9. La battaglia del pianerottolo

Passare in libreria nell'intervallo tra la lezione del mattino e quella all'università magica era stata una buonissima idea. Era riuscito a trovare il libro che stava cercando senza trovare la solita fila alla cassa, ma, cosa più interessante, nessuno l'aveva visto scartabellare tra i titoli della sezione di storia per almeno venti minuti. Nessuno andava mai in quella sezione e poteva immaginare il perché. Nessuno di quelli era un libro per i corsi della Politecnica, e i principali visitatori erano proprio gli studenti. Per di più un libro come quello che aveva appena comprato avrebbe trovato pochissimo pubblico in qualsiasi libreria. La copertina era monocroma di un viola acceso con un riquadro bianco a contenere il titolo: Breve storia della magia a Mediterra. Aveva cercato qualcosa di simile in rete il giorno prima ed era stato felice di scoprire che era immediatamente disponibile in negozio. Al momento si trovava impegnato a fissare un foglio di giornale alla copertina con il nastro adesivo, cercando di rovinarlo il meno possibile. Si sentiva un po' come un ladro, ma aveva le sue ottime ragioni. Il clima dopo gli avvenimenti della settimana precedente era teso e aveva paura di cosa potesse succedere al libro se l'avesse portato in giro senza adeguata protezione. Fissato l'ultimo angolo guardò soddisfatto il proprio lavoro. Non vedeva l'ora di tornare a casa, sdraiarsi sul letto coi gatti accanto, mettere su un po' di musica e leggere. Magari prima sarebbe andato a fare una corsa. Giusto per non perdere le buone abitudini. Ma anche imparare di più sulle streghe doveva essere una buona abitudine. Raramente ricordava un altro momento in cui si era sentito così ignorante e stupido come durante la prima lezione del corso e, come sempre, questo aveva smosso in lui il suo istinto base: mettere le mani su libri e fonti per mettere assieme una base solida di conoscenze. Se poi pensava che la maggior parte di quelle cose avrebbe dovuto studiarle comunque alle superiori, ma per decisione di qualcuno questa cosa non era stata fatta... Avrebbe iniziato con questo ma aveva già in mente di chiedere in prestito a Kizia qualche libro. O anche solo dei titoli.

I suoi pensieri furono interrotti da una forte pacca su una spalla che lo fece saltare sulla sedia, spaventato. Chiuse il libro di scatto, come se temesse che le parole potessero in qualche modo suggerire cosa stesse leggendo. "Coinquilino, che fai?"

"Ciao Enea. Niente, aspetto che sia ora di andare"

"Andare dove? Ah giusto, hai lezione con le streghe. Quand'è che le inviti di nuovo? Sono simpatiche" disse il ragazzo sedendosi accanto a Cato.

"Non lo so, mi piacerebbe fare un'altra serata come quella che abbiamo fatto, ma senza tutto il disastro in cucina. Anche solo magiare una pizza. Potrebbe venire anche Valeria" avanzò. Enea annuì. Lui e Valeria erano coppia fissa dai tempi della seconda superiore e non mancava mai di farlo presente ogni volta che si parlava di loro. Quando si era trasferito nell'appartamento e aveva scoperto la cosa, ricordava di non essere riuscito a trattenere l'invidia. Il modo in cui Valeria guardava Enea, che pure non aveva un fisico da gladiatore e non sarebbe mai passato per un legionario, era come se lo vedesse ogni volta per la prima volta.

"Cos'è che leggi?" chiese Enea prendendogli direttamente il libro di mano. "Ma è un manuale di storia, perché l'hai ricoperto?"

"L'atmosfera è tesa, non vorrei qualcuno me lo rovinasse".

"Comunque io a voi cittadini non vi capisco. Io sarò anche un cretino dalla campagna ma dalle nostre parti le streghe sono perfettamente integrate. Hai una mucca che non riesce a partorire, chiama uno strigo."

"In città non abbiamo mucche da far partorire" commentò Cato in tono neutro. "E la cosa più assurda è che tu sia una delle poche persone che conosco a pensarla così".

"Se era un complimento ci hai messo davvero poco cuore nel dirlo". Poi lasciò il libro sul tavolo dritto davanti a Cato. "Basta che non sia come quando ti sei appassionato di psicologia e hai invaso la casa di libri che ora sono lì a prendere la polvere".

