30. In territorio nemico
Seduta a gambe incrociate sul pavimento freddo del soggiorno stava cercando di concentrare le sue energie per la sua centratura mattutina. Stringeva tra le mani una delle pietre che le aveva regalato sua madre all'ultimo solstizio e stava aspettando che la superfice ruvida della roccia diventasse tiepida e iniziasse a fare quel che doveva: catalizzare il mondo, la natura e i flussi di energia ed equilibrare i suoi di conseguenza. Tuttavia, la roccia rimaneva fredda sotto il suo palmo e la sua testa continuava a concentrarsi su piccoli suoni che generalmente sarebbero scomparsi dopo dieci respiri di profonda concentrazione. Il ronzio di Bradamante, il ticchettio dell'orologio appeso in mezzo al corridoio, il respiro profondo e regolare di Pallia addormentata in camera sua. Non si erano praticamente incrociate la sera prima. Quando era tornata dalla riunione non l'aveva trovata in casa e non aveva avuto le energie o la voglia di aspettarla alzata. Si era cacciata a dormire immediatamente ma il sonno non l'aveva aiutata a tenere a bada la preoccupazione o i pensieri.
Sapeva cosa disturbava la sua centratura. Sospirò e appoggiò il sasso per terra, distendendo le gambe e tirandosi lentamente fino ad appoggiare la fronte agli stinchi. Si concentrò sulla respirazione ancora una volta, sperando che la tensione fisica aiutasse a distogliere la sua mente da quel nucleo di energia negativa che pulsava sotto il suo letto. Sospirò e fece un ultimo tentativo ma Bradamante, che fino a quel momento se ne era stata tranquilla e buona, appollaiata sul bracciolo della piccola poltrona che avevano comprato solo l'estate prima, decise che era sufficiente. Si sentì vagamente giudicata e l'ape si levò in volo per andare a posarsi sulla punta del suo piede destro. Brad non parlava, o meglio, non comunicava, ma non serviva in questa situazione.
Alzò gli occhi al cielo si tirò a sedere ordinatamente prima di alzarsi definitivamente dalla sessione di meditazione più fallimentare della storia. Senza fare rumore andò in camera propria. Come aveva sospettato l'energia negativa veniva proprio da sotto il suo letto, in corrispondenza della cesta centrale, delle tre che usava tenere i vestiti estivi durante l'inverno. Era lì che aveva messo tutti biglietti ricevuti e trovati dopo le riunioni. Erano tutti scritti con la stessa grafia neutra o stampati da un calcolatore, il che rendeva impossibile capire esattamente chi le stesse così col fiato sul collo. Le api, dall'alveare ricavato da una vecchia scatola per il tè, si ronzarono poco convinte. Percepivano la tensione.
Aveva provato a rintracciare la provenienza di uno dei fogli stampati, ma si era rivelato originario di una biblioteca comunale dove tutti avevano accesso alle macchine di stampa. Il messaggio era simile in tutti i biglietti: ritirarsi dalle elezioni e abbandonare la campagna. Non che ne avesse alcuna intenzione, soprattutto dopo tutta la fatica necessaria a creare un gruppo collaborativo, allestire gazebo, pianificare riunioni... La sua tribù diceva che l'albero piantato con fatica era quello che dava i frutti più grossi e succosi. In un certo senso era un'immagine molto incoraggiante il fatto che lo sforzo per una buona causa fosse proporzionale al risultato. Ci avrebbe messo immediatamente la firma senza esitare, ma qui non stava facendo i conti con la terra, erano altre persone a decidere se il suo albero avrebbe dato frutto o meno. Come se le preoccupazioni non fossero abbastanza i libri di testo da guardavano dallo scaffale, intonsi dall'ultima volta che aveva studiato con Livia il giorno della rissa che aveva fatto bloccare il corso.
Il suo inguaribile ottimismo era sempre stato il vessillo che aveva portato ad ogni singola riunione e nonostante tutte le difficoltà era riuscita a mantenerlo altro. Anche in quel momento avrebbe voluto sentirsi ottimista, accedere ai sussurri della natura e sentire il flusso del mondo sotto i palmi, il brusio che le ricordava che tutto è parte di un ciclo vitale unico e immenso. E invece in questo momento sembrava che tutto fosse entrato in regime di silenzio stampa. Prese il cellulare dal comodino che aveva dipinto di bianco solo qualche settimana prima dell'estate. Aprì una delle molte conversazioni che aveva fatto con sua madre negli ultimi giorni. Anche in provincia i dissesti sociali, creati dall'epicentro di Mediterra, erano arrivati.
