19. Sistemi comunicanti

La ragazza arricciò le labbra in una smorfia che gli fece capire che aveva inteso di che sensazione stesse parlando. "Stiamo per metterci a legare sul fatto che abbiamo dei disagi materni?" le chiese in modo diretto. Non si aspettava di fare questo discorso con quella persona, ma da quel che vedeva, anche le streghe avevano problemi familiari. "Penso nessuno di noi due voglia seriamente affrontare quell'argomento in questo momento" rispose franca Chanej. Annuì in risposta. "Capisco quanto possa pesare la cosa quando sei fuori con altre persone, e improvvisamente l'unica cosa a cui riesci a pensare è cosa succederà quando arriverai a casa".

"Cosa succederà quando torni a casa è un incubo. È imprevedibile, potrebbe avercela con chiunque".

"Per poi dirti che se non studi finirai sotto un ponte a fare la carità?"

Chanej rise, senza gioia, rigirando uno degli anelli che aveva. "La tua ti dice di studiare. Il suo più grande sogno è che io faccia la commessa nel negozio di bigiotteria di mia sorella".

"Modi diversi di non capire niente, senza offesa" disse mestamente. "Nessuna offesa" rispose lei "L'offesa è non avere minimamente a cuore gli interessi della persona che si è messa al mondo. Ora preferirei cambiare argomento".

"Ti va bene lavorare su quello quindi?" avanzò Adriano, sentendosi improvvisamente in colpa all'idea di farle fare qualcosa che non le piaceva. "Se vuoi possiamo tornare a fare le rune" ma Chanej lo zittì con un gesto imperioso della mano. "Se c'è una cosa che Kizia mi ha fatto capire e che penso possa servire anche a te è questa: levati dalla testa l'idea di dover compiacere chi hai davanti solo per evitare i problemi. Non funziona". Glielo disse con profonda convinzione, puntando un dito sul tavolo. Non sapeva se fosse stato quello a convincerla ad andare così contro i desideri di sua madre, ma era come se si fosse rivolta a una parte di lui nascosta nel suo cervello in attesa che qualcuno la notasse e le dicesse cosa stava facendo di male a sé stessa. Stava accontentando tutti. Fece del suo meglio per trattenere il bruciore che gli stava salendo verso gli occhi. Deglutì pensando al viso di sua madre, o sua nonna, o suo nonno, se solo avesse avuto il coraggio certe volte di dire no senza paura delle conseguenze.

"Anche se mi oppongo le conseguenze ci saranno comunque" disse.

"Certo, non le fa sparire. Ma tanto saresti triste in ogni caso".

"È per questo che ti piace – chiese accennando a lei con la mano – vestirti così?" era una curiosità che si era tenuto anche per troppo tempo.

Chanej si guardò e sorrise, poi scosse la testa. "No, o meglio, non penso. Mi piaccio di più così".

"Anche i capelli?"

Lei si passò una mano sulla nuca che Adriano immaginò dovesse avere la consistenza di un cuscino di velluto rasato, di quelli su cui è divertente passare il palmo.

"No, questi sono un incidente. Sono andata da un parrucchiere umano perché volevo un taglio di capelli che non fosse fatto da mia mamma, che fa la parrucchiera. Però la cara signora che mi stava tagliando i capelli mi ha vista scrivere al telefono e ha capito che sono una strega. Penso il suo cervello si sia spento all'idea di avere una strega in negozio, tanto che ha preso un rasoio elettrico e me l'ha passato in mezzo alla testa".

Adriano rimase basito. Aveva pensato per tutto questo tempo che il taglio rasato fosse una scelta, non un incidente, e soprattutto non una vendetta stupida da parte di una parrucchiera umana. "E quindi?"

"Quindi ha preso il rasoio e li ho tagliati tutti quanti. Non avrei mai potuto farlo a casa, e le loro espressioni sono state il risarcimento più bello di sempre".

"Ti dispiace avere i capelli così corti adesso?"

"Onestamente? No. Ho scoperto che in realtà mi piaccio. Ma non so cosa farò ai capelli quando saranno ricresciuti".

"Li farai di nuovo mezzi bianchi e mezzi neri?"

