32. Attacco e contrattacco
Sapeva che voleva solo proteggerla, ma così l'avrebbe anche ciacciata nei guai. Una sola delle api del muro che la proteggeva si voltò verso di lei e si lanciò in volo prima attorno alla sua testa e poi raggiunse a tutta velocità le sue compagne in attacco, infilandosi proprio nel mezzo dello sciame impazzito, facendole disperdere di malavoglia. Quel che lasciarono dietro era ridotto meglio di quanto avesse pensato, ma era comunque gonfio e quasi irriconoscibile.
Tibu inspirò profondamente guardando con orrore quel che aveva davanti. Era grata a Bradamante di averla salvata da un pestaggio, ma quello appena successo era un disastro. Si trattenne dal cercare di soccorrere il ragazzo, la cosa non sarebbe andata a suo favore. Al contrario, per completare il disastro già successo, sentì lo scatto della porta dell'aula dove avrebbe dovuto trovarsi. Un uomo in giacca e cravatta, che per Tibu aveva un viso familiare, comparve dall'angolo, assieme ad altri due funzionari che non aveva presente.
"Si può sapere cosa sta succedendo?" chiese, spazientito facendo scorrere lo sguardo sui due ragazzi con i maglioni in faccia, uno nascosto dietro una pianta ornamentale in un angolo, uno agonizzante con un po' tante punture in faccia, e soprattutto una sola singola strega dietro a un muro di quelle che erano evidentemente api.
Ci sarebbe stato parecchio da spiegare al rettore della Sacra, davanti a cui si trovò nel giro di pochi minuti, dopo aver rimandato via Bradamante. Era grata che non avessero semplicemente estratto una paletta per schiacciarla, ma che l'avessero lasciata andare. Sospettava fosse stato più per paura che per rispetto nei suoi confronti.
La cosa più vergognosa era che, in quel momento, era l'unica seduta nello studio con il rettore e due agenti della sicurezza intera con una fiamma giallo brillante cucita sul taschino. Le avevano messo delle manette, preventivamente, dato che aveva cercato di mostrarsi il più collaborativa possibile, ma non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che avere ragione avrebbe potuto non essere sufficiente.
Dopo aver spiegato chiaramente cosa fosse successo, il rettore si era tolto gli occhiali per guardarla meglio, mentre un terzo agente aveva finalmente finito di scrivere quella che sarebbe stata la sua deposizione.
"Signorina Tibučin, in questo momento è in una posizione scomoda. Lo sa che l'uso di magia, tra cui anche aizzare un famiglio contro qualcun altro, è punibile penalmente".
"Lo so" esalò Tibu, appoggiando le mani sul bordo della scrivania. "Il mio famiglio è intervenuto per proteggermi. Quei ragazzi avevano appena finito di minacciarmi, e non dubito avrebbero proseguito con l'attuare le minacce".
"Si tratta di accuse, queste, contro il corpo studenti dell'Università. Si tratta di accuse anche pesanti, sono convinto che nessuno tra i nostri studenti sarebbe in grado di compiere atti del genere, e se ci sono degli studenti che si sono permessi di insultare in questo modo il nome dell'istituzione che io rappresento, è bene che vengano eventualmente identificati. Tuttavia, capisce che in mancanza di testimoni attendibili il tutto rimane una sua affermazione, nulla di più. Contato soprattutto che lei non si sarebbe nemmeno dovuta trovare in quel posto in quel momento".
Tibu si fermò. "Ero presente in quanto candidata alle elezioni studentesche, per le quali c'era un'assemblea in quell'aula. Ero assolutamente giustificata a essere presente" si affrettò a correggere col tono meno aggressivo possibile. Eppure, qualcosa nell'aria le fece capire che le cose stavano prendendo una piega strana.
"Secondo quando consegnato nella minuta dell'ultima riunione complessiva è stato ritenuto opportuno che i candidati magici e i candidati umani non si trovassero nelle stesse strutture, ma comunichino prettamente in modo remoto, per evitare il ripetersi di situazioni come quella dove lei stessa si è trovata. Fosse stato il caso di un invito ufficiale a partecipare avrei potuto considerare di interrogare altri studenti presenti per testimoniare sui fatti, ma dato che la sua presenza non era di fatti richiesta... vede mi trovo con le mani legate".
Il suo tono accondiscendente e il modo di fare che cercava in ogni modo di guadagnarsi la sua benevolenza erano profondamente fastidiosi. Lo studio portava tutti i segni di una storia gloriosa e boriosa, dato che ogni singola superficie disponibile, dalla carta da parati, ai braccioli della sedia in pelle gigantesca dentro cui si perdeva la figura del rettore, fino alle finestre in vetro colorato che probabilmente davano su uno dei molti cortili, tutto portava il segno della fiamma di Vesta. Ce n'era una piccolina d'oro sulla cravatta del rettore e una gigantesca sotto i suoi piedi sul tappeto che occupava praticamente tutta la stanza. Il tavolo di mogano rossastro aveva un intaglio a motivo fiammeggiante sulle gambe. Deglutì a vuoto pensando a come quel simbolo fosse lo stesso che avevano riportato le condanne a morte di innumerevoli suoi fratelli e sorelle.
"Non ero al corrente di nessuna delibera del genere. Non è stata comunicata ai candidati magici, se no non mi sarei mai sognata di presentarmi a una riunione per cui la mia presenza non era richiesta".
"Per quanto comprensibile che una comunicazione si sia persa tra le, molte, soprattutto per una ragazza con un curriculum così di tutto rispetto come immagino sia lei, ma non per questo giustificabile. Posso solo sperare che non sia stato volontario l'atto di mettere a repentaglio la vita di uno dei nostri studenti".
Si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo. Se c'era stato qualcuno la cui vita era stata messa in pericolo era stata lei, ma avrebbe scommesso una buona somma che i quattro ragazzi che si erano accaniti contro di lei avevano detto tutto il contrario.
"Sono stata minacciata, mi hanno imbavagliata con una sciarpa, mi hanno presa a calci" ripeté come aveva fatto poco prima. "Non è sufficiente per pretendere ulteriori interrogatori dei presenti?"
"Temo di no, dato che stando alle dichiarazioni degli altri presenti non è successo nulla di tutto ciò. Anche ammettendo che la sua integrità fisica fosse mai stata in pericolo, chiedere aiuto sarebbe stato il minimo da fare. E soprattutto, mi chiedo se lei comprenda la temperie culturale che stiamo affrontando. Una strega, sola ed evidentemente vestita da strega, in un'università completamente umana. Era da aspettarsi che qualche studente potesse vederla come una possibile minaccia".
"Ho anche urlato aiuto" disse Tibu, interrompendolo per una seconda volta.