Come era comprensibile i suoi genitori e la sua comunità erano preoccupati per lei, ma a differenza di quanto si sarebbe aspettata, non le avevano chiesto di ritirarsi dalla campagna. E poi sua madre le aveva scritto. Trovò finalmente il messaggio e cercò di sentire l'essenza color giallo chiaro di sua mamma. La sua mente addirittura lesse il messaggio con la sua voce: "Tutta la tribù sta incanalando le energie verso di te e per te, abbiamo visto che andrà tutto bene". Le fiorì un sorriso sulle labbra e pensò a quanto fosse importante sentire che, secondo sua mamma, tutto sarebbe andato bene. Sia lei che suo padre leggevano le stelle, il corso del fiumiciattolo del parco o la direzione di crescita degli steli nei prati, perché la natura percepiva il tempo in modo diverso, a una velocità diversa, e non era raro che i segni del futuro si vedessero già in quel che si aveva l'attenzione di osservare.
Andò alla finestra e spostò la tenda. Fuori il cielo era a strisce, grigie, ceruleo e rosso intenso dove il sole autunnale si attardava a sorgere. Si potevano vedere le chiazze di smog oltre le zone residenziali della città. Probabilmente i segni c'erano ma non riusciva a vederli, o non erano stati messi lì per lei. Richiuse la tenda e rimise le lettere nella cesta sotto il letto. Non sarebbe servito a nulla affossarsi prima di andare a lezione e poi a un dibattito a ora di pranzo sulle date per le elezioni. Rimise la pietra che aveva cercato di usare poco prima nella scatola dove, non appena aprì il coperchio, rilucettero una ventina di pietre e cristalli di diverse dimensioni che custodiva gelosamente. Ne scelse una particolarmente piccola e candida. Non era preziosa o particolarmente potente, ma era bella e comunicava un immenso senso di quiete e scopo. Richiuse la scatola e aprì uno dei piccoli cassetti da un portaoggetti verde mela. Dentro c'erano una serie ordinata di cordini di tutti i colori e misure. Ne scelse uno di cuoio bruno e dopo averlo steso sul tavolo posizionò la pietra al centro. Bradamante si posò numerosa sulla sua testa, osservandola coi suoi piccoli occhi curiosi. Praticava l'arte dei nodi solo quando ne sentiva il richiamo, quando una vocina nella sua testa le diceva che era il momento giusto, e così fece anche questa volta. Lasciò che la forma della pietra le indicasse come seguirla con il laccio, e lasciò che quel che desiderava fosse incanalato nella forma dei nodi. Voleva unire, voleva pacificare e voleva resistere, quindi non si stupì quando, dopo alcuni passaggi finali, si vide davanti il ciottolo avvolto in una serie di passaggi diagonali unirsi in un nodo centrale come due mani che si stringono. Rimanevano due lunghe code che fissò con un semplice nodo e poi si legò l'amuleto al collo. Il peso familiare fu come tornare improvvisamente sul pianeta terra. Le preoccupazioni non scomparirono, perché non era quello il ruolo dell'amuleto, ma Tibu le vide finalmente per le dimensioni che avevano davvero. Erano enormi, ma non impossibili da affrontare. E se avesse vinto sarebbe stata alta tanto quanto loro.