Chanej lo guardò confusa e poi assottigliò lo sguardo. Adriano rimase immobile e avrebbe voluto mangiarsi le mani per aver appena confessato che sì, la conoscevano, ma la vibrazione del telefono di Chanej lo salvò. La ragazza si distrasse prendendo il telefono con rabbia. "Che cosa vuole adesso?" ringhiò ma la sua espressione cambiò immediatamente quando vide lo schermo. Rispose senza esitare. "Ki?"

La voce dall'altro lato del ricevitore era quella di Kizia e Pallia saltò in piedi con gli occhi spalancati. Mentre la prima parlava ancora al telefono, Pallia andò vicino al divano del soggiorno, decorato con una brutta coperta di plastica riciclata verde scolorita, e iniziò a cercare vicino ai cuscini fino a che non trovò il telecomando e riuscì ad accendere la televisione. Ibrahim era confuso tanto quanto lui. La chiamata fu molto breve.

"Palli, metti il canale nazionale" disse Chanej raggiungendola accanto alla televisione mentre scorreva i canali alla ricerca di quello corretto. Il colorito olivastro della strega era impallidito e le tremavano le mani. Capì quello che stava accadendo. Era un presentimento di sventura, e a giudicare dal modo in cui tremava, la sventura era molto grossa. Le immagini finalmente si fermarono e sia lui che Ibrahim si avvicinarono alla televisione per vedere cosa fosse successo. Il console per l'educazione pubblica di Latezia stava tenendo una conferenza stampa nel cortile del Palazzo Scipioni, attorniato da delegati delle maggiori testate giornalistiche, nonché dalla sub-console per l'educazione superiore di Mediterra, Maria Tulliola. Entrambi indossavano i vestiti da seduta conciliare.

"Crediamo e siamo consci che non si possa ritenere questa una soluzione definitiva al problema, ma solamente un'interruzione temporanea. Saranno permessi i colloqui individuali presso strutture a frequentazione principalmente umana per i magici, e viceversa per gli umani. Sono sospese tutte le attività a regime misto e consigliamo agli iscritti in istituzioni del tipo opposto di concordare, dove possibile, interruzioni o spostamenti di orario per permettere il continuamento degli studi diminuendo le tensioni. Ci rivolgiamo specialmente agli organi preposti alla vigilanza sugli studenti. Ci appoggiamo completamente al vostro supporto nella certezza che verranno seguite alla lettera le norme da noi proposte. Sono incluse nell'elenco delle istituzioni di studio superiore tutte le università, istituti universitari, scuole di specializzazione e formazione che abbiano in corso o in procinto di iniziare attività che prevedano la partecipazione di gruppi eterogenei. Nominiamo a titolo esaustivo l'università degli Studi Statali di Mediterra l'università delle scienze umane e dell'Educazione Sacra Fiamma di Vesta, l'università dei Lincei, l'Alta Scuola Scipionica, l'Istituto di Medicina e Chirurgia Esculapio II, l'Accademia di Riti di Ecate e Proserpina, l'Università Politenica, l'istituto universitario Larchi di Scienze Mediche e Infermieristiche e l'istituto di Belle Arti Buonarroti. Vogliamo essere certi che questa decisione si accolta da ambo le parti con eguale consenso, per questo stasera ci sarà un intervento del console Myrbdin, console alle arti magiche e per l'integrazione, a proposito delle linee di comportamento consigliate a seguito degli atti violenti riscontrati negli ultimi giorni. Invitiamo alla prudenza".

"Cosa è successo?" chiese Ibrahim.

"Non ho capito" disse Adriano.

"Chiudono i corsi universitari misti".

