6. When We Were Young

"I was so scared to face my fears.
Nobody told me that you'd be here.
And I swear you moved overseas.
That's what you said, when you left me.

You still look like a movie,
You still sound like a song.
My God, this reminds me
Of when we were young".

Quando si perde qualcuno non succede mai tutto in una volta. È un processo graduale, che impiega i suoi tempi e i suoi ritmi, del quale non ci si accorge mai nell'immediato. Comincia dalle piccole cose. A partire da quando si fa qualcosa che non si vede l'ora di raccontare o condividere con quella determinata persona, per poi a malincuore realizzare che si è impossibilitati nel farlo. Ho preferito non portare il conto di tutte le volte che è accaduto qualcosa, nella mia vita, che mi ha fatto immediatamente pensare: "Questo devo assolutamente dirlo a Peter". I primi tempi ci mettevo un po' a capacitarmi del fatto che non fosse possibile. Negli ultimi tempi, invece, restava solo un triste senso di amarezza e nostalgia. Ci sono state tante, ma così tante, situazioni in cui immaginavo l'espressione che avrebbe assunto il suo viso in quella particolare circostanza; in cui me lo figuravo gesticolare e muoversi come solo lui sapeva fare; in cui, anche inconsciamente, assumevo i suoi atteggiamenti, o mi scoprivo a esprimermi come era solito fare lui. Con il passare degli anni ho imparato ad accantonare tutte le piccole caratteristiche che lo contraddistinguevano, ma non c'è stata occasione in cui il mio pensiero non si rivolgeva a lui; anche se si trattava di un dettaglio insignificante o apparentemente inutile, Peter c'era. Perché l'ho sempre tenuto con me. Ci sono certe ferite che non si rimarginano. Mentre alcune si cicatrizzano, e diventano semplicemente un ricordo su pelle di ciò che è stato, altre non si ricuciono con i punti di sutura, ma con un filo sottilissimo, pronte a riaprirsi non appena punzecchiate, come il can che dorme che non va mai stuzzicato. Sono le ferite del cuore, quelle. E sono le più pericolose. Lasciano segni ancor più indelebili delle cicatrici. Ti cambiano e, no, il dolore con il tempo non lenisce. È solo latente. E ora, alla vista della coppietta felice, lo sento tornare in superficie e assalirmi con la potenza di un tornado. Perché, fin quando eravamo distanti, "lontano dagli occhi, lontano dal cuore", ero - bene o male - in grado di gestirla. Adesso no, perché sono qui, lui è qui, stanotte mi ha detto quelle cose, e non importa se era ubriaco o cosciente, ha fatto comunque sì che tornasse tutto a galla, come se non fosse mai affondato. Dovevo prevedere che sarebbe accaduto. Ma il mio tipico "non preoccuparmi mai del futuro e vivere al presente" mi ha impedito di farlo. Sono stesa su un fianco su questo letto a fissare il vuoto da non so quanto. Non ho proferito parola alcuna, non ho versato neanche una lacrima. Sono una statua di sale. Connie e i ragazzi le hanno provate tutte. Mi hanno aspettata svegli. Mi hanno tempestata di domande. Niente. Anche il mio viaggio di ritorno in taxi è stato avvolto dal silenzio, a parte l'esigenza di dover comunicare al conducente l'indirizzo dell'albergo e dove lasciarmi. Tutto qui. Per il resto, sono rimasta sola con me stessa nella mia torre d'avorio assieme ai miei pensieri. Molti dei quali nocivi e devastanti. Notando che non c'era verso di farmi parlare, sono presto andati tutti a letto, distrutti, rimandando la discussione a domani mattina. Fino a ora non ero mai stata capace di spiegarmi quel verso della canzone che ha scritto Peter, in cui diceva che ogni cosa si era ridotta ad apatia, tanto che la mia mancanza lo annientava. Ora, invece, mi appare chiaro come il sole, perché è ciò che sta abbracciando me adesso. L'apatia, l'assenza di pathos, di emozioni. È strana, da provare. Quando la desolazione non dà adito ad altre sensazioni e si trasforma nel vuoto, nel nulla. Ti risucchia e, tra il bianco e il nero che potresti essere, sei grigio, perché non sei né felice né triste; sei indifferente. E non è per niente piacevole. Vorrei piangere, sbraitare, prendere a pugni un cuscino, gridare, liberarmi dal peso che ho sul petto, ma non mi riesce. Allora me ne sto qui, con gli occhi che mi bruciano per il sonno e un lancinante mal di testa e di gola, a fare da spettatrice alla mia vita che va in frantumi, augurandomi - illudendomi - che non mi appartenga, e che sia soltanto un brutto, tremendo, orrendo incubo. Non ho sonno. O meglio, sono esausta, e questa giornata è stata anche abbastanza piena, ma non riesco a chiudere occhio. Connie ronfa beatamente, così come i due piccioncini. Sbuffo e scendo dal materasso, per poi andare a rovistare nella borsa di Connie alla ricerca di quei biscotti alle gocce di cioccolato che ha comprato in aeroporto. Ne sono rimasti solamente tre, accidenti a quei due ingordi. Prendo il pacchetto e, silenziosamente, mi reco nel "salottino" e accendo la Tv, abbassando poi il volume al minimo. Torno in camera per munirmi del plaid che ho adocchiato nell'armadio quando, ieri pomeriggio, Connie vi ha sistemato i suoi vestiti all'interno, e mi vado ad accomodare sul divanetto dinanzi alla televisione. Mi poso la coperta sulle gambe e, sgranocchiando, intanto, uno di quei cookies squisiti, inizio a fare zapping tra i canali. Mi fermo su uno per bambini - che, stranamente, trasmette cartoni animati anche alle cinque del mattino -, quando avvisto un enorme mostro tutto blu a pois lilla affiancato da uno più piccolo, tondo, verde e con un occhio solo.

