Capitolo 29: La lettera [R]
13 luglio 2018
Cara Francesca,
Il mio giorno speciale non esiste se tu non ci sei.
Abbiamo entrambi preso parte al nostro dolore. Avrei dovuto venire subito a parlarti, ma non l'ho fatto. Sono stato orgoglioso ed è stato l'errore più grave che io abbia commesso nella mia vita.
Stare con me è difficile, lo so e l'ho sempre saputo. Sono una di quelle persone che vivono di piccoli gesti e di attenzioni. Un fiore, qualche bella parola, una cena fuori, una canzone, una porta tenuta aperta per farti passare per prima, uno sguardo ogni tanto. Sono uno che dà peso alle parole. A quali vengono scelte, come vengono dette, al tono di voce. E le parole, quelle che segnano, devi dirle bene. Devi dimostrarle bene. Sono uno che non si accontenta mai. Non mi accontento di un amore mediocre, di una relazione mediocre, di una compagna mediocre. Sono uno di quelli che ama la propria libertà. Sono uno di quelli che sono capaci di mettersi a ballare senza musica sotto la pioggia, solo per sentirsi un po' più vivo, un po' più libero, un po' più selvaggio.
Sono una di quelle persone che se c'è una strada dritta, spianata, distesa, sceglie quella più tortuosa, più diroccata e insidiosa, ma che in un modo o nell'altro arriva alla meta. Sono uno di quelli che non rimane indifferente o zitto se una cosa non gli sta bene. No.
Sono uno di quelli che non sceglie chi giura amore o chi ostenta affetto in pubblico, ma quelli con l'anima in fiamme, delusi e feriti, che per strappargli uno sguardo amorevole devi pregare, perché se scegli loro sta' sicura che ti distruggeranno, ma ti ameranno davvero. Sono uno di quelli che fa ciò che vuole, come vuole, con chi vuole, anche pentendosene, ma lo fa perché in quel momento vuole così.
Ci sono state veramente poche persone che mi hanno realmente capito in questa vita: tu sei una di quelle.
Per questo, e non solo, volevo ringraziarti.
Ti ringrazio per tutte le volte che mi hai sorriso, facendo sorridere anche me. Ti ringrazio per aver stretto le mie mani, che senza di te sarebbero rimaste vuote e fredde.
Ti ringrazio per avermi fatto crescere, capendo l'importanza di una promessa, di un gesto, di uno sguardo, di una carezza.
Ti ringrazio per esserti preoccupata per me. Per avermi chiesto come stavo con vero interesse.
Ti ringrazio per ogni bacio, abbraccio, parola dettata dall'amore.
Ti ringrazio per avermi fatto sentire importante per qualcuno, amato e voluto bene, facendomi dimenticare tutto quello che mi spaventava.
Ti ringrazio per aver riempito il vuoto dentro di me.
Ti ringrazio per ogni singolo momento di felicità che mi hai regalato.
Infine, ti ringrazio per avermi donato una ragione per la quale vivere.
Sono venuto in aeroporto al momento sbagliato, il tuo volo era già partito. Se posso chiedertelo, perché sei andata via?
È stata colpa mia?
Stai bene?
Se mai volessi parlarmi, sai già l'indirizzo a cui inviare la risposta.
Tuo,
A.
Francesca
Scendo dall'aereo e l'aria gelida di Londra entra in contatto con la mia pelle.
Prendo un taxi e indico la strada della mia vecchia casa.
Venti minuti dopo scendo dal taxi e osservo la piccola porta d'ingresso color verde e oro del mio vecchio condominio. L'edificio di trova in King's Road: ha cinque piani ed è color bianco marmo.
Apro la porta, salgo le scale e mi fermo davanti alla porta del nostro appartamento. Faccio un lungo respiro, prendo la chiave nascosta dentro al vaso accanto alla porta ed entro.
L'appartamento è nella stessa condizione in cui l'ho lasciato due anni fa. Il salotto è illuminato dalla luce naturale, il divano e la poltrona sono perfettamente allineati con il tappeto per terra e in cucina tutto è splendente. Non c'è alcun piatto da lavare.
Mia madre sta morendo. Anzi, è già morta.
Vado in bagno, mi sistemo un po' il trucco e i capelli. Prendo una borsetta dall'armadio, metto dentro a essa il telefono e due pacchetti di fazzoletti ed esco.
Nella vita tutti hanno diritto a fare degli errori. Mia madre ne ha fatti tanti, sì, ma è pur sempre un essere umano ed è mia madre. Ha fatto tutto quello che ha fatto per me, anche se era sbagliato.
È stato un comportamento inaccettabile, ma a distanza di tempo lo capisco.
Le devo un addio.
Prendo un taxi e vado in ospedale.
Arrivata a destinazione, vengo indirizzata dalla reception al quinto piano, stanza numero trecentocinquantasei, subito dopo aver firmato numerosi fogli di autorizzazioni e cose simili.
Apro la porta e la vedo: mia madre sdraiata immobile su un letto, con tubi attaccati in ogni parte del corpo. Ha la pelle color marmo e so che l'unica cosa che la tiene ancora in vita è quel tubo gigante dentro la sua bocca.
Faccio un grande respiro e mi avvicino al letto.
Cosa dovrei dirle?
<<Ciao, mamma>>. Inspiro ed espiro. <<Anche se non hai più attività celebrale, so che mi senti, perché la tua anima non abbandonerà mai il tuo corpo finché il tuo cuore non cesserà di battere. Perciò mi rivolgo alla tua anima>>.