"No, non è vero che prendono la polvere. Tu li pulisci tutte le settimane".

"Non era quello che intendevo, ma d'accordo. Non approfittare delle pulizie gratuite. Ringrazia gli Dei di avere un coinquilino meraviglioso".

"Tutte le volte. Però non ringrazierò questa settimana se mi fai arrivare in ritardo".

Enea guardò l'orologio e scosse la testa. "Arriveresti comunque con largo anticipo. Sicuro che non vuoi arrivare in anticipo per una delle streghe? Tipo quella bionda?"

"Chi? Kizia? Per favore, non iniziamo con la storia di Parlate e siete carini, dovete per forza star sviluppando sentimenti l'uno per l'altra". Fortunatamente Cato vide che Enea non sembrava essere particolarmente infastidito dal verso che aveva appena fatto di lui. Anzi. Enea non si scompose sorrise e lo guardò fisso. "Non mi prendere per cretino, lo so che non funziona così. Fino a prova contraria, a differenza di Livia e Ibrahim e dell'altro pesce lesso, sai benissimo che io non scherzerei mai su quest'argomento. L'ho detto semplicemente perché si vede che ci vai d'accordo. Se poi mi vuoi dire che è solo la nascita di una meravigliosa amicizia, altrettanto bene". Disse queste parole con la semplicità di chi la vita la capisce da un punto di vista così limpido che faceva sembrare tutti gli altri fumosi e incerti. Enea aveva una mente rigorosa, semplice e soprattutto aperta. Non l'aveva mai fatto sentire fuori luogo. Al massimo pigro, dato che era una persona estremamente attiva a differenza sua, ma non sbagliato e soprattutto non una vergogna per l'idea dell'uomo latino per eccellenza. Avrebbe voluto dire che era una cosa diffusa, ma no, avere un coinquilino così non era comune. Pensò solamente a Livia, a quanta fatica faceva a rimanre in appartamento, e ripensò a casa sua. A quanto idealmente non gli mancasse e quanto si sentisse a casa nel suo appartamento anni Settanta con le finiture del bagno evidentemente da vecchia signora.

"Hai altre perle di saggezza per me, prima che io vada incontro al mio destino?"

"Niente. Solo che ti vedo bene ultimamente".

"Mi sento bene. Davvero non avrei niente di cui lamentarmi"

"Proprio per questo ho detto prima della strega. A volte è proprio il momento giusto... e sì, ho notato l'occhiataccia". Fece un gesto da cucitura sulle labbra e sorrise muto. "Non dirò più una parola sull'argomento ad anima viva. Tranne a Valeria, ma perché me l'ha chiesto lei in primis".

"Lei può sapere tutto quello che vuole. Anzi, salutamela tanto"

Si scambiarono una veloce pacca sulla spalla e Cato uscì dall'ateneo, libro in mano e zaino in spalla. Fece di corsa gli ultimi metri per riuscire a salire sul tram e una volta su osservò la città scorrere dai finestrini. La carrozza partì lemme lemme sui binari fino a prendere abbastanza velocità tra trasformare in strisce colorate il verde degli alberi nei viali. C'era la metropolitana, sì, ma il tram rimaneva il modo in cui più apprezzava girare per la città. Si sedette su una delle panche di legno vagamente inclinate e si mise a leggere qualche pagina, giusto prima di scendere, otto fermate dopo, in Piazzale dell'Onore alla Patria. Un nome pomposo per quattro panchine piantate su una rotatoria con in mezzo una statua di Afrodite senza naso. Da lì non poteva vedere l'ingresso principale, che era dall'altro lato dell'edificio, ma solo quello secondario, fuori dal quale si vedevano due figure allungate, una vestita di bianco con i capelli lunghi e una vestita di nero senza capelli. Entrambe si girarono vedendo arrivare qualcuno e lo salutarono da lontano. Il sorriso gli sorse spontaneo in faccia: era genuinamente felice di rivederle e non vedeva l'ora di mostrare loro il suo ultimo acquisto letterario. Chanej portava, come al solito, il cappello a punta da strega e sembrava sparire nel grosso cappotto di lana che aveva sostituito il suo giubbotto di pelle una settimana prima. Attorno alla testa di Tibu danzavano delle api. Non era allergico e non gli facevano paura le api, ma l'idea che quelle api fossero in realtà un qualche spirito millenario non lo lasciava del tutto tranquillo.

