Capitolo 8
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Con mia grande sorpresa, un'ora più tardi, Noah si presenta sulla spiaggia con un sorrisetto stampato in faccia e una tavola da surf sotto al braccio. I capelli biondi catturano la luce del sole come piccoli opali.
«Cos'è questa storia delle lezioni di surf, America? Vuoi passare del tempo con me?» chiede canzonatorio.
«Non vantarti, non eri la mia prima scelta» alzo la voce per farmi sentire sopra al vento che soffia questa mattina.
«Non dovresti parlarmi con quel tono, considerando che ieri ti ho salvato la vita» la sua vorrebbe essere un'argomentazione seria, ma la sua voce ironica la rende più una provocazione.
«Si, a proposito» mi sposto meccanicamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Grazie per non aver raccontato niente a mio nonno».
«Figurati» dice lui con una scrollata di spalle. «Prendi questa» mi passa la tavola da surf e, non sapendo dove metterla, la posiziono sulla sabbia. Noah mi guarda come se avessi appena commesso un sacrilegio, per cui mi sbrigo a riprenderla, ma lui mi blocca.
«Prima lezione che farai bene a tenere sempre a mente: la tavola é l'estensione del tuo corpo nell'acqua e, in casi estremi, la tua ancora» Noah parla con tranquillità, come se lo avesse già fatto mille volte.
«Perciò dovrai imparare a prendertene cura» tira fuori dal suo zaino un vasetto di latta dalla forma quadrata e, quando tira via il coperchio, prende tra le mani un piccolo pezzo solido. Sembra una tavoletta di sapone. «La superficie della tavola va levigata con la cera per renderla antiscivolo e avere un maggiore equilibrio» i suoi occhi si spostano accusatori sui miei quando pronuncia le ultime parole.
Ripenso alla notte precedente, al fatto che la tavola del nonno era perfettamente liscia. Un'ondata di imbarazzo mi colora le guance e io mi sbrigo a prendere la cera e cominciare a passarla sulla tavola.
Improvvisamente mi tornano alla mente tutte le volte che ho visto Aurora accovacciata sulla sabbia a passare una sostanza bianca e appiccicosa sulla sua tavola. Ci metteva così tanta energia che all'epoca pensavo che fosse una sorta di lucidante.
«Non così» la voce di Noah mi riporta alla realtà e lo sento abbassarsi accanto a me. Sussulto quando mi afferra il polso. «Devi fare movimenti lenti e circolatori» anche il suo tono si è abbassato. «Per spalmarla in modo uniforme» ignoro i doppi sensi e la sua voce maliziosa.
Cerco di non pensare a quanto mi sia vicino, che i suoi capelli mi sfiorano la spalla o al fatto che potrei toccarlo con un solo movimento. Lui sembra del tutto a suo agio, mentre io mi mordo l'interno del labbro per cercare di calmare il battito del mio cuore.
«Ora possiamo entrare in acqua?» chiedo impaziente, solo perché il sole comincia a diventare troppo caldo.
Noah ride, portando la testa indietro. «Assolutamente no, America. Prima dovrai imparare a stare in equilibrio. Qui, sulla spiaggia».
Non aspetta che gli risponda, perché subito aggiunge: «Prima di tutto devi imparare a pagaiare: sdraiati sulla tavola, raddrizza il busto e muovi le braccia».
«Ma é una cosa stupida»
«Sai cos'è stupido, America? Andare in acqua senza le conoscenze base» mi fulmina con gli occhi e mi costringo a restare in silenzio.
Faccio come dice, consapevole di avere adesso il suo sguardo attento addosso. Lo sento scrutarmi il corpo, come a trovare tutti i miei difetti. Mi sento del tutto esposta a lui.
Questo è stupido, penso. Farmi aiutare da lui.
«Bene. Ora guarda dritta davanti a te, non devi mai perdere la concentrazione» dice, come se sapesse che ho la testa altrove.
Inizio a muovere le braccia come mi ha detto lui, immaginando di trovarmi nel bel mezzo dell'oceano.
«Inspira. Espira» la sua voce calda diventa quasi una ninnananna e il mio respiro si regola al suo ritmo.
«Ora passiamo al pop up».
«Al che?» domando, tentando di non ridere.
«Alzati, ti faccio vedere» Noah aspetta pazientemente i pochi secondi che impiego a mettermi in piedi, poi si sfila la maglietta e la getta sulla sabbia.
Si mette nella stessa posizione in cui ero fino a poco fa, schiacciando il petto sulla tavola.
