8. Puma e altri animali selvatici
Il percorso verso casa fu una lastra di silenzio fredda e scura tra lei e il mondo. Chanej occhieggiava ogni tanto verso di lei da dietro il libro che si era portata da leggere in tram, ma non le chiese nulla. Erano entrambe amareggiate dall'accaduto. Erano fatti gravi quelli a cui Livia aveva assistito, e la codardia di una denuncia anonima era qualcosa che forse peggiorava la situazione. Già sentiva Tibu dire che una denuncia anonima era meglio di nessuna denuncia, ma rimaneva il fatto che Livia sapeva benissimo come funzionassero le cose con i magici. Senza testimoni non sarebbe bastata la parola dei due studenti a far prendere provvedimenti contro i colpevoli. Perché la parola di un magico valeva mezza parola di un umano, a prescindere da tutte le leggi che lo stato poteva emanare sul tema. Finché quel concetto non fosse uscito dalla mente delle persone ci sarebbe stato poco da fare. Il tram scampanellò prima dell'arrivo alla fermata di Città Studi Est, piena di palazzi di media altezza dipinti di giallo sporco o di rosso, con qualche balconcino, come tutti gli altri palazzoni studenteschi. Tuttavia, loro non erano diretti lì.
A differenza di molti altri studenti che si erano trovati alloggio negli appartamenti convenzionati dall'università, come Pallia e Tibu con il loro bilocale in Città Studi Nord, Kizia aveva trovato un annuncio di una vecchia signora che si era trasferita sulla costa e aveva lasciato il suo appartamento in affitto a chi volesse. Il prezzo non era alto, la vista era meravigliosa. La compagnia un po' meno. Quando aprirono la porta, Naria era a gambe incrociate, senza scarpe o calze come al solito, a levitare in soggiorno, nel punto in cui il soffitto mansardato lo permetteva. Entrarono e si tolsero le scarpe e ancor prima che potessero dire qualcosa Naria alzò un dito. "Shhh. Silenzio".
Nessuna delle due si mosse. Un telefono trillò, Naria perse la concentrazione e cadde.
"Tempismo perfetto. Ciao Naria" disse Chanej, finalmente libera di togliersi la giacca e la sciarpa, e i guanti senza dita che la facevano assomigliare a un senzatetto della stazione.
"Non eravamo d'accordo sull'avere ospiti oggi, tesoro" disse lo strigo accennando a Chanej.
"Eravamo anche d'accordo che lei e le altre possono passare quando vogliono".
"I miei amici non godono di questi privilegi" rispose lui offeso avvicinandosi alle due, trascinando con sé un profumo dolciastro. Kizia annusò l'aria poco convinta. "Oh, vedo che hai notato il mio nuovo profumo. Fiori d'Ibisco notturno del Nicaragua. Piace?"
"Le mie amiche non dormono nella vasca da bagno, Naria. Le mie amiche studiano qui, aiutano ad asciugare i piatti e non vomitano nella ciotola di Alma".
"È successo solo una volta" borbottò lo strigo, ma le due si stavano già allontanando verso la camera di Kizia, ma Chanej si prese un secondo per portare l'indice e il pollice tesi alla fronte, sillabando "perdente".
Non appena la porta si chiuse alle loro spalle, una palla di pelo marrone si catapultò saltellando verso Kizia. Lei allungò le mani e il suo famiglio, Alma, le saltò in braccio.
"Passeremo la serata in silenzio o vuoi parlare della questione?" chiese Chanej sedendosi per terra vicino al letto sul morbidissimo tappeto azzurro che Kizia aveva scelto per decorare il centro della stanza. Da quel lato il tetto lasciava davvero poco spazio, ma Kizia aveva saputo arredare la camera con gusto. Aveva usato le travi a vista per appendere le sue erbe che raccoglieva ai parchi pubblici ad essiccare. L'unica finestra che dava sulla città era incassata in una specie di nicchia per darle effettivamente spazio di aprirsi. Lì davanti c'era lo spazio di Alma, con il suo cuscino, la sua coperta, la sua tavoletta digitale e la sua ciotola dell'acqua. Rispetto ai famigli delle altre, Alma era di una tranquillità particolare, riservata e quasi altolocata. In quel momento era l'unico altro essere vivente che voleva avere accanto, ma il caso voleva che ci fosse pure Chanej.
