Capitolo 26

Non sono mai stato così teso, neanche prima di una partita importante.

«Se avessi avuto la mia macchina, non avremmo avuto questi problemi» borbotto. Adrien ha detto che me la farà arrivare nei prossimi giorni, è l'unico punto per cui il trasloco ancora non è concluso. Ho portato via da Villeurbanne tutti i miei averi, eccetto l'automobile perché era troppo ingombrante.

Il risultato di tutto ciò è che i miei dovranno prendere un taxi e cercare di non dare le indicazioni sbagliate.

«Vedrai, arriveranno.» Alizée si guarda intorno, passandosi una mano sul braccio mezzo scoperto dalla camicetta che le copre solo la spalla.

«Hai freddo?»

«No, no. Si tratta di una situazione nuova per me e ho paura di non sapere come comportarmi. Cosa dovrei dire o non dovrei dire? Farei una pessima figura se raccontassi loro che...»

Le stringo una mano, cercando di trasmetterle quanto più calore possibile. «Non farai mai una pessima figura, non per i motivi che temi. A mia madre già piaci, non devi preoccuparti di mio padre. È un po' rompiscatole, ma è un uomo buono. E hai già superato l'esame delle pesti.»

Sorride, nervosa. «Sono molto critiche?»

«Sono invadenti» le spiego. «Hanno conosciuto solo una delle mie ex e ho dovuto farlo perché ci avevano scoperti. Più o meno come è andata con te... Sono imbarazzanti, anche.»

«Non mi hanno messa in imbarazzo, ero curiosa anche io di conoscerle.» La gonna larga che le copre le gambe si alza per un soffio di vento e lei la tiene in basso. Mi piace il suo modo di vestire, che esprime una personalità tranquilla – a differenza di Gabrielle, che era un peperino al pari di Julie e Jeanne. Per questo mi piace, perché tutto in Alizée è naturale, spontaneo. Persino nella sua timidezza a letto che sta svanendo volta dopo volta.

«Sasha dice che mi perdo nel mio mondo» dice a un tratto. «Succede anche a te?»

Mi chino per sussurrarle all'orecchio: «Stavo solo pensando a quanto sei bella».

Arrossisce, bellissima, e ancora una volta mi innamoro dei suoi occhi chiari che scintillano nella sera. Si perde nel suo mondo, un mondo che amo e che voglio esplorare giorno dopo giorno. Mi chino per lasciarle un bacio a fior di labbra con tutta la dolcezza di cui sono capace.

Sorride, poi si fa guardinga fissando un punto in lontananza alle mie spalle. «Sono arrivati.»

I miei genitori stanno scendendo da un taxi, che riparte subito diretto chissà dove. Mamma è elegante come sempre, con uno dei suoi abiti svolazzanti che confeziona da sé, la solita collana che le dondola sul petto a ogni movimento e un cappello vistoso che per poco non la nasconde.

Mio padre le sta mormorando qualcosa che spero di non scoprire mai, facendola sorridere. È vestito in maniera meno ricercata, con una camicia a quadri dai colori improbabili sopra i jeans, tanto che mi sento infilato in un completo firmato al confronto.

«Sto bene, vero?» mormora Alizée, incerta, mentre ci raggiungono all'ingresso del ristorante.

«Sei perfetta.» Scaldo la sua mano nella mia, non ho bisogno di guardarla per conoscere l'espressione corrucciata del suo viso o l'agitazione che la pervade. Sarei stato teso anche io al suo posto. Aveva ragione quando siamo arrivati qui, non siamo più una coppia agli inizi. Ora è tutto cambiato, abbiamo fatto dei passi enormi insieme, che sono diventati ancora più grandi negli ultimi giorni.

Ma a me va bene. Tutto insieme a lei mi va bene.

Mamma stritola Alizée in un abbraccio entusiasta, prima di lasciarla a papà che si limita a stringerle la mano con curiosità.

«E quindi tu saresti la famosa Alizée.»

Avvampa, in imbarazzo. «Sì, be', io...» farfuglia, cercando il mio sostegno.

Vengo in suo soccorso, così entriamo nel ristorante e ci sediamo a un tavolo abbastanza appartato. Niko mi ha suggerito di richiederne uno che fosse in disparte per non dare nell'occhio, visto che qui a Villafiore potrei essere riconosciuto facilmente.

