13. Servizi misteriosi
"Riammessi?"
"Quelli sono i ragazzi che hanno sospeso a tempo indeterminato per aver bullizzato i due magici la settimana scorsa. Non dovrebbero essere ammessi all'interno dell'università, ma immagino che sia proprio l'idea di rompere le regole ad attirarli come mosche sul miele". Il tono del ragazzo si era fatto duro, aveva raddrizzato la schiena e sembrava davvero contrariato all'idea. Si sentirono ancora degli schiamazzi dalla tromba delle scale e un tonfo come se qualcuno fosse caduto. Chanej si alzò e si sporse dal corrimano guardando giù verso la fine della scala. Dovevano già essere andati perché non vide nessuno. Bastiardo, stretto al petto si era appallottolato, circospetto.
"C'è qualcosa che non quadra" disse. "Ci servirebbe Pallia e il suo senso della disgrazia"
"Senti qualcosa di anomalo?" chiese Cato alzandosi anche lui, sospettoso. Guardò prima su verso i piani superiori e poi si avvicinò a lei. Bastiardo non sembrava a proprio agio.
"Non ho quel tipo di potere, purtroppo. Ma non ci vuole un genio a capire che dei ragazzi che hanno picchiato dei magici sono qui durante una riunione con anche dei magici presenti"
"Vuoi controllare al piano di sopra?" chiese Cato. La voce non era particolarmente convinta, ma sembrava spinto da un senso del dovere incrollabile. Capiva cosa l'avesse spinto verso quella disciplina così tanto incomprensibile ai suoi occhi come l'ingegneria militare.
"Non sarebbe una cattiva idea" rispose, dando poi un'ultima occhiata verso il basso. Non era Pallia, non poteva sentire il pericolo o le disgrazie, ma poteva chiaramente annusare puzza di problemi. La voce distorta dal microfono proveniva dall'aula della riunione. "Avvisa Tibu che ci allontaniamo un attimo" disse Cato. "Potresti mandarle una runa!" aggiunse con entusiasmo. Chanej, invece, tirò fuori il cellulare da una tasca del cappotto. "O potrei semplicemente mandarle un messaggio su Keruks". Digitò velocemente e poi disse: "Andiamo?".
Saliti al piano di sopra l'atmosfera era ancora più spettrale. Le luci erano tutte spente a eccezione dei rettangoli verdi a segnalare le uscite d'emergenza in caso di incendio. Sperò vivamente che non fosse quello a causare la strana sensazione.
"Dove e cosa cerchiamo esattamente?" chiese Cato, guardando dentro un'aula dall'oblò di vetro della porta. Estrasse il cellulare e provò a illuminare l'interno ma Chanej gli si avvicinò con un globo dalla luminescenza meno aggressiva. Fluttuava sopra la mano e Cato lo fissò come se fosse un miracolo. "Hai una runa anche per questo?"
"Sì, ma in realtà questa è una cosa che sanno fare tantissime streghe. Non penso fossero in classe, onestamente. Pensi dovremmo provare a tracciarli con qualche magia?" chiese Chanej, ma Cato si era voltato dall'altra parte e stava osservando il pavimento, con la testa lievemente piegata. Piegò le ginocchia e Chanej capì che stava guardando il riflesso della luce sul pavimento. "Non serve. Ci hanno lasciato loro delle tracce". Con il bagliore aranciato del lumen comparvero delle impronte bagnate sul pavimento. Appartenevano a più di una persona ed erano soprattutto fresche.
"Sbrighiamoci prima che si asciughino" disse Cato e senza aspettarla iniziò a seguirle lungo il corridoio buio. La strega lo seguì, chiedendosi come avesse fatto a non notare le impronte. Anche se la struttura era quasi completamente vuota, a parte loro e le persone al piano di sotto, ora Chanej temeva che ci fossero altri studenti nascosti come quelli di prima. Avrebbero potuto trovarli e denunciarli. Cercò di camminare farcendo il minor rumore possibile ma era difficile stare dietro a Cato che invece aveva come unico obiettivo quello di trovare la fonte delle impronte bagnate. Girarono a destra, oltre una porta tagliafuoco che dava su una saletta d'attesa più piccola fuori da diversi uffici di professori e due porte più scure. Le impronte sparivano lì.