"C'è l'imbarazzo della scelta. Vuoi partire dal come Livia sia una gran codarda che ha letteralmente sputato su tutto l'aiuto che le abbiamo dato, o dal fatto che non troverò mai un relatore in tempo e che la fine della triennale di avvicina e non ho ancora idea di cosa fare per la magistrale?".
"Anche io sono delusa da Livia. Sinceramente pensavo che fossero un gruppo di umani... diversi? Per la tesi è un disastro quest'anno.".
"Chi ha avuto l'idea di far partire le conferenze in questo periodo? Vorrei proprio saperlo. Io non so quanto tempo resisterò a essere paziente e carina ai colloqui".
Avrebbero dovuto arrestare chiunque avesse deciso fosse una buona idea far partire metà del corpo docenti interessante per il Belgio. Alma appoggiò il musetto sulla sua spalla e Kizia la sentì respirare leggera.
"La scadenza per la presentazione del relatore è tra tre mesi. Abbiamo tempo"
"Dubito che qualcuno cambierà idea in tre mesi, faranno solo in tempo a riempirsi ancora di più di tesi di altre persone. Dovrebbero solamente ascoltarmi e uscire dalla loro piccola gabbia mentale".
"Capisco che ti faccia arrabbiare, ma c'è tempo. Riusciremo tutte a trovare un relatore. Nessuna di noi ha ancora trovato nessuno"
"Non è la stessa cosa, e poi stavo parlando della mia tristezza. Non della tua o di quella di altri".
"Aspetta, fammi spiegare. Intendo che puoi parlarne anche con noi, se hai voglia. Non avremo un progetto che rivoluzionerà per sempre il mondo della magia, però siamo sulla stessa barca".
Se c'era una cosa che davvero la faceva arrabbiare era vedere come Chanej cercasse sempre di riportare tutti i suoi problemi a una generalità. Certo che nessuna di loro aveva ancora un relatore, ma nessuna di loro pareva nemmeno avere fretta. E nessuna di loro voleva rimanere in università dopo la laurea. In ogni caso, le sue preoccupazioni rimanevano solo ed esclusivamente sue e tali dovevano rimanere.
"Potresti anche fingere di essere preoccupata o incazzata, ogni tanto. Ecate, Chan, è tanto se non ti chiedo di andartene".
"Non ti ho detto niente. Mi puoi spiegare quale sia il problema?" le chiese l'altra.
Sempre calma e tranquilla per le cose sbagliate, e davvero, più il tempo passava e le preoccupazioni aumentavano, meno tollerava il suo modo di fare. C'era qualcosa che funzionalmente non andava nel fatto stesso che Chanej agisse in un modo che, secondo lei, era inaccettabile e illogico.
"Niente. Lascia perdere" sospirò e si lasciò cadere di schiena sul letto. "Non ho voglia di mettermi a studiare"
"Nemmeno io"
"Bene. Così nessuna delle due si sentirà in colpa". Sentì uno scricchiolio e capì che Chanej si era sdraiata sul tappeto. "Posso rimanere qui comunque?" chiese la sua voce dai piedi del letto. "Non ho voglia di tornare a casa".
"Sì, non c'è problema. Prendiamo una pizza, vero?" disse, mentre Alma si divincolava dal suo abbraccio e andava ad acciambellarsi sulla sua pancia. Calò il silenzio di tomba, interrotto solamente di tanto in tanto da Naria che chiamava il suo famiglio, Dea. Un Puma. Che ufficio avesse approvato la pratica di legame a un puma a Mediterra, non lo sapeva. E chiunque avesse firmato per approvare era un criminale. Come chi l'aveva evocato per un rampollo di famiglia ricca in centro città. Non si stupiva che la poveretta continuasse a sparire.
