16. Filogenesi della teoria dei famigli

Stava aspettando fuori dall'ingresso già da un quarto d'ora e, stranamente per il personaggio, Kizia era dannatamente in ritardo. Gli aveva detto di farsi trovare fuori alle 16:00 in punto ed erano le 16:15. Di lei nemmeno l'ombra. Erano passati dei ragazzi che l'avevano squadrato, seduto sui gradini a leggere, aveva intravisto Pallia al bar dall'altro lato della strada con delle sue compagne di corso che non conosceva. Poi il cielo si era rannuvolato e l'aria aveva iniziato a soffiare furiosa e fredda. Chiuse il libro e cercò i guanti nelle tasche, per tentare di continuare a leggere senza perdere un dito per il freddo. Mentre cercava sentì una voce familiare alle proprie spalle. "Cato. Aspetti Kizia?".

Si voltò e vide Chanej, anche lei appena uscita dall'edificio, con una pila di libri sottobraccio e una grossa sciarpa rossa a coprire quasi metà del viso. Sembrava scomparire nel cappotto di almeno tre taglie più grande di lei. "Ciao!" salutò. "Sì, mi ha detto che ci saremmo trovati alle 16... ma è in ritardo".

"Non è da lei. Sono sicura che sarà colpa di un qualche professore in ritardo. Ultimamente è sempre a colloquio o alla ricerca di articoli per la tesi".

"Sai se ci sono novità su quel fronte? Mi sembra un argomento abbastanza delicato" rispose. In effetti ogni volta che saltava fuori l'argomento "tesi", Kizia diventava una statua di marmo e chiedeva con risolutezza glaciale di cambiare argomento. Era successo due volte per sbaglio, poi Cato aveva imparato che non era il caso di stuzzicare. "Non che io sappia. So che è molto frustrata dal non essere ancora riuscita a mettere le mani su un relatore. Ma Kizia è fatta così, è inutile chiederle qualcosa che lei non ha intenzione di dirti. Quando sarà pronta sarà la prima a fartelo presente. Quindi, se è in ritardo, ci sarà una ragione". La ragazza fece spallucce e abbozzò un sorriso sghembo. Il rapporto tra Kizia e Chanej gli risultava incomprensibile, ma sembravano, pur essendo diverse come il giorno e la notte, capire la reciproca lingua. "Non ti dà fastidio che non vi tenga aggiornate?"

"Sarebbe come essere infastiditi con un cane perché abbaia. È fatta così, ha bisogno del suo spazio. Sai invece chi avrebbe bisogno di uscire dal proprio spazio? Adriano"

Cato si ricordò che Ibrahim aveva invitato giusto la sera prima tutti gli altri a studiare per il progetto nel suo appartamento. Tibu aveva rifiutato, preferendo trovarsi in biblioteca con Livia il sabato mattina, mentre Chanej e Adriano avrebbero approfittato dell'invito. Adriano non aveva fatto parola dell'accaduto, ma era chiaro che la cosa non gli piaceva e non riusciva a trovare un modo di non essere segretamente terrorizzato dalle streghe, prime fra tutte proprio Chanej e Kizia. "Non risponde ai tuoi messaggi?" chiese Cato, pur sapendo quale sarebbe stata la risposta. Tra tutti loro Adriano era quello che stava avendo più problemi nel rapportarsi con qualsiasi tipo di magico. Immaginò che per loro l'amicizia con lui fosse difficile da capire, proprio come per lui la loro. Adriano era nervoso, sempre sull'attenti, ossessionato dai risultati accademici, e come se non bastasse era cresciuto frequentando un solo tipo di persone: la Mediterra bene con le camicie griffate, club sportivi domenicali, e fervidi credenti tradizionalisti. Non esattamente una compagnia varia che lo aveva preparato al mondo variegato dell'università.

"No che non risponde. Ogni volta che gli parlo sembra avere paura che io possa mangiarlo. Mi ha fatto scegliere l'argomento senza nemmeno proferire parola" si lamentò Chanej. "Mi ha fatto ritirare tutti i libri in biblioteca perché non voleva farsi vedere con dei libri magici. Non ha voluto fare a metà", riprese accennando ai libri che portava. Su questo ci sarebbe stato molto da dire e da spiegare, ma Cato riconobbe a sé stesso che non era il suo ruolo farlo. Tutto nel mondo era sempre una sorpresa per Adriano, bisognava portare pazienza, anche se la strega che si trovava davanti in quel momento non sembrava ben disposta a farlo.