"Mike, quella non è la porta di Boo!".

"Boo? Che cos'è Boo?".

"È così che ho deciso di chiamarla!".

"Sulley, non devi darle un nome! Quando dai un nome a una cosa, ti ci affezioni! Su, riporta quell'affare dove stava! Da' retta a me! ...Oh! Oh, salve! Stiamo facendo le prove per la nuova recita aziendale... Si intitola... 'Su, Riporta Quell'Affare Dove Stava, Da' Retta A Me!' È un musical! Su riporta quell'affare dove stava, da' retta a me! Retta a me!! Retta a me!!!".

È Monsters & Co., il film d'animazione della Disney-Pixar, e mi ritrovo a sorridere, dopo lo scambio di battute tra i due coprotagonisti. Dopodiché un prorompente flashback si impossessa della mia mente e mi trasporta indietro di sei anni, ai primi giorni al college e agli ultimi di settembre, quando io e Lindsay ci stavamo preparando per uscire con Abigail e i ragazzi.

"Hai presente i due tipi di Monsters & Co.? Quel cartone animato della Pixar? Ecco. Il caso vuole che il tuo cognome sia lo stesso del protagonista. Sai, quel mostro tutto blu? Mentre Mike ha lo stesso nome della sua spalla destra. Quindi, non è niente di allarmante: vi chiamano solo 'Sulley e Wazowski'. Tutto qui".

Mike... Lindsay... "Se dovessi aver bisogno di qualsiasi cosa, non esitare a chiamare". Perché non ci ho pensato subito? Devo mettermi in contatto con Mike, capire cosa è capitato, se davvero le cose tra Peter e Jane sono così serie come sembrano a un occhio esterno e, cosa più importante di tutte, non ho ancora conosciuto bene la piccola Harper!

×××

Mi risveglio intontita e indolenzita, la Tv è spenta - anche se non ricordo di averlo fatto io -, e il plaid che avevo addosso è a terra, indicatore del fatto che devo essermi agitata durante il sonno. Questo potrebbe anche significare che ho avuto caldo - sono alquanto sudata, in effetti -, e che, perciò, dovrebbe essermi scesa la febbre. Anche la confezione, ormai vuota, di biscotti è sul pavimento. Mi tiro su a sedere, mi stiracchio e sbadiglio, stropicciandomi in seguito gli occhi e guardandomi attorno. Il salottino è illuminato a giorno dai raggi di luce provenienti dalla finestra che affaccia sulla strada. C'è uno strano silenzio. Sbadiglio di nuovo e mi alzo, per poi dirigermi in camera e appurare che sono sola. C'è, però, un post-it sul tavolino di fronte al letto mio e di Connie, scritto con una grafia troppo elegante e sinuosa per essere quella di Will o Colin.

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Abbiamo pensato che volessi stare
un po' da sola. Fatti un bagno caldo,
rilassati, chiama il servizio in
camera, e prenditi la tachipirina.
Telefona se dovessi aver bisogno.

Prenditi cura di te, tesoro

Connie, Colin, Will x
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Sorrido con spontaneità, dopo averlo letto, e seguo le istruzioni. Mi avvio in bagno e incomincio a riempire la vasca, aprendo sia il getto d'acqua calda che quello d'acqua fredda. Successivamente, ritorno in stanza e compongo il numero del servizio in camera dal telefono fisso sul comodino in legno bianco tra i due letti matrimoniali. Mi rendo conto che sono le due del pomeriggio quando la donna all'altro capo della linea fa un po' di storie per via dell'orario. Ma cede dopo poco - grazie infinite a chi ha inventato la massima: "il cliente ha sempre ragione" - e mi assicura che il mio ordine sarà qui tra un'ora esatta, come da me richiesto. Inizio a sfilarmi pantaloni e maglietta del pigiama e torno in bagno in intimo, aggiungendo all'acqua un'abbondante quantità di bagnoschiuma alla cannella. Mentre attendo che la vasca si colmi, cerco il mio cellulare tra le lenzuola del letto e tra le varie scartoffie di Colin sul comodino, non ricordando dove l'ho lasciato. Poi rammento di averlo messo in carica e attaccato alla presa dietro la poltroncina accanto al tavolino, perciò lo trovo qualche attimo dopo. A parte il segnale che mi avvisa che la batteria è ormai carica, ci sono due messaggi non letti. Uno è da parte di mamma. L'altro è... suo. E risale a circa cinque ore fa. Leggo rapidamente quello della mamma, ma mi domanda soltanto come sta andando e se ci sono stati progressi: avevo già in programma di telefonarle, in giornata, per cui, nel caso, lo farò subito dopo il bagno. Con mano tremante apro quello di Peter.

