò spacciato e non potrò più aiutarvi. Pertanto, mi farete da scorta. Sarà divertente, non credi mio amabile zuccherino?»
Nel momento in cui si era scansato con un rapido movimento prevedendo l'attacco di Liss a quel nomignolo che usava ogni tanto da quando avevamo detto che erano fidanzati, la risata mi era morta in gola, mentre mi rendevo conto che presto non ci sarebbe più stato quello strambo ragazzo colorato a farla infuriare tanto.
Ma questo nessuno dei miei amici lo sapeva, il peso di quella rivelazione era caduto solo su di me, e ora mi toccava mentire a tutti loro, persino Yoann e Padma, e permettere che accadesse.
«Perché loro non possono saperlo? Che senso ha dargli queste speranze inutili?!» gli avevo chiesto uscendo dalla Sagrada al passo rapido del Mecenate dei Perduti. Mi era appena stato spiegato che l'unico futuro in cui poteva morire senza che venisse prima catturato e torturato dagli Arkonanti fino a rivelare le posizioni di tutti i frammenti era quello in cui la sua dipartita accadeva quella notte, durante il Correfoc, nel vivo di una delle feste tradizionali più importanti della sua regione.
Lui si era limitato a voltarsi, ingobbire la schiena per avvicinare il suo viso al mio e domandare, lo sguardo sottile: «Un buon marinaio salperebbe mai su una barca che sa essere destinata ad affondare?»
Un acutissimo e improvviso grido mi fece sobbalzare, mentre diversi fuochi artificiali simili a stelle filanti ma più grandi e luminosi, accendevano la notte.
Quando, per via della sua continuità decrescente mi resi conto che non si trattava affatto di un grido, ma di un sonoro fischio, emesso forse da quei Letargianti travestiti da Diables che reggevano le fiaccole scoppiettanti, compresi che il Correfoc aveva avuto inizio.
Non appena quel suono straziante, intervallato dai botti dei petardi, diminuiva di intensità, si aggiunse il ritmo incalzante di una corposa banda di percussionisti, che scandiva i movimenti dei Diables e i palmi delle mani che quasi tutti nella folla battevano tra loro con partecipazione, catturati da luce e musica. Quell'inizio improvviso e quella fusione di luci, tambureggi, fischi assordanti, mi frastornò al punto che per un attimo temetti di perdere i sensi cadendo lì distesa, tra le strade del Barri Gotic, mentre quella folla di Letargianti avidi di euforia mi calpestava senza accorgersi della mia presenza.
Grazie al cielo riuscii a riprendermi in fretta e mi affrettai ad attutire i suoni alle mie orecchie delicate e a rendere meno disorientanti per i miei occhi sensibili i movimenti dei fuochi mossi dalla maestria dei Diables.
L'unica cosa che non potevo evitare era la potente energia di mens che scoppiettava come le scintille delle fiaccole, attraversandomi la pelle in brividi di frizzante eccitazione che mi facevano quasi rimpiangere di non avere la possibilità di partecipare a quella gioia inspiegabile, abbandonarmi al ritmo che scandiva il battito del mio cuore, e allontanare ogni pensiero e preoccupazione che non avesse a che fare con il fuoco e l'euforia.
Al momento doveva importarmi solo di adempiere alle ultime volontà di R.R.R. e portare a termine la missione che mi ero prefissata, così mi convinsi a restare vigile, anche mentre ci mischiavamo nella folla che si assiepava tra le strette viuzze del quartiere gotico, faticando a non esserne travolti e mettendo a dura prova le nostre capacità di resistenza ai numerosi Destabilizzatori, i Diables danzanti, accompagnati da un travestimento da drago a dimensione umana, a guidare, dal fondo della via, quella che sembrava una sorta di marcia per scacciare qualche presenza maligna.
I doccioni che, dall'alto, lungo le strade, si volgevano alla massa irruente con espressioni ridenti o minacciose intagliate nella pietra, sembravano partecipare alla danza pur restando immobili al loro posto. E tutti gli edifici gotici, così come le vie che calpestavamo, parevano diventati più vivi e più oscuri, memoria silenziosa di altri di quegli eventi infuocati che si erano susseguiti nel corso dei secoli, di altre persone che erano state catturate dal medesimo spirito millenario che spingeva i loro corpi a ballare o anche solo muoversi a ritmo di musica, preda di un istinto più forte di loro.
Ero talmente catturata da ciò che mi stavano comunicando i mens del flusso che attraversava quelle strade e in cui ero immersa, che non sembrò passare neanche un attimo prima che la marcia rallentasse la sua andatura per fermarsi nella vasta piazza innanzi alla Cattedrale di Barcellona, sulle cui gradinate si posizionarono i percussionisti e dove la folla iniziò a espandersi, sfruttando il maggiore spazio, per distribuirsi intorno agli spettacoli pirotecnici dei Diables.
Anche se R.R.R. non mi aveva descritto nello specifico come si sarebbero svolti i fatti, una volta giunti lì percepii che il momento si stava avvicinando. Anche gli altri, pur non sapendo quello che sarebbe in realtà accaduto, si mostravano prudenti nei movimenti, accorti gli sguardi che scorrevano nella folla intorno a loro per via dell'ansia derivata dalla consapevolezza che sarebbe accaduto qualcosa, e si aggrappavano a quell'unica possibilità che avevano di salvare R.R.R.
Possibilità in realtà del tutto inesistente.