"Devi avere pazienza, Chanej. Come Kizia, ha bisogno del suo spazio" rispose con un sorriso. La ragazza arricciò le labbra e sospirò, trattenendo il fastidio. "Va bene" disse tra i denti, imitando un sorriso benevolo e aperto, riuscendo solamente a sembrare crudele.

"Se ti consola Adriano lavora divinamente sotto pressione. Non sembra, ma è quello di noi con i voti migliori" la rassicurò senza indorare la pillola. Il libretto di Adriano ospitava una sfilza di 30 e lode come se niente fosse.

"Smettila di cercare di farmelo piacere" gli rispose in tono semiserio l'altra.

"Ci riesce da solo, devi solo essere meno... come dire, aggressivo nei suoi confronti".

"Sembra che tu sia parlando di una chiocciola".

"Ti assicuro che come modo di fare non sono così diversi" rispose sorridendo Cato. Era un paragone a cui non aveva mai pensato, ma funzionava. Fu anche felice che non avesse preso troppo sul personale l'idea di essere meno aggressiva, il che implicava indirettamente che lei fosse aggressiva, senza contare che chiunque con un carattere diretto era minaccia per Adriano.

"Temo di doverti lasciare qui da solo. Non disperare che arriverà presto!" rispose facendo un cenno di saluto. "Ci vediamo presto!". Lui rispose al saluto e la guardò allontanarsi con l'aria che le faceva volare la sciarpa come una ferita rossa nel paesaggio, dello stesso colore delle foglie cadute che costellavano il piazzale. Chiuse definitivamente il libro, ormai distratto. La sagoma alta della strega si perse in fretta dopo aver attraversato la strada, mentre un altro gruppo di strighi attraversava il piazzale nel senso opposto. Dove solo due settimane prima c'erano stati i gazebo elettorali rimanevano solamente dei banchetti informativi. Inossidabile, quello con il manifesto arancione di Tibu era uno dei pochi con ancora dei volantini disponibili, infilati cautamente in alcune buste di plastica per evitare che volassero via. Una ragazza che non conosceva era appostata lì vicino e Cato sospettava fosse una delle persone che stavano aiutando con gli ultimi strascichi di campagna. Da quel che aveva capito dalle spiegazioni di Tibu stessa, una volta finita la campagna ci sarebbe stata la decisione delle date delle elezioni e l'organizzazione dei turni di voto per i consigli di istituto singolo, cosa che a lei interessava relativamente, e quelli di circoscrizione. Poi si sarebbe visto come sarebbero andate le elezioni in sé e per sé. La situazione era incerta, dopo i due episodi di violenza nei confronti degli studenti che si erano rivelati decisivi e non in senso positivo. Solo il giorno prima Cato aveva letto sul giornale un articolo in proposito e non sembrava offrire una lettura imparziale. Poi c'era il foglio del bagno. L'aveva fatto vedere ad Enea e Valeria la sera prima, nella speranza che venisse qualcosa in mente anche a loro. Nessuno dei due aveva saputo dire nulla, anche se Valeria aveva promesso di indagare. E di Valeria si sarebbe fidato ciecamente. L'aveva guardato con il viso preoccupato e aveva annuito, promettendo di aiutarlo. Enea l'aveva seguita. Si erano fatti spiegare cosa fosse successo per filo e per segno, sconvolti dal trattamento riservato a Tibu. La ragazza non aveva fatto parola di quel che gli aveva accennato Enea qualche giorno prima, se ci fosse del tenero con una delle streghe. Aveva preferito lasciar cadere la questione, in presenza di fatti molto più importante e Valeria aveva capito concentrandosi sul problema sottomano. La foto era già quindi nei telefoni di altre due persone al di fuori del loro gruppo più immediato. Sperò gli altri stessero facendo lo stesso per scoprire cosa stesse succedendo, anche se dubitava che la coinquilina di Livia si sarebbe dimostrata in qualche modo collaborativa. Era già un traguardo se si mostrava. Aveva cercato di descrivere i simboli e cercarli in rete, aveva cercato sul dizionario dei simboli disponibile in biblioteca e addirittura sul suo dizionario dei componenti meccanici, in un ultimo impeto di disperazione, solamente per rendersi conto che stava trascurando lo studio. Si era trovato a chiudere i libri e abbandonarli sul letto, dove subito Micicero era salito per accoccolarsi sopra. Qualsiasi cosa stesse studiando, il gatto voleva sedercisi sopra. In quel caso al posto di guardarlo arreso l'aveva ringraziato. Si era stirato per poi lasciarsi cadere sul libro e guardarlo con gli occhi semichiusi, soddisfatto della sua azione di disturbo. Se solo tutto si potesse risolvere così, sarebbe stato un mondo migliore.

