•Capitolo 1: Cosa mi aspetta•
Non ricordo molto da quel sogno.
Gli unici frammenti riaffiorati non sono altro che scaffali ricoperti da pezzi di scacchi, logore scrivanie ormai rotte e diversi fascicoli sparsi un po' ovunque.
Il resto era talmente tanto sfocato da impedirmi di distinguere cos'altro ci fosse, ma tuttavia non penso che la nube di caos e confusione potesse lasciare spazio ad altro. Oblio a parte posso ipotizzare grazie alla poca memoria rimasta che mi trovassi in un archivio. Il soffitto sembrava sul punto di crollarmi addosso ma ne sarebbe valsa la pena rischiare perché lui era lì dinnanzi a me con il suo pungente odore di dopobarba ed il suo inconfondibile portamento rigido.
Immobile.
Pugni stretti.
Sguardo perso.
Sembrava perplesso, forse nervoso, volevo solo abbracciarlo chiedendogli scusa, ma ad ogni mio passo, Andrea, continuava a dissolversi sempre di più fino a scomparire del tutto dietro le ombre degli angoli polverosi del locale. I suoi insistenti sospiri erano ormai completamente scomparsi e con loro anche i brividi che in me provocavano. Solo qualche ultima asse di legno mi separava dal suo petto ma nonostante ciò ho fallito.
Il sonno ultimamente piuttosto che appoggiarmi nella fuga dalla mia realtà non fa altro che ricordarmi di quanto grigia lei sia. «Siamo quasi arrivati...» sussurra al mio orecchio Ale accompagnato dai miei insistenti sbadigli «...preparati» Le sue parole continuano a rimbombarmi in testa come se esplodessero dentro la mia stessa mente, e il mio unico desiderio rimane quello di farle cessare.
Intravedo dallo specchietto retrovisore qualche ciocca dei miei capelli castano scuro fare capolino dal cappuccio nel quale mi sono interamente nascosta, preda della mia timidezza, e quasi mi pento di aver scelto il mogano come sfumatura per i riflessi, avrei voluto prendere in considerazione qualcosa di più particolare, ma anche questa volta non ho opposto resistenza alla stessa predilezione di sempre.
Dietro alla mia immagine riconosco uno scenario dettato da mille fattorie, desolazione e vecchi mulini a vento che se condito da ulteriori arbusti secchi sarebbe ancor più degno di un film western, (da elencare tra gli innumerevoli motivi per cui avrei preferito trascorrere anche questo fine settimana a casa di Nali).
Da quando la mia famiglia ha preso a sgretolarsi tra le mie stesse mani passo intere giornate in camera sua pur di non partecipare alle continue lotte dei miei genitori. Lotte a cui non assisterò per un bel pezzo dal momento che mia madre ha deciso di spostarsi a casa di suo fratello per una pausa.
Non ricordo molto, è stato tutto così veloce. Arrivai a casa come sempre in ritardo lacrimando ancora una volta per le battute senza senso di Andrea. Mia madre era seduta in cucina praticamente al buio, avvolta da quel tipico silenzio assordante. Non sembrava affatto entusiasta e stranamente non aveva ancora preparato nulla, neanche una di quelle cotolette surgelate da scaldare.
Esitai un attimo prima di spalancare del tutto la porta facendomi strada tra le valigie ancora aperte e le fotografie sparse sul pavimento che non sono neppure riuscita a focalizzare.
A giudicare dal suo stato d'animo e dal caos che ci circondava capii subito cosa ci sarebbe aspettato, o meglio, cosa mi sarebbe aspettato.
Non ricordo nient'altro se non il sapore tanto deludente quanto secco del cordon bleu in padella, e non penso proprio di comprarne altri, ammesso che in questo posto dimenticato da Dio li vendano.
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