"Le assicuro che, se qualcuno in ogni facoltà di questa università avesse sentito una richiesta d'aiuto sarebbe accorso. Come è dimostrato anche dal fatto che, nel momento in cui gli studenti hanno iniziato a urlare il soccorso è arrivato. Io sono dell'opinione che la collaborazione sia tutto ciò che profondamente serva alla nostra società, ma è davvero un dispiacere molto profondo vedere elementi giovani come lei cercare di approfittare di questa nostra apertura".
Il tono non cercava più nessuna comunicazione. L'affermazione fece cadere il velo della comprensione rivelando quel che c'era sempre stato tra i due interlocutori: un muro di pietra altro sette metri. Ma in fondo cosa si poteva aspettare dal rettore dell'università più notoriamente anti-magica della città? Ripensò con tristezza alla bibliotecaria che non aveva battuto ciglio al suo essere magica. "C'erano degli altri ragazzi, oltre a quelli che avete interrogato" disse. "Potranno testimoniare anche loro".
"Le ho appena detto che intendo procedere con un secondo livello di interrogatori" stava per dire il rettore ma fu interrotto dalla guardia donna che era in piedi vicino alla finestra.
"Se erano presenti si tratterebbe comunque di testimoni primari, rientranti quindi in uno schema di primo livello, signore" disse. "Dovremmo cercare di identificarli, magari chiedendo agli altri quattro coinvolti".
Qualcuno bussò alla pesante porta di quercia dello studio. Tutti si voltarono verso la porta. "Aspettava qualcuno?" chiese l'agente seduto a scrivere, ma il rettore non rispose. "Avanti".
La ragazza dai lunghi capelli rossi scivolò dentro lo studio, accompagnata da una donna in completo elegante. "Abbiamo un'altra testimone" disse la donna. Gli sguardi di Tibu e della ragazza dai capelli rossi si incrociarono per un attimo e la strega vide che anche l'umana era molto spaventata. Era possibile che ci fossero delle conseguenze per lui che stava per denunciare i suoi compagni di azioni.
"Verrà sentita in separata sede, ovviamente" rispose il rettore. "Sempre che non si tratti di uno stratagemma per far perdere tempo a tutti. È l'unica?"
"Veramente saremmo in cinque" rispose la ragazza. "Eravamo presenti al picchetto davanti all'aula e abbiamo assistito alla scena prima di andarcene".
Il rettore guardò uno dei due agenti che annuì e si diresse verso la ragazza, non prima di aver recuperato da una cartelletta di pelle appoggiata su un tavolino dei formulari bianchi e una penna. "Andremo a raccogliere la sua deposizione in un'altra stanza, se possibile. Giusto per assicurarci che non siate stati costretti in alcun modo a confessare a favore della strega".
La ragazza lo guardò come se avesse parlato greco per un attimo, ma poi annuì e lo seguì fuori dalla stanza.
"Dovrò rimanere qui fino a che non avranno sentito tutti?" osò chiedere. Il rettore tornò a prestare attenzione a lei. Tibu avrebbe preferito non rimanere in quella stanza un solo secondo di più. "Di fatto non è stata formalizzata alcuna accusa nei suoi confronti" disse la guardia del verbale. "Ha l'obbligo di rimanere disponibile a fornire ulteriori deposizioni qualora necessario; quindi, senza allontanarsi dalla città e fornendo fotocopia dei documenti, sempre che lo permetta".
"Per me non ci sarebbe nessun problema" rispose Tibu, alzando i polsi legati. "Se mi lasciate libera prenderò i documenti dalla mia borsa immediatamente". La guardia annuì e fece per prendere le chiavi ma il rettore allungò una mano titubante per bloccarla. "Potrebbe essere pericolosa".
"Col il dovuto rispetto, onorevole Rettore – rispose la guardia – abbiamo appurato che non ha precedenti penali. Ci hanno assicurato che non ha nessuna violazione del Codice civile o penale registrata, non ha mai preso una multa e versa regolarmente la tassa per il suo famiglio. Fosse umana non la staremmo nemmeno tenendo ammanettata".
Il rettore sembrò non apprezzare queste parole, ma non aveva niente da ribattere. Era stato presente quando avevano chiamato il casellario giudiziale dando loro le generalità di Tibu e aveva insistito per ripetere il controllo due volte; quindi, si stava rivelando in tutto il suo pregiudizio.
La guardia fu libera di allungarsi verso i polsi di Tibu e liberarsi con un piccolo scatto della chiave, riprendendo le proprie manette. Fu strano sentirsi improvvisamente le mani così leggere. Subito si chinò e recuperò dalla borsa il portafoglio con la tessera identificativa e la carta d'identità. Come tutte le streghe Tibu portava sempre con sé entrambi i documenti obbligatori: la carta d'identità e la tessera identificativa. Il miglior modo per descriverla era: la patente dei poteri magici. Conteneva un piccolo chip che, una volta letto in tutti i luoghi pubblici dotati di lettori o tornelli permetteva di sapere se il magico in questione aveva un famiglio pericoloso, se aveva pagato le tasse e se aveva carichi pendenti dovuti alla magia. La guardia li prese senza fiatare e andò direttamente verso lo scanner del rettore, che invece si girò verso Tibu.
"Quindi la lasciamo andare, ma non si preoccupi che ci rifaremo vivi entro domani mattina telefonicamente per comunicarle l'esito dell'indagine" disse l'altra guardia. "Vuole aggiungere qualcosa alla sua dichiarazione?"
"No" rispose Tibu, alzandosi in piedi e recuperando i proprio documenti. "Ho detto tutto quel che è successo. Ora vorrei tornare a casa".
***
Pur avendo provato con tutta sé stessa a rimanere tranquilla, aveva fallito. Non era fatta per stare tranquilla. Si controllò nello schermo del cellulare spento e vide che le si erano di nuovo formati due lacrimoni neri di mascara. Aveva già fatto l'errore di sporcarsi la manica del nuovo maglione che aveva comprato in uno dei suoi ultimi raptus di compere compulsive, ovviamente di un bellissimo colore acceso come il giallo sole. Sarebbe stato difficile eliminare le macchie senza magia. Riprese fiato ed espirò lentamente nel tentativo di calmarsi.
"Palli, le hanno detto che può tornare a casa" le ripeté per l'ennesima volta Ibrahim, e la cosa non fece che farla iniziare a piangere di nuovo.
"Non mi fido di quello che le hanno detto" esclamò prima di riprendere a soffocare i singhiozzi. Una mano spuntò dai sedili posteriori, armata di un fazzoletto di carta.
"Grazie Livia" sussurrò e prese il fazzoletto prima di soffiarsi rumorosamente il naso.