"Scusa! Cato!"

Si girò di colpo e vide Kizia, cappello a punta calcato in testa, arrivare a passo di marcia, trasformando la sua mantella di lana in un vero e proprio mantello da strega. "È tanto che aspetti? No? Bene" disse e si rispose da sola, mentre scendeva gli scalini trotterellando, un sorriso tronfio stampato in faccia. "Eccoti. Iniziavo a preoccuparmi!" disse Cato.

"Preoccuparti? Perché mai? Avevo una conferenza e si è protratta giusto qualche minuto di più. Le conferenze mi mettono di buon umore!" cicalò soddisfatta. Oltre alla cartella di cuoio blu notte aveva altre due borse piene di libri e fotocopie che Cato sperò non fossero per la presentazione. Aveva solamente preso due libri in biblioteca, e si sarebbe sentito davvero in colpa se lei si fosse sobbarcata di recuperare tutto quello.

"Ho incontrato Chanej prima" disse, mentre attraversavano la strada all'ultimo secondo prima del semaforo rosso.

"Ah sì?" Chiese distrattamente lei. "Oggi si trovavano a studiare con gli altri, no?"

"Sì, Chanej non sembrava troppo entusiasta di essere in gruppo con Adriano", rispose mentre raggiungevano il tram, lo stesso che Cato aveva preso il venerdì precedente.

"Chi tardi arriva, male alloggia. Non si è spicciata a scegliere con chi lavorare, ora si arrangia. E poi magari le passa la rabbia esistenziale a lavorare con qualcuno di più tranquillo" affermò sicura, annuendo tra sé e sé. Sembrava camminare a un metro da terra, totalmente diversa dalla Kizia sospettosa e pronta all'assalto che vedeva di solito. Osservando il modo in cui camminava notò che sembrava saltellare tra un passo e l'altro. Non riusciva a prestare davvero attenzione alle sue parole, dato il comportamento fuori dal normale. Raggiunsero la fermata miracolosamente deserta e si sedettero sotto la pensilina. Solo allora Cato notò una collana dalla forma strana al collo di Kizia. Era letteralmente un pezzo di cartone e su di esso stava svanendo un contorno elaborato, angoloso e stranamente familiare.

"Cos'hai al collo?" chiese, cercando di recuperare dalla sua mente dove avesse visto quel simbolo. La ragazza sembrò pietrificarsi per mezzo secondo. La cosa non sfuggì al suo sguardo, ma subito si riprese, prendendo in mano il pendente e accennando un vaghissimo "Ah, niente, un amuleto".

"Sembrava quasi una runa".

"Una runa? Non sono mica una strega degli scarabocchi. Non ti preoccupare, gli amuleti temporanei sono estremamente diffusi. Non ti ricordi? Ne aveva uno anche Apter al collo".

Era vero, ma c'era qualcosa che non tornava. Da quel che aveva letto la sera prima, giusto qualche minuto prima di accorgersi che erano ormai le 23 passate, la differenza fondamentale tra rune e amuleti era la temporalità. Una runa era temporanea, un amuleto doveva andare incontro a una distruzione per fattori esterni per essere inefficace. C'era la possibilità che il libro che aveva preso fosse troppo generalistico per introdurre un concetto come gli amuleti temporanei, ma c'era anche la possibilità che Kizia stesse mentendo. Tenne la bocca chiusa e la osservò con più attenzione, mettendo in moto quella parte curiosa di sé. Chanej le aveva detto che Kizia andava lasciata in pace, e che avrebbe trovato lei il modo e il tempo di parlare dei fatti propri, ma era anche vero che lui, tecnicamente non sapeva di questa cosa e aveva una buona probabilità di impicciarsi e essere perdonato. Si sentì vagamente in colpa, ma l'idea di sapere cosa stesse succedendo ebbe tutto il tempo di lievitare nel suo cervello mentre il tram li portava a casa sua. Quando Kizia si alzò per tirare la fune del campanello per prenotare la fermata, l'impasto di domande nella testa di Cato aveva completato la lievitazione.