"Il nostro è un corso misto" osservò Pallia guardandoli. "Il seminario è sospeso". Ibrahim rimase con la bocca mezza aperta senza parole. "Perché lo fanno? Perché solo qui?" chiese Adriano, ma le immagini che seguirono sullo schermo della piccola e vecchia televisione a cavo gli fecero morire le domande in bocca. Sembrava che sulla libreria dell'appartamento di Ibrahim qualcuno avesse deciso di appendere dei quadri di pittori di guerra, un avvicendarsi ritmico di immagini di violenza perfettamente incorniciate tra il piccolo alberello morto nel suo vaso, dato che nessuno se ne era curato per mesi, e dei vecchi volumi un'enciclopedia di diritto, in un appartamento dove nessuno studiava diritto. Una ragazza urlava con il viso ridotto a una maschera di sangue mentre dei manifestanti di disperdevano al suono delle sirene delle forze dell'ordine in arrivo. Dal piazzale si levava una nuvola di fumo dopo l'esplosione di qualcosa che poteva essere solo un ordigno rudimentale. Aveva visto quadri del genere sui libri di storia alle scuole medie, e aveva sempre pensato alla violenza come una realtà così distante da lui, giovane moderno in un mondo ormai cambiato che avrebbe sepolto gli ideali delle generazioni prima una volta per tutte. Invece le urla stavano arrivano anche alle sue orecchie, fuori da un'università che avrebbe benissimo potuto essere la Politecnica. La voce della cronista parlava di possibile cellula violenta isolata, ma Adriano sapeva quanto suonassero stupide quelle parole alle sue stesse orecchie. Erano isolate le minacce a Tibu? Erano isolate le risse fuori dalle aule o il pestaggio di due studenti magici in un'università umana?

"Si teme sia l'inizio di una nuova scia di violenza come quella speravamo di esserci lasciati alle spalle nel secolo passato" blaterava la cronista. Chanej prese il telecomando e ammutolì la televisione, abbassando il volume al minimo.

"Non sta per iniziare. È già iniziata, semplicemente se ne sono accorti adesso. La guerra inizia dal primo atto d'odio" disse Pallia prima di iniziare a toccarsi nervosamente i capelli. Ibrahim riconobbe la sua stessa citazione e mai prima di allora aveva desiderato di aver torto con tale intensità. Nessuno si chiese chi avesse iniziato, i feriti delle immagini non erano streghe o umani, erano semplicemente feriti. Ragazzi e ragazze con l'unica colpa di voler andare a seguire una lezione. Gli si formò un grosso nodo in gola e gli occhi iniziarono a bruciare mentre non riusciva a distogliere lo sguardo dalle immagini a ripetizione sullo schermo, ipnotizzato dalla coscienza che chi aveva fatto una cosa del genere sapeva perfettamente cosa avrebbe causato. Uno non costruisce una bomba per il solo piacere di tenerla in soggiorno.

"Sta riniziando tutto da capo" sussurrò Chanej buttando il telecomando sul divano e prendendo nervosamente il telefono, probabilmente per controllare le notizie. Pallia recuperò il proprio telefono dalla borsa. "Non so se qualcuno ha avvisato Tibu".

"Kizia è stata avvisata da Livia. Livia era con Tibu. Di sicuro lo sa già".

"E adesso cosa facciamo allora?" chiese, stupidamente.

"Adesso speriamo che la questione si calmi e che i responsabili vengano a galla" rispose Ibrahim, con semplicità. "Forse è meglio che andiate a casa" aggiunse con amarezza. Le due annuirono. Per quanto la cosa non piacesse a nessuna delle due, capivano il perché del consiglio. "Se volete vi accompagno". Chanej guardò fuori dalla finestra. La luce era calata parecchio ma era ancora chiaro.

"Secondo me riusciamo a tornare a casa prima di buio. In ogni caso il mio quartiere è a maggioranza magica. Non ci dovrebbero essere problemi" rispose Chanej. Pallia invece iniziò a mettere via le cose nella propria borsa. Sembrava persa su un altro pianeta, forse sconvolta dalla notizia o dalla violenza, o dall'idea di dover correre a casa per evitare di essere trovata da sola sui mezzi dopo il tramonto. La causa nessuno la diceva ad alta voce, ma tutti sapevano benissimo che le squadre di punizione amavano girare di notte, quando si pensava che le streghe fossero più attive. Animato da uno spirito d'attenzione che mai aveva avuto in vita sua, Adriano andò in camera di Ibrahim a recuperare le giacche delle due ragazze. Si chiese, mentre passava loro i cappotti, se avesse paura. Tecnicamente loro non avevano mai vissuto gli anni della violenza in strada sulla loro pelle, ma ne avevano visto gli effetti sui loro genitori, sugli amici di famiglia, sui parenti.