Era terrorizzata, agitata, si vergognava di star piangendo in quel modo davvero indicibile. Quando aveva ricevuto la chiamata di Tibu erano tutti all'appartamento di Cato. Si era svegliata tardi dopo la missione notturna con Chanej la sera prima, dalla quale era tornata tardi, e non aveva beccato Tibu prima che uscisse. Aveva ricevuto i suoi messaggi, ma prima di tutto aveva ricevuto un messaggio magico da Kizia, che le si era letteralmente proiettata in cucina mentre beveva una delle tisane artigianali che le aveva mandato sua mamma per la stagione fredda. Erano bastate poche parole: forse ci controllano.
Non si era chiesta inizialmente cosa e come, ma Kizia era stata categoria e per quanto sapesse delle tendenze a sospettare di tutto e tutti dell'amica, il suo sguardo e la sua voce erano stati talmente seri da spegnere ogni possibile dubbio. Si era trattenuta dal chiamare Tibu per dirle cosa era successo a loro e poi, una volta che si erano trovati nell'appartamento di Cato era rimasta incredula dopo aver ascoltato il loro racconto. Eppure sia Kizia che Cato erano stati irremovibili: Apter stava combinando qualcosa, se era arrivato a scomodare un Golem per i suoi porci comodi. Solo a pensarci le venivano i brividi e poi una gran voglia di spaccargli la faccia. Era divisa tra l'essere triste e tremendamente incazzata.
Tibu in tutto questo ricopriva un ruolo delicatissimo. Era andata a un'assemblea, e non potevano rischiare che i membri della testuggine presenti sospettassero che lei sapesse, avrebbe mandato in fumo la sua campagna elettorale e, caso estremo ma non da escludere, le minacce si sarebbero potute concretizzare. Pallia non si considerava una ficcanaso, si considerava una persona preoccupata e amorevole. Per questo aveva sbirciato sotto il letto di Tibu. Per quanto l'amica le volesse nascondere le sue preoccupazioni c'era poco che potesse sfuggire allo sguardo di una strega nata da mamma sudamericana. Le piaceva pensare che il sangue di sua mamma le avesse passato tutti i suoi istinti particolari, assieme al senso di disgrazia imminente che in quel momento le stava stringendo lo stomaco in un nodo da marinaio.
"Se l'hanno arrestata cosa facciamo?!" chiese esasperata. "Non penso funzioni come nei film che si paga la cauzione".
"Non possono averla arrestata senza prima formulare delle vere e proprie accuse. Se ci ha detto di andare a prenderla in università è probabile le abbiano detto di farlo" rispose Livia col tono più calmo e paziente del mondo. Si chiedeva come facesse a essere così tranquillo. Accanto a lei, Ibrahim stringeva il volante e taceva. Aveva imprecato come uno scaricatore di porto per il primo tratto del tragitto, poi si era chiuso in un guscio di rancore e rabbia probabilmente verso le forze dell'ordine. Sapevano tutti e tre che, se Bradamante era arrivata ad attaccare qualcuno doveva essere stato per proteggere Tibu. Per quanto l'ape fosse un famiglio con una logica tutta sua, non avrebbe mai messo in pericolo la sua strega volontariamente.
Arrivarono, bruciando un paio di semafori arancioni, nel quartiere dove si trovava la Sacra. Non c'erano macchine della polizia in giro, nemmeno quando arrivarono all'ingresso carrabile dell'università. Dall'altro lato del parcheggio, con una guardi a destra e una a sinistra, c'era Tibu. Era piccola e lontana, ma era perfettamente riconoscibile, tutta in bianco accanto alle due guardie vestite del classico e impersonalissimo blu scuro. Il percorso tra i sensi unici obbligati del parcheggio sembrò quasi più lungo ed esasperante dell'intero tragitto per arrivare, soprattutto perché il terzetto era dal lato assolutamente più lontano, come a volerli costringere a fare tutta questa fatica.
"Sembra stare bene" disse Ibrahim, a bassa voce, quando furono abbastanza vicini. Pallia tirò su col naso e si pulì gli occhi per guardare bene Tibu. Non aveva segni in faccia, se non un'espressione contrariata proverbiale.
"Il tuo taxi personale è arrivato" disse una delle due guardie, sorridendo, una volta che si furono fermati. Livia aprì la portiera del lato passeggero. Una delle guardie bussò sul finestrino di Ibrahim e lui lo abbassò.
"Buongiorno, volevo solo informarla che non è stata ancora presa una decisione riguardo alla formulazione o meno della denuncia. Verrà informata entro oggi o massimo domani riguardo al suo status. Sarebbe meglio comunque che rimanesse raggiungibile".
Pallia lasciò che Tibu salisse in macchina ma dedicò tutta la sua attenzione a Ibrahim che guardò la guardia come se fosse un alieno. "Perché lo sta dicendo a me?" rispose con naturalezza, mantenendo una mano sul volante a appoggiando il gomito al finestrino abbassato, quasi divertito.
La guardia rimase interdetta per un attimo. "Se si è fatta venire a prendere da un umano, forse è il suo protettore? Datore di lavoro?" farfugliò quello, confuso dalla domanda. Ibrahim annuì esageratamente, fingendo di capire dove stesse andando a parare.
"Senta, io sono solo quello che guida. Lo dica pure alla signora Tibučin" lo interruppe Ibrahim alzando una mano per fermare il flusso di parole confuse.
"Ah, mi scusi, non volevo presumere niente, mi è solo sembra-" cercò di procedere, ma Ibrahim lo interruppe di nuovo. "Ripeto: non sono io la persona con cui deve parlare o a cui deve delle scuse. Buona giornata". Ritirò il braccio e sorridendo cortese rialzò il finestrino. Pallia fece in tempo a vedere la guardia che riduceva le labbra a una sottile linea rosata e imbarazzata poco sopra il mento, per poi alzare dubitante una mano per salutare, come se questo potesse risolvere la figuraccia appena fatta. Ibrahim ingranò la marcia e procedette a portarli fuori dal parcheggio. Pallia si girò verso Tibu e si prese un attimo per guardare bene in faccia. Era pallida come uno straccio ma sembrava stare bene. La prima cosa che fece quando furono avviati bene in strada fu abbassare il finestrino.
"Hai caldo? Ti manca l'aria?" le chiese Pallia, ma l'altra strega scosse la testa.
"Voglio solo assicurarmi che Bradamante stia bene" rispose con un filo di voce Tibu.
"Se deve esserci un'ape in macchina con me deve assolutamente stare sui sedili posteriori. Non davanti, non vicino al volante" disse chiarissimo Ibrahim, mettendo la freccia per svoltare a sinistra. Passarono pochi secondi prima che una manciata di api virassero come motociclisti professionisti ed entrassero dal finestrino, prima di piazzarsi ordinatamente sul sedile posteriore di mezzo. Tibu rialzò il finestrino.
