15. Lo spirito della festa
Chanej la seguì, arraffando una bottiglia di birra e una di vino da una ciotola piena di ghiaccio. Bastiardo le si era appollaiato sulla spalla e non sembrava minimamente spaventato da tutta la confusione. Pallia stava parlando fitto fitto con Ibrahim e Livia aveva ripreso in mano il suo bicchiere.
"Ti stai annoiando?" chiese Chanej appoggiando le bottiglie sopra il piccolo mobile appoggiato al muro. Cato scosse la testa. "È difficile godersi la festa con dei pensieri così pesanti".
"Esattamente quello che abbiamo detto a Tibu. Ora possiamo rimangiarci quel che abbiamo detto, accompagnato da un sorso di birra. O preferisci del vino rosa?"
"Birra, per carità. Birra".
La ragazza gli passò un grosso bicchiere di carta e dopo aver aperto la bottiglia con un gesto rapido della mano, gliene versò un po' nel bicchiere. "Fa schifo come situazione. Ma è quello che abbiamo in questo momento, anche questa festa. Goditela, che la merda ci aspetta comunque domani mattina. Non andrà da nessuna parte e in questo momento non possiamo assolutamente farci niente".
"È una sensazione orribile" rispose dopo aver bevuto un piccolo sorso di birra.
"Il senso di impotenza? Sì. Lo è" disse lei versandosi a sua volta un bicchiere. Kizia comparve con due piatti colmi di diverse pizzette e salatini che non sapeva classificare. "Vi siete già dati all'alcool?".
"Per accompagnare la tristezza" rispose Chanej prendendo una pizzetta. "Dov'è Mita?"
"In camera a vedere un documentario sulla Grande Guerra. Puoi lasciare Bastiardo di là con lei se vuoi, ho proposto a Gerda di stare di là, ma vuole tenere Pallia sotto controllo". Cato si girò e vide che la topolina era seduta sulla testa della sua strega e osservava con intensità Ibrahim. "Mi chiedo cosa stia tenendo d'occhio" rispose Cato, bevendo un altro sorso. Lo sguardo di Pallia su Ibrahim era tutt'altro che fraintendibile, ma Ibrahim sembrava proprio non accorgersene, o faceva di tutto per non dare troppi indizi.
"Era solo questione di tempo" disse Kizia. "Il fascino di Pallia è irresistibile". Fece spallucce e appoggiò i piatti. "Vai a portare di là la palla di ciccia, prima che metta le sue zampacce su un pezzo di torta".
Non sapeva ai ricci piacesse la torta, ma dal modo in cui il famiglio si girò improvvisamente verso Kizia e la guardò con quei suoi occhietti neri e alieni capì che forse non a tutti ricci, ma di sicuro a Bastiardo sì. Chanej si accorse del movimento del riccio e lo prese delicatamente in mano. "Ora di portarti dalla bambinaia, ciccio". Bastiardo si dimenò con le sue zampette corte cercando di liberarsi, ma non riuscì a fuggire alla presa di Chanej, che si allontanò. Riuscì a vederlo scoprire le piccole zanne e arricciare il muso, forse nel tentativo di essere spaventoso, senza riuscirci.
"Il tuo famiglio non ama la compagnia?" chiese Cato. Non aveva mai visto la famosa Alma ma ne aveva sentito a parlare. A quanto pareva amava i documentari.
"Non di questo tipo" rispose Kizia. "Preferisce i documentari e stasera ce n'è uno molto interessante sul Vallo di Adriano, non se lo sarebbe persa per niente al mondo".
"Un famiglio col pallino per la cultura, direi"
"Alma è un tipo accademico, al contrario di Sebas e di Gerda, che sono più per l'azione".
"Bradamante di che tipo è?" chiese, incuriosito.
"E chi la capisce? Temo nemmeno Tibu la capisca davvero, non parla e non esprime. Anche Alma dice che è uno spirito molto particolare, addirittura per gli standard spirituali".
In effetti il concetto stesso di un famiglio composto da diversi famigli più piccoli lo confondeva a sufficienza. Decise di non indagare.