"Comunque non sono calma"
"Ti ho detto che non voglio parlarne"
"Vuoi cambiare argomento?"
"Sì, per favore"
"Ti iscriverai alle conferenze di settimana prossima?"
"No, sono già arrabbiata con il fatto che non vengano dall'Università di Rostov. E poi non ho nemmeno guardato cosa propongono quest'anno".
"Lo dico perché io ci ho dato un'occhiata e penso che dovremmo andare ad almeno un paio di quelle. C'è una professoressa che studia i legami tra spiriti e streghe". Alma parve prestare attenzione più di lei dato che alzò immediatamente la testa e guardò prima verso Chanej e poi verso Kizia. Kizia la notò e scosse la testa. La donnola strinse gli occhi e marciò su di lei fino a che non le appoggiò le zampette sulla faccia e la guardò negli occhi dall'alto. Alma era uno spirito antico, con una personalità molto acuta e determinata. Uno spirito sensibile a cui i compromessi piacevano fino a un certo punto.
Sapeva perfettamente cosa stava tentando di dirle: Potrebbe essere interessante, potrebbero esserci cose utili per la tua tesi. Tacque mentre Alma sembrava volerle aprire un buco nel cranio con il suo sguardo.
"Oh. Mi ascolti?" chiese Chanej. Tacque un secondo anche lei. "Alma, tutto a posto?"
La donnola emise uno squittio sottile e acuto, poi saltò spaventata sentendo un botto e un rumore di piatti rotti dalla cucina. Alma fissò la porta chiusa e poi Kizia la vide chiaramente alzare gli occhi al cielo e scendere dal letto per andare a sdraiarsi sul suo cuscino accanto alla finestra. Appoggiò una zampa alla sua tavoletta digitale e questa si accese. La donnola sbloccò lo schermo e tornò a fare quello che le piaceva fare: guardare documentari.
Chanej si era alzata in piedi. Andò alla porta e la aprì di qualche centimetro per guardare fuori. La richiuse di scatto.
"C'è un puma che si smaterializza e materializza a ritmo di musica?" chiese Kizia.
"Non so se lo sta facendo a ritmo di musica"
"Non ti preoccupare. Lo fa ogni tanto". Kizia si stiracchiò e si mise seduta. "Secondo te perché l'ha fatto?"
"Naria adottare un puma? O Livia?"
"Livia. Naria è ricco".
Chanej incrociò le braccia e rimase in silenzio un attimo. "Penso che sia semplicemente difficile smettere di pensare in un modo da un giorno con l'altro. Fino a tre settimane fa probabilmente non conosceva nemmeno uno di noi, o se li conosceva era per evitarli, non certo parlarci".
"Lo pensavo anche io, volevo solo sapere se aveva senso".
"Ha avuto paura che potessero fare qualcosa anche a lei, magari. Ed era più semplice scappare piuttosto che affrontare una battaglia che non sapevi nemmeno di dover combattere".
"Non so se voglio parlare".
"Nessuno ti costringe a farlo".
"Lo so capitan ovvio. Ecate una e trina, mi sembra di parlare con un pappagallo a volte". Ci fu un altro rumore dal soggiorno e poi un altro ancora. Kizia capì che, come sempre, la Dea le stava facendo capire che doveva fare qualcosa. Si alzò e prese dal tavolo una delle sue bacchette di legno secco. "Andiamo ad addomesticare un puma". Quando aprirono la porta, Naria era in piedi sul tavolo della cucina. Aveva già abbattuto una fila di bicchieri dal piano del lavandino e Dea era arrabbiata, con un collare ridicolo di pelle rosa con borchie e fiocchi al collo, pronta a saltare verso il suo padrone. Appena il felino le vide sparì in uno sbuffo di fumo azzurrino.
"Complimenti! L'avete fatta scappare!" si lamentò Naria.
