Capitolo 35: Discovering Norvegia [R]
Francesca
Una volta atterrate e terminati i controlli aeroportuali, ci dirigiamo verso l'agenzia di noleggio auto.
Il cielo, però, è piuttosto nuvoloso e a tratti piovoso.
<<La meta della giornata è la costa sud, con destinazione Mandal>>, mi annuncia Teresa mentre ci infiliamo in macchina.
Percorriamo alcuni chilometri, ci fermiamo a Lillesand e scendiamo dalla macchina.
<<Questa città, insieme a Grimstad e Risor, fa parte delle "tre città bianche" della Norvegia>>, mi spiega Teresa.
Chissà perché vengono chiamate così...
In effetti ci sono delle casette di legno tutte bianche e graziose.
Mi colpisce subito l'atmosfera tranquilla e silenziosa, con pochissima gente in giro, case molto curate e giardini perfetti.
Visitiamo la Stavkirke e apprendiamo che in Norvegia tutte le magnifiche chiese di legno hanno di fronte il camposanto. Architettonicamente parlando, sono davvero molto belle.
Torniamo verso la macchina e proseguiamo verso Mandal. Vorrei guidare anche io, ma Teresa è irremovibile.
<<L'alloggio in cui pernotteremo è molto particolare>>, dice mentre parcheggia l'auto.
Davanti a me c'è un edificio che assomiglia a una grossa e vecchia prigione.
<<Se te lo stessi chiedendo, sì, è una vecchia prigione, ma è stata ristrutturata e trasformata in una struttura ricettiva. È dotata di cucina in comune e le stanze sono le vecchie celle di una volta. Sarà divertente!>>, dice battendo le mani in maniera esaltata.
È ormai sera e sono esausta, ma Teresa vuole assolutamente fare un'escursione, perciò metto lo zaino in spalla e la seguo. Passiamo prima per una piccola Notting Hill norvegese, anch'essa con casette tutte bianche e stradine acciottolate, e continuiamo la nostra avventura salendo su un promontorio che ci offre una vista mozzafiato della città distesa su un mare costellato di isolette.
L'indomani lasciamo la "prigione" e proseguiamo verso il Pulpit Rock percorrendo la bellissima strada costiera della Norvegia meridionale. Ci fermiamo a Jossingfjord con l'intenzione di trovare e fotografare le famose due casette incastonate nella roccia. Teresa si diverte a farmi foto buffe con la macchina fotografica.
Aeron mi ha detto che avrei trovato delle sue lettere lungo il percorso, ma ne dubito.
<<Cosa c'è?>>
<<Stavo pensando che Aeron mi ha detto che avrei avuto sue notizie durante il viaggio, ma non capisco come...>>
<<Quanto siete antiquati voi due!>>, dice sbuffando.
Verso l'una arriviamo nel parcheggio del Preikestolen insieme a tanti altri turisti intenzionati a raggiungere la vetta di una delle più famose attrazioni della Norvegia: il Pulpit Rock o Preikestolern. Secondo le indicazioni sono necessarie due ore di marcia per salire e altre due per scendere. Penso di sentirmi male solo leggendo questo cartello.
<<Stringi i lacci degli scarponcini. Oggi ci daremo da fare!>>, dice entusiasta.
Dopo quasi due ore e mezza in cui ho rischiato di scivolare e addirittura di morire cadendo per via del terreno scivoloso e abbastanza ripido, mi trovo di fronte una vista meravigliosa.
Una roccia alta seicentoquattro metri a strapiombo sul Lysefjord. Se guardo giù ho quasi le vertigini. Il vento mi scompiglia i capelli: è un vento leggero e morbido, non violento. Assomiglia molto al vento della libertà e osservare il verde dei promontori e il blu scuro dell'acqua tra le montagne mi ispira spensieratezza e libertà.
Perché non ci sentiamo mai così? Dovremmo sentirci sempre in questo modo. Ora capisco perché Aeron odiava rimanere bloccato a Treia.
È ormai sera quando decidiamo di scendere, poiché l'oscurità sta prendendo piede tra la natura.
Saliamo in macchina e mi addormento.
Mi sembra che siano passati solo cinque minuti, ma la luce del giorno mi abbaglia.
<<Buongiorno>>, dice tranquillamente Teresa mantenendo gli occhi sulla strada e le mani salde sul volante.
<<Buongiorno. Non volevo dormire così tanto>>, mi scuso.
<<Non preoccuparti. Siamo quasi arrivate a Stoccolma>>.
<<Davvero? Ho sempre desiderato visitarla>>.
Parcheggia e scendiamo dall'auto. <<Puoi aspettare un attimo qui? Prima devo fare una cosa>>. Prende una busta e si allontana.
<<Eccomi qua. Pronta?>> Svariati minuti dopo ritorna dal nulla, spaventandomi.
<<Sì, pronta!>>, rispondo prendendo lo zaino.
Aeron
Alcuni giorni più tardi...
Perché Teresa non mi ha ancora mandato nulla? Doveva mandarmi una lettera da ogni meta. Sono passati quindici giorni, perciò ora dovrebbe toccare a Stoccolma.
Qualcuno bussa alla porta. È mio padre.
<<Aeron, è arrivata la posta>>.
Mi alzo di scatto dalla scrivania e mi fiondo su mio padre.
<<Un po' di contegno, ragazzo>>, scherza.
Prendo le lettere, lo ringrazio e chiudo la porta.
È una sola grande busta arancione. La scarto in fretta e furia e tiro fuori prima un foglio e poi delle foto. Nonostante l'istinto mi dica di guardare quelle foto, leggo la lettera di Tessie.
Caro Ron Ron,
perché non ti posso semplicemente aggiornare via telefono, come gli esseri umani normali?
Ti scrivo solo ora perché non mi sono fermata un attimo. Siamo a Stoccolma e Francesca mi sta aspettando fuori, davanti alla macchina, al freddo, perciò sarò breve.
Il viaggio finora è andato bene. Mi aspettavo che Francesca morisse sul Pulpit Rock, dovevi vederla... Il percorso doveva essere di due ore e ce ne abbiamo messe due e mezza. Tuttavia, mi ha sorpreso: pensavo si sarebbe arresa subito, ma non l'ha ancora fatto. Sta prendendo tutto quello che le stai offrendo.
Come da tua richiesta, ti spedisco le sue foto. Sono davvero belle. Lei è veramente bellissima.
Teresa
P.s.: quando mi volevi dire che ti sei confessato a Francesca? Mi sento offesa! Perché non me l'hai detto?
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