"Buongiorno Cato" lo salutò eterea Tibučin. "Sento molta energia positiva provenire da te oggi". Sorrise eterea, fin troppo anche per i suoi standard.

"Buongiorno!" rispose. "Tutto bene?"

"Nel caso non te ne fossi accorto, Tibu ha fatto la sua sessione di caricamento e pulizia spirituale ieri sera" rispose Chanej accennando a Tibu che sembrava esserci ma non proprio del tutto.

"È solo un effetto collaterale. Ci sono perfettamente con la testa".

"Sì, confermo – disse Chanej – Prima che tu possa pensare male, è davvero un effetto collaterale sentirsi un po' leggeri di testa dopo una pulizia spirituale. Nulla di psichedelico, sia chiaro, ma ti fa sentire come se improvvisamente avessi troppo spazio in testa".

"E quanto dura questo trip?"

"Circa dodici ore. E otto le ha già passate dormendo, dovrebbe essere agli sgoccioli prima di tornare normale".

"Non vi preoccupate per me, ci pensa Brad a tenermi d'occhio" le api risposero alla chiamata in causa posandosi tutte su di lei, qualcuna sulla borsa e un paio sulla sua guancia, piccole guardiane gialle e nere molto feroci, ma molto carine. Chanej accennò all'ingresso e tutti e tre si avviarono all'interno. Cato non poté fare a meno di notare i fogli con le indicazioni appesi lungo in corridoio, muniti di frecce e scritte trilingui.

"Ci sopravvalutate, se pensate che questo tipo di indicazioni siano utili" disse Cato accennando a uno di quelli. Chanej sorrise e indicò un altro cartellone appeso molto più avanti dove, solo tre settimane prima, aveva fatto la sua comparsa il foglio con l'elenco dei partecipati al seminario nella loro fascia oraria. Si avvicinò abbastanza da poter leggere quanto scritto e contare tutte le piccole bandierine che era certo di non aver mai visto in vista sua durante una lezione di geografia. "Vi date da fare come comunità magica, sembra una cosa molto carina. Da dove vengono quelli che sono qui adesso?"

"C'è scritto" gli rispose Chanej indicando il nome in grassetto sul cartellone. "Dalla comunità di Nafarroa".

"Che continuo a non avere idea di dove si trovi".

"È più nota col nome Navarra, una delle Comunità Unite Iberiche" rispose Tibu muovendo una mano. Due api si levarono in volo e andarono ad appoggiarsi a una delle bandierine che decoravano il bordo, rossa con uno stemma fatto a spicchi da una catena d'oro. Non l'aveva mai visto prima ma iniziava a sospettare che quella che per loro era una comunità non fosse veramente un'unità amministrativa. "Ma è una comunità magica. Nel senso, tutte queste bandiere io non le ho mai viste".

"Bhe, sì. È uno scambio tra le comunità magiche riconosciute, quindi usiamo le nostre bandiere".

"Anche Mediterra ha una bandiera della comunità magica?"

"Sì e no. Ci arriveremo presto al corso mi sa, è una questione annosa. Di fatto sì, ma non la usa nessuno e non viene particolarmente percepita come questo gran simbolo di unità. Abbiamo altri simboli".

"La luna su campo viola?" disse Cato indicando una delle spille fissate sul cappotto della strega. Ce n'erano quattro attaccate, e una era uno spicchio di luna su un campo viola acceso. Chanej sollevò il bavero per mostrarle meglio. "Sì, simbolo non ufficiale della gioventù magica di Mediterra. È più un legame di appartenenza che qualcosa di sancito da un documento".

"Come è giusto che sia per ogni simbolo. Noi non abbiamo nessun simbolo della gioventù umana"

"Vi date molto più per scontati rispetto a noi, penso. Oltre che per ragioni storiche, ovviamente" disse, prima di aprire la porta che portava alle scale, per salire al terzo piano.

"Immagino che, percependoci come normali non vediamo nessun motivo per concepirci come unità, legati da interessi comuni. Che ora che ci penso è l'intero problema della classe politica odierna".

Tibu fece cenno di stare zitti non appena sentì la parola politica. "No. No. Niente politica fino almeno alle quattro di questo pomeriggio. Stasera ho una riunione gigantesca che probabilmente mi infangherà l'aura per le prossime due settimane. Non voglio nemmeno pensarci".