"Jane mi ha raccontato di ieri notte. Mi dispiace averti disturbata: non era mia intenzione. Purtroppo non ricordo niente di niente, quindi scusa anche per le eventuali cazzate che potrei aver sparato a vanvera. Stamattina ho un meeting di lavoro, ma, se sei disponibile, possiamo vederci nel primo pomeriggio per parlare. Fammi sapere.

Peter".

Già il fatto che il suo nome fosse la prima parola dell'SMS non prometteva molto bene. Dopo averlo letto, e riletto, e riletto, ho la certezza assoluta che il karma si diverta a giocare con me. E che si è firmato a fare? Dovrebbe saperlo che ormai l'ho memorizzato in rubrica, il suo numero. Mi massaggio le tempie e corro a chiudere i rubinetti della vasca per non rischiare di allagare tutto il bagno a causa di una svista. Tecnicamente sarebbe ora, il primo pomeriggio a cui si riferiva. Ma non ho proprio la forza - né fisica, né, tantomeno, psicologica - di vederlo ancora. E di riaffrontare la stessa discussione di stanotte - perché, okay che non ricorda nulla, ma le cose che pensa sempre quelle saranno. Forse non me le ribadirà così brutalmente, ma il concetto è quello. Mi spoglio del tutto e mi immergo completamente nella vasca, stando attenta a non far bagnare il cellulare.

"Per oggi pomeriggio la vedo un po' difficile... Stasera?" propongo, esitante, ignorando volutamente il resto del suo messaggio e omettendo appositamente una possibile giustifica alla mia impossibilità nel vederlo.

Poso poi il telefonino sul bordo della vasca e chiudo gli occhi, rilassando tutti i muscoli e godendomi la sensazione incredibilmente piacevole della schiuma che mi accarezza il corpo. Non so quanto tempo sia passato, quando sento il telefono vibrare, ma socchiudo un occhio solo e mi sporgo a leggere l'anteprima del messaggio.

"Stasera va benissimo. Devo suonare in un pub qui nei dintorni. Potresti venire ad assistere e poi potremmo mangiare un boccone e discutere. Se non ci sono problemi ti mando l'indirizzo ;-)".

Bingo! Eppure è strano... Mi sembra così formale, così serio... Non è il Peter scherzoso che conoscevo io. Questo sembra ostentare sicurezza, ma si percepiscono da lontano un miglio, il nervosismo e l'agitazione. Già l'uso dei condizionali è un segno piuttosto evidente. È come se la conversazione di stanotte non ci fosse mai stata, e mi fossi sognata tutto. Menomale che c'era anche Jane come testimone. Anche se non so fino a che punto questa sia una cosa positiva. E poi... suona ancora. Chissà se compone anche... Gli rispondo con l'emoticon di un pollice all'insù e termino il bagno nel momento in cui sento bussare alla porta - maledetto servizio in camera dannatamente puntuale -, preparandomi mentalmente, nel frattempo, alla telefonata con i miei genitori.

×××

Due ore e un'ardua ricerca dopo, sono davanti alla porta di casa Davis, con i tre moschettieri al seguito. Ho cercato l'indirizzo di Mike - o, quantomeno, il suo numero di telefono - su Internet non appena la chiamata con i miei si è conclusa, ma non ho avuto molta fortuna. Mi sono, perciò, dovuta recare alla reception dell'albergo a chiedere gentilmente in prestito un elenco telefonico, e la simpatica donna - che poi ho scoperto essere la stessa con la quale avevo parlato al telefono poco prima - si è preoccupata di rammentarmi che Colin deve riconfermare la prenotazione e specificare per quanti giorni esatti intendiamo restare. Lì è stato come se mi si fossero aperti gli occhi - foderati di prosciutto fino a qualche attimo prima -, e ho realizzato che siamo a San Francisco da tre giorni, che non ho per niente visitato la città, e che non sono neanche riuscita ad avere una conversazione degna di essere definita tale con Peter. Per di più, come se non bastasse, tra una settimana le ferie sia di Colin che di Will scadranno, e dovranno tornare a lavoro. A Filadelfia. Dall'altra parte dell'America. Il tutto per non mettermi affatto pressione, naturalmente. Non è che devo riconquistarlo in una settimana, per carità. Colin, Will e Connie sono rientrati quando mi stavo accingendo a risalire in stanza, e ci siamo incrociati nell'atrio. A differenza mia, loro se la stanno vivendo davvero, la vacanza. Siamo tornati in camera tutti insieme e ho esposto loro i fatti. Chiacchierata di stanotte, Monsters & Co., e scambio di messaggi compresi. Mi hanno aiutata a individuare Mike sull'elenco e l'ho chiamato, invitandolo a prenderci un caffè insieme. Ha rilanciato un invito esteso a tutti e quattro per un aperitivo a casa sua, e non ha ammesso discussioni. Quindi ora siamo qui. Ho suonato il campanello e siamo in attesa che ci vengano ad aprire. Ci accoglie un Mike in bermuda e maglietta estiva, con in braccio la piccola Harper, vestita da principessa, e con i capelli scuri raccolti in una treccia tutta sfatta, indice che deve essersi svegliata da poco dal suo riposino pomeridiano - cosa confermata anche dal fatto che si stia sfregando un occhio con il dorso di una mano.

