Capitolo 5
Mi siedo al posto del passeggero, nell'utilitaria di Nicole.
«Ti hanno fatto storie?» mi chiede.
«Ho detto che mi venivi a prendere e che saremmo andate da Vivienne... Mi hanno creduta.» Mi pizzico il dito, nervosa. Era molto tempo che non mentivo ai miei su come avrei trascorso la serata, ma la prospettiva di staccare completamente, di poter vedere Jérémy – per quanto da lontano – e di essere distante dal mio mondo quotidiano ha avuto la meglio.
È stato istinto di sopravvivenza. Per non impazzire ho bisogno di fare qualcosa di folle, per quanto si possa considerare folle andare a una partita di basket con mia cugina.
«Bene, ora andiamo lì, ci divertiamo e guardiamo tanti bei ragazzi.» Continua a guidare, lanciando delle occhiate al navigatore. «Rilassati, non potrebbero mai sapere che siamo lì. Ho controllato, nessuna televisione trasmette la partita, è solo un'amichevole estiva. E poi dubito che l'avrebbero guardata.»
«Forse Pierre sì, è talmente invidioso di Jérémy...» Mi perdo a fissare le strade scorrere fuori dal finestrino, con tante persone che si godono un venerdì sera come tanti. Per me, invece, questa non è la normalità.
«Stai tranquilla, sei stata brava a inventarti il piano, andrà tutto bene.»
Non so se mi sento agitata per aver nascosto ai miei cosa sto facendo, o emozionata perché Jérémy mi ha invitata alla partita tramite la madre. Lei è stata molto gentile a farlo, credo che lui le abbia detto che non riusciamo a parlarci senza che mio padre o Pierre si mettano in mezzo.
È stata una mossa da disperato?
Spero di no, perché il modo in cui sua madre mi ha parlato mi ha colpita, come se sapesse che per lui, in qualche modo, sono importante. O, più probabilmente, mi sto solo illudendo.
Ma forse anche lui è infastidito dal fatto che non riusciamo a parlare per più di mezzo minuto senza ingerenze altrui... Forse anche a lui interessa conoscermi meglio, così come interessa a me.
La palma-giocattolo sul cruscotto ondeggia per il movimento della macchina, e Nicole ci giocherella con un dito quando ci fermiamo per un semaforo. «Dovremmo andarci, un giorno.»
«Dove?»
«Ai Caraibi, a cercare i parenti di tua madre. Poi magari ci troviamo così bene che ci trasferiamo lì e apriamo un bar sulla spiaggia. Non sarebbe magnifico?»
«Sarebbe magnifico se potessi andarmene da qui» le dico, invece. «Ovunque, anche senza arrivare fin laggiù. Anche solo cambiare città sarebbe un grosso miglioramento.»
Dirlo ad alta voce mi fa venire un nodo alla gola.
«Mi mancheresti, Zézé. Per questo se vai ai Caraibi devi portarmi con te.»
Zézé. Il nomignolo con cui mi chiamava da bambina, e che ora è rimasto come ricordo lontano di un tempo in cui siamo state felici e spensierate. E lei è così forte da usarlo, per ricordare a entrambe che è possibile essere felici anche quando tutto intono a noi sta crollando.
«Anche tu mi mancheresti.» Non aggiungo altro, perché non c'è altro da aggiungere. Se non avessi Nicole, le mie giornate sarebbero ancora più tristi e deprimenti di quanto siano già...
Rimaniamo in silenzio fino a quando non arriviamo al parcheggio per i tifosi, accanto al palazzetto. L'Astroballe non si trova molto lontano dalla via in cui abito: spesso ci sono passata davanti, pur senza chiedermi che cosa fosse. Pensavo che fosse un'arena per degli spettacoli... Non pensavo che mi ci sarei recata di nascosto insieme a Nicole.
Raggiungiamo Axel e lo troviamo insieme alla madre di Jérémy mentre stanno chiacchierando e ridendo insieme. Questo ragazzo si fa benvolere da tutti.
«Anche lei mangia i popcorn con lo zucchero!» dice appena siamo abbastanza vicine. Poi guarda Nicole. «Visto che non sono l'unico?»
Lei alza gli occhi al cielo, divertita. «Tu sei strano lo stesso.»