"Ma cosa è successo esattamente?!" chiese Livia.
Pallia senza girarsi sentì Tibu sospirare. "Mi sono presentata alla riunione e c'era fuori un picchetto di studenti. Prima mi hanno minacciata, poi quando si sono accorti che non me ne sarei andata senza prima far presente la cosa a chi di dovere mi hanno bloccata e minacciata di nuovo, imbavagliandomi perché non chiedessi aiuto".
Livia si coprì la bocca con le mani. "Ti hanno picchiata?!".
"Non hanno fatto in tempo, Bradamente mi ha raggiunta prima e mi ha difesa. Però così facendo forse mi varrà una denuncia, cosa che potrebbe cacciarmi fuori dalle elezioni".
"Cosa potrebbe evitare la denuncia?" chiese Ibrahim.
"C'erano anche altri ragazzi presenti, che non erano esattamente d'accordo con l'idea di picchiarmi. Nonostante avesse comunque assistito ed esultato a tutte le minchiate razziste che dicevano i tre portavoce, a quanto pare, picchiare era troppo. Una di loro li ha raccolti e convinti a testimoniare a mio favore. Ma non è quello il peggio! – continuò Tibu – "A quanto pare è stato deciso in una riunione a cui io non c'ero, e per cui io non ho ricevuto nessuna convocazione, che le streghe e gli umani non potranno più fare assemblee assieme, per il nostro bene. Così tutti i rappresentanti umani estremisti potranno fare i loro comodi mettendosi d'accordo su cose che ci riguardano, senza però doverne renderne conto a noi".
"Ma è vergognoso!" esplose Pallia, battendosi forte una mano su una gamba. "È praticamente una garanzia di accordi paraelettorali!". Tibu emise una risatina sconfitta. "Esattamente, ma non ho potuto dire niente. Secondo quella delibera io nemmeno avrei dovuto essere qui, e questo mi rende automaticamente nel torto. Se poi contiamo che i tre che mi hanno attaccata hanno rilasciato come dichiarazione che io li ho aggrediti e ho aizzato il mio famiglio contro di loro... la mia situazione non è delle più rosee". Tibu si coprì la faccia con le mani e si prese il tempo di fare tre respiri profondi. "Poi voglio sapere perché nessuno mi ha detto che eravate tutti assieme. Ho cercato Chanej e Kizia in università questa mattina!" disse esasperata e anche un po' delusa.
"Lo so" disse Pallia sentendosi in colpa, percependo il peso di tutte le cose che non le aveva detto improvvisamente calarle sullo stomaco. Si mise a giocare con le dita con uno dei fiori di lana cotta che aveva attaccato all'orlo del maglione a titolo decorativo. Poteva sentire il filo lasco, avrebbe dovuto rifare le cuciture alla prima occasione.
"Kizia teme che le nostre comunicazioni via telefono siano controllate, per questo non voleva dirti niente al telefono" le rubò la parola Livia, in modo molto più pragmatico di quanto sarebbe riuscita a fare lei. Non lasciò nemmeno un secondo a Tibu per formulare delle lamentele o dei dubbi, ma riprese immediatamente. "Sono successe molte cose ieri, molte cose di cui né Cato, né Kizia, né Chanej e nemmeno la qui presente Pallia hanno ritenuto di doverci informare". Dato il formicolio sulla nuca, Pallia immaginò di essere stata guardata male. Era abituata alla sensazione, data la quantità di ex-partner che aveva in università, ma era comunque strano. "Non pensare male, per favore, Tibu", implorò.
"Chanej e Pallia hanno assistito a una riunione della testuggine, mentre Cato e Kizia sono stati quasi uccisi da un mostro" tagliò corto Ibrahim, prendendo una rotonda semivuota a tutta velocità, tanto che tutto dovettero attaccarsi alle maniglie delle portiere. Un ronzio confuso provenne dal sedile e Pallia sorrise pensando che le api non avevano nulla a cui attaccarsi.
"Sono stati quasi uccisi?! Cosa stai dicendo?!" esclamò, appoggiandosi al sedile di Pallia per sporgersi verso i posti anteriori. "Cosa è successo?!".
"Tibu, non ti agitare. Ora arriviamo da Cato e ti spieghiamo tutto. Non è così tragico, sono tutti e due interi, forse Cato un po' più spaventato di quando l'hai visto l'ultima volta".
"E voi non mi avete detto assolutamente nulla?!"
"Ci sono in gioco troppi elementi per poter rischiare che sappiano che tu sai, non so se mi spiego" rispose Ibrahim con la voce seria che sfoderava solo nei momenti più tesi. Si voltò un attimo a guardare il profilo angoloso. Non si faceva la barba da giorni e aveva la preoccupazione dipinta sul volto. "Ti spieghiamo tutto appena arriviamo" ribadì Pallia girandosi indietro per cercare di offrire un sorrisa rassicurante a Tibu, ma quello che incontrò era una sguardo pieno sì di preoccupazione, ma anche di comprensione. Non era scattata perché arrabbiata che non le avessero detto niente, era preoccupata per loro, che, ci avrebbe scommesso, pensava si fossero esposti ai pericoli per lei. "Vedrai che te lo sapranno spiegare meglio di noi, in modo meno drammatico". Tibu annuì lentamente. Sulla macchina calò il silenzio, anche da parte di Livia che a quanto aveva capito aveva sempre qualcosa da dire. Solo in quel momento si accorse che la radio era rimasta accesa per tutta la durata del viaggio, ma semplicemente non ci aveva mai fatto attenzione.
Dato l'orario lontano dalle fasce più trafficate, la piccola utilitaria blu sfrecciò lungo controviali del centro, Ibrahim ben attento a non sbordare della corsia dei taxi. Tibu, Livia e Bradamante sui sedili posteriori ogni tanto si scambiavano una parola o due, ma l'intera conversazione era stata messa in pausa e non riprese fino a che non arrivarono nel soggiorno dell'appartamento di Cato. Appena la porta si aprì, rivelando l'intera combriccola radunata in soggiorno attorno al tavolino da caffè, Tibu entrò a grandi passi e si fermò proprio all'ingresso della sala. Kizia aveva due cerotti in faccia, dove si era graffiata la sera prima e c'era un'enorme mappa di Mediterra disegnata su dei fogli di giornale attaccati assieme col nastro adesivo.
"Mi hanno promesso delle spiegazioni"
"Siamo quasi stati uccisi da un mostro" disse Cato sorridendo imbarazzato dalla poltrona dove era seduto a gambe incrociate. Ibrahim lo fulminò con lo sguardo. "Le avevamo detto che avevate delle spiegazioni più complete e meno terrificanti". Sia lui che Kizia erano in tuta. Tibu lasciò la borsa vicino allo stipite e Valeria, che Pallia aveva conosciuto solo quella mattina, si fece subito avanti, seguita subito da Chanej. "Ti prendo io la giacca" disse Valeria, prendendole il cappotto e la sciarpa e portandole all'ingresso.