"Per come la vedo io ti abbiamo salvato un braccio" disse Chanej. Kizia vide che la ragazza aveva già giunto le mani ed era cerca che non fosse per pregare il suo dio, ma per tracciare delle rune. Le dita sottili con le unghie dipinte iniziarono a tracciare rune complesse a formare un'intera frase di cui Kizia riconobbe solo il verbo di invito a mostrarsi. Impugnò la sua bacchetta e a voce bassa iniziò a recitare una formula di accoglienza, come ne aveva spesso viste recitare a Tibu. Percepì chiaramente lo spirito di Dea che correva senza sosta nel mondo spirituale, agitata e arrabbiata, per qualcosa che non riusciva a capire. Con l'occhio dello spirito vide un'apertura crearsi in un punto indeterminato di quella dimensione, probabilmente aperta da Chanej e con la bacchetta, guidata dalle parole, Kizia concesse il passaggio a Dea che si materializzò davanti a loro. Le pupille ridotte a due fessure e le zanne scoperte.
Aprendo le mani con i palmi verso il basso, Kizia azionò un contenimento. Chanej si occupò di chiudere il portale. Sentiva la rabbia dello spirito passare attraverso di lei, unirsi alla sua. Capì che a Dea non piaceva qualcosa. Anche a me, avrebbe voluto dirle, ma lo spirito comprese. Era stata abituata alla natura, all'essere libera. Voleva stare fuori, stare all'aperto. Anche solo stare senza collare, senza occhiali da sole, senza pettorina tutù.
"Naria – concluse Kizia recidendo il flebile legame che le aveva unite per un attimo – il tuo famiglio ha bisogno di spazio, di connessione con te e con la natura. Non di tutù griffati". Lo strigo scese dal tavolo con un salto e accarezzò la testa di Dea che emise un gorgoglio poco convinto. "Mi metto delle scarpe e andiamo fuori. Andiamo al parco, va bene?". Dea non annuì ma si piazzò accanto alla porta. Naria si mise un paio di stivaletti di pitonati e si abbinò con un maxicappotto tartan con delle spille di dubbia provenienza. "Torno subito".
"Torni quando Dea è soddisfatta, razza di barbaro!" gli gridò dietro Kizia, ma la porta si era già chiusa a doppia mandata dietro di lui.
"Come fai a sopportarlo?"
"Non lo so nemmeno io. La cosa positiva è che ora abbiamo tutta la casa libera". In un batter d'occhio pulirono il disastro in cucina, ricomponendo uno per uno i bicchieri e rimettendo le sedie al loro posto. C'erano dei graffi sul pavimento in legno ma quelli avrebbero richiesto troppo tempo. Se ne sarebbe occupata in un altro momento. Si girò per rivolgersi a Chanej ma lei era sparita. Ricomparve dalla camera con il suo calcolatore portatile in mano.
"Che stai facendo? Vuoi vedere qualcosa?"
"Ci sto iscrivendo a un seminario con la professoressa Kimetz Ayala, penso si dica".
Kizia corse a toglierle l'aggeggio di mano ma Chanej era dannatamente alta, troppo alta, e lo tenne senza problemi fuori dalla sua portata con un movimento fluido, per poi scavalcare direttamente la spalliera del divano e sedersi sui cuscini sfondati. "Sonderemo le immense profondità della storia e della magia per scoprire se davvero le diverse tradizioni magiche parlano una lingua comune. Dai, sembra interessante".
Sbuffò e si trattenne dall'insultare e cacciare via Chanej. Poi si ricordò dello sguardo di Alma. "Lo so che mi stai odiando in questo momento, ma io continuerò comunque a iscriverci a un sacco di cose se non vieni qui, ti siedi e mi dici cosa ti interessa".
"Non sai mai quando fermarti" le disse sibilando Kizia, sedendosi a braccia e gambe conserte dall'altro lato del divano.