Come previsto, gli Arkonanti abboccarono alle tracce che R.R.R. aveva volutamente lasciato loro. I primi visi conosciuti che vidi comparire nella folla furono quelli di Cosimo e Isidoro, come al solito. Da come si muovevano inalterabili e incontrastati nella calca, come un'ombra che cala inesorabile sulla luce, distinguendosi per via delle loro tenute verde mirto, dedussi che fossero celati da un'illusione che li nascondesse alla vista dei Letargianti, per non distrarli dalla festa in corso attirando così l'attenzione sul nostro imminente scontro.
Con un cenno mentale, attirai l'attenzione dei miei compagni su di loro e anche noi facemmo lo stesso.
C'era troppo chiasso perché si potessero udire le loro voci, così Isidoro usufruì di un cebrim che gli avevo visto fare anche un'altra volta, in cui mi aveva terrorizzata a morte. Invece che parlare semplicemente nella mente, fece giungere la sua voce alle nostre orecchie, come se, trasportata dalla leggera brezza notturna, ci venisse sussurrata a un centimetro di distanza dall'orecchio.
«Consegnateci R.R.R. e nessuno si farà male» disse, con la sua solita calma inquietante, «siete in evidente inferiorità numerica, e lo sapete bene, non vi conviene fare mosse stupide.»
In mezzo a noi crepitavano i fuochi, i Diables fischiavano, e i Letargianti, ignari di tutto, danzavano preda della frenesia delle percussioni, eppure, oltre a tutto questo, era nitidissimo lo sguardo fermo dell'Arkonante, gli occhi scuri che rilucevano di rosso, arancio e giallo, riflettendo le luci di scintille che sembravano appartenere a una dimensione parallela alla nostra, presente e ben visibile, ma distante dal quieto silenzio che precedeva la battaglia.
Fu Liss, la prima a rispondere, estraendo semplicemente i suoi due pugnali.
«Beh, non potete dire che io non vi abbia lasciato possibilità di scelta» fu l'ultima cosa che disse Isidoro, prima di estrarre la sua lunga spada con un movimento fluido.
Un solo attimo, e poi gli scontri ebbero inizio. I due Adelphi si posizionarono ai due lati di R.R.R. per proteggerlo usufruendo del loro legame, e vidi accendersi i loro occhi più di una volta. Era una mossa intelligente, che di sicuro gli avrebbe fornito un ottimo scudo, ma sapevo anche che non avrebbe potuto salvarlo veramente.
Dato che R.R.R. non mi stava dando ancora alcun segnale, non trovai altra alternativa che unirmi agli scontri, resi più complicati dal fatto che, oltre che tentare di non farci ammazzare, dovevamo anche schivare i movimenti imprevedibili dei Letargianti che danzavano più o meno sciolti, ma inconsapevoli della nostra presenza. Mentre gli Arkonanti se ne fregavano beatamente, spintonandoli o colpendoli anche piuttosto forte, era nostro compito fare in modo che nessuno si facesse male.
Per quanto potessimo provare a salvare i Letargianti, tuttavia, non potevamo fare molto per salvare noi stessi; Isidoro aveva ragione, erano in enorme maggioranza numerica e, questa volta, non ci sarebbe stato lo spirito degli antichi Eph ad accorrere in nostro aiuto, dovevamo cavarcela con le nostre sole forze.
Mi stavo giusto chiedendo come sarebbe stato possibile, vista la situazione, che si avverasse ciò che R.R.R. aveva predetto, quando un Arkonante, che ero convinta di aver appena atterrato, approfittò della mia distrazione dovuta a un Letargiante che, ballando in modo sconclusionato, si era pericolosamente avvicinato al luogo del nostro combattimento.
Neanche vidi arrivare il colpo, né percepii lo spostamento nei mens. Mi sentii semplicemente slanciare indietro con violenza, volando anche per diversi metri probabilmente, fino a sbattere contro qualcosa di duro con la schiena, dopo aver corretto la caduta appena in tempo in modo da non rompermi l'osso del collo. Solo in un secondo momento, mi accorsi che ero andata a finire addosso al drago scuro dalle cui fauci si riversava all'esterno la più grande quantità di fuoco.
Rovinammo a terra sia io che il pover'uomo che indossava quel travestimento dall'aria scomoda. Ipotizzando che avrebbe pensato di essere caduto per aver semplicemente perso l'equilibrio, mi rialzai subito a fatica, cercando d'ignorare i suoi gemiti doloranti.
«Caram*!» sentii imprecare l'uomo imprecare in catalano qualcosa che non capii. Non ci avrei nemmeno fatto caso, se subito dopo non avesse aggiunto: «Stupida ragazzina, neanche guardare dove metti i piedi!»
Mi voltai di scatto, la vista annebbiata per via di tutto quel fumo che si espandeva intorno a me, il cuore in gola e il corpo immobilizzato per la confusione.
Quel Letargiante non solo poteva vedermi, ma aveva anche parlato in quello che a primo orecchio poteva sembrare italiano.
Questo, ormai mi era chiaro dalla mia esperienza di Ephura, poteva significare solo una cosa: non era affatto un Letargiante.
Né lui, né i Diables; ora che lo sapevo potevo percepire i loro Cerebrum.
E, mi resi conto, riconoscendo in particolare la corporatura di uno di loro, non erano nemmeno Arkonanti. No, quelli erano gli Umanenti di Barcellona.
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*Caram: "maledizione" in catalano
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