Marjorie mi prende da parte. Ha dei vestiti più sportivi rispetto all'abito svolazzante che indossava oggi pomeriggio. Ha acconciato i lunghi capelli mori in una treccia morbida, che le scende sulla spalla e che la dà un aspetto più giovane.
Si fruga nella borsa e tira fuori il biglietto per me, così insieme a Nicole e Axel ci avviciniamo all'ingresso, pronti a goderci la partita.
Entriamo e ci sediamo ai nostri posti. Incredibilmente, Axel aveva i biglietti proprio accanto a quelli della madre di Jérémy – oppure suppongo che uno dei due li abbia cambiati per stare tutti insieme.
Il palazzetto è pieno, nonostante qualche posto vuoto, e l'atmosfera è suggestiva, almeno per me che non ho mai visto una partita.
«Dovresti vedere com'è nelle partite importanti» commenta Axel, applaudendo per l'ingresso della squadra.
A uno a uno vengono chiamati tutti i giocatori e, quando arriva il momento del 27, il mio cuore salta un battito. È lui, sto per vederlo giocare dal vivo.
Purtroppo parte dalla panchina e così, per lunghi minuti, non sono granché interessata. Cerco il suo sguardo tra i giocatori seduti e ho l'impressione che anche lui, continuamente, cerchi il mio. O forse sta solo guardando sua madre, che si sta divertendo come una bambina alle giostre nonostante il figlio non giochi.
Quando entra, verso la fine del secondo quarto, sembra che sia entrato un tornado. Corre da una parte all'altra, difende sui giocatori avversari inseguendoli da un lato all'altro, avanza con il pallone tra le mani e segna una schiacciata che fa applaudire i tifosi.
Per un istante guarda nella nostra direzione, e stavolta ne sono certa: i suoi occhi scuri sono puntati verso i miei. Mi sento sciogliere e non riesco a esultare come fanno sia Axel e Nicole sia Marjorie. Rimango seduta, con le mani come in preghiera davanti al mio viso, quasi coprendolo. Mi stava dedicando il canestro?
Il tornado non è entrato in campo, ma mi sta stravolgendo da dentro. Se lui non fosse mai entrato alla Marée, io ora non mi troverei qui, con lo stomaco in subbuglio, a cercare il suo sguardo, a sperare che segni un altro canestro e che punti lo sguardo nel mio. È stato come un uragano, di quelli che stravolgono i Caraibi di tanto in tanto.
Il mio uragano.
Nella seconda metà di partita gioca altri pochi minuti, in cui ho la sensazione che voglia spaccare il mondo per l'intensità e il cuore che ci mette.
«Gioca sempre così?» chiedo ad Axel quando viene sostituito.
«Sì, infatti non capisco perché il coach non gli dia più minuti.» Applaude con convinzione all'annuncio dell'altoparlante, poi ricomincia a seguire la partita.
Marjorie ci ha sentiti, ma non commenta. Adesso chissà cosa penserà di me, non guardo neanche con regolarità le partite del figlio nonostante lui mi abbia voluta qui... Se conoscesse la mia situazione, il suo giudizio sarebbe di certo migliore.
Non volevo darle una brutta impressione, è stata gentilissima a fare da intermediario tra me e lui... E ora rischio di averla delusa.
Mi dispiacerebbe, perché sembra una brava persona e si vede che tiene a Jérémy. È venuta solo per vederlo giocare una manciata di minuti!
Al termine della partita, la ringrazio per avermi invitata e lei mi sorride.
«L'importante è che hai passato una bella serata» dice soltanto. Poi guarda anche Axel e Nicole. «Vi potete fermare? A Jérémy farebbe piacere.»
«Magari» le risponde mia cugina, dispiaciuta. «Ho promesso a mia madre che non avrei fatto tardi...»
Axel, invece, non ha obblighi di orari o promesse ai genitori, così si allontana insieme a Marjorie dal lato opposto al nostro.
«Magari riesce a farsi dare il numero, così poi lo gira a te» ipotizza Nicole, quando siamo in macchina. «Oppure gli dà direttamente il tuo.»
Non replico, perché non voglio montarmi la testa. Per ora è stato bello vedere Jérémy giocare dal vivo, se dovesse esserci dell'altro... A me farebbe solo piacere, ma non mi illudo.