"A proposito di famigli" disse Kizia distogliendo lo sguardo da lui e fissandolo su qualcosa alle sue spalle. Cato si voltò e vide che Naria, il padrone di casa, stava tenendo in braccio il gatto più grosso che avesse mai visto. Forse troppo grosso per essere un gatto. Era coperto da un mantello di fiori e farfalle e non sembrava gradire troppo il flash delle macchine fotografiche e dei cellulari, e nemmeno l'essere tenuto in braccio come un grosso bambino riottoso. Si poteva sentire il ringhio infastidito dall'altro lato della stanza. Seguì Kizia che si fece strada alla carica, spostando persone e palloncini allo stesso modo. Allungò le mani incurante della persona che stava scattando la foto e prese di mano l'animale a Naria, per lasciarlo poi immediatamente andare.
"Ti ho detto già almeno cinque volte che la devi lasciare stare" sibilò stizzita, indicando il famiglio, pur tenendo gli occhi fissi su Naria. "Non hai il minimo rispetto per il tuo famiglio!". Concluse la frase dandogli un piccolo schiaffo sulla mano già con un dito teso verso l'alto, come a voler rispondere puntualizzando qualcosa. Naria sembrava offeso, ma il grosso micio che ora si era accucciato sul divano con le spalle coperte lo era decisamente di più.
"È il mio famiglio, e questa è la mia festa, Ki. E non la stavo maltrattando!"
"La vedi come è nervosa? Io te lo dico, un giorno o l'altro si stancherà e ti mangerà l'anima".
Il ragazzo abbassò la mano colpita tenendosela al petto, deglutì una rispostaccia e poi guardò l'animale. Cato si avvicinò titubante, ma il grosso micio, che ora vedeva essere un giovane puma, girò il muso di scatto verso di lui e ringhiò.
"Tutti i famigli che non possono stare in un ambiente come questo possono stare nella mia stanza. E ora tornate pure a parlare, ho finito di guastarvi la festa". Gli invitati le rivolsero delle occhiate in tralice, chi colpito da un caso fulminante di imbarazzo di seconda mano, chi divertito da suo sfogo. Cato avrebbe volentieri preso tutti a schiaffi. Quell'animale, o spirito, sembrava sul punto di un attacco isterico.
"Non ti avvicinare troppo" lo avvisò Kizia. "Dea, poverina, è sempre così nervosa. Non è l'ambiente adatto a lei".
"È un puma in un appartamento, mi sembra anche normale. Non è il suo habitat" disse Cato allontanandosi di mezzo passo e distogliendo lo sguardo dagli occhi del felino, due colate di ambra liquida. Kizia si chinò per poterla guardare negli occhi e allungò piano le mani, lasciandole il tempo di annusarle, prima di cercare la chiusura della mantellina sotto il mento. In un primo momento Dea non parve apprezzare poi capì cosa stesse succedendo e si lasciò liberare, per poi strappare di mano l'indumento a Kizia e prenderlo tra i denti con rabbia, e poi tenerlo sotto le zampe anteriori, come una preda.
"Brava miciona" le sussurrò Kizia e le grattò la testa con gentilezza.
"È un animale meraviglioso" disse Cato. Ed era vero. Tutti gli altri famigli che aveva visto, pochi, erano animali di piccola taglia, di bosco, o comunque comuni. Niente di raro come un puma. Per quanto spaventata e accucciata, si vedeva chiaramente che era più muscolosa di un gatto, dotata di abbastanza forza da cacciare senza problemi un essere umano. "Posso accarezzarla? O le darei fastidio". Non era riuscito a trattenersi, sembrava la cugina più grossa e più in forma di Micicero.
"Dovrei dirti che devi chiedere a Naria, ma è evidente che non gliene frega nulla in questo momento. Non fare movimenti bruschi".