Tibu fece passare lo sguardo su tutti e stava per dire qualcosa ma Chanej la prese per le spalle e la guidò a sedersi su un pouf lasciato libero da Adriano, che si sedette sul tappeto. Pallia e gli altri li seguirono. Il tavolino si era riempito di cose, oltre alla mappa, tra cui la fiala con il capello che avevano recuperato lei e Chanej la sera prima, una ciotola piena di sale, e la copia del manifesto che avevano seguito la sera prima. Vide chiaramente la confusione sul viso di Tibu mentre guardava tutte quelle cose e cercava di trovare loro un ordine logico. Chanej si appoggiò allo schienale del divano con le braccia tese.
Kizia sospirò. "Andiamo con ordine. Non volevamo farti andare alla riunione con la possibilità che loro capissero cosa abbiamo scoperto".
"Loro chi?" incalzò immediatamente Tibu, appoggiando le ginocchia sui gomiti e tenendosi il mento con le mani.
"Loro, la testuggine" completò Kizia. "Anche se quello non l'ho scoperto io. Io e Cato siamo stati attaccati da Apter e da un golem, al parco dove vado a fare volontariato. Non penso tu l'abbia visto oggi alla riunione..."
"Non sono nemmeno entrata, e a quanto pare non potrò più farlo" rispose Tibu. Come prevedibile tutti pensarono immediatamente al peggio. "Ti hanno estromessa?!" chiese Adriano, la ragazza scosse subito la testa. "No, ma ho scoperto che hanno deliberato per tenere tutte le future assemblee e riunioni separatamente, che sarebbe illegale, dato che io non sapevo niente di questa delibera, ed è stata evidentemente firmata senza il consenso di una buona fetta di rappresentanti, ma ci sono troppe cose da chiarire. Andiamo in ordine che non sto capendo nulla di quello che sta succedendo". Prima che chiunque altro potesse dire qualsiasi cosa, Bradamante decise che non le piaceva il grado di confusione e si allontanò verso la cucina. Un musetto coperto di pelo spuntò da dietro un paio di bottiglie di vetro e si avvicinò a lei. Gerda era ovviamente venuta con lei, su richiesta di Kizia, ma si era auto esclusa dalla riunione. Era stata sveglia gran parte della notte ed era stanca.
"Parliamo uno alla volta, dall'inizio alla fine" disse Enea. "Contato che io e Valeria non abbiamo nulla da dire, inizi tu, Tibu". L'umano la indicò e tutti annuirono. "Facciamo dopo tutte le domande".
Tibu iniziò a raccontare quello che aveva detto poco prima anche a loro, ma in maggior dettaglio. Pallia sentì il disagio montarle nello stomaco per l'ennesima volta nella giornata, un senso di ansia e rabbia che la pervadeva del tutto, mentre Tibu spiegava cosa le era stato detto dal rettore della Sacra, il modo in cui aveva osato implicare che fosse stata lei a iniziare tutto. Le dava il vomito il pensare a un ricco umano che parla di come i suoi studenti sono i migliori e non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere, quando erano due settimane che la città era letteralmente costellata da atti del genere tutti a opera di ragazzi come i suoi studenti. La descrizione di quelli che se l'erano presa particolarmente con lei non le sembrarono visi noti, contato soprattutto che non avevano avuto modo di vedere in faccia nessuno dei membri della testuggine, nascosti com'erano sotto la cattedra.
"Se non fosse stato per Bradamante non sarei finita sotto interrogatorio, ma se non fosse stato per lei non so cosa mi avrebbero fatto. La ragazza sembrava parecchio violenta. Ci saranno stati trenta tra ragazzi e ragazze, accalcati fuori dall'aula, ma solo quattro sono rimasti per provare a picchiarmi. E io vi giuro che non ho fatto niente, volevano che io scattassi, volevano che io facessi qualcosa solo per approfittare della questione e denunciarmi, che è un gesto davvero vigliacco".
"Quindi ti hanno denunciata per aver evocato il tuo famiglio in un luogo pubblico. L'hanno comunque avuta vinta loro" disse Chanej. Pallia notò che non era l'unica a essere nervosa. Anche l'amica stava stringendo le mani sullo schienale del divano e non aveva fatto il minimo sforzo di nascondere il fastidio nella voce. "Dopo averti provocata. Ti avrebbero costretta a difenderti in ogni caso prima o poi".
"Sono stati degli strafottenti codardi" si lasciò sfuggire Tibu, contrariamente al suo atteggiamento di profonda calma e comprensione per il grande disegno della natura. "Non mi hanno denunciata ancora. Potrebbero farlo, ma alcuni dei ragazzi che erano al picchetto hanno deciso di testimoniare a mio favore. Risolverebbe il problema del fatto che la mia dichiarazione, in ogni caso, non ha minimo valore giuridico".
"Prima o poi arriverai in parlamento a parlare anche di questo" disse Livia, sorridendo con un po' di amarezza. "Se riusciamo a farti vincere le elezioni si intende".
"Non dico che mi sta passando la voglia, perché non sarebbe vero" continuò Tibu. "Anzi, vedendo il trattamento che stanno riservando a noi come popolo e come categoria, anche in una cosa piccola rispetto all'intero stato come le elezioni studentesche, tutto questo mi fa capire che davvero c'è bisogno di un cambiamento repentino di rotta, anche da parte delle streghe, come ci poniamo, come ci lasciamo schiacciare, ma anche come è facile reagire nel modo sbagliato e mettere gli altri in cattiva luce".
Kizia non nascose una risata sardonica. "Apter è esattamente la definizione di questo".
"Cos'è che ha fatto esattamente?" chiese Tibu.
"Se hai finito, non volevo interromperti" disse l'altra ma Tibu fece segno di procedere.
"Come ti ho detto siamo andati a fare volontariato coi gatti, io, Cato e Alma. Mentre eravamo lì però siamo stati attaccati da un tizio incappucciato che però ho subito capito essere Apter. L'ho bloccato con l'evocazione degli spiriti delle radici, e gli ho tolto il passamontagna, ma doveva aver previsto la cosa. Aveva un cerchio di evocazione disegnato in faccia che aspettava solo di essere attivato. Ha evocato un golem che ci ha tirato dietro delle panchine e un castello di legno per bambini. Poi Alma è intervenuta in nostro soccorso facendogli vedere chi comanda nel mio quartiere".
"Tutto questo mentre il suo maledettissimo tasso mi azzannava una caviglia" completò Cato. "E io non vedevo niente, solo ombre, è stato terrificante".