Questa serata è destinata a rimanere un piccolo ricordo felice, nonostante la parte più intima di me spera che sia solo l'inizio di qualcos'altro.
Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto, fino a quando lei non si ferma davanti al mio portone. La saluto, e riparte. Spero che zia non si sia sentita sola per l'assenza di Nicole... Ma anche mia cugina ha bisogno di svagarsi, non può stare sempre con lei. Al suo posto nemmeno so come mi comporterei, non voglio urtare la sua sensibilità imponendomi come presenza, per questo vado molto poco... E quel poco che vedo non mi piace. Ha sempre gli occhi vitrei fissati nel vuoto, come se non recepisse cosa le sta accadendo intorno – e mi strazia che per Nicole sia la normalità. Eppure lei riesce sempre a farsi forza e a essere una ragazza allegra e solare con tutti, come se per lei fosse naturale.
Arrivo all'ascensore e premo sul pulsante per chiamarlo. Sono troppo assonnata per mettermi a fare le scale.
«Ciao, Alizée.»
Mi si gela il sangue nelle vene. Ho riconosciuto subito la voce di Pierre.
«Si è divertita? Come ti è sembrata?» chiedo, trepidante, a mia madre. Appena sono uscito dall'Astroballe, non ho pensato ad altro. Dovevo raggiungerla subito per sapere cosa pensasse di lei.
L'ho trovata in compagnia di Axel, uno dei ragazzi che lavora al bistrot insieme ad Alizée. Ho scambiato qualche parola con lui, ancora entusiasta, che mi ha chiesto come mai non sto giocando con più regolarità. Ho evitato di dirgli che litigo quasi tutti i giorni con l'allenatore, perché non sono sicuro di come la prenderebbe, e ho glissato dicendo che me lo chiedo anche io.
Ma ora che siamo soli e che stiamo tornando a casa, posso parlare con mia madre di Alizée. Non sono riuscito a chiederle niente neanche prima della partita: mi aveva solo mandato un messaggio per avvertirmi che lei ci sarebbe stata.
E solo il pensiero mi ha fatto impazzire di felicità.
Mamma sorride, con un luccichio nello sguardo. «Credo di sì, si è divertita. Se è vero che non vi siete mai incontrati fuori da quel posto, devi piacerle molto.»
Scuoto la testa, come a implorarla di non fare commenti. Credo di piacere ad Alizée, ma non mi monto la testa prima di avere qualche certezza in più. Che sia venuta a vedermi giocare dal vivo, però, è un bel segnale che mi gonfia il petto di gioia e orgoglio.
Raggiungiamo casa in pochi minuti, senza dire altro. Ho il timore che lei stia per passare all'attacco e dirmi che devo farmi avanti con Alizée. Il pensiero mi blocca, perché un conto sarebbe parlarle fuori dal bistrot, un altro è arrivarci fuori dal bistrot, perché Xavier e Pierre sono sempre in agguato.
Lascio le scarpe da basket in mezzo al salotto, fiondandomi in cucina, da cui proviene un profumo delizioso di cibo cucinato. Doveva per forza darsi da farei ai fornelli? Vivo da solo da anni, non serve che si metta a farmi da cuoca!
«Metti a posto quelle scarpe, emanano un odore tremendo per tutta la casa!» mi ammonisce.
«Non dovevi cucinare, sei qui per rilassarti!» rido, prendendola un po' in giro. Mamma non si offende mai.
Raccolgo le mie scarpe da dove le avevo lasciate e le sistemo sul balcone, passandole accanto.
«Jérémy!» mi sgrida, con fare bonario. «Che ti ho appena detto?»
Scrollo le spalle, ridendo. «Lì non danno fastidio a nessuno!»
Lei si prepara una tisana, riempiendo una tazza calda anche per me. Anche se siamo in pieno agosto, è il nostro rituale: non importa la temperatura all'esterno, noi ci concediamo sempre una tisana dopo cena. Anche se io ho cenato ben prima della partita.
Ci sistemiamo al tavolo in cucina, ad aspettare che le bevande si raffreddino.
«Ho parlato con tuo padre» dice, sedendosi di fronte a me.
«Perché? Dovevi per forza dirgli di Alizée?» le chiedo, scocciato. Mi fidavo della sua discrezione e mi tradisce così?
