2. The Scientist
"I had to find you, tell you I need you,
Tell you I set you apart.
Tell me your secrets and ask me your
Questions. Oh, let's go back to the start".
"Sei davvero sicura di volerlo fare? Non si torna più indietro, poi, eh..." mi avvisa, tremendamente serio, osservandomi intensamente negli occhi.
Assento con un cenno del capo, determinata, e gli passo la mollettina a forma di farfalla. La mette con estrema cura e accortezza nel suo piccolo portapranzo di latta con un disegno di Pikachu e altri Pokémon sopra. Dopodiché vi ripone anche il suo aeroplanino di plastica, e infine le due lettere: quella scritta da me e quella scritta da lui. Poi lo sigilla ermeticamente, lo riveste con interminabili strati di nastro isolante, e lo getta nella buca che abbiamo scavato insieme stamattina.
"Che hai scritto nella tua lettera?" lo interrogo, prendendo una manciata di terra tra le mani e buttandola nella fossa, iniziando a sotterrare la scatola.
"Ehi, è un segreto! Tu non devi sapere cosa c'è scritto nella mia e io non devo sapere cosa c'è scritto nella tua. Quando saremo abbastanza grandi, se ci ricorderemo di questa capsula del tempo, lo sapremo a vicenda" mi rimprovera, asciugandosi il sudore sulla fronte con il dorso di una mano, prima di aiutarmi e prendere un pugno di terra a sua volta.
"E se non ce ne ricorderemo? Se non saremo più amici?" gli domando, con un lampo di terrore negli occhi, agguantando altra terra, con il cuore che batte a mille, tanta è l'ansia di ricevere una sua risposta a questa domanda.
Smette di fare quello che stava facendo e mi guarda in viso, ma io rifuggo il suo sguardo. Allora mi pone un dito tutto sporco sotto il mento e mi incita, con tal gesto, a fissarlo. Ho gli occhi lucidi, e un cipiglio si fa spazio sul suo volto non appena se ne accorge. Si accorge sempre di tutto. Ma come cavolo fa? E perché l'unica cosa di cui non si rende conto è che non è solo amicizia, quello che voglio da lui? Io l'ho capito solo una settimana fa - mentre eravamo a casa sua, sul divano, seduti vicini, io con la testa sul suo petto e lui con un braccio attorno alle mie spalle; quando ho provato quel senso di sicurezza che sa infondermi solo lui; quando ho ardentemente desiderato di baciarlo -, che sono immensamente, profondamente, irreversibilmente innamorata di lui. E, sì, magari una ragazzina di dodici anni non può sapere davvero cosa sia l'amore. Ma, se dovessi spiegarlo a qualcuno, lo descriverei come quella sensazione. Quella che mi avvolge solo ed esclusivamente quando sono in sua compagnia.
"Celeste... Io non ti lascio andare, hai capito? Non ti libererai così facilmente di me" afferma, facendomi un occhiolino e sorridendomi.
Io ridacchio, sollevata, e tiro un sospiro.
"Accidenti... Quasi ci speravo, sai?" lo prendo in giro, assumendo una finta espressione dispiaciuta e sporgendo il labbro inferiore all'infuori.
Ride anche lui e riprende a scagliare terra sulla buca. Poco dopo mi do da fare a mia volta, senza poter impedire allo stupido sorriso che ho sulle labbra di abbandonarmi.
"Perché hai scelto di mettere quel fermaglio nella cassetta?" indaga, a un certo punto, quando la cavità è piena, sfregando le mani per rimuovere i residui più ingombranti di terriccio.
"Me l'hai regalato tu cinque anni fa" mi giustifico, scrollando le spalle e sorridendogli.
"Ti ho fatto tanti altri regali... Anche più importanti" considera, aggrottando le sopracciglia e alzandosi in piedi.
Siamo totalmente ricoperti di terra e polvere. Alle nostre mamme verrebbe un attacco di cuore, se ci vedessero in questo stato. Mi viene da ridere al solo pensiero delle loro possibili facce. Fortunatamente ci siamo messi comodi. Sarebbe stata una tragedia se avessimo usato i "vestiti buoni".
"Ma questo è quello al quale sono più affezionata - taglio corto, incrociando le braccia al petto e guardandolo con fare circospetto - E tu perché hai scelto quell'aeroplanino?" rigiro la frittata, incastonando gli occhi nei suoi.