Cato alzò le mani in segno di resa ridacchiando, ma notò lo sguardo sollevato della ragazza al vedere che davvero non intendeva aprire l'argomento. Intuì come mai si fosse sottoposta alla pulizia spirituale. La campagna elettorale doveva aver ingranato una marcia non esattamente rilassata. Ormai era abituato a vedere Tibu sempre di corsa tra una lezione e una riunione con questo o quel rappresentante di dipartimento, ma era da stupidi pensare che fosse sempre stato così. Probabilmente era una novità dell'ultimo anno. Si chiese come doveva essere stata Tibu prima di questa grande decisione che indubbiamente rappresentava una pietra miliare nella sua vita. Si chiese come dovevano essere state tutte loro, prima di conoscerle, e si rese conto di quanto poco sapesse in realtà di loro, e loro di lui. Di quanto fosse tutta una questione di fiducia nella comprensione dell'altro, un salto nel buio. Il rischio di convincersi di conoscere tutto di una persona, solo per averci passato un po' di tempo assieme... quando invece sotto c'era un mondo intero. Arrivarono al terzo piano ed entrarono in corridoio, anche questo addobbato con vari festoni di bandierine all'ingresso della biblioteca, dove, tuttavia, non aveva mai messo piede. Guardò Chanej, impegnata a rispondere a un messaggio sul cellulare, e si chiese anche lei, come fosse stata. Se la ricordava coi capelli di due colori e il trucco pesante, ma non poteva essere tutto lì. Ci doveva essere stata una Chanej prima del rossetto scuro e gli occhi truccati, prima delle spille e delle borchie. La testa rasata era già molto più piena di capelli di quando l'aveva incontrata alla prima lezione del seminario, e si iniziava a intuire il loro colore naturale castano molto scuro, quasi nero. Sorrise tra sé e sé, anche lui era molto diverso da soli tre anni prima. Era più magro, più ordinato, più sicuro di sé, completamente diverso dallo studente del quinto anno di superiori con un vago problema di acne persistente e grandissime speranze per l'università. Ora era lì a vivere le sue stesse speranze in un modo sorprendentemente buono, rispetto a quanto si sarebbe aspettato. Ma anche loro dovevano aver avuto delle aspettative, dei sogni. Si sentì improvvisamente curioso di sapere tutto.

"Perché mi stai fissando?".

Si rese conto di essersi imbambolato fissando Chanej che scriveva al telefono. "Nulla, mi ero imbambolato" si affrettò a dire, sentendo il sangue che gli scaldava improvvisamente le guance dall'imbarazzo. Chanej non sembrò dare affatto peso alla cosa. "Kizia arriverà giusto per l'inizio della lezione, doveva andare a colloquio con una professoressa".

"Pallia?"

"Penso stia arrivando. Anche gli altri, dove sono?" chiese Tibu, seduta su una delle sedioline fuori dall'aula. Cato controllò il telefono e vide che non c'erano messaggi. Se conosceva bene i suoi polli probabilmente erano in arrivo tutti assieme. E infatti non passarono due minuti che Ibrahim arrivò assieme a Livia, Adriano e Pallia, questi ultimi inaspettatamente impegnati a parlare fitto fitto come se fossero impegnati a organizzare un colpo di stato.

"Buongiorno", salutò Cato.

"Ciao!" salutò Adriano, stranamente sorridente e pimpante. Generalmente aveva quella faccia solo dopo aver preso un voto insperato a un compito o esame. Prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, fu Pallia a farsi avanti. "Allora? Come state? Ripresi dal dramma di ieri?"

Chanej annuì e si tolse lo zaino per togliersi il cappotto. Rispetto all'esterno, dentro l'edificio regnava il classico caldo secco dovuto ai vecchi impianti di riscaldamento. "Ho scritto a Kizia questa mattina" disse Livia. "Non mi ha ancora risposto, però le ho chiesto scusa".

"È stata una situazione spiacevole per tutti. Questo non giustifica nessuno, ma non penso ci sia niente di male ad ammetterlo", concluse Pallia, appoggiando una mano sulla spalla di Livia. D'altronde, Pallia non era stata presente ieri e non aveva assistito al breve momento di tensione, ma poteva immaginare che Kizia avesse raccontato tutto alle sue amiche. Ibrahim si mise a parlare fitto fitto con Pallia e Tibu gli si avvicinò. Lo sguardo trasognato era già meno evidente di prima. "Tu hai una macchina per caso? Qui a Mediterra".