Cato si accucciò di fianco a Kizia e allungò una mano per farsi controllare, prima di invadere lo spazio personale del felino. Dea alzò la testa e guardò prima la mano e poi nei suoi occhi, trafiggendolo con uno sguardo molto più cosciente di un normale animale, profondo e solenne, per niente adatto a una mantella coi fiori di plastica. Più che annusare la sua mano, Dea sembrava più interessata a sentire la sua anima. Immaginò stesse cercando nel suo sguardo il segno di cattive intenzioni, ma non ne aveva. Voleva solo accarezzarla, sentire quanto era morbida la sua pelliccia e, se possibile, presentarsi. "Possibile tu non le stia antipatico" disse Kizia. E infatti lo spirito allungò il muso fino a toccargli la mano con il suo naso umido. Lo prese come un invito e allungò la mano a toccarle la testa. Il pelo era come seta, liscio, ma allo stesso tempo si percepivano i muscoli sotto la pelle, e il calore dell'animale. "Sei davvero bellissima" le disse e fu sicuro di intravedere un sorriso sul muso dell'animale.
"Come mai un puma?" chiese, mentre continuava a fare grattini dietro le orecchie di Dea.
"Naria viene da una famiglia molto ricca, si possono permettere un dato tipo di evocazioni particolari. Sono convinta sua madre abbia un Cacatua come famiglio, il tipico animale da città, no?".
"Non mi sembra un'idea geniale. Anzi, direi che è egoista, se poi non si può garantire loro una vita degna, contato soprattutto che sono più coscienti e più magici di un animale normale".
"Su questo ci sono molte discussioni, su cui vorrei concentrarmi per la tesi. Non ci sono prove del fatto che esistano animali normali e spiriti, e secondo alcuni teorici in realtà tutti gli animali racchiudono uno spirito" rispose alzandosi.
"Davvero?" chiese incredulo, accarezzando l'idea che i suoi due gatti potessero essere magici come Bradamante o Dea. La strega annuì e sorrise amaramente. "Devo solo riuscire a dimostrarlo. Per questo mi ci vorranno un po' di anni. Ora la priorità è portare questa miciona a fare la nanna, con Almita e Bastiardo, i suoi piccoli amici".
"Vanno d'accordo?"
"Per quel che sembra sì, non è un famiglio molto comunicativo. Non sono certa capisca il latino e non ho mai avuto il tempo o la voglia di provare con uno dei dialetti iberici". Batté le mani e chiamo Dea a scendere dal divano, cosa che il puma fece di buon grado, per poi procedere, con passo felpato, verso la camera di Kizia, come se già pregustasse la calma che la aspettava, tanto che appoggiò una grossa zampa alla porta. La strega la aprì e rivelò la calma che c'era dentro. La stanza era piccola, con poche decorazioni a parte un tappeto sotto il letto e dei mazzetti di erbe appesi alle travi scoperte del soffitto. Sul letto, sotto una coperta di lana rosa, c'era una donnola con delle piccole cuffie appoggiate sulla testa, stesa davanti a una tavoletta palmare. Voltò la piccola testa a guardarli e Cato sorrise in segno di saluto. La donnola appoggiò una zampa sullo schermo, mettendo in pausa, e si tolse le cuffiette con un movimento del cranio.
"Ti ho portato altra compagnia, Almita" disse Kizia. La donnola strisciò fuori dalla coperta e si mise in piedi sul bordo del letto, seguita da un bozzo che si spostò sotto la coperta e che si rivelò essere Bastiardo. Entrambi fissarono Dea per mezzo secondo, prima che questa trotterellasse verso il letto, contenta e vi salisse, facendo cigolare le molle della rete. La donnola le passò le zampe sul muso, togliendo i glitter che erano rimasti appiccicati alla pelliccia. Non si stavano dicendo niente di udibile, ma stavano evidentemente comunicando. Dea emise quello che sembrò il rombo di un trattore ma che si dimostrarono solo delle fusa.
Kizia si avvicinò al letto e prese la coperta da sotto l'animale per poi stenderla sopra tutti di nuovo, lasciando che Dea si sdraiasse, respirando tranquilla e Almita si posizionasse comoda tra le sue grosse zampe, e accanto a lei anche Sebas. "Ora puoi stare tranquilla" disse, allungandosi poi a recuperare le cuffie da dove la donnola le aveva fatte cadere e posizionandogliele di nuovo sulla piccola testa. Alma annuì convinta in segno di ringraziamento e poi fece un cenno anche in direzione di Cato.