"Vai anche tu?" gli domandò Ibrahim. Valutò rapidamente la questione. Tornare a casa in anticipo avrebbe di sicuro fatto piacere a sua madre. Aveva anche da studiare e non sapeva quanto avrebbe potuto concentrarsi dopo le notizie. Immaginò sua nonna sorridente a festeggiare gli avvenimenti con un bicchiere di quel vino orrendo e frizzante che la mamma teneva nascosto ma non troppo dietro le bottiglie dell'olio e della posca, probabilmente intenta a cercare altri telegiornali che dessero la stessa notizia. Gli si chiuse lo stomaco.

"Forse è meglio che vada anche io, se volete vi accompagno alla fermata" disse. Le altre due annuirono e aspettarono che anche lui si preparasse, raccogliendo le sue cose nella cartella. Non si fermò per scrivere a sua mamma, l'avrebbe fatto in tram. Non sapeva nemmeno che mezzo avrebbero preso, ma non disse nulla. Le avrebbe accompagnate alla fermata, viste salire su un tram o un bus, o un filobus, e poi avrebbe pensato al suo. Ibrahim gli passò la giacca, come aveva fatto lui con le altre. Il silenzio che era calato un attimo prima fu rotto brevemente dai saluti. Adriano cercò di evitare lo sguardo di Ibrahim prima di uscire. Temeva di poter vedere troppa preoccupazione.

"Scrivete sul gruppo quando arrivate" sentì dire prima di salutare a sua volta, rapidamente. Pallia si scambiò un breve abbraccio con il suo amico. Sembrava così piccola rispetto al gigante che era il ragazzo. Poi le seguì giù per le scale, in completo silenzio, mentre ogni tanto le due si scambiavano qualche parola. Solo dopo qualche minuto Chanej si voltò verso di lui. La sua espressione era indecifrabile. Se aveva paura o era preoccupata, le cose non erano visibili. "A che fermata devi andare tu?".

"Non prendo la vostra linea. Vi accompagno e basta" rispose, cercando di suonare il più naturale possibile. Chanej sembrò afferrare la vaghezza per quello che era, ma al contrario di quanto si sarebbe aspettato, non insistette. Annuì e lo ringraziò. All'angolo della via, Adriano vide i lampioni del piazzale accendersi tutti assieme. Per l'orario, le fermate dei mezzi erano semivuote, e soprattutto, non si vedeva nemmeno un cappello a punta. Per quanto non fossero l'abbigliamento più comodo del mondo, da dieci anni a quella parte erano diventati sempre più parte del paesaggio urbano, segno di una popolazione che reclamava sempre di più il proprio spazio nella società. Una specie di bandiera levata con orgoglio, spesso e volentieri derisa e dileggiata. Era davvero strano non vederne nemmeno uno, per quanto non fosse grande fan personalmente. Non seppe se ringraziare gli Dei che nessuna delle due avesse portato il proprio. Arrivati alla pensilina di ferro battuto e vetro, completamente oscurato da una melma giallastra di polline sciolto dalla pioggia e lasciato lì a marcire, strato su strato per anni, Pallia si sedette nell'unico posto disponibile.

Dal lato opposto del viale alberato, oltre le due file di binari, erano seduti quattro ragazzi completamente vestiti di nero. Giovani per essere dei becchini, e, a giudicare dalla foggia dei vestiti, non di certo delle giovani reclute delle forze dell'ordine. Si sarebbe preoccupato della loro possibile identità se fosse stato da solo? Si sarebbe chiesto cosa portavano nelle tasche delle loro giacche nere se non fosse stato accompagnato da due streghe? Si sarebbe chiesto se la spilla che tutti e quattro portavano sulla giacca fosse simbolo di qualche gruppo organizzato se non avesse deciso di frequentare il seminario? La risposta era no.

Un sistema viene influenzato dall'ambiente entro cui si trova. Non siamo sistemi isolati, siano per forza influenzati da quel che abbiamo attorno.

Si stupì dell'improvviso di quel pensiero, quella nozione di fisica che non sembrava davvero appartenere al contesto in cui si trovava. Eppure non era fuori luogo. In fondo anche lui era un sistema e non era più isolato.

---

Buonasera a tutto il popolo lettore!

Mi perdonerete l'assenza di settimana scorsa, ero via e non ho avuto modo di pubblicare! Spero stiate tutti benone ✨ Godetevi il bel tempo (che mi è carente).

Domanda: una playlist con le canzoni dei diversi personaggi vi interesserebbe? Fatemi sapere :)

Ci si vede settimana prossima!



Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top