Pallia provò a immaginarsi come sarebbe stato non vedere uno spirito o non capire una cosa di quella portata in una situazione del genere, ma anche ponendosi la domanda non riusciva a immaginare nulla di comparabile a quello spavento. Si sentì un pochino fuori luogo. Tra tutte loro, lei era quella che meno volente o nolente aveva avuto contatti con umani prima di iniziare il corso collaborativo. Chanej e Kizia avevano fatto le scuole statali, Tibu era candidata alle elezioni e da un annetto circa era costretta ad avere a che fare con loro, ma lei? Nemmeno nel negozio di sua mamma entravano mai clienti umani, nella sua città viveva in un quartiere abitato prettamente da magici, e tutto nella sua vita era stato sempre e solo costellato da magici. Nella sua lunga lista di ex comparivano solo strighi e streghe. Ora che ci pensava, Ibrahim era letteralmente la persona più vicina a lei in quel momento e non poteva immaginare come fosse vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Si era sempre concentrata tantissimo su come lui dovesse capire il suo mondo, di come dovesse capire che aveva tradizioni diverse, modi di fare diversi e passatempi diversi, ma non si era mai posta il problema opposto. Ibrahim allungò la mano e le sfiorò la sua. Si girò un attimo verso di lui e vide che si era accorto dell'improvvisa ombra che le era calata addosso. Con lo sguardo inquisitorio le chiese cosa avesse ma lei scosse la testa. Avrebbe dovuto riflettere da sola sulla cosa.
"Voi invece?" chiese a Chanej e lei. Preferì tacere. Chanej incrociò le braccia. "Dopo aver interpretato il primo manifesto mi sono chiesa se ce ne potesse essere un altro nuovo già in giro. Così sono andata alla Politecnica prima della chiusura e sì, ce n'era un altro. L'ho interpretato e mi sono accorta che ci sarebbe stata una riunione della Testuggine in Corso Scevola. Non volevo andare da sola, però. Così ho chiamato Pallia".
Ripercorse velocemente la loro breve ma intensa disavventura sotto lo sguardo sempre più preoccupato e incredulo di Tibu mentre sentiva ripetere quel che aveva detto il capo della riunione.
"Non abbiamo visto nessuna faccia, purtroppo. Ma abbiamo probabilmente raccolto il capello di qualcuno che potenzialmente potrebbe essere coinvolto. La cosa importante, però, per quanto deprimente, è la certezza che c'è una congiura ai danni tuoi e del tuo partito, Tibu. E sia Apter che quelli della Testuggine sono coinvolti".
Ci erano ormai arrivati tutti quanti, ma sentirlo dire ad alta voce lasciò la stanza in silenzio e pensierosa. Era ovviamente un'idea che a nessuno piaceva particolarmente, soprattutto per le implicazioni che aveva. Provò a immaginare quella bestia di Apter e Leviantina che si incontravano con i capi della Testuggine. Di cosa potevano aver discusso?
"Sappiamo tutti quale può essere stato il punto d'incontro" disse Kizia, rompendo il silenzio.
Fermare Tibu e la possibilità di vederla eletta. Il silenzio calò di nuovo. Se erano arrivati a quel livello di coinvolgimento solo per fermarla, significava che non avrebbero esitato ad andare anche oltre. C'era anche da considerare la possibilità che non fosse solo Tibu il bersaglio, ma tutti i moderati o tutti i magici che non fossero Apter e il suo gruppo di estremisti. Quanti fossero coinvolti, con quale livello di coscienza... erano domande le cui rispose urgeva trovare.
"È assurdo – disse Valeria accavallando le gambe e incrociando le braccia stizzita - se uno può anche trovare una qualche malata logica a tutta la storia umani-vs-streghe, non capisco esattamente come si potuto venire in mente di mettere le streghe contro le streghe. Siamo a un livello tutto nuovo di razzismo".
"Tutto nuovo mi sembra un po' esagerato. Nel senso, posso capire a un livello puramente logico cosa possa averli spinti a decidere di collaborare per eliminare un nemico comune, ma non ha nessun senso nel progetto a lungo termine" si intromise Cato. "Credono davvero di poter beneficiare dal collaborare con la Testuggine? Appena avranno finito di usare Apter e la sua combriccola cercheranno di eliminarli esattamente come hanno fatto con Tibu. Magari proprio accusandoli di questo".
"A parte le loro motivazioni, di cui onestamente ci facciamo poco, abbiamo un capello lì che potrebbe dirci qualcosa".
"Spiegatemi anche questo" disse Tibu, allungandosi a prendere la fiala dove avevano messo il capello. "E dove avete trovato una fiala di vetro".
"Laboratorio di Biologia dell'università Mediterra Sud" rispose Valeria alzando una mano. "Non fatemi domande".
"Semplice – disse Kizia, spostando il resto dei fogli dalla mappa di Mediterra – abbiamo una teoria. Chanej e Pallia hanno recuperato questo capello che sappiamo potrebbe essere di qualcuno della Testuggine. Ora, abbiamo anche due streghe che sanno fare Voudou. Potremmo fare un rito di richiamo, senza sangue, per trovare questa ragazza, sperando sia la segretaria della riunione".
"E come facciamo a sapere che è lei?" chiese Tibu, stessa domanda che aveva fatto anche Adriano una volta proposto il piano. "Potrebbe essere un capelli di chiunque altro che sia stato in quella scuola guida".
"Sì, esatto. Per questo abbiamo una mappa di tutta Mediterra. È un gioco di statistiche che mi è venuto in mente pensando . Se si trova alla Politecnica a quest'ora vuol dire che è probabilmente una studentessa dell'università. Se invece è in altre zone della città, niente. Vuol dire che abbiamo preso un granchio e dovremo ingegnarci altrimenti, ora se tutti hanno preso appunti e tutti hanno ripreso il filo delle puntate precedenti, per favore Pallia facciamo questo rito così poi possiamo sapere di che morte morire" disse, tutto d'un fiato Kizia, battendosi le mani sulle ginocchia. Tutti annuirono e Pallia fece il giro del divano per mettersi seduta dall'altro lato del tavolino da caffè rispetto a Kizia, la quale invece, semplicemente si alzò dal divano e si inginocchiò di fronte a lei. Era strano ipotizzare di fare un rituale in una casa umana, ancora di più farlo. Era abituata alle aule apposite dell'Università, con le tende chiuse, l'incenso o le essenze di fiori, oppure a camera sua, con tutte gli oggetti che detenevano una particolare energia spirituale, era abituata a sentire sua mamma cantare assieme a lei in sottofondo, quando praticava la magia a casa. Non a quello. Kizia, d'altro canto, invece, sembrava pronta a invertire direttamente il movimento dei pianeti con quel suo cipiglio infastidito, che sarebbe bastato a intimorire metà Testuggine da solo. Ancora più strano era farlo circondati da persone intente a fissare il risultato.