Faccio un grosso respiro. <<Chissà che effetto ti ha fatto prendermi in braccio per la prima volta. Con quella tutina rosa e il cappellino, mentre facevo fatica a tenere gli occhi aperti. Forse ero stata al buio per così tanto tempo che la luce non doveva piacermi molto. So che il tuo mestiere è stato terribilmente difficile.
So che non deve essere stato facile sopportare i miei pianti di neonata, quando non sapevo dirti cosa volessi o cosa mi facesse male. Ma forse è stato ancora più complicato dopo, quando durante l'adolescenza mi chiudevo in camera a piangere perché sapevo di non essere come tu mi volevi. Non mi hai mai detto che stare al mondo sarebbe stato così difficile. Forse non volevi spaventarmi, o forse sapevi che me ne sarei accorta fin troppo presto>>.
Le stringo la mano. <<So che sei stata fiera di me quando ero una bambina solare e allegra e quando ho passato con il massimo dei voti l'esame di maturità, che al tempo mi sembrava una prova difficilissima. So che eri contenta quando mi hai vista prepararmi per quella festa a cui mi avevano invitato, perché mi ero finalmente messa un vestito e avevo indossato i tacchi per la prima volta. Ed ero bella, anche se facevo fatica a camminare e avevo male ai piedi dopo cinque minuti. Io non ci volevo andare, ma l'ho fatto per vederti sorridere. Vedi, mamma, io ancora non lo sapevo. Ma tu sì. Sapevi che è difficile essere una ragazza in questo mondo>>.
Mi avvicino con la bocca alla sua mano e mi siedo. <<Io non lo sapevo, mamma. E tu avresti dovuto tanto proteggermi, anche quella volta che sono tornata a casa piangendo perché mi avevano riempito di vernice i vestiti. Cara mamma, a volte i ragazzi per strada commentano il corpo delle ragazze come se fosse merce in esposizione. E per un certo periodo anche io mi preoccupavo perché non avevo abbastanza seno, o perché avevo le cosce grosse, o quel chilo in più sulla pancia. Guardavo Madison e la vedevo più bella di me, più giusta, più amata.
E tu lo sapevi. Sapevi che dopo la doccia mi fermavo ad analizzare ogni difetto, sapevi che a volte non mangiavo il dolce non perché non mi andasse, ma perché ero convinta che quelle calorie in meno mi avrebbero resa più bella. Solo dopo avrei capito che in questo ti sbagliavi: bella per chi, mamma? Solo dopo ho capito che non erano i ragazzi a dovermi trovare bella, ma solo io stessa. L'ho capito più tardi, mamma>>.
Le bacio una mano e una lacrima mi scende sul viso. <<Io non so quando una ragazza diventi donna. Non penso sia quando le viene il ciclo per la prima volta, o quando indossa per la prima volta un reggiseno, o quando dà il primo bacio, o quando per la prima volta fa l'amore. Non so nemmeno se sono diventata donna ora, ma sono fiera di essere quel che sono e mi spiace che tu non l'abbia visto a causa dei paraocchi madisoniani. Un giorno, forse, anche io avrò una bambina. E anche io le metterò la tutina rosa e il cappellino, stringendola forte. Non farò il tuo stesso errore: la farò crescere in modo che si crei un pensiero in maniera autonoma. So che sembra sbagliato, ma è l'unico modo di crescere>>.
Chiudo gli occhi. <<Mamma, un giorno sentirò mia figlia piangere da sola in camera e andrò da lei per capire cosa succede, non come hai fatto tu, che mi hai lasciato in mezzo ai miei demoni. Non sono qui per incolparti di una cosa che rimarrà per sempre nel passato, ma sono qui per dirti che ti perdono. Ti perdono per tutto>>.
Apro gli occhi e le accarezzo la mano bianca e gelida. Rimango in silenzio per qualche minuto. <<Ciao, mamma. Sono io. La tua figlia maldestra e casinista. E questi sono solo due degli aggettivi che potrebbero descrivermi. Ho sempre cercato di essere la figlia perfetta e soprattutto degna di te. Ho sempre desiderato essere quella ragazza che non ti risponde mai male quando è nervosa>>.
Trattengo le lacrime mentre il bruciore in gola aumenta. <<Volevo essere quella ragazza che si sfogava con te, che vedeva in te una miglior amica. Volevo poter dirti tutto senza aver paura di essere giudicata da te, che in fondo eri mia madre. Chi mi voleva più bene di te? Volevo, ma non sono io quella ragazza e mi dispiace deluderti, ma non lo sarò mai, mamma. Non sono mai stata in grado di affrontare i miei problemi con qualcuno, tanto meno con te, perché non volevo mai che le tue aspettative su di me si abbassassero.Non volevo deludere l'idea di figlia che avevi di me. Credevi di saperlo, ma parliamoci chiaro: non sapevo nemmeno io chi ero. Potevo essere lesbica, drogata, psicopatica, ma noi non abbiamo mai comunicato. Non ho mai voluto dirti nulla, ho sempre voluto farti sapere che io sono perfetta e così ti dico addio, mamma>>.
In quel momento entra un'infermiera. <<È pronta?>>
Annuisco e dopo due minuti vedo la linea sul monitor diventare dritta.
L'infermiera, con il camice rosa e la cuffietta, spegne il monitor e mette un lenzuolo sopra a mia madre.
Dopo aver ascoltato il discorso dell'infermiera su come procedere per il funerale e le numerose carte che comporta questo genere di cose, torno a casa.
Prima di salire in casa, apro la cassetta delle lettere e prendo la posta.
Salgo le scale, entro nell'appartamento buttando le lettere sul tavolo e mi siedo sulla sedia.
Osservo per qualche minuto il vuoto e il silenzio della casa.
Mi alzo e prendo le lettere.
Bolletta.
Bolletta.
Aeron Le Blanc.
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