"Ma qual buon vento!" esclama Mike, sorridente, per poi spalancare maggiormente la porta e farsi da parte per permetterci di entrare.

Fa scendere a terra Harper e si presenta con una stretta di mano a tutti i miei amici, esortandoci poi ad accomodarci sul divano, spiegandoci che Lindsay è impegnata a finire di prepararsi, perché ha perso tempo in cucina per farci assaggiare i suoi ottimi biscotti gallesi. Gli dico che non c'era bisogno che si scomodasse tanto e, soprattutto, mi scuso per la venuta imprevista e improvvisa, ma lui mi fa segno con una mano di lasciar correre e continua a sorriderci. Se non fosse per quel leggero strato di barba che gli mette in evidenza i lineamenti del viso, e il taglio di capelli differente, direi che è lo stesso ragazzino di sempre e che non è cambiato di una virgola. E sua figlia gli somiglia davvero tantissimo, seppure ricordi molto anche la mamma, per certi versi. Dio, io non posso ancora credere che siano genitori. Da tre anni. Io sarei terrorizzata alla prospettiva di diventare mamma alla loro - nostra - età. Ma Lindsay è sempre stata molto più responsabile di me. Mike... beh, sicuramente l'incontro con Lindsay l'ha messo presto in riga. Si sono anche sistemati proprio bene. Il loro appartamento si trova in una posizione abbastanza favorevole rispetto al centro della città e i mezzi di trasporto. Per quel che ho potuto notare dall'ingresso e dal salone nel quale ci troviamo adesso, è molto moderno. In fondo alla stanza c'è un'ampia portafinestra tramite la quale i residui del tramonto irradiano tutto l'ambiente. Il balcone affaccia sulle strade trafficate e i grattacieli della città. L'aria è permeata dall'essenza gradevole di un deodorante per ambienti e biscotti fatti in casa. Mike si premura di introdurre anche la piccola Harper a tutti - rammentandole pure del nostro primo incontro di ieri -, e tra lei e Colin si instaura subito un certo tipo di sintonia. Non l'avrei mai detto. Lei gli propone di giocare con le bambole assieme - è la prima volta che la sento parlare, e ha una vocina così dolce e adorabile che viene voglia di strapazzarla di coccole -, e lui si dichiara entusiasta, così come Will, che si intromette e le chiede timidamente di prendere parte al gioco.

"Sai sconfiggere i cattivi per salvare la principessa in pericolo?" lo interroga, allora, solennemente lei, molto seria.

Will si fa serio a sua volta, alla domanda, e prontamente risponde: "Nessun ostacolo potrebbe mai vincere sul mio amore verso la principessa, impedendomi di portarla in salvo nel mio castello". Lancia di sfuggita un'occhiata a Colin, e mi sembra addirittura di vederlo arrossire. Quanto vorrei avere una macchina fotografica a portata di mano, in questo momento! Harper annuisce, a labbra serrate e sopracciglia aggrottate, approvando la controbattuta di Will, e lo prende per mano, incitandolo silenziosamente ad alzarsi. Con l'altra stringe quella di Colin, con lo stesso intento, e, una volta in piedi, fa per condurli entrambi in quella che suppongo essere la sua cameretta, ma si ferma a metà strada e si volta verso di noi che siamo rimasti sul sofà. Lo sguardo felice e colmo d'amore e trasporto con il quale la ammira Mike non penso davvero che possa avere eguali.

"E tu? Li sai sconfiggere i cattivi?" indaga, inchiodando gli occhi blu oltremare nei miei, facendo girare anche Colin e Will nella nostra direzione.

"Harper, tesoro, penso che tu abbia già abbastanza compagni di gioco. Sulley è qui per scambiare quattro chiacchiere con mamma e papà" le illustra amorevolmente Mike, sorridendo ancora e salvandomi in calcio d'angolo.