"Come vuoi fare?" chiese prima di appoggiare le mani alla cartina, mentre Kizia estraeva il capello dalla boccetta e lo appoggiava in mezzo alla cartina, ossia in mezzo alla versione 2d della città.
"Farci aiutare da Belie Belcan. È il loa che protegge dai nemici, e noi vogliamo essere in grado di proteggerci".
Pallia annuì. Tra tutti i loa evidentemente è l'unico che aveva senso cercare, a parte forse quelli della morte e sperare di far venire un colpo a qualche pezzo grosso della Testuggine. Ibrahim, Livia, Cato e Chanej si sedettero sul divano, mentre Adriano e Valeria prendevano posto sulle poltrone e Enea del pouf. Alle spalle del divano poteva vedere il piccolo muso di Gerda guardarla. La vide passarsi le zampe sulle orecchie e poi saltare giù dal piano cucina per raggiungerla, arrampicandosi sulle sue ginocchia. Alzò lo sguardo e vide Kizia farle un cenno. Le stava concedendo l'onore di dirigere. Sorrise terrorizzata, prima di cerca di rammentare a sé stessa di provenire da quattro generazioni di praticanti vodun particolarmente brave. Pensò il pensiero potesse calmarla, ma le fece solamente salire l'ansia di infangare la memoria delle mambo che avevano insegnato alla sua trisnonna come creare degli zombi.
Chiuse gli occhi e lasciò aprire quelli dello spirito, guardando il mondo dall'altra parte dell'oscurità, dove si muovevano gli emissari di Bondye, appostati, intenti nelle loro faccende, a inseguire gli uomini e le donne in difficoltà, osservatori silenti. Il crocevia tra i due mondi era ancora lì, come la prima volta che l'aveva visitato. Sentì Kizia accanto a sé prenderle le mani, caldissime. Belie Belcan si fece avanti, vestito di luce.
Non avrebbe saputo descrivere la strana sensazione di calore intenso e la musica nelle orecchie, i tamburi le cui vibrazioni sentiva nel sangue. La ritualità era un aspetto importantissimo della cultura vodun, ma era molto diversa una volta descritta sui libri. Non aveva mai chiesto a Kizia cosa sentisse mentre praticava il voudou. Lei, personalmente, si sentiva viva mentre si faceva da parte per lasciare che i loa facessero il loro attraverso di lei. E il calore. Il calore era la parte più importante di tutte, assieme al ritmo e alla dans. Aveva visto una dans solo una volta dal vivo, ma le era sembrata la cosa più elegante e potente dell'universo.
Qualcuno nel mondo da cui proveniva lanciò un piccolo urlo spaventato. Si sforzò di non aprire gli occhi, Belie Belcan non aveva ancora finito. Sentì qualcuno spostarsi e la mano di Kizia liberarsi dalla sua, poi un lieve puzzo di bruciato le raggiunse le narici. Belie si allontanò improvvisamente o, meglio, la sua immagine, era lei a spostarsi come caricata su un treno alla velocità della luce, mentre il crocevia spariva e veniva sostituito dal buio pulsante che si trova dietro le palpebre. Aprì gli occhi e vide che la sua mano e quella di Kizia si erano spostate all'unisono a indicare un punto sulla mappa, una via che non conosceva, nel mezzo del quartiere industriale. Sotto i loro indici puntati si era formato un piccolo tondo scuro con i bordi ancora roventi mentre si spegnevano.
"Penso che chi stiamo cercando si trovi lì" disse Kizia alzando il dito. Pallia cercò di capire esattamente dove si trovasse quel posto ma era una zona dove probabilmente era passata solo coi mezzi. Si sentiva leggera, come sempre dopo aver lasciato lo spazio a un loa. Cato si sporse in avanti cercando di vedere meglio la mappa e Chanej estrasse il telefono.
"Temo non sia dell'università, allora – commentò Adriano – Abbiamo preso un granchio".
"Io non credo" disse Cato seguendo con il dito la strada che portava al piccolo pallino bruciato. "Qui c'è un distaccamento di ingegneria. E lo so perché ci sono stato".
"Pensavo tutti gli edifici fossero in Città studi" disse Tibu, visibilmente confusa.
"Ha ragione" disse Chanej appoggiando il telefono sul tavolo proprio accanto al luogo incriminato. "Laboratori di ingegneria medica e ingegneria farmaceutica". Pallia confrontò l'immagine sul sito della facoltà con quella bidimensionale della mappa e l'edificio doveva pressappoco avere la stessa forma.
"Se stampassimo una versione ingrandita dell'edificio ci saprebbe dire dove si trova esattamente lei?" chiese Valeria. "Sempre che sia possibile fare una cosa del genere".
"Non serve" disse Cato, prendendo dal tavolo il telefono di Chanej e iniziando a cercare qualcosa. Ibrahim sembrò capire cosa stesse ipotizzando. "I tesisti" disse anche Livia.
"Esattamente. Quei laboratori sono praticamente solo usati per dottorandi e tesisti magistrali e noi stiamo cercando una ragazza coi capelli scuri, lunghi e ricci. Se è una dottoranda dovremmo trovarla nell'elenco dei dottorandi del dipartimento, che è disponibile in rete. Se è una testista, riusciremmo comunque a trovarla".
"Per legge i professori devono mettere l'elenco di chi stanno seguendo per le tesi di ricerca, di modo che gli studenti possano orientarsi meglio su chi contattare o meno, in caso di domande, progetti paralleli e tutto" completò Livia. "Io sto controllando la lista dei professori di fisica medica".
Pallia vide la lista comparire sullo schermo del cellulare della ragazza. "Sono tantissimi, ci vorrà una vita".
Chanej si mise una mano sulla fronte. Si vedeva che era stanca, e se Pallia doveva essere completamente onesta tutti lo erano. "Magari possiamo mangiare un boccone e poi rimetterci a cercare". Guardando l'orologio Pallia notò che erano quasi le 13 e non si era resa conto fino a quel momento della fame che aveva, tante le cose su cui si era dovuta concentrare.
"Non ce ne sarà bisogno" disse Livia all'improvviso. "Sì, no, mangiamo. Ma non dobbiamo aspettare. Magari ci sono delle foto su Instagram che sono state scattate con quella geo segnalazione".