"Ti va bene una pizza per questa sera? O preferisci etnico?" chiese Kizia e Cato si dovette riprendere dai suoi pensieri. "Si, una pizza va benissimo" rispose, cercando di non pensare al fatto che aveva mangiato da asporto anche la sera prima. Avrebbe dovuto trovare tempo di fare la spesa prima o poi o implorare Enea di farla per entrambi. La cosa era già successa e non voleva che diventasse un'abitudine. Tutta la sua attenzione ultimamente pareva essersi catalizzata su tutto ciò che avveniva all'interno dell'università magica.

"Su cos'era la conferenza di interessante?" chiese mentre salivano in ascensore e partivano con l'ascesa verso l'ultimo piano. "Legami spirituali e benessere dei famigli. Abbastanza generale come tema, ma molto interessante".

"Ma è esattamente il tema della nostra presentazione o sbaglio?"

"Non sbagli, da dove pensi che spunti tutto questo materiale?" chiese lei, stupita dalla domanda stupida mentre apriva la porta di casa. L'appartamento appariva completamente diverso senza fiori e senza nebbia artificiale, ma non certo meno bello. Era una casa piccola, con gli spazi organizzati in modo molto ingegnoso per via del tetto mansardato, ma non aveva nulla a che vedere con i cubi di cemento dove spesso gli studenti si trovavano a vivere. Non c'erano cappotti sull'attaccapanni e la cosa lo sollevò: Naria non era in casa. Fu anche grato del fatto che la porta non giocasse strani scherzi, ma una volta entrato i suoi vestiti erano ancora quelli di prima. Scaricarono le borse e si tolsero le scarpe. Alma alzò la testa dalla spalliera del divano, dove era pisolata, lunga e tirata come un topo-spaghetto. La strega andò immediatamente a prenderla in braccio e se la appoggiò alle spalle come una stola.

"Ci sei, Cato? Sembri distratto" disse Kizia, guardandolo. All'inizio non seppe cosa rispondere e incespicò con le parole poi capì che non c'era un modo meno disastroso di approcciare la questione.

"No, ci sono. Mi sembri solo molto diversa oggi". Aveva capito doveva aveva già visto quello sguardo e quel tipo di atteggiamento, in faccia ad Enea.

"Diversa? Ti giuro che non c'è nulla di diverso dal solito".

"Perché avevi una runa del linguaggio al collo?"

"Non era una runa del linguaggio. Era una della comprensione".

"Ah-a. Prima avevi detto che era un amuleto. Non esistono amuleti temporanei" rispose puntandole il dito contro. Lei fece altrettanto, tenendo il furetto sulla spalla con una mano. "Non mi puntare il dito contro".

"Non mi dire balle, allora. Con chi ti stai vedendo?"

Kizia non rispose e calò un silenzio di tomba. Cato capì di aver oltrepassato in pochi secondi il confine, e non di pochi centimetri. No, di centinaia di chilometri. La ragazza abbracciò il famiglio con entrambe le braccia, portandoselo al petto. La confusione le balenò in viso prima che lei riuscisse a ricomporsi e a mettersi in faccia una maschera perfettamente confusa. "Non ho idea di cosa tu stia dicendo".

"Quindi il momento di defaillance era voluto".

"Non mi piace che la gente mi metta sotto torchio"

"Si intuisce. Guarda che non c'è assolutamente niente di male se ti stai vedendo con qualcuno" rispose immediatamente Cato, cercando di farle capire che era solo curiosità, e non giudizio il suo. "Mi puoi sempre rispondere che non mi riguarda e morta lì. La mia era solo curiosità".

"Certo che tu e la curiosità dovreste fare pace ogni tanto. Fai sempre un sacco di domande, prima o poi ti capiterà di fare quelle sbagliate". Si aspettava una risposta del genere, ma non aveva intenzione di demordere. Era cosciente che prima o poi la sua curiosità l'avrebbe messo in qualche situazione scomoda.

"È questo il caso? Ho fatto la domanda sbagliata?"