Quella domanda innocente mi ha scosso e lasciato interdetta più del normale. Perché la prima cosa a cui ho pensato non sono stati i cattivi delle favole, alla matrigna di Cenerentola, alla regina di Biancaneve, o Malefica. Sono stati i demoni, quelli del mio passato, che mi affliggono l'animo dal maledetto giorno in cui ho permesso a Peter di varcare quella soglia e uscire dalla mia vita senza emettere una singola sillaba. E mi sarebbe dispiaciuto deluderla, perché la risposta sarebbe stata "No". No, non li so sconfiggere, i cattivi, e non li ho ancora sconfitti, quelli che mi tormentano. Non sono ancora riuscita a perdonarmi per quel giorno, e per tutto quello che ho fatto e causato a Peter. E ritengo che non lo farò, ormai. Harper assente e sorride al padre, lascia momentaneamente le mani di quei due, corre tra le braccia di Mike, e gli stampa un veloce bacio sulla guancia destra, per poi tornare presto da Colin e Will e portarli in cameretta con sé.

"È una bambina adorabile" sentenzia Connie, seduta al mio fianco, di fronte a Mike, amplificando così il sorriso di quest'ultimo.

Lui la ringrazia e le chiede come ci siamo conosciute. Al che scoppiamo entrambe a ridere e Connie gli espone la vicenda, senza omettere neppure un dettaglio. Alla fine della storia Mike ha le lacrime agli occhi per le risate, e constata che Connie gli ricorda molto me al college, e che secondo lui siamo molto simili. Storciamo entrambe il naso a questa affermazione e lui ridacchia. E, con una quasi-caduta trionfale dalle scale a chiocciola che portano al piano superiore, Lindsay fa il suo ingresso, facendo scoppiare Mike a ridere a crepapelle e piegare in due dalle risa, e facendo coprire la bocca a Connie per non risultare inopportuna ridendo delle sfortune altrui. Io sorrido, e mi metto in piedi per abbracciare la solita sbadata che sei anni orsono ha fatto scattare l'allarme antincendio di un intero edificio per una gaufre cotta male. Mi saluta calorosamente e si presenta a Connie con un gran sorriso in volto. Indossa un abito leggero color verde acqua - che si intona particolarmente bene alla sua carnagione chiara - e dei sandaletti bassi. Ha i capelli raccolti in una crocchia a lato della testa, e non ha per nulla abbondato con il trucco. Si scusa un attimo e corre subito in cucina per andare a prendere i biscotti, rimproverando Mike per non averci offerto niente finora. Ricompare qualche minuto dopo con un vassoio in una mano e una brocca di spremuta d'arancia nell'altra, per poi intimare a Mike di andare a prendere dei bicchieri e dei tovaglioli. Lui esegue immediatamente gli ordini, fingendosi un cadetto che sottostà alle regole di un generale, e ciò scaturisce una risata sia da parte mia che di Connie e uno sguardo truce da parte della moglie. Connie ci annuncia, intanto, che andrà a chiamare Colin, Will e Harper, nel caso in cui vogliano anche loro dei biscotti, e Lindsay sollecita me, invece, a risiedermi. Mike ritorna con il materiale richiesto nello stesso momento in cui rifanno tutti la loro comparsa: Connie che si mantiene la pancia per le risate; Harper sempre vestita da principessa, ma con l'aggiunta di una coroncina in testa e una bacchetta magica in una mano; e Will e Colin - tutti fieri e convinti - con due boa (uno rosa e uno viola) avvolti attorno al collo e due borsette a tracolla. Lindsay e Mike sgranano gli occhi, e io non posso trattenermi dallo scattare una foto con il cellulare a questa scena irripetibile ed esilarante. Harper ci tiene a spiegarci che loro sono le sue damigelle d'onore, perché lei era proprio in procinto di sposarsi con il principe Bobo - il suo orso di peluche formato gigante, chiarisce Lindsay -, ma che Connie ha maleducatamente interrotto la cerimonia.

"Con chi è che vorresti sposarti, tu? Io sono il tuo unico principe, signorinella, non scherziamo" protesta Mike, poggiando la roba sul tavolino e sedendosi nuovamente sul divano, con un finto broncio e le braccia conserte.

"Ma dai, papà, era per finta!" si giustifica lei, sorridendo e catapultandoglisi in braccio, per poi riempirlo di baci su tutte le guance.

"Ecco. Ora sì che si ragiona" statuisce lui, gongolante, mentre si gode i baci della piccola.

"Siete stomachevoli" finge di lamentarsi Lindsay, roteando gli occhi al cielo con un sorriso in viso, addentando poi il primo biscotto e sporcandosi le labbra di zucchero a velo, compiacendosi, nel frattempo, delle sue abilità culinarie.