Sorride, amorevole. «Non gli ho parlato di lei, ma mi ha chiesto se hai una ragazza che ci hai tenuto nascosta. Secondo lui, l'unico motivo per cui non lasci questa squadra è che c'è una donna di mezzo.»
Soffio sulla tazza, allontanando il fumo da me. Come fanno a capire le cose che mi succedono meglio di me che le vivo?
«Amore mio, ho visto quanto è bella e dolce Alizée, e capisco perché ti piace. Però dovresti anche pensare a sistemarti, a costruire una famiglia...»
Giro il cucchiaino nella tisana con un tintinnio un po' troppo esagerato, per farle capire che quel pensiero non è in cima alla lista dei miei desideri. «Mamma, io non voglio farmi avanti con lei per sposarmi, sistemarmi e tutte quelle cose che volete tu e papà. Lo voglio fare perché mi piace, non è detto che debba per forza essere la donna della mia vita, no?»
«Se lo fosse, a me non dispiacerebbe. È stata molto educata quando ci ho parlato e mi è sembrata una ragazza genuina. Comunque, ti stavo preparando a cosa ti dirà lui quando ti vedrà. Spero che non tiri fuori il discorso di Gabrielle, ma non puoi sperare che non faccia insinuazioni su te e altre ragazze!»
«Ti prego, non parlargli di lei. Non saprei neanche cosa dire, non ci sono nemmeno mai uscito...»
Mi sorride, comprensiva. «Non preoccuparti, non gli dirò niente. Anzi, se riuscissi ad avere una serata romantica con lei, cercherei di tenere tutti impegnati con qualcosa da fare. Ci sarà qualche film da vedere al cinema, no? O qualcosa a teatro, mi manca il teatro...»
Lascia a metà la frase, pensierosa, forse ricordando quando era ragazza e faceva degli spettacoli con le sue compagne di scuola. O forse sta solo pensando che vuole tornare presto a casa per riprendere a lavorare agli abiti per la messa in scena di un altro spettacolo della compagnia per cui lavora come sarta...
«Intanto vediamo come va già da domani... Non so nemmeno se riuscirò a parlarci da solo o se mi ritroverò ancora quel Pierre tra i piedi. Tra lui e Tremble non so a chi ho più voglia di spaccare la faccia.»
Mi guarda, con disapprovazione.
«Ma non spacco niente a nessuno!» esclamo, portandomi la tazza alle labbra. È ancora troppo calda per bere. «Era solo per rendere l'idea... Non ho mai picchiato nessuno in vita mia, e lo sai.»
Le rughe sulla sua fronte si distendono e gli occhi si addolciscono. «Non farmi preoccupare anche per te, ho le due pesti da tenere sotto controllo.»
«Le due pesti sono quasi adulte» le dico. Nonostante in alcuni momenti mi sembrino ancora quelle due bambine fastidiose che mi facevano impazzire, ho la sensazione che Julie e Jeanne siano cresciute anche da un punto di vista comportamentale, e non solo come età.
Appena le tisane sono tiepide, beviamo entrambi. Poi lavo le due tazze, costringendo mamma a stare seduta e ferma al suo posto mentre mi osserva ricordandosi, forse, che da ragazzino detestavo le mansioni domestiche. Sa anche lei che adesso sono un uomo e che non ho bisogno che mi faccia da balia o che si occupi della mia casa.
«Allora, secondo te...?» le chiedo, pur senza riuscire a completare la frase. Mi sento così stupido a chiedere a mia madre se la ragazza che mi piace mi ricambia! Neanche fossi tornato a scuola con la mia prima cotta!
«Tesoro, non ho la verità in tasca. Devi solo prendere un po' di coraggio e invitarla a uscire.»
Non è il coraggio a mancarmi, ma la possibilità di parlarle per un minuto senza che Pierre ficchi il naso nei nostri discorsi. Mi piacerebbe invitare Alizée a cena fuori... Sarebbe bello, troppo bello per essere vero.
Spazio autrice
Che vi è parso di questo capitolo? Vi è piaciuto?
Cosa pensate che sia successo alla fine del pov di Alizée? Non vi anticipo nulla, ma scoprirete di più tra una settimana.
Baci a tutti,
Snowtulip.
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