"No, non lo so – rispose Chanej con la sua solita fastidiosa strafottenza – Ma nemmeno tu sai quando fermarti, quando si tratta di essere arrabbiati o pensierosi. Hai bisogno di pensare meno e buttarti un pochino di più all'avventura".
"Se con avventura intendi attaccare un altro studente nel cortile e farsi dare un pugno, allora no grazie".
"Smettila, me l'hai già fatta pesare. A volte mi sembra di parlare con un pappagallo"
"Non citare le stesse cose che ti ho detto io!".
Si sporse di botto e le prese il calcolatore di mano, di scatto, approffitandone per darle anche uno schiaffo su una mano. Chanej rise e la cosa la fece solo arrabbiare ancora di più. Una screanzata, mancante di rispetto. Egocentrica come poche altre persone sulla terr-
"Professoressa Zumaia" disse Chanej appena notò che Kizia si era bloccata a fissare lo schermo. Il sito era scritto in una lingua che lei non conosceva ma che per qualche strana ragione riusciva a comprendere. Il viso tondo della donna era una mappa di rughe talmente fitta da impedire di vederle completamente gli occhi. I capelli bianco neve erano acconciati in una treccia e il suo corpo, grosso decisamente, indossava un abito tradizionale che non aveva mai visto prima. "Chi è?" chiese.
"Leggi da te" rispose Chanej, ma lei lo stava già facendo. La professoressa Zumaia era un'esperta di magia animale, e lavorava da più di quarant'anni per l'università di San Sebastian, nel dipartimento di magia della natura. Selezionò il menù delle pubblicazioni e vide una lista infinita aprirsi all'improvviso. Lo studio del legame magico negli animali selvatici, la plurifamigliarità in soggetti particolari, la parola negli animali, il richiamo coatto dello spirito. Tutte cose per cui Kizia avrebbe dato un braccio.
"È parte della delegazione in visita?" chiese senza distogliere lo sguardo.
"Sì, e penso che non sia una cattiva idea prendere appuntamento. Sono perdonata?"
"Forse – disse Kizia guardandola con la coda dell'occhio – ma ci devo pensare. Se sono arrivati oggi potrei andarci domani. Comunque senza l'interprete delle conferenze come farò ad andare a parlarci? Un conto è in aula, ovvio che qualcuno che traduce. Ma non penso potrò prenotarlo per un ricevimento privato.".
"Runa del linguaggio?" chiese Chanej con le sopracciglia alzate.
"Bho, non lo so. Magari non vuoi darmene una".
"Kizia, per l'amor del cielo. Davvero. Basta chiedere! Non ti urlerò in faccia se mi chiedi qualcosa"
Non era solo il chiedere. Era il chiedere aiuto che la disturbava. Mediamente gli altri non capivano davvero quale ruolo giocasse il loro aiuto e non capivano perché dovessero. Come era successo tante volte durante le lezioni pratiche. Chanej, però, poteva dire con certezza, non avrebbe negato il suo aiuto. Non era mai successo. E per questo doveva spezzare una lancia in suo favore. Era fastidiosa, era egocentrica e spaventosamente concentrata sulla sua famiglia disfunzionale, ma era inossidabile. Potevano urlarsi contro, farsi piangere, ma dopo tre giorni, Chanej sarebbe tornata a dire che le dispiaceva non averla attorno. Non che le dispiaceva essersi comportata come una scaricatrice di porto con un passato nella delinquenza, o di essere stata maleducata e insensibile: no, di non averla attorno.
"Avresti dovuto portare Bastiardo" disse. "Avrebbe fatto piacere ad Alma salutarlo".
"Non volevo portarlo in università. Si innervosisce molto ultimamente, e volevo lasciarlo un po' tranquillo. Comunque non cambiare argomento. La vuoi o no questa runa?"
"Certo che la voglio. Vuoi la richiesta via raccomandata?"
"No, basta chiedere però". Kizia annuì e chiuse il calcolatore.
Chanej allungò un dito ma, prima di procedere con il segno le domandò dove la volesse.