Colin e Will si liberano degli accessori superflui e si avventano sulla guantiera. Mentre ci rimpinziamo, Mike e Lindsay ci raccontano - sotto mio incoraggiamento - di come la loro storia sia proseguita a gonfie vele anche dopo il college, quando hanno poi deciso di andare a convivere, e che - essendosi laureati entrambi alla stessa facoltà, economia - è stata a suo modo un'avventura cercare insieme un impiego e poter contare l'uno sull'appoggio dell'altra, nel primo periodo. Non appena hanno trovato entrambi un incarico stabile - in sedi diverse della stessa azienda, qui a San Francisco -, hanno comunemente concordato di sposarsi, e il caso ha voluto che Harper sia stata concepita proprio il giorno in cui hanno preso quella risoluzione. Ci mostrano anche degli album fotografici che comprendono alcuni tra gli eventi più importanti che hanno caratterizzato questi sei anni, tra cui: la loro laurea; quando hanno inaugurato la loro prima casa; quando sono andati alla prima presentazione dell'app di Peter; il loro matrimonio - una cosa semplice e con soli gli amici stretti; la gravidanza di Lindsay, con annesse le ecografie - Lindsay si premura anche di farci presente che Mike ha dato di matto ed era al settimo cielo dalla gioia, quando lei gli ha dato la notizia; e poi ci sono tutte le prime volte di Harper. Quest'ultima a un certo punto si scoccia e, terminata una buona razione di biscotti - solo perché Lindsay decreta che ne ha mangiati a sufficienza e le impedisce di mangiarne altri, altrimenti non si sarebbe di certo saziata -, balza in piedi, e, con le guance ancora impiastricciate di zucchero a velo, si lamenta, dicendo di essere ancora tanto affamata. Allora Colin prende una delle sue piccole manine tra le sue e le chiede se vuole sentire una bella filastrocca. Lei acconsente, interessata, e lui le stringe un dito per volta mentre la recita.

"Questo dice: 'Ho fame!' - e le tocca il pollice - Questo dice: 'Non c'è pane!'. Quest'altro dice: 'Come faremo?'. E quest'altro ancora: 'Ruberemo!'. E questo qui - e le indica il mignolino - dice: 'Nicchi, nicchi. Chi ruba si impicchi'" e conclude la canzoncina con una vocina stupida per farla ridere.

Riesce nel suo intento di distrarla, così lei porge di nuovo le mani sia a lui che a Will e trascina le sue damigelle in camera con sé. Connie conviene che è meglio non lasciarli soli e, raccattati i due boa e le borsette, va loro dietro. Rimasti solo noi tre, so che ora non c'è via di scampo, e che dovremo affrontare il discorso.

"Beh, tu, invece, cosa ci racconti? - si informa Mike, stupendomi, pulendosi le mani zuccherose con un fazzolettino e poggiandosi allo schienale del sofà - Vogliamo sapere tutto sulla Francia! Com'è Parigi?" Lindsay completa la sua frase e si accoccola a lui, che le pone un braccio attorno alle spalle e la attira a sé.

Inspiro profondamente e narro loro tutta la vicenda. Di quando sono arrivata lì con zia Flo e Jean-Paul senza un'idea ben chiara di cosa fossi andata a fare; di quando mi hanno incitato a fare domanda per l'Accademia delle Arti di Parigi; di quanto fossimo tutti meravigliati e felici quando poi sono stata ammessa e ho iniziato il corso di design; dei quattro anni di studi che ho trascorso lì e del fatto che poi, alla fine del percorso, io abbia ricevuto un diploma che mi ha consentito di dedicarmi per un po' all'arredamento di interni (occasionalmente ho anche realizzato dei graffiti su pareti o tele); di come ho conosciuto Evan, e di come sono poi tornata in America con lui - anche perché in Francia non riuscivo a trovare un posto fisso e non mi piaceva poi tanto il clima in ambito lavorativo. Non che a Filadelfia mi sia andata molto meglio. La mia idea era di aprire uno studio in proprio, ma, non avendo i fondi necessari, il progetto è sfumato. Poi parlo del viaggio on the road intrapreso per venire a cercare Peter, e di tutto quello che è successo in seguito.

"È anche per questo che oggi sono qui..." sottolineo, nervosa, raddrizzandomi sul divano e lisciandomi le pieghe inesistenti dei jeans.

"Immaginavamo..." attestano all'unisono, inquietandomi per la simultaneità del gesto.

Loro invece ridacchiano, ma si ricompongono rapidamente.

"Non è stato facile... I primi tempi è stato tremendo. Si è chiuso in se stesso e ci trattava tutti malissimo - sostanzialmente, come trattava te agli inizi del college, se ricordi. Poi la rabbia si è tramutata in dispiacere, e lì è stata ancora più dura, perché ci toccava consolarlo durante le crisi che aveva spesso... Poi ha conosciuto Jane, quattro anni fa. È stato come vederlo rinascere. È cambiato parecchio, da quando te ne sei andata. Non era la stessa persona. Finché non è arrivata lei, e non era più il Peter che viveva solo per il lavoro e non pensava a nient'altro. Ha ricominciato a vivere. È stata una ventata d'aria fresca..." enuncia Mike, schiarendosi la gola e guardandomi intensamente negli occhi a fine sproloquio.

Non so cosa dire, quindi rimango in silenzio, a occhi bassi, con un groppo che mi attanaglia la gola che già mi fa male di suo per colpa della febbre - ormai passata, però.

"Ti ha amata davvero, Celeste. E, per certi versi, io so che ti ama ancora" sancisce Lindsay, spezzando il silenzio assordante e riaccendendo un lume di speranza dentro di me.

