Capitolo 5

🌺

Mi ritrovo, ancora una volta, seduta sulla sabbia, con le braccia strette attorno alle ginocchia e le guance bagnate. Non so perché le parole di quella ragazza, Courtney, mi abbiano squarciato tanto l'anima.

Forse perché, in fondo, ha ragione, penso. La tragedia di mia sorella si sarebbe potuta evitare, se lei non avesse... se io le avessi detto di non andare.

Avevamo litigato il giorno prima che partisse, perché lei non ne poteva più di Boston ed io di vederla lasciare la nostra famiglia — di lasciare me — per andare dall'altra parte del mondo.

«Tu non capisci. L'Australia è casa mia, l'oceano è casa» mi urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

Non avevamo mai litigato prima di quel momento, non per ragioni importanti almeno. Ma quel giorno sentii la rabbia esplodermi dentro come un vulcano. Ero stanca delle sue partenze: ogni volta che ne aveva la possibilità, prendeva tutte le sue cose e se ne andava. Come se quello che aveva non fosse abbastanza per lei. Come se io non le bastassi.

Volevo soltanto avere mia sorella. Per una sola volta nella mia vita mi sono sentita egoista e arrabbiata con lei.

«Vattene allora, tanto lo fai sempre. Ti odio!»

Le ho sputato in faccia quelle parole acide. Non le pensavo davvero, non la odiavo davvero e non avrei mai potuto farlo e, ancor meno, volevo che partisse. Ma in quel momento desideravo solo che sparisse, che se ne andasse in quel paese che amava tanto, perché io non volevo più vederla.

Furono quelle le ultime parole che le rivolsi. Poi, due settimane più tardi, la nonna chiamò nel bel mezzo della notte. Aveva la voce rotta, singhiozzava e ripeteva parole assurde.

Rory era morta. Rory si era buttata da una scogliera perché voleva prendere una grande onda. Lo aveva fatto per gioco, ma la corrente l'aveva travolta. Era inverno, in Australia, e l'oceano era troppo imprevedibile. Quel giorno non avrebbe neanche dovuto entrare in acqua.

Se solo le avessi detto di non andare e restare con me.

Quei pensieri si sono trasformati in incubi che mi tengono sveglia la notte e, ora, si materializzano davanti a me come un macabro film.

Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano quando sento qualcuno avvicinarsi. Immagino che sia Stormie, ma quando mi volto non é lei che vedo.

É Noah.

«A quanto pare hai trovato anche tu l'unico punto della spiaggia in cui stare da soli» ha le occhiaie sotto agli occhi, i capelli aggrovigliati e una lattina di birra in mano. Eppure, nonostante questo, emana una luce intensa, come se fosse il sole di se stesso.

«Credevo che gli atleti non bevessero» non so dove trovo la forza per rispondergli in tono risoluto, ma so anche che non voglio farmi vedere triste e in lacrime. Non da lui, almeno.

Noah ruota la testa, fissando un punto cieco oltre l'oceano. Ha un profilo spigoloso, le ciglia folte creano una lunga ombra sugli zigomi e la linea della mascella è rigida, contratta.

«Non so se mi posso considerare più un atleta» la sua sincerità mi coglie di sorpresa. «Ho visto che hai conosciuto gli altri».

«Sono amici tuoi?» chiedo, improvvisamente spaventata dalla risposta. 'Gli altri' potrebbe anche essere Courtney e non sono tanto sicura di volerle parlare ancora.

«Sai, America, non sembra ma il surf è uno sport parecchio competitivo: sono poche le persone che si possono chiamare davvero amici».

«Sai, Australia» assottiglio gli occhi, giusto per rimarcare le mie parole. «Mi chiamo Stella».

«Be' visto che ci stiamo presentando ufficialmente, Noah Parker» dice lui. Adesso torna a guardarmi, il sorriso perfetto illuminato dalla luna.

