𝗦 ~ 𝗤𝘂𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗯𝗲𝗹𝗹𝗼-𝗯𝗲𝗹𝗹𝗼

Mostrando un silenzio diplomatico, mi accomodai. In verità, ci accomodammo.

La tavola era già imbandita per la cena: una profumata pasta al sugo, che un ragazzino di cui non conoscevamo il nome stava distribuendo nei vari piatti.

«Guarda» sussurrarono mille vocisussurriamo. È un segreto solo nostro, loro, tutti, non lo sapranno mai. «Trema come una fogliolina. È quasi tenero

«Ha paura» le spiego, con un ghigno infantile nascosto sotto il cappuccio. «Di me. Di noi.»

Tutti, tranne lui, sono irrigiditi. Hanno ragione, in effetti non vengo spesso per cena e quando sono qui non è quasi mai per ragioni felici. Ma sai che me ne frega?

«Dovrebbe, invece» soffiarono i canti dei morti, mentre la sua mano, invisibile agli occhi altrui, si posava sulla mia spalla, raggelandomi. «È il nostro piano, ricordi? Quello bello-bello...»

Quello bello-bello...

Prima che il ragazzino avesse modo di allontanarsi, lo fermai con un gesto della mano. Sobbalzò tanto che per poco non si rovesciava il sugo. Sarebbe un bello spettacolo, ma...

«Come ti chiami?» mi trovai a chiedergli. Non provavo la minima empatia né nei suoi confronti, né per nessun altro. «Ma devi».

Lui mi disse il suo nome, e lo dimenticammo l'attimo immediatamente successivo. Come tutti, aveva i suoi punti deboli scolpiti in metà del viso. Una linea di sangue lo percorreva, precisa, discendendo dal capo, proseguendo lungo il naso, nello spazietto tra le narici, intersecando l'arco di cupido sulle labbra, infilandosi nella fossa del mento e poi giù, giù e giù lungo tutto il corpo. Nella sua parte destra era normale, come lo vedevano tutti, ma dall'altra...

«Ti ringrazio, davvero» conferii al mio tono tutta la dolcezza che non possedevo. «Benvenuto tra noi. Ti stai trovando bene?»

Lui annuì timidamente, mentre il lato sinistro del suo viso, contorto e putrefatto, prendeva a lacrimare e allungava spiragli verso di noi. Aveva al massimo dodici anni. Nella maggior parte dei casi, chi si univa agli Arkonanti in un'età così precoce era spinto da abusi o violenze subite per mano di Letargianti. Mi basterebbe afferrare uno di quegli spiragli per fargli rivivere i suoi peggiori incubi...

«Bene. Se hai bisogno di parlare, io ci sono. E quando non ci sono io, puoi sempre rivolgerti a loro.» Con un cenno, indicai gli altri seduti a tavola. «Ricorda, siamo una famiglia. Dillo pure ai tuoi nuovi amici.»

Un enorme sorriso gli contorse il volto, gli occhi stomachevolmente umidi per la commozione. Ti prego, adesso non cominciare a frignare. Se non avesse avuto ancora in mano la pentola di sugo, di sicuro mi avrebbe abbracciata e scollarselo di dosso non sarebbe stato affatto facile. Per fortuna, non era così.

Quando il piccoletto fu sgambettato via e la porta si fu chiusa alle sue spalle, tornammo a rivolgermi alla tavola imbandita di occhiate e distorsioni-sussurri-pianti-grida che non cessavano mai.

Respirai profondamente. Serafica, afferrai la forchetta. «Buon appetito.»

Prima che potessi infilzare anche una sola penna rigata, la nuova arrivata si schiarì la voce.

Sollevai un sopracciglio. Hannah Williams. La donna aveva avuto l'ardire di sedersi a capotavola, nel posto esattamente opposto al mio. L'idea di servirle un piatto italianissimo, invece, era stata di Cosimo. Non che fosse interessata a mangiare; forse preferiva il cibo spazzatura.

«C'è qualche problema?» le chiese, pacifico come sempre, Isidoro, mal celando un avvertimento. Era seduto accanto a me, e l'ombra di morte luminosa gli accarezzava il lato putrefatto del viso, giocherellando con le ciocche, che, se da un lato erano corte e ordinate, dal lato opposto erano tentacoli elettrici d'ira.

Lui, ovviamente, era ignaro di tutto. Neanche immaginava la sua cotta, forte fin da quando ci eravamo conosciuti. Non che potessi biasimarla: zigomi di marmo, labbra più affilate di lame, portamento da re dannato. E poi, gli occhi erano abissi di morte nel lato vivo del suo volto, e fiamme ardenti in quello putrefatto.

«Non sono venuta qui per fingere di essere l'allegra invitata a una cena di famiglia interamente composta da sociopatici disadattati.» Hannah, gli occhi di ghiaccio guizzanti, roteò la sua forchetta tra le mani come fosse una pistola e lei la protagonista di un western. «Sono qui per affari.»

«Fai attenzione a chi insulti, i sociopatici disadattati sanno anche essere pericolosi!» s'irritò subito Kerkyra, mentre la sua metà scheletrica già piroettava ipnosi squilibranti.

«E poi non siamo sociopatici disadattati!» ribatté Cosimo, mezzo irritato e mezzo offeso – piangeva lacrime non viste. «Sei tu l'assassina che vive tutta sola in una fattoria in mezzo al nulla!»

Era seduto esattamente davanti a suo fratello, quindi vicino a me, dal lato sinistro. Questo ci irritava. Non ci è mai piaciuto, quel buono a nulla. Se era lì era solo grazie a suo fratello e in genere alla sua famiglia.