"Ma tu devi avere chiare le tue intenzioni, prima di scombussolargli la vita per l'ennesima volta. Lo sai, questo, vero?" aggiunge Mike, serio e apprensivo.

"Sono venuta a riprendermelo, Mike. Costi quel che costi" decreto, determinata e irremovibile, facendo genuinamente sorridere entrambi.

×××

Il pub nel quale suonerà Peter stasera è particolarmente affollato, e per noi quattro non è per nulla facile riuscire a destreggiarci tra la folla e trovare un posto libero. Dagli stralci di conversazioni che siamo stati in grado di carpire, io e Colin ci siamo fatti l'idea che tutta questa gente sia qui non per vedere "Peter il musicista" ma "Peter il programmatore di applicazioni". Il che non so se sia positivo o meno, ma, se non altro, si è fatto pubblicità. Un cameriere ci scorta a un tavolo che Peter ci ha riservato proprio sotto il palco. Prendiamo posto e, neanche a farlo apposta, tutte le luci si spengono, e l'unica luminaria presente è un occhio di bue puntato dritto al centro del palcoscenico. La folla esplode in un boato di applausi, e Colin e Will si gasano a loro volta e incominciano ad applaudire con foga e a fischiare, facendo ridere di gusto me e Connie.

"Signore e signori, stasera abbiamo qui con noi un ospite molto importante - come ben saprete. E allora bando alle ciance, ed ecco a voi Peter Poole!" lo presenta una voce amplificata ma dal proprietario non identificato, visto che sul palco non c'è nessuno.

Applaudiamo tutti e Peter sale i gradini che lo separano dal palcoscenico con la chitarra in mano, sedendosi poi sullo sgabello al centro. Regola il microfono davanti a sé e sorride. Sta indossando una bandana. Una dannatissima bandana. È blu, e si intona ai jeans, mentre la T-shirt è bianca, ed evidenzia fin troppo il suo addome, lasciando invece scoperti i bicipiti. Ha un sacco di braccialetti colorati al polso destro e il solito anello argentato al medio della mano sinistra. Tamburella con l'indice di una mano sul microfono per verificare che funzioni e ridacchia.

"Buonasera! - e già solo al suo saluto parte un coro di urla da stadio - Stasera ho pensato di suonare... - prelude, ma si blocca nel momento in cui i suoi occhi incontrano i miei e io gli faccio un piccolo sorriso - Come non detto... Scusate, l'emozione - e ancora un applauso generale - Vi presento un mio inedito. Si intitola 'What We Were'. L'ho scritto un po' di tempo fa. Spero che vi piaccia..." si auspica, ma il pubblico gli dimostra con un festoso applauso che può anche cantare la canzone più scadente del mondo: loro apprezzeranno lo stesso solo perché si tratta di lui.

"Sai quanto ti ho amata. Se mai tu lo dimenticassi, sempre io ricorderò i bei momenti che vivemmo*" introduce, prima di iniziare ad accarezzare delicatamente le corde della chitarra.

Già il cuore mi è precipitato in picchiata nello stomaco dopo una cosa del genere. Se la sua canzone dovesse in qualche modo fare riferimento a noi due... Non so davvero come potrei reagire. Ci sono dei camerieri che passano ad accendere con degli accendigas le candele al centro dei tavoli, in modo da non essere proprio al buio, e io colgo l'occasione per ordinare a quello che si dedica al nostro un drink abbastanza forte da superare questa dannata serata.

"Was I the only one ready to fight for us?
(Ero l'unico pronto a combattere per noi?)
'Cause on my own I'm left in dust.
(Perché mi hai lasciato solo nella polvere.)
I remember what we were, do not you?
(Io ricordo cosa eravamo, tu no?)
'From airplane to butterfly' I've always told you.
('Da aeroplanino a farfalla' ti ho sempre detto.)
Now you took off and I'm still in fear
(Ora sei andata via, e io sono ancora impaurito)
I'm stuck on you, honey, and you're not even here.
(Tesoro, sei la mia fissa, e non sei neanche qui.)" la prima strofa è calma, pacata, e si percepisce tutta la sofferenza contenuta nelle parole che dice.

Alla menzione del nostro motto mi si sono fatti gli occhi lucidi, e mi sa che proprio non reggerò fino alla fine: ora ne sono più che convinta. Ha gli occhi chiusi mentre suona e canta, si lascia trasportare dalla musica, e si percepisce anche solo ascoltandolo, tutto il dolore che ha provato. Colin si gira a guardarmi con un'espressione preoccupata. Lo vedo con la coda dell'occhio, ma non sono capace di distogliere gli occhi da Peter.