"Ci avrei scommesso" disse Cato. E in effetti, il bagno sembrava un ottimo luogo di origine per delle impronte bagnate. "Magari erano davvero solo andati in bagno" provò ad accennare Cato, ma la strega non si beveva una scusa così banale, lo superò ed entrò nel bagno degli uomini. Per una volta la struttura dell'università magica non aveva nulla da inviare a quella della Politecnica. I bagni erano orrendi e umidi alla stessa maniera. Le piastrelle sulle pareti e quelle per terra creavano una strana luce azzurrina, a partire dalla luce filtrata dalle finestre alte sulla parete in fondo. C'erano tre specchi sopra tre lavandini squadrati, uno dei quali perdeva. Le impronte venivano proprio da lì. In generale non c'era niente di strano, era davvero solo un bagno. Cato entrò dopo di lei e si guardò intorno. "Non mi sembra ci sia niente di strano, ma non è normale che fossero in giro".
"Guardiamo dentro le singole cabine" rispose Chanej, stringendo Bastiardo e adagiandolo gentilmente a terra dove si mise immediatamente a cercare tra tutti gli odori. Gli aculei erano ritti. Con la punta del piede fece aprire una delle porte, ma dentro non c'era niente. Fecero lo stesso con gli altri tre cubicoli, e dentro l'ultimo Cato vide qualcosa.
"Chanej. Vieni qua". La ragazza lo raggiunse. L'odore non era per niente piacevole e il pavimento era appiccicaticcio sotto le suole degli anfibi. Attaccato con un pezzo di nastro adesivo alla parete di legno laccato di blu scuro c'era un foglio di carta arancione scritto in un modo bizzarro con parole che non sembravano avere affatto senso. Qualche riga più sotto, scritta con un pennarello nero, c'erano altri simboli che Chanej non aveva mai visto.
"È la data e l'ora di oggi questa" disse Chanej indicando con la mano libera l'ultima riga scritta con un grosso pennarello indelebile. "Potrebbero averla scritta loro. Non sembra niente di buono".
"Sai leggerlo?" chiese Cato, mentre uscivano dal piccolo vano, liberandosi le narici dal puzzo di gabinetto. Chanej tenne in mano il foglio e lo guardò bene alla luce del suo lumen. Scosse la testa. "Dovrei pensarci, così su due piedi non mi dicono niente e temo usare una runa del linguaggio sarebbe inutile. È probabile sia un codice, non una lingua straniera... Portiamolo via".
"Se ne accorgeranno" rispose preoccupato l'altro. "Rimettiamolo a posto"
"Ormai l'abbiamo staccato. Non ha senso riattaccarlo lì". Si misero a battibeccare a bassa voce quando si sentì dalla fine del corridoio una porta sbattere. Si zittirono immediatamente mentre un rumore di scarpe con le suole in cuoio, a giudicare dal rumore, si avvicinava sempre di più. Chanej spense il lumen di colpo. I passi entrarono nel corridoio dove si trovavano i bagni. Sentì il sudore formarsi sul collo e mosse la mano a tracciare una runa usando entrambe le mani. Cercò di controllare il respiro per non fare errori, visto che la runa della Nebbia era tra le più complicate. Tenne le dita tese nel penultimo tratto, inspirando dal naso con forzata lentezza. Cato era immobile e Bastiardo aveva gonfiato gli aculei tra i suoi piedi. Poteva sentire la sua energia vibrare come una bomba pronta a esplodere. Il rumore passò davanti alla loro porta ma i passi entrarono nel bagno accanto. Chanej rilassò le mani e interruppe la runa. Fece segno di stare zitto a Cato e tracciò con la punta del dito un segno tondeggiante sul muro. Non era una vera e propria runa, più un trucco da adolescenti. Invitò l'umano ad avvicinarsi, mentre il suono iniziava ad arrivare alle loro orecchie come se non ci fosse stata alcuna parete di mezzo. I passi, poi la porta cigolante di uno dei cubicoli del bagno. Cato si ritrasse un attimo, ma non si sentì nessun rumore proprio di un bagno. Al contrario, i rumori si acquietarono quando la persona chiuse la porta. L'idea di cosa stessa facendo si formò chiaramente nel suo cervello e capì che il ragazzo stava pensando la stessa cosa. Quando la persona se ne andò e sentirono definitivamente la porta del corridoio sbattere di nuovo, Cato fece una foto al foglio che avevano trovato in quel bagno e lo riattaccò al muro, poi si diressero nel bagno delle donne. Chanej aprì l'unico cubicolo chiuso e davanti a loro, appeso proprio sopra la cassetta della acqua c'era un foglio analogo all'altro.