«Non vivo affatto da sola» ribatté la texana, con propaggini di putridume rancido a infoltirne le parole. «Ma non vedo cosa c'entri la mia vita privata, qui, con gli affari.»

Cosimo fece per ribattere, ma con due dita di mens gli chiusi la bocca, senza toccarla. Lui mugolò infastidito, ma non fece altro. Ha troppa paura.

«Infatti. Parliamo di affari» dissi, compassata. «Collaborerai con Jiro.»

Feci un cenno al ragazzo, l'unico a non aver ancora aperto bocca, intento a gustarsi il pasto con svogliata indifferenza di quanto avveniva intorno. Ammiravamo quel ragazzo, anche se al tempo stesso ci inquietava. Persino nella metà sinistra del suo viso ci sono solo codici binari incomprensibili...

«Nulla è incomprensibile, per noi» ribatté la ragazza dal vestitino con le maniche a sbuffo. I suoi passi di morte si erano allontanati da Isidoro per girare intorno al tavolo.

Il ragazzo annuì distrattamente, mentre lei continuava: «tutti hanno dei punti deboli».

«Ti spiegherà meglio lui i dettagli. E,» aggiunsi, addentando il primo pezzo di pasta – cotta a puntino, ma il sugo era un po' acido – «nel caso gli Umanenti di qui dovessero ostacolarci, tu ovviamente dovrai combattere con noi. Fa parte del contratto: finché ci aiuti sei a tutti gli effetti un'Arkonante».

Hannah emise un disumano verso furioso da una parte, un ghigno infastidito dall'altra; le labbra a cuore spezzato deformate dal disgusto. «Che bello schifo. Ci sto, basta che non mi costringiate a fare alterazioni del Cerebrum sui Letargianti, quello proprio non lo tollero.»

Odio come ci guardano tutti. Odio come ci dipingono. Perché non si accorgono che sono tutti deformi e che in realtà stiamo agendo per un bene più grande?

«Ci giudica come se lei avesse una morale!» gridai, spaccando in due il tavolo con un solo colpo del taglio della mano. Mentre tutti i piatti si rovesciavano e il sugo si espandeva come sangue...

Terminai il boccone e poggiai la forchetta sul tovagliolo, in religioso silenzio.

«È un banale insetto da schiacciare, come tanti.»

Si udiva solo il tintinnio delle posate sui piatti di ceramica e dei denti che masticavano, nulla si era rovesciato al di fuori di me, e il sangue abitava solo abissi sconosciuti.

«Tollera quel che ti pare. Isidoro definirà i particolari dell'accordo» mi alzai. La sedia, reclinandosi all'indietro, emise, sul pavimento di marmo, dei gracidii sofferenti ma non quanto tutto il resto. «Scusatemi, adesso devo assentarmi. È stato un ottimo pasto.»

Ho ancora tutto il piatto pieno, ma dettagli.

Non prestai attenzione alle voci-grida-pianti-sussurri che mi chiamavano e li chiusi dietro la porta. Presi un respiro profondo. Il corridoio era vuoto, grazie al cielo.

«Non ne posso più» sospirai.

«Lo so. Ma sei stata bravissima. Fidati, andrà tutto secondo i piani. Questo è solo il primo piccolo passo» Non esisteva nulla più dolce del suo scheletrico sorriso rassicurante. Con una mano liscia come il ghiaccio, mi carezzò il lato del viso.

I suoi occhi erano voragini di luce, che si sommava a quella illusoria proiettata dagli ampi serramenti. Uno per uno. Indicavano la via per il nostro piano. Quello bello-bello.

Mano nella mano, sgambettai via con la mia ombra di morte.

Con Hel.

Lei mi proteggerà. Sempre.

Bien... che dire 💀

Questa volta, il grassetto è per lo spazio autrice ahahah. Vi presento il pov dell'Ephura che crea l'illusione di Hel. Non sapendo chi sia, gli Umanenti la chiamano semplicemente "Hel" ma ricordate che questo è solo l'appellativo che Liss da piccolina ha dato alla sua illusione. Infatti a rigor di logica nemmeno "S." stessa dovrebbe chiamarla "Hel" ma l'ho tenuto per criptare il suo nome e rendere al contempo più comprensibile a voi capire di chi si sta parlando.

Quanto a comprensibilità... ci avete capito qualcosa? Risposta sincera 👀

La verità è che S vede cose che non ci sono, la sua intera esistenza è contaminata da visioni continue e continuative. Prima tra tutte proprio Hel, ma anche le altre persone le vede per metà "distorte", e poi ci sono anche vere e proprie azioni che immagina di fare ma non compie. Nel mio file Word tutto ciò lo presentavo con delle scritte in apice (azioni e sensazioni altrui) e pedice (azioni e sensazioni proprie), ma su Wattpad purtroppo non si conservano e vi dovete beccare questa cosa disturbante 😅 che poi la sua esistenza è alquanto disturbante quindi secondo questo punto di vista ci sta anche...

In ogni caso, per ora del suo pov ci saranno solo capitoletti strani qua e là per introdurvela un minimo e prepararvi psicologicamente. 👀

Ditemi cosa ne pensate. Intanto vi comunico che ci sarà un altro terzo pov, ancora più apparentemente esterno alla trama ma meno crazy per vostra fortuna 🤣

Nel primo libro il pov principale rimarrà comunque quello di Liv, ma fin dai progetti iniziali, in realtà, le prota(nta)goniste sono 3.

Se prima pensavate che Cerebrum fosse una storia regolare e sana ora avete la prova definitiva di essere finiti nel posto sbagliato. Vi consiglio di fuggire per salvare il poco senno che è rimasto in voi ahahahah

✨NESSUN CERVELLINO
SI SALVA QUI✨

꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂

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