Uscì di casa facendo il meno rumore possibile, fermandosi davanti alla porta bianca della camera di Pallia. Era socchiusa. Guardò dentro. Erano presto e, se conosceva bene Pallia, non si sarebbe svegliata per un'altra ora buona. Nonostante il sole meraviglioso non ci volle molto prima che le nuvole riprendessero possesso del cielo. Quando emerse dalla metropolitana la luce era diventata grigia, ma quando riemerse per la seconda volta nella giornata, questa volta dall'università a fine della lezione, le nuvole erano diventate scure, pesanti e basse. L'umidità nell'aria le fece arrivare alle narici l'odore di terra bagnata che precede un temporale. La pietra che aveva al collo iniziò a pesare. Non aveva visto nessuno in università: né Kizia né Chanej. Pallia non aveva risposto al messaggio che le aveva lasciato. La tensione che aveva addosso le faceva pensare che ci fosse qualcosa che non andava, eppure quando aveva scritto sul gruppo per chiedere se qualcuno volesse pranzare assieme, tutti avevano risposto. Addirittura, Kizia l'aveva invitata a pranzo in appartamento. Voleva dire che non era venuta in università? Questo era tutto quello che sapeva, e poteva collimare con una normalità, ma non riusciva a levarsi di dosso la sensazione che la macchina dei disastri si fosse messa in moto. Si guardò attorno cercando dei segni di qualsiasi cosa stesse per succedere, ma non vide nulla che catturò particolarmente la sua attenzione. Avrebbe tanto voluto avere lì Pallia per chiederle cosa sentiva. Doveva andare a una consultazione preliminare sulle elezioni, una delle miriadi di riunioni che lei e gli altri si erano divisi, e l'idea che qualcosa potesse andare storto in quella sede era semplicemente una possibilità che non voleva davvero contemplare.
Fu tentata di prendere il telefono a chiamare Pallia, ma sapeva che se la disgrazia non l'avesse coinvolta personalmente non avrebbe sentito niente. Poteva solo sperare che non fosse nulla di potenzialmente mortale. Si allacciò con cura la giacca e si avviò dal lato opposto rispetto alla strada che faceva sempre. D'altronde doveva raggiungere l'università della Sacra Fiamma di Vesta, la Sacra, dove finivano a studiare tutti i figli delle maggiori famiglie patrizie di Mediterra e, in tutta sincerità, di tutta Latezia. C'era un'aura di prestigio che circondava l'intero nome della Sacra, e, fino a prova contraria, era stata l'ultima università di tutta Mediterra ad ammettere studenti magici. Non che ce ne fossero tra i frequentati attivi. Quello non faceva che rafforzare la sua convinzione del fatto che l'ambiente ostile degli atenei non facesse bene al tasso di educazione dei magici, che per il 75% preferivano non continuare gli studi dopo il liceo, probabilmente già segnati dall'esperienza traumatica delle scuole statali. E perché mai avrebbero dovuto continuare a studiare, se poi la maggior parte delle professioni normate erano comunque precluse ai magici o era grossomodo impossibile accedervi. Era questo il tipo di problematiche che avrebbe portato davanti al consiglio di Circoscrizione, sempre ammesso che ci sarebbe arrivata.
Avrebbe potuto parlare di dispersione scolastica e di come fosse un male per tutta la comunità di Mediterra avere un'intera fetta della popolazione meno educata, ma sapeva che nella mente di moltissimi estremisti del lato conservatore la cosa era assolutamente accettabile, anzi desiderabile. Esseri inferiori principalmente incanalati in lavori a basso reddito, con minor tutela e, soprattutto, lontani dai luoghi di potere.
Osservò le persone sedute assieme a lei sul tram, tutti molto ben vestiti, nemmeno un magico diretto verso quella zona della città. Era probabilmente l'università che avevano frequentato i parenti di Adriano, sapendo da che tipo di famiglia veniva. Nessuno le si era seduto accanto e aveva l'impressione che avrebbero potuto prendere fuoco semplicemente a pensare una cosa simile. Cercava con tutta sé stessa di non giudicarli, di non cedere alla tentazione di crederli cattivi solo perché cresciuti all'interno di un contesto che aveva coltivato nella loro mente idee cattive, ma parte di lei sapeva che c'erano modi di rendersi conto del proprio limite e superarlo.