Con quel ciuffo di capelli così lungo è quasi difficile vedergli gli occhi. Tra me e sua madre non so chi è quella che più gli fa pressioni per fargli tagliare i capelli. Ma è testardo come un mulo, c'è poco da fare.
"Tua mamma dice sempre che stavo giocando con quello, quando ci siamo incontrati - ammette, evitando i miei occhi e cominciando a raccogliere le pale e i nostri zaini da terra - Mi dai una mano o no?" mi incoraggia poi, con finto tono di rimprovero, sorridendomi.
"Certo che... Da aeroplanino a farfalla ce ne passa, eh..." osservo, levandogli di mano il mio zaino e mettendomelo in spalla.
Raccolgo il resto della nostra roba e lo sorpasso, avviandomi verso casa.
"Carino! Potrebbe diventare il nostro motto, sai? Vedi? Dopotutto non sei così inutile, tappa" si complimenta, raggiungendomi e affiancandomi, con un sorriso divertito ad aleggiargli sulle labbra.
"Non sono inutile! E nemmeno tappa! Abbiamo solo sette centimetri di differenza. E neanche si notano!" mi lamento, puntandogli un indice contro e piantando i piedi a terra, punta sul vivo.
"E pensa che i ragazzi si sviluppano in ritardo! Quando avrò vent'anni sarò un colosso in confronto a te!" si vanta, l'idiota, compiacendosi dei successi che madre natura gli ha concesso.
"Beh, io posso ancora crescere fino ai diciott'anni. Quindi ne riparleremo al college, tonno" ribatto, piccata, riprendendo a camminare e andandogli dietro.
"Non sono un tonno!" grida, offeso, ma quando mi si avvicina sta sorridendo tanto quanto me.
Mi risveglio con un allucinante cerchio alla testa e più stanca di quanto dovevo essere ieri sera. Erano secoli che non mi sbronzavo così. Cavolo, sto da cani. Sento le palpebre pesanti, il mio alito sa ancora di alcool, e ho dolori ovunque. Questo materasso è scomodissimo, diamine. Ho un mal di schiena incredibile. La luce del mattino, che presuppongo entri dalla finestra in fondo alla stanza, è accecante. E ho ancora gli occhi chiusi. Non ho la minima forza di alzarmi. Dopo il sogno che ho appena fatto, poi, non ne ho neppure la voglia. Non ricordavo neanche di quella "capsula del tempo" o di quella giornata. Tredici anni. Sono trascorsi tredici anni da quel giorno. È una vita, perdinci. Socchiudo un occhio, ma lo serro immediatamente poco dopo. Mi agito tra le coperte, sudata e accaldata, e realizzo che Connie non è nel letto con me. Litigo con le lenzuola e alla fine le scalcio via, sbuffando e mettendomi a sedere. Ma che fine hanno fatto tutti quanti?
"Oh mio Dio, è viva!" enfatizza Connie - con un tono che simula quasi liberazione -, facendomi sorridere, mentre ho ancora gli occhi chiusi e una mano sulla fronte.
Apro piano le palpebre e, dopo averle stropicciate, riesco a inquadrare la sua figura. È seduta sulla poltroncina, accostata al muro di fronte al letto, sul quale mi trovo io in questo momento. Ha un gomito poggiato su un bracciolo e una guancia posata contro le nocche della mano chiusa a pugno. Mi sgranchisco braccia e schiena e connetto gli occhi ai suoi, cercando di combattere il notevole giramento di capo che mi ha colpita da quando mi sono messa seduta.
"Hai un aspetto orrendo, tesoro, lasciatelo dire" sentenzia, inclinando di poco la testa da un lato.
Mugolo qualcosa di incomprensibile persino a me stessa e porto le ginocchia verso un fianco del letto, intenzionata a scendere.
"Io non lo farei, se fossi in te. Per fortuna siamo riusciti a evitare che rimettessi, stanotte. Non vorrei che lo facessi proprio ora che ci sono solo io" mi confessa, ridacchiando e accavallando le gambe.
La mia situazione critica sembra divertirla. Ho la gola secca, e avrei davvero bisogno di bere, ma sono così stanca e provata, da non essere in grado di formulare neanche le frasi più semplici. La testa mi fa malissimo, dannazione, e non ricordo nulla di quello che è accaduto da quando ho incontrato Carl in poi. Bello schifo.