"Assolutamente sì. Ho semplicemente capito a chi voglio chiedere la tesi"

La risposta sagace morì in bocca a Cato. Si aspettava un nome, un'ammissione di colpevolezza di qualche modo, non un annuncio di quel calibro. Improvvisamente la teoria di Kizia con un amore segreto finì fuori dalla finestra, sostituita da una ben più sostanziosa teoria. La cosa a cui Kizia sembrava essere affezionata alla follia erano il suo famiglio e la sua laurea, era solo logico che si comportasse come una persona innamorata all'idea di aver finalmente trovato un relatore.

"Ma stai scherzando?! È una notizia meravigliosa! Potevi dirmelo subito, avremmo evitato tutto questo discorso imbarazzante!". Kizia si portò una mano al petto sospirando. "Grazie a Ecate il discorso non è deragliato sulla falsariga di oh no volevo uscire io con te, perché avrei fatto fatica a trattenere le risate".

Cato ammutolì, grato che quel pensiero non gli avesse attraversato nemmeno di striscio il cervello. Un altro pensiero si fece strada. "Davvero pensavi che stessi per dire una cosa del genere?" chiese esitante. Non che avesse pensato di farlo, ma lo preoccupava l'idea che Kizia potesse pensarlo. La ragazza lo guardò come se improvvisamente avesse quattro occhi e i capelli verdi. "Forse è meglio se chiudiamo questo argomento, che ne dici?"

Annuì e lasciò che un mattone gli si piazzasse sullo stomaco. Non sapeva il perché, soprattutto perché in qualsiasi altra situazione la cosa non l'avrebbe infastidito così tanto. Si sentiva terrorizzato all'idea che quello che aveva potuto pensare lui l'avessero pensato anche gli altri, vedendoli. Se c'era una cosa che non gli piaceva proprio per niente era fronteggiare le aspettative degli altri nei suoi confronti. Seguì la strega a prendere i libri dallo zaino e poi verso il tavolo della cucina per mettersi a lavorare attivamente, ma la concentrazione affilata di prima sembrava persa. Si sedette automaticamente cercando di tornare normale, prima che tutto il discorso si aprisse. Ma non riusciva a superare l'impasse. Fu solo quando Kizia sbatté di colpo un libro sul tavolo che fu costretto a riprendersi. Si era spaventata anche Alma.

"Pronto? Centodiciotto?"

"No, no ci sono, ci sono" la rassicurò immediatamente. "Non sembra. Se ti serve distrarti possiamo partire subito con l'aspetto nozionistico. Ho già guardato sul Codice civile tutte le leggi in merito". Non senza sforzo riuscì a ricostruire di cosa stessero parlando con esattezza. Famigli.

"Dici che serve fare un'introduzione teorica al concetto di famiglio? Giusto per completezza"

"Tenendo conto del pubblico di riferimento, direi di no. Tutti in quella classe sanno cosa è e cosa fa un famiglio".

"Aspetta, però. Non stiamo bruciando le tappe? Va bene che abbiamo scelto l'argomento, ma non dovremmo avere un indice da cui partire da proporre alla professoressa? Io ho letto le fotocopie che mi hai mandato e le ho, tra parentesi, trovate interessantissime. Ma stiamo procedendo un po' rapidi". Kizia lo guardò sorridendo compiaciuta e appoggiò una mano sul libro che aveva aperto. "Cato. L'indice è l'ultimo dei problemi. Abbiamo materiale per farne dieci di ricerche. Partiamo e vediamo dove arriviamo".

Non era quello che aveva pensato per un progetto in collaborazione. Mancava completamente il passaggio di preparazione e qualcosa nel suo cervello si rifiutava di costruire un ottimo lavoro senza delle fondamenta. Non era così che si procedeva in un progetto a ingegneria, per lo meno, ma a dire il vero non aveva mai pensato che si potesse fare diversamente.

"Non penso di poter lavorare così" ammise candidamente guardandola. Si scambiarono due sguardi confusi come se improvvisamente stessero entrambi parlando una lingua sconosciuta all'altro. "In che senso non pensi di poter lavorare così?" chiese Kizia.