Il tram si fermò davanti un glorioso piazzale completamente ricoperto di ghiaia biancastra che, nella luce innaturale della giornata, sembrava comunque rilucere vagamente. Una fontana con sculture in marmo, un Giove, una Giunone e un Apollo vegliavano un gruppo di panchine affollate di studenti. Si alzò e scese, voltandosi dopo qualche passo solo per vedere che tutti e sei gli individui sul tram la stavano ancora fissando dai finestrini, i visi deformati dai vetri sporchi in maschere senza tratti, sempre più piccole mentre il mezzo si allontanava. Guardò il tram sparire con il suo carico sgradito di pregiudizi e poi si incamminò verso la fontana, dietro la quale, un passo dopo l'altro, sorse anche un edificio basso e ampio che Tibu sapeva essere ben incastonato, con una forma irregolare, nel tessuto del quartiere. La Sacra era l'università più antica di tutta l'area nord di Latezia e vantava tra i suoi alunni almeno il cinquanta percento della classe politica dello stato, eppure la facciata non era grandiosa in stile classico come quella della Politecnica, costruita molto dopo, ma era piccola e davvero misera. Le colonne del portico d'ingresso erano ingrigite e rose in più punti dal tempo, ma all'interno si apriva una struttura eterogenea fatta di vari elementi risalenti tutte a periodi diversi. Solo l'aula magna, da quel che aveva studiato in storia dell'arte alle superiori, era risalente davvero ai tempi della Prima repubblica Romana, ma il resto non apparteneva a quel periodo per ovvie ragioni. Gli spazi non sarebbero stati sufficienti a gestire il solo numero degli studenti, esclusi quelli stranieri, escluso il personale e le necessità funzionali di un ateneo.
Fuori, a crocchi, come in ogni scuola o università, c'erano gruppi di studenti impegnati a fumare, parlare, ridere o anche solo bere un caffè fuori da uno dei bar che affollavano i portici dall'altro lato della strada rispetto all'ingresso. Tibu cercò di non fissare troppo le persone, per non dare nell'occhio più di quanto già non facesse, ma non poté trattenersi dal notare che lo stile era molto più rilassato di quel che aveva visto alla Politecnica. Gran parte degli studenti era in giacca e camicia, ma molti di loro non indossavano pantaloni con la piega, piuttosto vedeva molti jeans, qualche felpa, dei completi spezzati.
Entrata, superato un androne di ingresso che era tre volte quello dell'Accademia dei Riti. Il pavimento era di marmo e c'erano ben quattro sportelli informazioni. Scelse il gabbiotto di vetro che aveva meno persone avanti.
"Buongiorno", disse attirando l'attenzione del custode.
"I bagni sono in fondo a sinistra" rispose automaticamente dopo averla guardata, indicando con la penna alla sua destra. Tibu ci mise un attimo a capire, confusa dalla risposta. "No, guardi, sono qui per una riunione. Aula Orazio Illustre. Mi saprebbe dire dov'è?".
Il custode la guardò di nuovo da testa ai piedi prima di rispondere. "Devi raggiungere l'edificio più nuovo, da qui raggiungi il cortile centrale, lo costeggi sulla sinistra e poi al terzo ingresso sulla sinistra, giri e vai dritto. Raggiungi un edificio con i muri in mattoni. Puoi salire le scale o prendere l'ascensore, arrivi al terzo piano. Al terzo piano trovi la biblioteca di lettere e lì, se guardi bene, c'è una porta tagliafuoco e se entri da lì dovresti trovarti nell'edificio giusto. Basta scendere al secondo piano e trovi la Orazio nel corridoio di destra, dopo la zona studio. Non è difficile".
Fu certa di aver fissato per un secondo di troppo il tizio, ma immaginò che sarebbe sembrata davvero stupida a chiedere di ripetere. Sorrise come ringraziamento nonostante la confusione e dopo aver salutato cercò di raggiungere il cortile centrale. Per lo meno quello non si rivelò problematico. Anche in confronto alla Politecnica, che aveva spazi simile per grandezza, non c'erano da nessuna parte i segni della tecnologia per cui la Politecnica era famosa, al contrario c'erano bracieri spenti, per ragioni di sicurezza, a rappresentare la fiamma di Vesta. Oltre le colonne del portico rettangolare, dopo tre gradini, si apriva quello che sembrava un parco, da tanto era grande. C'erano diverse aree dedicate alle maggiori divinità, ai piedi delle quali c'erano quaderni, libri e mazzi di fiori, probabilmente offerte degli studenti delle diverse facoltà. Quella di Apollo era letteralmente coperta di mazzolini di fiori, alcuni più freschi di altri, e c'erano due studenti in piedi a pregare di fronte a quello che Tibu era