"Lavoriamo sui famigli per il progetto?" chiese, apparentemente fuori contesto. Kizia lo guardò in un primo momento confusa, poi forse capì che semplicemente non aveva mai visto una cosa del genere, degli animali non fare gli animali, ma esprimere comportamenti codificati in una maniera a lui comprensibile.
Kizia si aprì in un sorriso quasi inquietante, tanto era ampio, e giunse le mani. "Speravo me lo chiedessi, anche perché ti avrei bocciato qualsiasi altro argomento", rispose serafica. "Non hai idea di quante cose interessanti ci siano sui famigli che nemmeno immagini".
"Ma in realtà immagino ci sia tantissimo che non so!" ammise, senza vergogna. L'interesse era più forte dell'ammettere di non sapere. E quale sarebbe stato il pazzo a rifiutare un'occasione del genere per imparare di più? "Scommetto che anche i miei micioni apprezzerebbero stare qui a guardare un documentario, sono molto per la vita tranquilla".
"Dovresti portarli una volta! Alma adora i felini, come puoi vedere" rispose Kizia accennando al terzetto sul letto. Cato immaginò Pura e Micicero acciambellati vicino agli altri famigli e si chiese come avrebbero interagito loro con degli animali non magici. Se davvero non lo erano, a quanto aveva detto Kizia.
Poi la ragazza sembrò interdetta. Le si spense il sorriso mentre seguiva un pensiero. "A proposito di gatti. Ti volevo proporre un altro tipo di progetto", avanzò titubante. Cato alzò le sopracciglia. "Di che tipo?"
"Ci sono diverse colonie feline per Mediterra, una in questo quartiere al Parco degli Eroi per la Libertà. Vado lì una volta a settimana a pulire le cucce, controllare i gatti e riempire le ciotole. Non hai idea di quanto lavoro ci sia da fare e di quanti gatti ci siano. Visto che nascondi un animo gattaro potresti pensarci, no?".
Cato non aveva mai sentito di un progetto del genere, il che lo stupì. "Io non nascondo affatto il mio animo da gattaro. Dipende quali sono gli orari".
"Non durante l'orario delle lezioni, se te lo stai chiedendo. Vado generalmente dopo l'università, alle 19:30. Poi possiamo metterci a lavorare al progetto. E poi ti lascio andare a casa col cervello che cola dalle orecchie per le troppe informazioni".
"Mi sembra un piano ottimamente congeniato. Da quanto ci stai pensando?"
"Tutto ieri, dovevo trovare un modo di formulare bene la proposta senza sembrare una completa idiota" ammise annuendo con la bocca ridotta a una linea retta imbarazzata solo per finta. Cato si mise le mani in tasca e sorrise. "A me piacerebbe davvero molto".
Kizia sorrise e si fregò le mani prima di andare verso la porta ed aprirla. "Non avevo dubbi". Saltellò fuori e tornò ad unirsi alle sue amiche. Cato la seguì. La musica era cambiata, sia alla festa che dentro la sua mente, come la sinfonia della sua giornata stesse finendo con una nota inaspettatamente maggiore. Chanej era seduta su un pouff troppo piccolo per la sua stazza ed era accartocciata accanto a Livia, intenta a far levitare, sotto gli occhi curiosi di Livia e Adriano, due patatine. Con la coda dell'occhio vide la mano di Ibrahim cercare quella di Pallia. Tibu comparve accanto a lui con due bottiglie di birra più piccole. Anche a lei sembrava tornato il sorriso, nonostante la stanchezza. Gli passò una delle due bottiglie e tornò a sedersi anche a lei. Tra loro c'era un posto anche per lui. Forse c'era davvero un motivo per festeggiare.
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Buonasera a tutti Mediterranei onorari!
Grazie di aver letto anche questa settimana :') Spero stiate tutti bene!
Per la domanda di questa settimana abbiamo una cosa di cui in realtà sono molto curiosa:
Il vostro famiglio quale forma avrebbe?
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