"È salita solo per firmare, guarda qui" disse facendo spazio perché Cato riuscisse a guardare meglio. C'era una piccola firma seguita da un numero fatta a penna nera, nell'angolo del foglio, sotto molte altre firme. L'umano aveva già estratto il cellulare e stava facendo una foto. "Questa cosa non mi piace. Firmare in un bagno non è esattamente una cosa normale".
"No, direi di no – convenne Chanej. – Dobbiamo farlo vedere agli altri. Magari sanno cosa vogliono dire questi simboli".
"Per ora dobbiamo solo tornare al piano di sotto e sperare che nessuno si sia accorto di dove siamo stati".
"A meno che non abbiano messo le telecamere in bagno non possono saperlo". Si chinò per terra e lasciò che Bastiardo le si arrampicasse sui palmi e poi da lì salisse sulla spalla del cappotto e si infilasse in una piega della grossa sciarpa di lana. Controllarono che non ci fosse nessuno fuori dalla porta e se ne andarono anche loro, come erano andati via gli altri prima di loro dopo aver firmato. Calò uno strano senso di pesantezza pensierosa sui due. Chanej non riusciva a smettere di pensare al numero di ragioni per cui delle persone dovessero mettersi d'accordo in un bagno. Erano chiaramente due fogli per la stessa cosa. Probabilmente dentro il cervello di Cato stavano procedendo gli stessi pensieri. Scesero le scale e guardarono dentro, vedendo che la riunione era oltre la metà. Era già stata tirata fuori una lavagna per contare i voti e una donna con un completo di lana marrone stava leggendo ad alta voce gli esiti delle schede estratte dalla scatola di cartone.
"Stanno già votando. Staranno per finire" osservò Cato.
"Non vedo l'ora che finisca" disse Chanej tagliando corto. Era preoccupata, arrabbiata per tutti quei pensieri e voleva solo andare in un qualche posto caldo, poter stare senza giacca, voleva non pensare per cinque minuti a qualcosa di preoccupante.
"Qualcosa non va?" chiese Cato sentendo il tono brusco. "Ho fatto qualcosa?"
"No – rispose ancora secca, ma sperò interpretasse – non mi piace tutta questa storia, tutto qui. Non c'entri niente". Ed era anche vero, Cato non c'entrava nulla. "Mi mandi le foto che hai fatto?". Il ragazzo annuì e le inviò, poi si sedette sul gradino dove erano prima. Se non fosse stato per il messaggio di avviso a Tibu, la ragazza avrebbe potuto pensare che non si fossero mai mossi di lì. Un applauso poco convinto e spento arrivò dall'aula, poi un rumore di persone che si alzano tutte assieme.
Le persone iniziarono a riversarsi fuori dall'aula e tra le prime uscì proprio Tibu, con la giacca su un braccio e un'espressione annoiata. "Non ti chiederò nemmeno come è andata la votazione"
"Non avete sentito?" chiese Tibu stupita.
"Ti spieghiamo dopo" disse Cato, prendendole di mano lo zaino di modo che potesse infilarsi la giacca. Chanej notò che aveva le guance arrossate e la bocca tesa, come a cerca di sembrare tranquilla, quando in realtà non lo era davvero. "Andiamocene" tagliò corto Chanej, prendendo Bastiardo dalla sciarpa dove era rimasto e rimettendolo in tasca. Si immise di nuovo nel flusso di persone in uscita, senza badare troppo a chi stesse tagliando la strada. Gli umani avevano sempre la loro stupida maniera di atteggiarsi a superiori, e anche se alcuni umani riuscivano a essere senza troppi pregiudizi, questo non giustificava tutti gli altri. Dovette mordersi la lingua sentendo i commenti dagli altri rappresentanti mentre passava accanto a loro. Una risposta spinosa sarebbe stata così facile e così efficace. Avevano così tanta paura dei magici? Era facile dare loro una ragione. In fondo sarebbe bastato pochissimo a farli spaventare e dare loro una buona ragione per essere chiusi come dei pistacchi difettosi. Non negava a sé stessa di capire ogni tanto come mai intere generazioni di streghe avessero deciso di diventare sarte e imporre incantesimi di strangolo su tutte le cravatte e i farfallini, prima che la professione fosse definitivamente vietata ai magici, ma lo sforzo di trovare un metodo alternativo per farsi accettare e capire sembrava sempre più grande rispetto alle risposte stitiche degli "altri". Non sapeva che organizzazione dovesse avere uno stato per far funzionare la vita tra umani e magici, non studiava politica, ma non ci voleva un genio per capire che l'ago della bilancia pendeva sempre e solo da una parte.
"Non so se ho voglia di venire" disse Tibu.