Il cameriere ci lascia i menù, così Alizée si nasconde dietro la lettura di uno di questi. Le sue guance sono di quell'oro-porpora che mi fa impazzire, le dita corrono a giocherellare con il ciondolo della rosa e ho l'impressione che vorrebbe sparire e non essere qui.

Scambio un'occhiata con mamma, che sembra colpita dal suo atteggiamento introverso – quando si sono viste per la mia partita, Alizée sarà stata più rilassata e di certo più entusiasta. Papà, invece, la sta osservando come si studia un animaletto domestico appena arrivato a casa.

«Come vi state trovando qui?» chiede mia madre.

«Per ora bene, i ragazzi in squadra sono simpatici» le rispondo subito «Abbiamo fatto amicizia con i figli di Tomic e Moore, che giocavano qui vent'anni fa...» E da qui attacco a raccontare di come Niko e Sasha ci abbiano invitati a cena la sera del nostro arrivo e anche del fatto che ci siamo ritrovati ad abitare nel loro stesso condominio.

Alizée interviene di tanto in tanto, aggiungendo piccoli dettagli, incoraggiata dallo sguardo benevolo di mamma.

«Quindi vivete insieme?» Papà non sembra molto entusiasta della propria domanda.

«Secondo te?» Cerco di mascherare il fastidio con una risata. Ho il terrore di dove stia andando a parare e non voglio che nomini la mia relazione con Gabrielle. Non voglio che la paragoni ad Alizée, non sono affatto paragonabili.

«Rashid, non essere scorbutico» lo rimbecca mamma. Santa donna. «Se stanno insieme non vedo perché non debbano anche vivere insieme, no?»

Alizée esita, non sa cosa dire. Ha quell'incertezza che la paralizza. Forse deve solo abituarsi alla situazione e trovarla normale. Devo intervenire.

«Le due pesti come stanno?» cambio del tutto discorso.

«Hanno iniziato la scuola, per fortuna è l'ultimo anno. Hanno detto di abbracciare tutti e due da parte loro. Non sapevo che le conoscessi anche tu.»

Alizée si rianima appena. «Le ho incontrate una volta.»

«Spero che non siano state inopportune.»

«Lo sono state eccome!» rido ancora io. «Non riescono a farsi gli affari loro nemmeno se volessero... e di sicuro Jeanne non vuole.»

Mamma piega la testa di lato, come a dire che quelle due saranno sempre tremende e ci sarà ben poco da fare per cambiare il loro carattere. «Con l'italiano come sta andando?»

«So dire cinque frasi: buongiorno, buona sera, come va?, a domani, grazie» scherzo, contando sulle dita. In realtà Niko mi ha già insegnato qualche parolaccia per infastidire gli avversari, ma è meglio che i miei non lo sappiano. «Alizée ha cominciato a studiarlo.»

Gli occhi di mia madre si illuminano. «Ti sta aiutando Sasha?» Ha già capito che tra loro due è nata una bella amicizia.

«Un po', ma sto soprattutto studiando per conto mio» spiega. «Mi serve fare qualcosa da sola, mi fa sentire come se avessi...» Tace per un momento, incerta. «Come se potessi fare tutto ciò che voglio con il mio tempo. Era una sensazione che non provavo da tanto.»

«Quando eri a Villeurbanne non potevi?» le chiede mio padre, ora un po' più interessato ai nostri discorsi.

«No, lavoravo sempre e quando non lavoravo ero troppo stanca.»

Mi stupisce che ne parli con questa serenità, credevo che per lei fosse ancora un tasto dolente – ma forse il fatto che non sia scesa più nello specifico l'avrà aiutata.

«Che lavoro facevi?» continua l'interrogatorio di papà.

«La barista nel bistrot di mio padre e mio zio.»

«Quindi hai lasciato l'attività di famiglia per scappare con lui?»

Alizée inspira ed espira profondamente, abbassando lo sguardo. «Non potevo più rimanere lì.»

«Perché no?»

«Lascia stare» intervengo, prima che la metta in difficoltà. Temo di sapere dove andrà a parare e l'idea non mi piace per niente.

Ma Alizée posa una mano sulla mia, sicura di sé. «Il rapporto con mio padre era difficile, voleva controllare ogni aspetto della mia vita e non potevo più permetterglielo.»