"Dove sono quei due?" è la prima cosa che riesco a dire e pensare, con la voce roca e impastata e la mente annebbiata.
Lei sorride teneramente e si mette in piedi, per poi recarsi in bagno, riempire d'acqua uno dei due bicchieri di vetro sul lavandino e portarmelo. Ha grandemente ignorato la mia domanda.
"Cosa preferisci per colazione? È un po' tardi per andare a farla di sotto, per cui dovrei in ogni caso appellarmi al servizio in camera" inquisisce, organizzativa, avvicinandosi al telefono fisso sul comodino al lato sinistro del letto e impugnando la cornetta.
Le do indicazioni per qualcosa di semplice e non troppo sostanzioso: non sono del tutto certa che il mio stomaco reggerebbe, in tal caso. In seguito mi faccio mentalmente forza e scendo dal letto, procurandomi un breve e piccolo capogiro, che fa sì che debba sorreggermi alla parete dietro la testata. Lei studia attentamente ogni mio movimento, tenendomi sotto controllo dalla sua postazione, mentre digita dei numeri sulla tastiera. Mi stropiccio gli occhi e stabilisco che ho bisogno di una grossa e lunga doccia. Magari evitando di lavare i capelli, siccome già soltanto ieri mi sono ridotta a sciacquarli due volte: la prima dal parrucchiere e la seconda rientrati da mare. Schivo accuratamente lo specchio, per non avere traumi a prima mattina, e, spogliata, mi ficco direttamente nel box doccia. Sotto il getto di acqua tiepida, passandomi delicatamente il bagnoschiuma su tutto il corpo, ripercorro gli eventi di ieri sera. Ho effettuato il back-up dei dati dal mio cellulare sul PC di Colin; ho trovato quelle foto di me e Peter e sono stata sommersa dalla nostalgia; Connie ha avuto la (s)fortuna di capitare proprio in quel momento e ha decretato che avevo bisogno di una bella sbronza; abbiamo aspettato che Colin e Will fossero pronti e ci ha portati in un locale, che solo dopo una mezz'oretta e qualche cocktail ho riconosciuto come il Billy & Denny's; ho cercato Carl con gli occhi, l'ho trovato e l'ho avvicinato; abbiamo parlato a lungo... Di cosa abbiamo parlato? Chiudo le palpebre e mi impongo di concentrarmi, ma il mal di testa alquanto insistente non aiuta per nulla. Credo che mi abbia chiesto come stessi, probabilmente anche cosa ci stessi facendo lì e... Ah, ha nominato Peter. Sì, ho avuto un altro crollo emotivo e si è offerto di ascoltarmi e di prepararmi qualche drink. Sono rientrata tardi, mi ha accompagnata in albergo e mi ha lasciato un biglietto. No, non era un foglietto con il suo numero sopra... Era un indirizzo. Perché mai avrebbe dovuto darmi un indirizzo?
"Oh, per la miseria!" grido, sconvolta, quando sono in grado di rielaborare tutte le informazioni.
Spengo rapidamente il getto d'acqua - e per poco non scivolo sulle piastrelle bagnate mentre esco dalla doccia -, mi avvolgo nel primo telo che ho a disposizione e mi catapulto letteralmente fuori dal bagno.
"Connie, chiama subito Colin e Will, dobbiamo..." preludo, confusa e con la testa che sta per scoppiarmi, ma mi fermo quando realizzo che sono entrambi già qui, e che è arrivata anche la mia colazione.
"Andare immediatamente a Chicago? Già lo sappiamo. Siamo stati giù nella hall al computer a organizzare questo fino a circa cinque minuti fa" mi delucida Colin, addentando una fetta di toast presa dal mio vassoio.
Con la bocca semiaperta, gocciolante e con un asciugamano che a stento mi copre il sedere, lo guardo interrogativa, cercando di capire come diamine abbia fatto a capirlo, se io stessa l'ho appena riportato alla mente.
"Ieri sera sei piombata qui dentro urlando: 'Sono una palla! Una piccola pallina tonda tonda!' ed eri molto allegra. Poi ci hai detto di Chicago e di quello che ti ha riferito il tuo amichetto, consegnando a un Colin molto irascibile e assonnato il pezzo di carta con l'indirizzo" mi illustra Will, agguantando a sua volta una mia fetta di toast.