«Da qui, appoggia le mani all'altezza del petto e spingiti verso l'alto. Porta il piede in avanti e continua a spingere con le braccia» é più facile a vedersi che a dirsi e, con gesti sicuri e movimenti fluidi, Noah si alza sulla tavola in perfetto equilibrio.
«Questa è la parte più complessa» commenta con un sorrisetto divertito sulle labbra. Gli lancio un'occhiata di sfida mentre ritorno sulla tavola e, meccanicamente, ripeto quello che ha fatto lui.
I miei movimenti sono sono aggraziati quanto i suoi, ma ho capito abbastanza bene il meccanismo da riuscirci al primo colpo senza cadere. Lo guardo trionfante, allargando le braccia teatralmente e simulando un inchino.
Noah non sembra particolarmente colpito, ma lo vedo trattenere una risata. Mi osserva per un secondo con le dita appoggiate sotto al mento, poi si avvicina.
«Rilassa le spalle» dice, e le sue mani si posano sulla mia pelle. Un forte calore si irradia nel mio corpo fino al basso ventre, ma cerco di non pensarci.
Guarda l'oceano, mi impongo.
Spero che si allontani, ma lui si fa ancora più vicino. «Ruota il bacino, così» sento le sua dita scivolarmi lungo le braccia fino ai fianchi, li sposta leggermente facendomi quasi rabbrividire. «Avrai maggiore equilibrio» la sua voce si è fatta più rauca e quando mi volto a guardarlo mi rendo conto che è pericolosamente vicino.
Il tempo sembra dilatarsi quando fissa i suoi occhi azzurri nei miei, siamo così vicini che sento il suo respiro caldo sulla pelle. Trattengo il fiato così a lungo che mi sembra quasi di annegarci, in quegli occhi.
«E guarda sempre dritto davanti a te» le sue dita sono tornate al mio viso, ruotandolo verso l'oceano. Il momento si rompe e il tempo torna a scorrere normalmente. Noah si allontana improvvisamente, con un movimento secco.
«E ora fallo ancora» ordina.
«Tutto di nuovo?» mi sembra ridicolo, ma Noah è inamovibile.
«Tutto di nuovo».
Dopo un'ora mi sento completamente distrutta. Noah è rimasto tutto il tempo a osservarmi, immobile come una statua, e a correggere i miei movimenti, ma senza neanche sfiorarmi.
«Ora basta, ho capito» ho ormai finito la pazienza. «Sono pronta per entrare in acqua».
«Non spetta a te dirlo» non so come faccia, ma ha ancora la forza di allargare le labbra in un sorriso. «Per oggi possiamo finire qui» riprende, raccogliendo le sue cose.
«Ma io sono pronta, davvero» ammetto che, nell'ultimo quarto d'ora, i miei movimenti sono diventati molto più fluidi e precisi e la soddisfazione mi ha dato una gran voglia di mettermi alla prova nell'oceano.
«Il surf richiede pazienza, America. Per oggi basta».
Se potessi esaudire un desiderio per tutte le volte che ho sentito questa frase, adesso Rory sarebbe qui con me.
«D'accordo» mi arrendo alla fine. Recupero la tavola e mi sbrigo a seguirlo. «Sono andata tanto male?»
Noah ride. Ormai si è sciolto e devo ammettere, mio malgrado, che é davvero simpatico, quando non si prende gioco di me.
«In realtà, considerando la tua età e che sei una principiante, hai quasi del talento naturale».
«Era un complimento mascherato da insulto?»
«Era solo un complimento».
Distolgo lo sguardo da lui, ridendo. Poi, una domanda mi si forma nella mente.
«Tu la conoscevi, mia sorella, non é vero?»
Noah si blocca improvvisamente, come se fosse stato strattonato da un filo invisibile. Anche la sua espressione cambia, si fa più dura e seria, la linea della mascella si irrigidisce e gli occhi diventano più cupi.
«Solo perché ho accettato di darti qualche lezione non vuol dire che voglio esserti amico» la sua voce é severa, dura e mi colpisce come una cannonata al petto.
La spensieratezza di qualche secondo prima si perde nell'aria bollente del pomeriggio. Sono stanca di farmi trattare così da lui, sono stanca dei suoi improvvisi sbalzi d'umore.
«Sei uno stronzo» e io una stupida. Vorrei aggiungere altro, ma so che me ne farebbe pentire. Non aspetto una sua risposta e neanche mi preoccupo di controllare la sua espressione. Semplicemente, mi allontano battendo i piedi a terra e ascoltando il rumore dell'oceano che si fa sempre meno intenso.
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