Si sta facendo coraggio, quel coraggio che le serve per affrontare la situazione. L'atteggiamento scorbutico di papà che di solito l'avrebbe messa in difficoltà è solo una prova da superare.

E amo il modo in cui si impegna per farlo.

«Mi dispiace, tesoro.» L'espressione sul viso di mia madre si è fatta compassionevole. Sa più di quanto non lasci trapelare, visto che è stata al bistrot. L'ha chiamata tesoro.

Anche papà si distende e si fa più comprensivo, almeno nella postura e nello sguardo. Era rimasto guardingo durante il loro scambio di battute, per fortuna non ha intenzione di continuare così per tutta la serata.

A metà cena mi alzo per andare in bagno. Per una buona mezz'ora mi ero convinta che il padre di Jérémy mi detestasse a priori, invece è solo un po' burbero – come anche lui mi aveva lasciato intendere.

Almeno, Marjorie è rimasta la stessa donna che ho incontrato a Villeurbanne, affettuosa e gentile. E il modo in cui si è posta con me mi scalda il cuore, perché il paragone con mia madre è impietoso.

Mia madre, che se ne sta in casa a occuparsi delle faccende domestiche, uscendo solo saltuariamente per la spesa. Mia madre, che rammenda i vestiti di mio padre, che cucina per lui e che ripete come un pappagallo le sue stupidaggini. Mia madre, che è stata raggirata sin da giovane e che non è mai stata in grado di rendersene conto.

Se solo ci fosse stata mia nonna, negli ultimissimi anni... Se ci fosse stata lei, l'avrebbe aiutata a capire che il modo in cui si comportavano con me era sbagliato.

Che tutta la mia vita, per come me l'avevano imposta, era sbagliata.

Mi guardo allo specchio e per la prima volta mi vedo diversa. Sul viso i miei tratti non sono più quelli dolci di una ragazza che assomiglia ancora a un'adolescente, ma quelli di una donna che sta avendo esperienza del mondo. Sembro più adulta, più matura.

Le ultime settimane mi hanno costretta a crescere in fretta, in un processo che era stato alterato e rallentato dall'esterno – bloccato da mio padre, come se per lui dovessi rimanere un'eterna ragazzina da usare per la Marée.

E ciò di cui mi ha parlato Sasha ha accresciuto una nuova consapevolezza di me. Ho qualcosa di cui occuparmi e da cui ripartire.

Vorrei che fosse domattina per mettermi in contatto con Odile e chiederle come posso cercare di riottenere tutte le paghe che mio padre ha trattenuto nel corso degli anni. Quei soldi sono miei – e dovrebbero essere tanti, considerando che ho lavorato lì dalla fine della scuola per cinque lunghi anni.

Richiudo il rubinetto a cui ho lavato le mani e prendo il telefono che ho portato con me in bagno. Non ho ancora novità da Nicole – per meglio dire, non ho novità per cui preoccuparmi.

Continuo a scoccargli occhiate come se all'improvviso potesse illuminarsi e annunciarmi l'arrivo di un messaggio in cui mi dice che è tutto a posto, che mio padre ha avuto ciò che merita – ma che non riesco a formulare nella mia mente – e che Pierre è stato spedito in un luogo lontano da cui non può rintracciarmi.

Mi avvicino all'angolo della sala del ristorante in cui ho lasciato Jérémy e i suoi genitori, che stanno ancora chiacchierando. Mi fermo dietro a una pianta a origliare. Sono abbastanza distante, ma loro – forse perché in terra straniera e possono parlare in francese senza essere uditi – non si fanno alcun problema nell'usare un tono che riesco ad ascoltare anche da qui.

«Fate parte di due mondi totalmente diversi, te ne rendi conto?» sta chiedendo il padre di Jérémy. «Se un giorno vi doveste lasciare...»

«In quel caso sarebbe un mio problema, così come lo è stato con Gabrielle» ribatte lui.

Gabrielle? Chi è?

«Ma tu e Gabrielle eravate fatti l'uno per l'altra! Come fai a non renderti conto che con lei non è lo stesso?»

«Papà, io mi rendo perfettamente conto di tutto.»

«Dovresti tornare da Gabrielle, chiederle di ripensarci...»

Suo padre vuole che torni con l'ex?