«Perché dici di non essere più un atleta?» chiedo quasi d'impulso, solo per trovare qualcosa con cui riempire il silenzio.

«Non mi va di parlarne».

Fa un lungo sorso dalla lattina prima di depositarla sulla sabbia e tutta la mia attenzione viene catturata da un luccichio. Un ciondolo a forma di tavola da surf, ormai troppo familiare.

«Anche tu porti quella collana» la mia voce è un sussurro, ma Noah si irrigidisce, come se gli avessi urlato addosso.

E poi la domanda mi sorge spontanea. «Conoscevi mia sorella?»

Noah distoglie lo sguardo, serra la mascella e poi torna a guardarmi con i suoi occhi azzurri. «Diciamo così».

«Che significa?» il suo parlare in modo enigmatico, senza dare nessuna vera risposta mi sta infastidendo tanto che non mi rendo neanche conto di aver alzato la voce.

«Che devi farti gli affari tuoi, America!» butta fuori Noah. Adesso ha gli occhi infiammati dalla rabbia, ma non mi interessa.

«Non hai alcun diritto di parlare così di Rory. Non sai quello che dici» mi alzo in piedi, preda anch'io di una rabbia che mi porto dentro da troppo tempo.

«E tu? Tu credevi di conoscerla?»

Ancora una volta, le parole di una persona sconosciuta mi spiazzano, portando a galla vecchie paure. E mi blocco così, incapace di fare un passo, un respiro. Cerco di calmare la mente e impedirmi di tremare.

Noah è ancora di fronte a me, talmente alto che sono costretta ad alzare la testa per guardarlo.

«Forse sei tu a non sapere quello che dici» Noah è più vicino, sento quasi il suo profumo. Ma é soltanto un attimo, così breve che dubito persino di averlo vissuto. Si allontana con passo svelto, tornando alla festa.

Rimasta, di nuovo, sola mi stringo le mani intorno alle braccia finché non sento le unghie mordere la pelle. Non voglio piangere. Voglio soltanto dimenticare, anche se per un solo minuto.

Decido allora di camminare fino alla festa. Non so dove sia Stormie, ma non mi interessa cercarla. Mi dirigo verso il tendone con i cocktail e ne afferro uno.

Il liquido mi brucia la gola, ma almeno ricaccia indietro le lacrime.

Forse sei tu a non sapere quello che dici. Forse non conoscevo mia sorella come credevo. Dopotutto, lei non mi ha mai parlato di Conny Bay: blaterava sempre su quanto le piacesse fare surf, ma non ha mai accennato di essersi fatta degli amici. Non mi ha mai raccontato di nessuno. Eppure, qui, sembra che tutti la conoscessero.

Improvvisamente mi sento piccola e inutile e sbagliata. Questo non è il mio posto e forse Rory era così felice qui perché era lontana. Lontana da casa e da me.

L'alcol scende come acqua e quasi non ne sento il sapore. Mi pulsano le tempie e la musica alta rende tutto più confuso. Ma forse è davvero questa la verità: Rory non voleva condividere questo posto con me. É per questo che non mi ha mai raccontato niente di importante, voleva tenerselo per lei.

Dopotutto, lei era il grande talento della famiglia. Lei era la bambina prodigio con la passione per il surf. Lei era quella coraggiosa che attraversava il mondo per fare ciò che amava.

Improvvisamente mi viene una gran voglia di svuotare l'oceano, privarlo di ogni goccia d'acqua. So quanto risulti ridicolo, ma è proprio quello che vorrei in questo momento.

Oltre a qualcos'altro. Il pensiero mi balena in testa, ma non mi interessa quanto sembri sciocco o folle. Voglio provare quello che ha provato mia sorella per tutta la vita.

Mi allontano dalla festa, la spiaggia diventa un punto sfocato e la musica diminuisce fino a scomparire del tutto, fino a lasciarmi da sola con me stessa.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top