"Come facciamo a sapere cosa dobbiamo fare senza un piano? Io avevo pensato di fare delle proposte di indice, quantificare le fonti e dividerle per argomento, scegliere poi il mezzo della presentazione, digitale, solo voce, voce e immagini, e poi, solo in quel momento iniziare a scrivere attivamente". La strega lo guardava con gli occhi spalancati. L'unica cosa che si muoveva erano le lancette dell'orologio e Alma che sbadigliò pigramente prima di sedersi sul tavolo vicino a loro, sulla pigna di libri, e guardarli male entrambi. Cato evitò il suo sguardo e Kizia altrettanto. "Anche se è solo una presentazione così, semplice semplice? Sono sicura che non ci saranno problemi. Posso concederti di buttare giù delle idee".

"È già qualcosa, ma io non ho tutte le tue conoscenze di base e ci metterò del tempo a scrivere".

Poi la donnola si schiarì la gola. Cato non sapeva ne fossero capaci, ma la donnola riuscì comunque ad attirare l'attenzione di entrambi. "Cosa c'è, Alma? Stiamo cercando di studiare". Il famiglio scosse la testa sospirò e saltò giù dai libri, direttamente in mezzo ai due, allungando le corte zampe per prendere la matita che Cato aveva in mano. La prese con le zampe anteriori e indicò Kizia e la guardò intensamente.

"Sta cercando di dirti qualcosa?" chiese Cato, ma la strega lo corresse prima che potesse finire la frase. "Mi sta sgridando".

Agitò la matita e poi la puntò verso Cato. "Potresti tradurre quello che sta dicendo, se non è troppo disturbo". Passò qualche secondo di quello che stava, a mani basse, diventando il pomeriggio di studio più assurdo mai provato, ancora meglio di quell'agosto in cui lui e Ibrahim avevano dovuto preparare un esame in piena canicola bevendo solo acqua e ghiaccio, con le tapparelle abbassate, due ventilatori e uno spruzzino per l'acqua. E pensare che non avevano nemmeno iniziato a studiare seriamente.

"Mi sta dicendo che stiamo sbagliando tutto. O meglio, io sto sbagliando tutto perché non ti sto permettendo di comprendere a pieno la questione dei famigli facendo come mio solito, volendo fare tutto da sola" esalò Kizia appoggiando la testa su una mano. "Contenta?" chiese alla donnola e la donnola sospirò come immaginava avrebbe sospirato una madre single molto stanca. Avrebbe odiato essere dall'altra parte di quello sguardo ma non ebbe che da pensarci che Alma si girò verso di lui, gli rimise in mano la matita e gli spostò una mano sul foglio bianco. Era un chiaro invito a studiare.

"Ora ci mettiamo a studiare davvero" disse e Alma annuì. Sarà meglio.

Kizia prese un piccolo elastico dall'astuccio e legò parte dei capelli in un pratico ciuffetto in cima alla testa, tenendoli lontani dagli occhi. Prese anche lei una penna e aprì il quaderno degli appunti. Anche se non poteva sentire cosa Alma avesse detto a Kizia e cosa avrebbe voluto dire a lui, poteva immaginare però il tono e forse, senza troppo sforzo di immaginazione, anche il contenuto. Non litigare e non dare per scontate le conoscenze e il metodo dell'altro, per quanto diverso dal proprio. Kizia aprì un grosso libro pieno di immagini storiche affiancate da fitte spiegazioni. "Iniziamo dall'inizio". E così fecero. Cercarono di portarsi avanti quanto più possibile, prima che la concentrazione evaporasse e cedesse il passo alla stanchezza della giornata, e prima che il pensiero di accudire delle palle di pelo soffianti ma stupende prendesse il sopravvento. Cato rimase assolutamente sconvolto dalla velocità con cui il cervello di Kizia gestiva le informazioni: era evidente che la stava rallentando e più volte avrebbe voluto fare uno scatto, saltare quei due passaggi estremamente ovvi ai suoi occhi, ma il trucco era facile. Cato la fermava immediatamente, prima di perdere il filo e la faceva fermare, ripetere e solo poi procedere. Era abituato a tematiche molto diverse e l'ultima volta che si era trovato davanti a un testo di sole parole, senza nemmeno una formula, era stato probabilmente per l'esame del quinto anno di liceo, prima della prova d'ingresso per ingegneria militare.

Le parole erano molto più docili dei numeri, ma molto più imprevedibili. Molte erano usate in modo che aveva sentito raramente o si riferivano a concetti che non aveva mai affrontato prima, tanto che a un certo punto alzò una mano, Kizia fermò il fiume di parole che le sgorgava senza sosta dalla bocca. Appoggiò la matita sullo schema che stava tracciando del mondo spirituale. "Hai una domanda?" chiese Kizia.