Per un momento mi sento venire meno, il cuore mi fa un salto gigantesco nel petto e mi scuote dal profondo. E io che credevo che... che almeno mi avesse accettata come ha fatto Marjorie. Invece lui vuole tutt'altro per Jérémy.

«Perché?»

«Perché lei voleva avere dei figli.»

«Io non li voglio. Non adesso, non sono pronto e non è il momento. Sto con Alizée da troppo poco per poter pensare anche a...»

«Per questo dovresti tornare da Gabrielle! Non hai più vent'anni, poi non avrai l'età per giocarci e nemmeno per comprenderli. Sarà troppo tardi e non te ne renderai conto!»

«Papà, io non voglio. Ho preso una strada diversa. Non so dove mi porterà, ma è quella che voglio percorrere con Alizée.»

Sentire Jérémy che parla così mi fa sorridere. Ha ragione, nessuno di noi due sa dove stiamo andando, ma anche io voglio continuare sulla sua stessa strada – al suo fianco. Ha la forza per ribattere a ciò che suo padre vorrebbe per lui, alle sue convinzioni a cui qualsiasi figlio avrebbe ceduto e per cui si sarebbe sentito in colpa – io per prima.

Perché non avrei mai pensato di arrivare ai venticinque anni senza aver avuto un bambino, era una di quelle cose che i miei desideravano... anche se loro desideravano che quel bambino avesse i capelli biondi e la stessa faccia da schiaffi di Pierre Lefort.

«Un giorno mi darai ragione» continua a dire Rashid.

«O forse tu un giorno ti accorgerai che io, adesso, sono felice. E non mi sono mai sentito così prima di ora.»

Mi muovo da dove sono, con la speranza che il mio ritorno al tavolo metta fine alla loro discussione. Infatti, Marjorie mi accoglie con un sorriso edificante come se fossi un'apparizione benefica.

«Pensavo ti fossi persa» scherza Jérémy, rilassato come se non avesse appena litigato con il padre.

Mi limito a continuare a mangiare, senza parlare più di tanto. Devo ancora capire come reagire alla loro conversazione. Jérémy mi è parso contrariato dalle parole di Rashid, che però ora chiacchiera amichevolmente con lui e la moglie come se niente fosse. Forse è una situazione che si trascina da tanto, e che li porta al limite – un limite che in mia presenza non vogliono superare.

Una piccola parte di me, tuttavia, è infastidita. Perché Jérémy non mi ha parlato delle pressioni di suo padre? Conosce le difficoltà con la mia famiglia, perché allora è stato così riservato nel parlare della sua? Sotto sotto condivide il desiderio del padre ma non vuole ammetterlo? Non saprei, ma tenderei a escluderlo. Non si sente a suo agio nello sfogarsi con me? Io l'ascolterei.

Di primo impatto non mi sono stupita, anzi: sono stata rinfrancata dalle sue parole, dal modo in cui ha difeso la nostra relazione e ciò che c'è tra noi... Eppure, un tarlo nell'orecchio mi sussurra che qualcosa non va. Che non è stato del tutto sincero con me.

Divoro la cena fino a quando il piatto non è pulito, assorta nelle mie riflessioni, tanto che fatico a rispondere persino alle frasi che Marjorie rivolge direttamente a me.

Jérémy sembra essersi accorto che qualcosa non va, ma non mi forza a parlarne. Temerà che sia accaduto qualcosa di simile alla sera in cui siamo usciti con Sasha e Nikola, quando mio padre e Pierre hanno tentato di mettersi in contatto con me – per l'ultima volta.

Salutiamo i suoi genitori fuori dal ristorante e prendiamo un taxi per rientrare in albergo – per fortuna dobbiamo andare nella direzione opposta alla loro. Durante il tragitto rimaniamo entrambi in silenzio, permettendomi di riflettere ancora su ciò che è accaduto stasera.

Spazio autrice

E così iniziamo a scoprire i lati segreti di Jérémy (non proprio, dai, è uno solo)... Secondo voi ha fatto bene a tenerglielo nascosto?

Al suo posto io non so come avrei regito, perché lui, nonostante tutto, difende con le unghie e con i denti la loro relazione... e come si fa a tenere il broncio a un uomo così?

Lo scoprirete la prossima settimana!

Baci a tutti,
Snowtulip.

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