"Dove non si vede. Non voglio fare la figura della cretina come Apter".
"Se vuoi la impongo su una collana. Basta indossarla".
"No. Va benissimo su una spalla" rispose, e si girò dando la schiena all'altra ragazza. Sentì solo attraverso i vestiti la punta del dito che si appoggiava. La sentì poi muoversi a tracciare un segno dai contorni squadrati. Poi un altro sotto e infine una sensazione di tepore.
"Fatto. Vacci davvero domani".
"Non è che ti costano le rune. Al massimo me ne farai un'altra" rispose. Erano le sette, era ora di ordinare qualcosa. Prese il telefono dalla tasca della gonna e poi si fermò un secondo. "Ti va di rimanere? Guardiamo un film e poi te ne torni a casa domani. Tanto ho il materasso gonfiabile".
Chanej la guardò fingendo di pensarci poi annuì senza dire una parola. Approfittatrice, tutto per non tornare a casa. Ma non poteva biasimarla, nemmeno lei avrebbe voluto mettere piede in quella tana di rancore per più del tempo necessario. "Stasera ci sono i miei zii a cena da noi, gradirei non presenziare al massacro".
"Oh no, rimani qui. Piuttosto sbattiamo fuori Naria".
"Volentieri!" rispose l'altra e si stiracchiò appoggiando le gambe infinite sul tavolino da caffè. Sarebbe stata una bella serata.
***
Quando la mattina dopo le loro strade si divisero ebbe quella strana sensazione di quando improvvisamente si passa tanto tempo con qualcuno e poi quella connessione si interrompe. Erano due persone difficili che stranamente stavano bene assieme, in certi contesti, e male in altri. Ma le aveva comunque fatto piacere, una volta che si erano rasserenate entrambe, averla lì, guardare un film tremendo e a basso costo assieme. Si sarebbero comunque viste più tardi per la lezione del seminario nel primo pomeriggio, con Cato e gli altri umani. Non sapeva ancora come se si sentisse all'idea di vedere Livia, ma il ricordo della discussione di ieri era ora molto più razionale. Continuava a trovarla una cosa ingiustificabile, ma era anche vero che cambiare anni di educazione non succedeva in una settimana. Soprattutto se si cambia in favore di un problema che, ai tuoi occhi, è sempre stato inesistente. Gli umani erano formidabili in questo.
Respirò profondamente e dopo essersi seduta un attimo in un corridoio del secondo piano tirò fuori l'agenda per valutare gli impegni della giornata. Tanti, come sempre, che sarebbero culminati solo in serata con il turno alla colonia felina del quartiere a pulire le cucce e a riempire le ciotole di acqua e cibo. Era un lavoro che d'inverno diventava più faticoso del previsto ma valeva la pena per vedere tutti i musetti dei mici spuntare dagli angoli più inaspettati quando la sentivano arrivare. Un momento e non c'era nessuno, un momento ancora e sembrava di essere finiti nel paradiso dei felini. Si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto proporre l'attività a Cato, dato che anche lui, da quel che aveva potuto notare nutriva un'ossessione abbastanza rilevante per i gatti. Anche se prima avrebbe dovuto assicurarsi che quelle bestie meravigliose che vivevano in casa sua, Micicero e Pura, fossero d'accordo. Chiuse l'agenda. Non riusciva a concentrarsi sul colloquio. Si vedevano le tracce dell'arrivo di professori in visita in dipartimento: le piante, di solito abbastanza asfittiche, erano verdi e allegre, il tappeto sulle scale d'ingresso era stato evidentemente lavato e dall'aspetto del pavimento qualcuno aveva provveduto a mettere la cera. Sospirò.