"No, ho solo bisogno di un secondo. Sono davvero tante informazioni, ma sono interessanti. Sono cose che sanno tutte le streghe?"

"In realtà no. È come per voi l'ingegneria, si tratta di cose che tutti vivono nella loro normalissima vita, ma che solo gli addetti sanno come funzionano"

"Non avevo mai pensato che fossero comparabili, in effetti". Prima di conoscere loro non gli era mai capitato di chiedersi quali fossero i limiti della magia. Non la vedeva usata da loro nella vita di tutti i giorni, non in modo diretto per lo meno, e la cosa gli pareva strana. "Come mai non la usate di più?"

Kizia chiuse ordinatamente la penna e la mise parallela al quaderno. "Penso siano ragioni storico sociali. Non è stato permesso per molto tempo, e in generale la magia viene usata per cose particolari, tipo evocare spiriti, pulizie spirituali, capire lingue straniere, cose del genere. Tutto ciò che voi risolvete con la tecnologia, noi lo risolviamo con la magia".

"È molto diversa da come l'ho sempre immaginata. Uno pensa alla magia e vengono in mente gli Dei, direttamente. Spostare le montagne, invertire il corso del tempo, restare sempre giovani... cose del genere. Non evocare vestiti magici addosso alla gente, giusto per fare un esempio completamente sconnesso dalla realtà".

"Sono cose che si possono fare, sì. Ma esattamente come richiederebbero enormi sforzi e non di una sola persona per farlo con delle macchine, non sarebbe possibile per un solo strigo o strega. Magari degli spiriti potrebbero, ma sappiamo in realtà molto poco di quali siano i limiti degli spiriti"

"Chanej mi ha detto che Bastiardo è uno spirito protettore, Alma di che tipo è?"

"A te cosa sembra?" chiese Kizia accennando all'animaletto che si era acciambellato con ordine su un quaderno e lì stava respirando regolarmente. "Mi sembra più tranquilla di Bastiardo".

"Esatto. Perché il suo compito non è proteggere da danno fisico, lei è un'insegnante. Hai visto come ci ha messo in riga, no? È il suo mestiere da qualche manciata di millenni. Abbiamo due modi di fare molto simili" continuò Kizia, senza poter trattenere un sorriso dolce nella direzione del famiglio. "Al contrario dell'esperienza di molti, penso sia il caso di dire che più che lei il mio famiglio, sono io la sua strega."

Cato guardò di nuovo la donnola. Il solo pensiero che Bastiardo e lei fossero qualcosa di simile gli sembrava inconcepibile. Alma emanava un'energia completamente diversa, calma e antica. Poteva vedere nel modo in cui Kizia si interfacciava con lei che il rapporto era quasi opposto rispetto a quello di Chanej con Bastiardo. Mai si sarebbe immaginato il riccio sgridare la sua strega come Alma aveva fatto poco prima, e non solo per il fatto che Sebas non sembrava averne la stoffa, ma proprio per il modo in cui strega e famiglio interagivano.

"Famiglio è una parola assolutamente riduttiva. Non è il mio cane o il mio gatto, nemmeno il mio pesce rosso. Alma è un'insegnante di vita, letteralmente. Non sono la prima a cui insegna e lei è proprio una delle ragioni per cui vorrei riuscire a mettere assieme una ricerca fatta come si deve sulla questione"

"Esatto, spiegami meglio questa cosa. Hai detto prima che forse hai trovato un relatore... ma accetterà questa proposta? Da quanto ho capito non è esattamente l'argomento più gettonato". La strega smise di sorridere immediatamente e rispose con fare vago. "È un professore che si occupa di studi molto simili a quelli che voglio portare avanti. Per adesso mi sto informando sui suoi articoli, e poi vedrò come contattarlo e farmi dare un relatore esterno dall'università".

"È straniero?"

Kizia annuì greve. "Già, ed è davvero scomodo, porca miseria".

Le ghiere nel cervello di Cato fecero finalmente il movimento giusto, messe per la prima volta nell'unico ordine che permettesse loro di funzionare. "Aspetta, è uno dei professori in visita. Ecco perché avevi bisogno della runa"

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