A Cato sembrò una domanda strana, ma comunque non ne aveva una a disposizione. "Il mio coinquilino ne ha una. Ma non so se me la presta".

"Fa niente, non ti preoccupare. Chiederò agli altri"

"So che Ibrahim ha la macchina qui. Se vuoi puoi chiedere a lui, anche se dipende quanto lontano devi andare".

"Non tanto, più altro lì i mezzi di sera non arrivano. Alle 21 questa sera c'è il primo incontro di tutti i rappresentanti delle diverse università e io ci devo andare assieme agli altri candidati, e penso preferirei andarci a piedi piuttosto che farmi accompagnare in macchina da Apter o Leviantina".

Cato non aveva presente chi fosse la seconda, ma aveva un vivissimo ricordo dello scimmione con la camicia viola che aveva preso a pugni Chanej. "Secondo me se glielo chiedi non ci sarà alcun problema, è un tipo disponibile. Se vuoi glielo chiedo io".

"No no, davvero ti ringrazio" rispose lei sorridendo. Non fece però in tempo ad avvicinarsi a Ibrahim per fargli la domanda che si sentì un botto, come qualcuno che cade, dall'altro lato del corridoio, oltre l'angolo. Cato tese le orecchie e vide che tutti si erano girati improvvisamente dal lato del rumore. Subito dopo il botto si alzarono delle voci, troppe per distinguerle chiaramente.

"Cosa sta succedendo?". Una testa di una professoressa spuntò da una delle aule e guardò interrogativa tutti loro. Cato rispose al suo sguardo confuso con un'occhiata altrettanto confusa, mentre Ibrahim e Pallia andavano a controllare. Li seguì. Oltre una breve scalinata che dava su un grosso pianerottolo quadrato si aprivano due porte della stessa aula. Una era aperta e da lì stavano uscendo di corsa, con le cartelle e le giacche sulla testa, degli studenti che Cato riconobbe subito come umani. Erano i ragazzi che si erano iscritti come loro allo scambio culturale, e anche se non ci aveva mai scambiato più di qualche parola lo stomaco gli si chiuse con una morsa vedendo cosa stava succedendo. Due streghe erano in piedi sui banchi con le mani tese mentre da terra uno strigo stava lanciando qualcosa contro di loro che rimbalzava sulle cartelle. Uno di quei piccoli corpi rotondi rotolò giù dalle scale e finì accanto al piede di Adriano che lo calpestò immediatamente d'istinto spegnendolo. Era un piccolo carbone incendiato.

La professoressa, che li aveva seguiti, assieme a tutta la sua classe di ragazzini del primo anno, lo spinse per passare davanti a tutti e cercò di dire qualcosa, ma le urla degli strighi che si stavano accanendo contro gli studenti erano troppo forti. Mosse le mani per cercare di fare qualcosa ma uno dei carboni le atterrò tra i capelli che iniziarono a fumare. Subito adriano, che aveva la sciarpa in mano iniziò a gridare e a colpirle la testa con la sciarpa per spegnere il fuoco. In meno di due secondi, prima che Cato potesse mettere tutte le cose che stavano succedendo una dietro l'altra, l'intero piano era nel caos. Gli passarono accanto due ragazze della Politecnica, con i vestiti coperti di macchie scure. Una fu però trascinata indietro da qualcosa che si attacco alla caviglia facendola inciampare. Una striscia nera, come una cravatta che strisciava per terra, le si arrotolò attorno al polpaccio, salendo poi verso la faccia. Livia si sporse cercando di togliere qualsiasi cosa le si stesse arrampicando addosso, ma la striscia nera aprì la bocca e sibilò e Livia si ritrasse con un grido inorridito.

"Raccogliete quello che seminate!" gridò uno strigo dal piccolo esercito che si era formato subito fuori dalla classe. Il professore era in piedi dietro di loro ma Cato poteva vederlo tranquillamente. Non stava facendo nulla per cercare di fermare i suoi stessi studenti.