"Stamattina abbiamo appurato che da qui a Chicago sono undici - quasi dodici - ore di macchina, e statuito che spezzeremo il viaggio: oggi arriveremo fino alle Cascate del Niagara - Canada, baby! - e faremo una bella gita - Will ha già prenotato i biglietti, e, a proposito, ci devi i tuoi novantuno dollari -; domani proseguiremo fino a Chicago e a quell'appartamento. Abbiamo anche trovato il nome dell'azienda presso la quale ha fatto quello stage che menzionava l'articolo, nel caso in cui quell'abitazione dovesse rivelarsi un buco nell'acqua" conclude Colin, pulendosi le mani e le labbra dalle briciole con un fazzolettino - sempre preso dal mio vassoio.
Stordita dalle numerose notizie accumulate, mi appoggio a uno dei braccioli della poltrona sulla quale prima era seduta Connie e mi ci accomodo, incredula.
"Voi siete matti" attesto, sorridendo come una stupida, grata del fatto che siano davvero disposti a commettere follie di questo tipo solo per aiutare me.
"Sì, sì, le smancerie dopo. Datti una mossa, ché quelle sei ore e mezza non si accorceranno di certo magicamente, se perdi tutto questo tempo" mi incita Connie, fattiva, incominciando già a radunare le proprie cose e a riporle nella sua valigia.
×××
Le cascate sono state... strabilianti. Davvero. Erano stupende, e non credo esistano parole a sufficienza per descriverle. Abbiamo preso parte a un tour panoramico guidato di quattro ore in autobus, siamo saliti su un battello e, armati di impermeabili e ombrelli, abbiamo potuto ammirare il salto d'acqua da vicinissimo e potuto fare una serie di fotografie artistiche e autoscatti idioti. Il vaporetto ci ha anche portati in una grotta, e abbiamo visitato così tanti posti - panoramici e non -, che quasi mi domando come sia stato possibile che tutto ciò si sia verificato oggi e sia terminato solo qualche ora fa. Ora siamo sulla spiaggia annessa al Bed & Breakfast che ha prenotato Will a Buffalo, e Colin si è incaponito e vuole per forza accendere un falò con i cartoni delle pizze che abbiamo da poco consumato. Si è fatto prestare un accendino da una coppia di fidanzatini a qualche metro da noi e, con Will a dargli una mano per fare in modo che il vento non rovini il suo operato, sta cercando di appiccare il fuoco. Io sono seduta con Connie un po' in disparte, a prendere piccoli sorsi da una bottiglia di birra. Si è nuovamente rifiutata di bere, e sono arcisicura che qui gatta ci cova, ma prendo la saggia decisione di non insinuare niente senza sapere. Il leggero vento fresco mi scuote i capelli, l'umidità me li ha gonfiati un po', ma poter osservare il lento movimento delle onde è molto rilassante, e dissolve tutto il resto. Mi focalizzo sul suono dell'acqua e chiudo gli occhi, stringendo le ginocchia al petto per ripararmi dal freschetto.
"E lui chi è?" indaga Connie a un certo punto, risvegliandomi dai miei pensieri e facendomi di conseguenza riaprire gli occhi e puntarli su di lei.
Colin, intanto, più in là, sta lanciando bestemmie di ogni genere, perché il fuoco non ne vuole proprio sapere di accendersi, mentre Will ride di gusto assistendo alla scena.
"Lui chi?" chiedo, senza capire, seguendo il suo sguardo, diretto verso l'orizzonte.
È una notte senza stelle. O, meglio, le troppe luci e le nuvole rosse - avanzi del tramonto - presenti impediscono di vederne. Poco fa ero addirittura convinta di aver visto una stella cadente, ma con ogni probabilità si trattava di un aereo, mi sa.
"Il ragazzo della collana con la quale giocherelli spesso quando sei sovrappensiero. Quello del tatuaggio. Quello che state cercando. Quello a cui, presuppongo, tieni così tanto da convincerti a compiere questa pazzia" chiarisce, voltandosi a fissarmi, con un sorriso che sembrerebbe dispiaciuto in viso.
Sospiro e mi strofino le braccia, tutto a un tratto ricoperte di pelle d'oca.
"È una lunga storia..." minimizzo, grattandomi nervosamente - a disagio - la pelle del polso destro, all'altezza del tatuaggio.
"Non ho in programma di andare da nessuna parte, tanto..." mi rassicura, ammiccando e sorridendo con onestà.
"È il mio primo amore, Connie" confesso dopo un po', affranta, per qualche strano motivo incapace di parlare al passato.