"Non hai voglia di vedere Naria o di partecipare a una festa?" chiese Cato.
"Tu non hai mai visto Naria, vero?" chiese Chanej. Il ragazzo scosse la testa.
"Ti vuoi davvero perdere questo epico scontro Tibu?"
La ragazza rise in modo spento. "Non so quanto me la sentirei di fare festa. Queste riunioni mi lasciano svuotata". Lo disse con un tono amaro. "Le cose non sono andate bene, c'è tanto da fare".
"Ci sta se vuoi tornare a casa a lavorare" disse Cato. "Se non vuoi non sei costretta a venire. Ti accompagniamo a casa però".
"Mi dispiacerà però..." disse Chanej. L'altra sospirò. "In realtà non so nemmeno se avrò la forza di mettermi a lavorare. Mi sembra solo sbagliato festeggiare quando in realtà non c'è nulla da festeggiare. Ssta andando tutto male"
A Chanej morirono le parole in bocca. Capí che Tibu non sarebbe andata a casa a lavorare, sarebbe andata a casa ad astrarsi da un momento di gioia.
"Pensi di non meritarti un attimo di calma in questo momento?" intervenne Cato. "Se ci pensi la situazione non cambierà se ti concedi una serata tranquilla".
"Ma come si fa a festeggiare? Cosa c'è da festeggiare?" rispose l'altra. "Elementi come quelli che c'erano questa sera continueranno a privarci di tutto, e non ci possiamo fare niente. Cosa c'è da festeggiare?". Qualcuno stava uscendo e passò accanto a loro ma Chanej non seppe dire se si rendessero conto del discorso.
"Tibu, se non vuoi venire non ci sono problemi e dubito ce ne saranno per Naria. L'unica cosa che non voglio, e lo dico seriamente, è che tu lo faccia per colpa loro".
"Mi ci metto dentro personalmente" aggiunse Cato in uno slancio di qualcosa che Chanej non avrebbe saputo definire, tra altruismo e odio verso se stessi. "Se vuoi stare a casa dovresti farlo perché fa bene a te, non perché qualcun altro ha deciso che non hai diritto di farlo"
"Ti stanno privando della tranquillità. Pensi che loro andranno a casa a struggersi sulla loro campagna elettorale? Non credo proprio. Per loro non c'è in gioco nulla di importante, ma sono riusciti a far pensare a te che non hai diritto di uscire a divertirti perché hai delle responsabilità. A meno che non andiamo a fare un colpo di stato direttamente nella Capitale ti assicuro che sono responsabilità che possono aspettare domani mattina. Te lo vedo in faccia, ti roderai il fegato a casa".
"Non è vero" si impuntò Tibu stringendo gli spallacci dello zaino fino a farsi diventare le nocche bianche.
"Invece è vero. Ammettilo: ti senti di fare un torto alla comunità magica che ti supporta andando a fare altro. Sappi che la comunità magica che ti supporta non ha intenzione di recriminarti nulla. Anzi, se è un loro giochetto psicologico dovresti solo avere mille motivi in più per venire". Sette emozioni diverse passarono sul viso dell'altra: prima di tutto il fastidio di essere messa all'angolo, seguito da un sospiro di resa, uno sguardo di accusa verso l'università e verso Chanej, e da tre stadi diversi di resa, prima sofferta e poi divertita. "Va bene". Accettazione. "Ma rimane il fatto che c'è davvero poco da festeggiare". Chanej stava per riaprire la bocca ma Cato la fermò con una mano e rispose tranquillamente a Tibu, rassicurandola che ne erano ben consci.
"Mi hai appena zittita?" chiese inorridita Chanej a Cato, ignorando completamente la risposta che stava dando all'altra. Questo si girò verso di lei col fare più naturale del mondo. "Volevo evitare che infierissi, siamo tutti tesi".
"Infierire? Su chi? Stavamo solo parlando"
"E ora andiamo alla festa" la interruppe Tibu. Si sforzò di evitare di rispondere male anche a Tibu, dato che era lei ad aver bisogno di tranquillità, in primis. Penso di nuovo alle foto e decise che era più importante parlare di quello. "Una volta arrivati dobbiamo discutere di una cosa" disse, avviandosi. Tibu la raggiunse e le mise una mano sulla spalla, mentre camminavano. "Davvero, ho apprezzato il discorso esortativo".
"L'umano no a quanto pare".
"Non è abituato al tuo modo di fare, al nostro modo di fare. È scontato che non capisca le dinamiche di un gruppo già preesistente, non devi prendertela" rispose l'altra con tranquillità.