"I gave you wings, so you could fly
(Ti ho dato ali per volare)
Never thought you'd go so far away.
(Non avrei mai pensato che te ne saresti andata così lontano.)
Did I do something wrong?
(Ho fatto qualcosa di sbagliato?)
Or have you done that all alone?
(O hai fatto tutto tu?)
You left me without a clue,
(Mi hai lasciato senza indizi,)
Standing there lonely and blue.
(Lì, in piedi, triste e solo.)" la seconda strofa è, invece, più movimentata, quasi aggressiva, come se racchiudesse in sé la rabbia che provava nei miei confronti per averlo abbandonato.

Io non ce la faccio. Mi è impossibile frenare le lacrime silenziose che mi scivolano sulle guance. Ma non mi sforzo nemmeno di reprimerle o di asciugarle. Non ho la forza di muovere un singolo muscolo.

"We were fire, we were rain,
(Eravamo fuoco e pioggia,)
Then we drowned in the ocean of our flames.
(Poi siamo affogati nell'oceano delle nostre fiamme.)
We were love, we were hate,
(Eravamo amore e odio,)
I believed, you had no faith.
(Io ci credevo, tu non eri fiduciosa.)
We were never and forever,
(Eravamo mai e per sempre,)
But, after all, together we were better.
(Però, dopotutto, stavamo meglio insieme.)" il ritornello è ancora più veloce della seconda strofa, Peter ha gli occhi serrati ed è quasi come si accanisse contro la chitarra, mettendo un'energia inimmaginabile in ogni sillaba.

"Maybe that is just how it goes,
(Forse è così che va,)
Sometimes you win, sometimes you lose
(A volte vinci, altre perdi)
Life's like a roller coaster,
(La vita è come una montagna russa,)
With her ups and downs, always running faster.
(Che corre sempre più veloce, con i suoi alti e bassi.)
But I hate the fact
(Ma odio il fatto)
I can't forget, even though I try so hard to.
(Che non riesco a dimenticare, anche se ci provo così ardentemente).

We were the same, but so different.
(Eravamo uguali, ma così diversi.)
Now we're apart, there's so much distance.
(Ora siamo lontani, c'è così tanta distanza.)
Between us it's always been like this,
(Tra di noi è sempre stato così,)
That you're everything I want and that I'll always miss.
(Che tu sei tutto ciò che voglio e che mi mancherà sempre.)
Thought you were my cup of tea, you belonged to me,
(Pensavo che fossi la mia metà, eri fatta per me,)
Now I'm left here alone, it's clear for me to see.
(Ora sono qui da solo, è chiaro per me da vedere.)

We were fire, we were rain,
(Eravamo fuoco e pioggia,)
Then we drowned in the ocean of our flames.
(Poi siamo affogati nell'oceano delle nostre fiamme.)
We were love, we were hate,
(Eravamo amore e odio,)
I believed, you had no faith.
(Io ci credevo, tu non eri fiduciosa.)
We were never and forever,
(Eravamo mai e per sempre,)
But, after all, together we were better.
(Però, dopotutto, stavamo meglio insieme.)

Was I your addiction?
(Ero la tua dipendenza?)
Or just a dirty satisfaction?
(O solo una sporca soddisfazione?)
I gave you love, you gave me pain,
(Ti ho dato amore, mi hai dato dolore,)
I guess that was all I could gain.
(Mi sa che era tutto ciò che avrei potuto ottenere.)
Now you're gone, and so am I
(Ora sei andata via, e così anch'io)
And what we were was just a stormy sky.
(E ciò che eravamo era solo un cielo tempestoso.)" l'ultima strofa è ciò che di più straziante possa esistere, e no, non c'è rimedio, al trucco completamente sciolto sulle mie guance, e al fatto che io stia a dir poco singhiozzando.

Colin si alza e viene ad abbracciarmi, e io do libero sfogo alle lacrime. Peter, dopo un assolo finale di chitarra, chiude la canzone e riapre gli occhi, lucidi, per poi puntarli nei miei. Persiste a fissarmi anche quando la folla fischia e applaude energicamente, infervorata. Nessuno dei due si muove. Colin si discosta da me e torna al proprio posto. Nessuno dei due è intenzionato a interrompere il contatto visivo. E ora? Cosa viene dopo, Peter? Cosa viene dopo Peter?

"It's hard to admit that
Everything just takes me back
To when you were there.
And a part of me keeps holding on,
Just in case it hasn't gone.
I guess I still care.
Do you still care?".

N/A

Boom, babies, Pete ha scritto un'altra canzone!

Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, che non faccia schifo, che non sia noioso, e che siate pronte e consce del fatto che mancano SOLO TRE CAPITOLI ALLA FINE. Mi viene da piangere, oddio. Ma lascio i papiri/poemi strappalacrime a quando sarà tutto finito.

Pensavo di scrivere una rubrica di curiosità sui personaggi, la storia in generale, su di me (ma su di me non c'è molto da sapere AHAHAH) o di #Ask, una volta terminata la storia. Fatemi sapere cosa ne pensate ;)

P. S. La poesia citata da Peter come introduzione alla canzone è tratta dal frammento 94 Voigt della poetessa greca Saffo, gentilmente consigliata dalla mia Shana_Allen ❤❤

Un bacio e a presto,

Rita x

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