Mi giro a guardarla, e mi sta rivolgendo un sorriso consapevole, ma non ho il tempo materiale di proseguire nel racconto, perché Colin è riuscito a far scottare Will con quella piccola fiamma che era stato in grado di provocare, e siamo obbligati a correre subito in camera a medicarlo. Non so come avrei continuato il racconto. Riflettendoci, però, non avrei potuto trovare parole migliori per riassumere Peter. È il mio primo amore. Il primo che mi abbia mai fatto battere il cuore e desiderare quasi di rinunciare all'indipendenza e alla libertà che rivendico da quando ne ho memoria. A volte mi capita di chiedermi se sia meglio dare o ricevere amore. L'altra sera c'era un tizio in Tv che teneva un programma stupido. Una cosa che ha sostenuto, però, mi ha lasciato molto perplessa: non è amore, se non ricambiato; è infatuazione, e quella è una cosa diversa. Non sono propriamente d'accordo. Anzi, magari i grandi amori sono proprio quelli a senso unico. Che vuole saperne, lui? Nessuno dovrebbe ritenersi tanto presuntuoso da attestare di saper definire l'amore. L'amore non ha definizioni: l'amore è. E non è questo che lo rende così bello agli occhi di chi ne sogna uno? Di amore che fa battere forte il cuore e tremare le ginocchia?
×××
"Ci siamo, dovrebbe essere questa qui" constata Will, davanti a una porta di legno scuro che riporta sopra il numero "10" laccato in oro.
Ho il cuore in gola, le gambe molli e il fiato corto. La mia spina dorsale è percorsa da una serie di brividi. Prendo un profondo respiro e suono il campanello. L'anta si apre qualche minuto dopo, lasciando comparire un uomo di mezza età sulla soglia, con i capelli mossi e scuri lunghi fino alle spalle e una barba rada in viso. I piccoli occhi marroni ci squadrano con circospezione.
"Se siete qui per vedermi qualcosa, sappiate che non compro niente!" ci avvisa, facendo per richiudere la porta.
"No, no, un secondo! Non siamo qui per questo. Cerchiamo un certo Peter Poole. Non è che sa dirci dove trovarlo?" esclamo tutto d'un fiato, istintivamente, bloccando il battente con una mano e mantenendolo spalancato.
I suoi occhi si illuminano, e si apre in un sorriso radioso, prima di rabbuiarsi. Vengo assalita dall'ansia e il cuore riprende a palpitarmi all'impazzata.
"Perché non l'avete detto subito? - ci sorride allegramente, per poi farsi serio - Purtroppo ci ha lasciati due anni fa" ci confida, sconsolato, abbassando lo sguardo.
Per poco le gambe non mi sorreggono più. Will ha la mascella a terra, per quanto ha aperto la bocca. Colin ha gli occhi fuori dalle orbite e Connie è scettica e sospettosa. Io non percepisco più niente. Sono entrata in una sottospecie di stato catatonico.
"Lasciati...?" prende lei in mano la situazione, interrogando il tizio ancora senza nome.
"Sì. La signora del piano di sopra era a pezzi: ripete in continuazione che era un ragazzo d'oro e che è stata una grande perdita. Più che altro è che nessuno se l'aspettava. È successo così, all'improvviso. E poi era su tutti i giornali. Mi meraviglia che non lo sappiate" pondera, pensieroso, posando a turno gli occhi su ognuno di noi.
Sotto shock, mi copro la bocca con le mani e gli occhi mi si inondano di lacrime. Mi inginocchio a terra perché mi cedono le gambe, e per qualche momento smetto proprio di respirare.
"Su tutti i giornali?" inquisisce Colin, sconvolto e con un'espressione inspiegabile in volto.
L'uomo annuisce, con aria grave, e io per poco non mi sento male. Non mi viene neanche da piangere, perché il mio cervello si rifiuta di credere a quello che le mie orecchie stanno recependo.
"Ma... non può essere... Non può essere... morto" Will ragiona ad alta voce, e sentirglielo dire non fa che rendere tutto più reale.
La sua domanda è l'ultima cosa che sento, prima che tutti i suoni diventino ovattati e il rumore dei miei singhiozzi disperati annulli tutto il resto.
"Nobody said it was easy. It's such
A shame for us to part. Nobody said
It was easy, no one ever said it would
Be this hard.
Oh, take me back to the start".
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