"Non dovrei essere io a fare la piattola, sei quella appena uscita da un mattatoio politico" le fece notare Chanej.
"Però io non ho la tendenza a fare la piattola. Tu sì, quindi se davvero ci tieni, ridimensionati e smettila".
Le parole più dure detto col tono più dolce erano un cocktail micidiale che avrebbe potuto stendere chiunque. Tibu lo sapeva e le usava con dovuta cautela. Ingoiò l'orgoglio e non rispose in un tacito assenso. Odiava essere zittita o interrotta, ma Tibu aveva ragione. Stava facendo la piattola e come avrebbe detto anche Kizia, doveva smettere di comportarsi come se il mondo fosse fatto da cloni di sua madre. Non tutti si meritano sempre una rispostaccia, non tutti ce l'hanno con te, non sei il centro dei conflitti dell'universo mondo. Si concentrò sul freddo e sulle luci dei lampioni e sulle foto che avrebbero fatto vedere a tutti appena arrivati alla festa. Seguirono fendendo il piazzale, imboccando poi Largo Orazi. Fecero gli ultimi metri correndo, prima di salire sul tram di passaggio e aspettare quindi la loro fermata. Si sedettero su un quartetto di posti, in silenzio.
"Come mai vi siete allontanati a un certo punto?" chiese Tibu.
"Abbiamo visto una cosa strana" rimase sul vago Cato. "Hai presente i ragazzi che hanno sospeso per discriminazione la settimana scorsa?". Tibu annuì.
"Li abbiamo visti scendere le scale e ci siamo chiesti cosa stessero facendo e abbiamo scoperto questo nei bagni del secondo piano". Le passò il telefono di modo che potesse vedere la foto. La strega la ingrandì e la guardò girando il telefono da tutti i lati. "Non ti sto seguendo. Cos'è?"
"Non lo sappiamo nemmeno noi" rispose Chanej e Tibu rese il telefono a Cato. "Però poi abbiamo sentito qualcuno nel bagno accanto, quello delle donne. E anche lì c'era un foglio identico, anche quello firmato con date e orari. Secondo noi è qualcosa di losco, ma prima dobbiamo interpretare cosa c'è scritto".
"Non è qualche codice che conosci?" chiese Tibu.
"Dovrei passare in biblioteca a controllare se è un codice di cui si hanno tracce, ma dubito che sia qualcosa di magico. Penso sia qualcosa di umano, prettamente e solamente umano. Oserei dire che mi puzza di suprematismo umano".
Fortuna che nessuno la sentì sul tram, dato che i presenti sembravano tutti umani. Abbassò la voce e si avvicinò per farsi sentire bene. "Secondo me si tratta di umani che non vogliono i magici e vogliono sapere chi è d'accordo. Se no perché metterlo nei bagni? Ci sono le bacheche" aggiunse. Cato incrociò le braccia e si vedeva che era a disagio all'idea che potesse essere una cosa del genere, ma era abbastanza oggettivo da rendersi conto che era la cosa più plausibile. "Comunque lo diremo anche agli altri quando arriviamo alla festa. Magari qualcuno ha già visto qualcosa del genere".
"Spero non Livia o Adriano" disse Cato. "Quello sarebbe imbarazzante. E pericoloso".
"Per loro di sicuro" commentò Tibu, sospirando. Chanej affondò il mento nella sciarpa e sperò con tutta sé stessa che nessuno degli umani presenti fosse coinvolto in qualsiasi cosa stesse succedendo. A volte li odiava, a volte non li capiva, ma erano comunque i migliori umani con cui le fosse capitato di avere delle interazioni. Le stavano dimostrando che in certe cose gli umani e i magici non erano così diversi. Anche la grande discussione avuta in classe si era dimostrata un buon ponte di comunicazione, nonostante la tensione, nonostante la coscienza che delle differenze ci sarebbero sempre state. Guardando fuori dal finestrino si trovò a pensare come sarebbe stato se uno dei gruppi non esistesse, se ci sarebbe stato un mondo simile pieno di tecnologia e di comodità se gli umani non si fossero sentiti spronati dall'avere il loro piccolo tipo di magia, oppure se in un mondo di sole streghe si sarebbe sentito il bisogno di avere piccole cose utili come i cellulari o i calcolatori, o se si sarebbe rimasti bloccati in una specie di limbo medievale, come piaceva tanto pensare ai registi e agli scrittori, o a chiunque dovesse immaginare un mondo senza umani. Cercò di accantonare il pensiero e si concentrò sul tremore continuo dei sedili mentre il tram scivolava per la città.
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