Mentre Pallia si gettava a staccare la biscia dal collo della ragazza, Cato intravide una strega mettersi davanti a uno degli umani tenuti fermi dagli strighi e soffiargli qualcosa in faccia. Delle piccole palline nere gli si appoggiarono sul viso e Cato trattenne un conato al vedere che ai puntini crescevano delle zampe e iniziavano a muoversi tremendamente simili a dei ragni. Chanej lo prese per un braccio e lo tirò indietro facendo passare quello che gli sembrò un mastino, che l'avrebbe preso in pieno. Il cane andò a inseguire uno degli umani riuscito a fuggire. Lo atterrò ma Cato era fu abbastanza vicino a prendere il cane per il collare e tirare all'indietro. L'animale guaì e poi ringhiò. Le pupille rosa acceso dell'animale gli fecero capire chiaramente che non era stata una mossa geniale. Il famiglio avrebbe certamente attaccato se non fosse stato per un ronzio insistente che si levò nell'aria e si mise tra loro due. Le api di Tibu non gli sembravano così spaventose, ma il mastino sembrava non essere d'accordo dato che continuò a ringhiare ma si ritrasse verso l'angolo più vicino, con la coda tra le gambe.

"Ma Divina Ecate! Cos'altro?!"

Kizia doveva essere appena arrivata, con gli occhi sgranati e la bocca aperta davanti allo scempio che le si era appena palesato davanti. "Non vi posso lasciare da soli cinque minuti?"

Uno degli studenti umani le passò accanto correndo via, lasciando gli altri quattro in balia di ragni, carboni ardenti e ingiurie che piovevano copiosamente. Accanto a lei comparve un tizio che Cato era certo di non aver mai visto con una fitta barba scura in faccia, scura tanto quanto le occhiaie che albergavano tranquille sotto gli occhi un po' affossati. Sulla sua spalla era appollaiato quello che Cato avrebbe definito un avvoltoio, ma poteva anche trattarsi di una gigantesca gallina mannara per quanto ne sapeva. Il tizio non sembrò essere molto contento, anzi. Avanzò di qualche passo e mormorò tra sé qualche parola prima di battere con forza un pugno sul palmo aperto. Un vento innaturale sembrò scaturire da lui stesso, carico di un odore intenso che gli ricordò il sottobosco del parco dopo una giornata estiva. L'aria però prese una forma umanoide e con le sue braccia gigantesche sollevò gli strighi e le streghe di qualche decina di centimetri da terra, professore compreso. Rimasero come immobilizzati a mezz'aria.

"Vergogna" urlò. Aveva un accento strano, ma fu abbastanza chiaro perché tutti capissero. Poi rilassò le mani e tutti caddero a terra. Lui li guardò male, uno per uno. Dalle scale si sentivano rumori di gente che saliva di corsa, ma quando altri membri del corpo docenti spuntarono dalle scale, l'uomo si era già avvicinato al professore che aveva tentato inutilmente di nascondersi dietro ai suoi studenti. Gli puntò un dito sulla camicia e si avvicinò col viso al suo. "Vergogna" ripeté, come se fosse l'unica parola che conosceva. Poi gli voltò le spalle e si avvicinò agli umani che non erano ancora scappati e fece cenno loro di scendere le scale. Non fece nemmeno mezzo cenno al resto del personale dell'università e si avviò, inseguito in fretta da un paio di professori.

"Qualcuno mi vuole spiegare cosa è appena successo?" chiese Kizia, le braccia incrociate e un cipiglio infastidito stampato in faccia.

"Potremo farlo in classe, Kizia" rispose una voce femminile alle loro spalle. Mentre qualcuno che Cato non aveva presente si occupava degli aggressori, la professoressa del seminario si avvicinò. "Direi che è decisamente il caso di farlo, visto che faremo lezione solo noi. Il mio socio oggi è assente". 

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Già a capitolo 9? Sembra incredibile (dati i miei precedenti).

Grazie a tutti quelli che stanno leggendo :) è davvero un onore intrattenervi con il mio ciarlìo infinito, e sono davvero felice che stiate trovando il vostro posticino a Mediterra.  

Ma facendo becerissimo gossip, chi è il vostro personaggio preferito a questo punto della storia? Sappiate che i famigli contano assolutamente, perché anche loro sono fondamentali e preziosi e il mondo non sarebbe lo stesso senza. 

A venerdì prossimo!

- Fraffen

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