certo fosse Esculapio. Costeggiando il parco dal ramo di sinistra, come si ricordava aveva detto il custode, notò anche altre statue più piccole che potevano essere vicino alle panchine e ai tavoli di pietra esterni, rovinati dalla pioggia, ma comunque utilizzati. Si chiese se nelle aree più vecchie dell'università ci fossero le prese della corrente, e rise all'idea. Spesso era un pensiero associato alle streghe quello di essere indietro rispetto ai tempi. Arrivata al terzo ingresso che si apriva, sotto forma di arco a sesto acuto, sulla sinistra del portico, vide un grosso scalone di pietra sdoppiarsi per raggiungere due piani diversi, come se l'architetto che l'aveva costruito non fosse stato molto certo del fatto che i piani di un edificio generalmente sono tutti sullo stesso livello tra di loro. Salendo incrociò due professori in toga bianca con delle giacche eleganti. Non si poté trattenere dal seguirli con lo sguardo dalla tromba dello scalone mentre saliva e loro scendevano, incuriosita. Aveva sentito dire che alcuni dei professori più anziani si ostinavano a indossare ancora la toga prevista dal primo regolamento dell'università, ma non avrebbe mai immaginato di incrociarne davvero un paio. Erano anziani, questo sì, ma non così tanto. Superò un pianerottolo più piccolo, uno molto grande, delle dimensioni di una piccola terrazza, e poi arrivò a uno più grande, fermandosi davanti a una doppia porta in vetro e a un'altra rampa di scale. Ricordava che il signore all'ingresso le aveva detto di arrivare al terzo piano, ma non sapeva come funzionasse la numerazione dei piani in un edificio così scombinato. Guardò più in alto sulle scale, dove c'era un altro pianerottolo più piccolo, e poi tornò indietro. Poteva essere arrivata al terzo piano, così come poteva essere al secondo, qualcosa avrebbe saputo dirglielo. Aprì le porte a vetri e dopo qualche metro si trovò davanti all'ingresso di una biblioteca con due ingressi rilevatori di metalli e una serie di armadietti marroni allineati lungo la parete. Una ragazza coi capelli ricci era intenta a mangiare un cornetto mentre scorreva distrattamente qualcosa sul calcolatore.
Tibu entrò. "Scusa".
La ragazza alzò la testa come uno scoiattolo spaventato e la guardò. Sorrise. "Dimmi pure".
"Dovrei raggiungere l'aula Orazio"
"Orazio magno o illustre?" chiese la ragazza.
"Illustre" rispose Tibu. "Mi hanno dato delle indicazioni all'ingresso, ma mi sono persa comunque".
L'altra sorrise e le fece cenno di entrare, premendo un paio di tasti sul calcolatore e facendo scattare l'apertura di un piccolo cancelletto laterale accanto ai rilevatori di metalli. Tibu entrò e la ragazza girò lo schermo per farle vedere una sezione bidimensionale di due edifici. Il puntatore si mosse sopra una delle stanze.
"Non sei la prima, è un disastro raggiungere quell'aula. E immagino su non sia proprio di qui" ridacchiò tra sé e sé. "Ma non ti preoccupare, succede anche a quelli che studiano qui. Allora, noi siamo qui, al secondo piano. Per arrivare al terzo piano devi salire altre due rampe di scale. Devi contare solo i pianerottoli che si aprono sul lato destro, quelli che si aprono a sinistra sono ammezzati. Arrivi a una porta esattamente come quella che c'è qui fuori – disse indicando con la penna la direzione da cui era appena arrivata – e da lì devi percorrere tutto il corridoio che ti trovi davanti". Il puntatore passò da un edificio all'altro in linea orizzontale. "Sarai arrivata nell'edificio giusto. Da lì è molto facile, hanno messo le mappe, quindi non dovresti perderti".
"Non sono abituata a un'università così grande" rispose Tibu, osservando per l'ultimo secondo la rappresentazione prima che la ragazza girasse di nuovo lo schermo verso di sé.
"So che la vostra università è davvero piccola, immagino tu sia un po' confusa. Tra l'altro, come mai una strega qui?".
Tibu si stupì del tono gentile con cui parlava di streghe, senza niente di cattivo nella voce. "C'è un'assemblea mista a cui devo partecipare, niente di emozionante. Anzi, ti ringrazio!".
"Figurati! Sono di turno fino alle 14 se ti perdi di nuovo!" rispose l'altra facendo spallucce e sfoderando un altro sorriso.
Tibu la ringraziò e uscì da dove era entrata, seguendo poi le indicazioni che le erano appena state date.
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Tra una traduzione e l'altra ogni tanto trovo il tempo di editare i capitoli scritti ✨
Spero sia stata una buona lettura!
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