•Capitolo 9: Gioca con me•
«Mi senti adesso ?» domando ad alta voce coprendomi l'orecchio con una mano. «Nali, puoi sentirmi ?» ripeto calciando qualche foglia da terra e fissando con aria critica le mie vans nere ormai sporche di fango.
Non mi arriva che qualche parola confusa e lontana, dettata da una voce metallica, non la sua.
«Non prende più» sbuffo tra me e me, guardandomi intorno e cercando di resistere per il mio meglio alla tentazione di tornare indietro e provare a telefonarle ancora una volta. Chiudo la chiamata e liscio il morbido tessuto dei miei pantaloncini in jeans comprati al centro commerciale, cacciando il mio inutile cellulare in una delle larghe tasche posteriori.
«Va bene...» sospiro, subito dopo aver aver dato un occhiata al sentiero che mi si presenta di fronte. «...magari prenderà di più lì in fondo»
Scruto il cielo, sembra quasi stia per piovere, tuttavia non ho intenzione di tornare a casa così presto solo per qualche nuvola. Continuo per altre decine di metri, fino ad avvistare una struttura in legno simile ad una palafitta. Immagino si tratti di un semplice edificio costruito per la guardia forestale, o qualcosa del genere. Mi fermo qui, almeno per un po', sedendomi per terra incrociando le gambe tra le foglie ormai secche. Vorrei soltanto poter riflettere per un attimo, o quanto meno provarci.
Sembra tutto così familiare.
La sabbia che ricopre il sentiero e che mi costringe a domandarmi da dove possa mai provenire. Le foglie che ricoprono i miei piedi e che mi riportano a ricordi lontani della mia infanzia. La strana struttura del tutto abbandonata, in cui adesso finalmente ricordo di essermi nascosta, da lui. Da Andrea. «Puoi sentirmi ?» inizia a mormorare una voce lontana, confusa, incomprensibile.
Mi alzo in piedi, quasi non sento più le mie gambe. Iniziano già a tremare, così come per tutto il resto del mio corpo. «Mi senti ?» fa eco la stessa voce con un tono molto più alto e scontroso.
Mi guardo intorno.
Schiarisco la mia voce.
Sbatto più volte le palpebre.
Ad ogni sua parola sento il battito del mio cuore accelerare sempre di più, e non penso proprio possa passare molto tempo prima che finisca per smettere di battere. Qualsiasi descrizione al confronto suonerebbe come uno stupido eufemismo.
Lo sguardo di Andrea sembra potermi scrutare da qualsiasi angolazione. Riesco ad intravedere la sua figura ovunque. Dietro i tronchi dei pini, sull'uscio dell'edificio, immerso tra le foglie e addirittura a pochi centimetri dal mio viso.
Finisco per mescolare il cielo con le nuvole e la pioggia con il vento, mentre non faccio altro che correre e sentire le lacrime rigare le mie guance.
La mia testa sembra pronta per esplodere, per non parlare delle mie gambe rigide ad un passo dall'abbandonarmi. Afferro il cellulare dalla mia tasca per poi inserire il codice pin e cadere tra le foglie battendo la fronte per terra. Non faccio neppure caso al dolore, al fango o alle gocce di pioggia che mi bagnano. Vorrei soltanto che potesse smettere di tormentarmi, parlarmi o comparire dal nulla facendomi pensare di aver perso la testa. Vorrei soltanto poterlo dimenticare.
«Vuoi giocare a nascondino ?» chiede sempre la stessa voce dal timbro identico a quello di Andrea. Porto le mani alle mie tempie, cercando subito di tapparmi le orecchie. Mi alzo da terra e ricomincio a correre, non curante delle mie pessime condizioni. Voglio solo lasciarmi alle spalle lui, insieme a quel maledetto bosco, alla maledetta palafitta e a qualsiasi altro maledetto ricordo che abbia condiviso con lui finora.
Mi guardo indietro mentre il vento caccia via i capelli dal mio viso, per poi smettere di correre soltanto quando una figura sfocata dai capelli neri afferra il mio braccio con una presa tanto ferma da farmi sussultare.
Mi libero in un urlo.
E mi libero dal suo ricordo.
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