Pallia non era una grande fan delle reti sociali, ma sapevano tutti che Livia ne era vagamente dipendente. Sapeva tutto di tutti primariamente grazie a loro, quindi non si stupì quando la vide iniziare a cercare con la velocità di chi ha fatto quel tipo di ricerca più di una volta, e non per caso. La strega si alzò da terra, con le ginocchia un po' bloccate, e andò a vedere cosa stava trovando Livia, come del resto tutti gli altri che si sporsero verso il tuo telefono. Le foto scorrevano velocemente sotto il suo abilissimo pollice. Poi prima che potesse dirle di fermarsi vide scorrere una foto di una ragazza con dei lunghi capelli mori e ricci come cavatappi, esattamente come quella che stavano cercando.
"Ferma!" disse Kizia. Livia diminuì lo zoom e tornò indietro di qualche foto fino a che non si trovarono tutti a guardare questa ragazza dal viso cavallino, la mascella squadrata e due grossi occhi da cerbiatta. Aveva i capelli identici a quello che avevano nella boccetta e si era taggata in quella che sembrava una biblioteca dell'edificio che stavano cercando. "Potrebbe essere lei" disse Tibu, mentre Livia apriva il profilo personale della ragazza e faceva scorrere una serie di foto tutte molto simili di lei in camice da laboratorio, lei con un cane biondo molto piccolo e lei con gelati, piatti esotici, o semplicemente lei con diversi gradi di trucco, parrucco o semplicemente filtro. "Certo che è lei" rispose Cato, indicando il nome in alto. "OreoStilla è abbastanza simile a Orestilla. Adriano, c'è un Orestilla tra i tesisti o i dottorandi?".
"Dammi un secondo" rispose il ragazzo iniziando a cercare anche lui in rete.
Da un gruppo di studenti confusi e malconci sembravano essersi trasformati in una squadra di investigatori navigati. Ci volle circa mezzo minuto prima che Adriano dicesse: "Eccola. Orestilla Digna, è una tesista magistrale".
"La foto del profilo è lei?" chiese Ibrahim torturandosi la barba sul mento nervosamente. Adriano annuì i girò il telefono. La foto ritraeva la stessa identica ragazza del profilo Instagram. "Ha frequentato la triennale a Girgentum, secondo il suo curriculum universitario; quindi, mi sembra poco probabile che abbia improvvisamente deciso di prendere la patente a Mediterra alla veneranda età di 27 anni".
"È la nostra donna, quindi possiamo denunciarla" disse Valeria, alzandosi dopo essere stata piegata alle spalle di Livia. "Gli atti di istigazione alla violenza sono reato in ogni caso".
"Non quelli provati con la magia purtroppo" la corresse Tibu, che nel frattempo aveva iniziato a intrecciare i chilometrici capelli in una treccia. "Finché non abbiamo prove che non siano ricavate attraverso mezzi magici non avremo in mano niente. La cosa migliore sarebbe incastrarli in altro modo, tipo diventando amici di questa Orestilla e facendosi invitare a una riunione. È ovvio che nessuna di noi può farlo, però".
"E da quel che hanno detto alla scuola guida, penso nemmeno voi possiate – aggiunse Chanej. – Tengono d'occhio anche gli umani che si mischiano con i magici".
"A meno che non mandiamo loro qualcuno che non si aspettano, e che non è riconducibile a noi" aggiunse Ibrahim, voltandosi verso Enea e iniziando a fissarlo intensamente. Uno dopo l'altro si girarono tutti verso di lui, Valeria compresa.
"Vi prego" cercò di implorare Enea, giungendo le mani. "Non sono bravo a mentire, mi scoprirebbero tempo due minuti".
"Avresti assolutamente tutto il tempo di prepararti la parte. Con il fatto che l'ultima riunione è stata ieri sera potresti addirittura avere una settimana" disse pragmatica Kizia in tutta risposta. "Ma se devo esprimermi io, personalmente, sono d'accordo con te. Non penso sia una buona idea".
"Sarebbe meglio cercare di attirare le forze dell'ordine direttamente dove si svolge la riunione e coglierli in flagranza di reato" disse Tibu, ma Pallia sapeva che qualsiasi poliziotto di Mediterra avrebbe volentieri chiuso un occhio di fronte a quella che sembrava essere un'innocua riunione di studenti. Per quanto ne discutessero, però, il problema rimaneva lì.
"Ci serve qualcosa che li marchi e li renda riconoscibili" disse Valeria. "Solo che non sappiamo nemmeno chi siano. Sappiamo di lei, ma non possiamo fare questo processo di riconoscimento per tutti. E se ce n'è uno calvo? Non possiamo nemmeno rintracciarlo con un capello".
"A meno che" disse Cato giungendo le mani sotto il mento "A meno che non ci sia un modo di marchiarli senza che loro lo sappiano, tipo con qualche sostanza chimica".
"E come potremmo mettere le mani su una cosa del genere?" chiese Pallia, confusa. Cato sorrise e alzò le spalle.
"Sono specializzato in armi chimiche. Ci serve solo un laboratorio".
Pallia osservò i visi di tutti, uno dopo l'altro. Gli umani dovevano già sapere la cosa, perché non si mostrarono nemmeno un attimo stupiti. Per quanto riguardava le streghe, tutte guardarono Cato come se avesse appena dichiarato di essere in realtà un totano. Non aveva mai capito esattamente cosa studiassero tutti quanti, ma di certo non si sarebbe aspettato "armi chimiche" come specializzazione di una persona tranquilla e pacata come Cato. Immaginò però che tutti avessero un lato più nascosto che non amavano mettere in mostra, esattamente come faceva lei con la sua indecisione e le sue insicurezze. Ritrasse le mani nelle maniche morbide del maglione. "Possiamo provarci" disse. "Non abbiamo più di così da mettere in gioco o da perdere".
"A parte le elezioni" aggiunse Adriano. "A parte quelle è già tutto in gioco in ogni caso. Tanto varrebbe provare".
Annuirono e dopo un breve scambio esausto di parole Enea prese il telefono per ordinare qualcosa d'asporto. Dalla porta di quella che doveva essere camera di Cato, Pallia intravide i suoi due gatti addormentati sul davanzale interno della finestra. Avrebbe tanto voluto essere come loro per un momento, senza nemmeno mezza preoccupazione e senza il peso di dover salvare il mondo, almeno per cinque secondi. Uno dei due felini alzò la testa e la guardò con i suoi occhioni che sembravano fatti di oro colato. Tra loro dormiva beata anche Alma. Le sembrò che il gatto le sorridesse, e per un secondo vide nel muso del gatto il sorriso luminoso di Belie Belcan, forse fiero di quel che avevano appena scoperto grazie al suo aiuto. Sorrise di rimando, poi tornò a guardare il suo gruppo sgangherato. Avevano tanto da fare.
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Oh toh, un capitolo!
Prima o poi ce la farò a sforzarmi di fare editing più spesso. Per ora, però, godetevi il capitolo :)
- Fraffen
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