Aveva detto a Chanej di aver preso l'appuntamento dal sito del dipartimento, ma non era vero. Voleva solo dare un'occhiata, vedere questa fantomatica professoressa e chiederle qualche informazione. Poi sarebbe andata avanti con la sua giornata, senza problemi. Molti dei professori avevano già aperto i loro uffici e si vedevano le luci accese o si sentivano rumori di colloqui o telefonate. Aspettò ancora dieci minuti prima di decidersi finalmente ad alzarsi dalla sua sediolina e a dirigersi verso gli studi lasciati liberi dai professori che erano partiti per il Belgio e che, ogni anno, venivano occupati dai docenti in visita. Quando arrivò a uno studio da cui provenivano dei rumori abbastanza bizzarri si fermò a leggere la targhetta di carta attaccata alla porta: Prof.ssa Zumaia – San Sebastian. All'interno qualcuno imprecò in una lingua che anche la runa fece fatica a tradurre e poi si sentì qualcosa che assomigliò pericolosamente a una pila di libri che rovinava al suolo. Sembravano i rumori di Dea quando faceva la matta perché Naria non la trattava come avrebbe dovuto. Solo più.... Svolazzanti? Dai fruscii sembrava che qualsiasi cosa stesse facendo rumore lì dentro fosse dotata di un bel paio di ali.
Raccolse il coraggio a quattro mani, dicendosi tra sé e sé che non aveva molto altro da perdere. Mal che fosse andata, la professoressa sarebbe tornata indietro al suo paese entro tre settimane e non l'avrebbe mai più vista in vita sua, anzi. Data l'età si sarebbe anche probabilmente dimenticata presto di lei, la studentessa Mediterrana supponente con un progetto di tesi infattibile. Era davvero un pensiero rassicurante.
Bussò con decisione, raddirizzando la schiena e impostando il viso in un sorriso composto e contenuto. Nessuno rispose. Bussò di nuovo e questa volta la porta si aprì direttamente su quello che sembrò uno spaccato di un altro mondo. Lo studio con i diagrammi di valutazione appesi alle bacheche si era trasformato nel giro di un giorno nell'antro di una strega con tanto di famiglio di dubbia origine appollaiato su una valigia dall'aspetto vecchio e rovinato. Tutto era pregno di un odore di bosco, di terra e erbe selvatiche che non conosceva. Le salì immediatamente al cervello assieme alla confusione. Ad aprire la porta però non era stata la professoressa Zumaia. Chi aveva aperto non era patologicamente sovrappeso e di certo non ricoperto da una fitta rete di rughe. Non aveva i capelli bianchi e aveva una barba. Ed era decisamente di sesso maschile. L'uccello lanciò un urlo e l'uomo lo guardò con uno sguardo arreso, rivolgendosi a lui o lei con un tono di voce supplicante. La runa pulsò sulla sua spalla e le parole comparvero a scoppio ritardato nel suo cervello. Non poteva essere l'ufficio giusto.
"Mi scusi, ho sbagliato ufficio" disse semplicemente pronta a girare i tacchi e andarsene, ma l'uomo le chiese semplicemente se stesse cercando la professoressa Zumaia. Kizia annuì.
"Sono io" rispose lui, appoggiandosi con nonchalance alla scrivania, o al quel poco che c'era libero.
"Non assomiglia per niente alla foto. Tornerò più tardi quando la professoressa sarà arrivata"
"Non arriverà – rispose l'altro in un penosissimo tentativo di lingua comune latina che sembrava pronunciato da una persona con gravi difficoltà linguistiche – Sono stato mandato al posto suo".
Ecco. Ci mancava anche quello. "Vuol dire che la professoressa non è arrivata con la delegazione?" domandò trattenendosi dall'urlare. L'unica cosa che doveva andare bene quel giorno. L'unica che doveva andare bene in tutto l'anno continuava ad ostinarsi ad andare male.
Kizia strinse la mano che le fu porta con un sorriso imbalsamato in viso. L'odore delle erbe selvatiche la investì di nuovo con la potenza di un carro armato e Kizia capì che non proveniva dalla stanza. Proveniva da lui. "No, è troppo anziana per lasciare il suo studio a San Sebastian. Sono stato mandato io. Aski, piacere".
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