Capitolo 28

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Noah è appoggiato con la spalla sul muretto della villa, immobile e con gli occhi puntati su di me. Troppo tardi però mi rendo conto che non stanno affatto guardando me, ma seguono, lenti e affiliati come coltelli, i movimenti di Jessie.

Sto per andargli incontro e spiegargli che non è come sembra, che quello che ha visto è solo una visione distorta della realtà, ma Maila mi afferra per la spalla, trattenendomi. «Gli parlerai più tardi, ora non c'è tempo» dice con la sua voce sempre calma.

Il sole sta quasi per perdersi dietro la linea dell'orizzonte e Mike Jacobs vuole finire oggi tutti gli scatti, anche quelli in acqua.

Per fortuna, non sono io la sua musa principale e infatti nessuno mi chiede di indossare una nuova muta: si concentra su Courtney e Stormie, troppo belle nelle loro mute scintillanti, e su Maila che dà il meglio di sé con manovre che non le ho mai visto fare durante gli allenamenti.

Mike Jacobs sembra apprezzare anche le linee pulite della tavola di Jessie, mentre io rimango per lo più seduta sulla mia. In appena una manciata di secondi tutto quello che ho imparato nelle ultime settimane scivola via, come sabbia nel vento. Non riesco nemmeno ad alzarmi e restare in equilibrio, come se i pensieri nella mia testa pesassero al punto di non mantenermi in piedi sulla tavola.

Continuo a lanciare occhiate alle mie spalle, verso la villa, sperando di scorgere i capelli indomiti di Noah da qualche parte, sperando di vedere il suo sguardo luminoso. Ma non vedo nulla.

Una strana paura mi annida le gambe, risalendo lentamente fino al cuore. Non é successo niente di sbagliato, ma ho la brutta sensazione che Noah possa non pensarla così.

Quando usciamo dall'oceano, dai capelli grondano gocce d'acqua lungo tutta la schiena e la temperatura, abbassatasi con il calare del sole, mi fa rabbrividire. Ma neanche ci penso ad infilarmi un asciugamano sulle spalle, voglio cercare Noah e voglio farlo subito.

Ma non è la sua voce a sorprendermi. Mi volto, andando quasi a sbattere contro il petto scintillante di gocce d'acqua di Jessie. L'ultimo alone dorato del tramonto lo illumina come un'aura ricca di pentimento ed errori.

«Ehi, Giulietta» dice. L'angolo delle sue labbra si alza in una smorfia maliziosa che mi manda gelidi brividi lungo la schiena. «Pensavo che, ormai che sei qui, possiamo trascorrere il resto della serata insieme».

Gli occhi verdi mi fissano con intensità e con sfida. Improvvisamente, non faccio alcuna fatica a immaginarmi Jessie esattamente come lo ha descritto Noah. C'è qualcosa in lui che, per quanto affascinante, mi fa accapponare la pelle, come se fosse disposto a tutto pur di ottenere ciò che vuole.

Il suo sguardo screziato d'ambra indugia un po' troppo sul mio corpo e sul costume in un modo che mi fa sentire a disagio, come se volesse sbranarmi con gli occhi.

«Mi dispiace, ma io... ecco io» biascico, a corto di parole.

Tuttavia, non serve aggiungere altro. Jessie sembra afferrare al volo le mie intenzioni e, adesso, la sua espressione diventa truce. «Sul serio?» domanda asettico. «Dopo quello che è successo alla festa, tu preferisci davvero stare con lui?»

Per un attimo non riesco a comprendere come abbia fatto a capirlo. Ma poi mi viene in mente che, quando Noah è arrivato alla villa e mi ha vista avvinghiata a lui, Jessie deve aver visto qualcosa nel suo sguardo, e poi nel mio. E deve aver intuito la risposta a tutto.

«Mi dispiace» ripeto, questa volta con più convinzione. Non mi aspetto davvero che Jessie sia disperato o dispiaciuto, ma non mi piace comunque ferire le persone e speravo sul serio che noi potessimo diventare amici.

«Te ne pentirai, Stella» dice solo. La sua espressione è cambiata di nuovo: adesso è soltanto fredda, come se avesse inutilmente tentato di tutto per tenermi alla larga da un destino che invece ho accolto a braccia aperte.

Probabilmente il suo é soltanto un gioco, come ha detto Noah. Non gli importa davvero di me. A nessuno dei ragazzi della Silicon Bay importa nulla se non vincere le gare.

Nella penombra le palme che costeggiano il giardino della villa sembrano ancora più alte, il profumo di ibisco più inebriante e, in qualche modo, lo spazio ancora più ampio. Per un attimo mi assale l'idea di dover cercare Noah altrove poi, quando i miei occhi si abituano alla semioscurità, scorgo una serie di orme tracciate nell'erba umida.

Noah è appoggiato con indolenza al tronco di una palma e guarda con le braccia conserte il cielo tempestato delle prime stelle.

«Credevo che te ne fossi andato» mormoro, andandogli più vicina. Mi aspetto che sia deluso o che mi guardi con quella tonalità glaciale che assumono i suoi occhi quando é arrabbiato. Lui invece mi rivolge un sorriso, i denti bianchi perfetti e la collanina che cattura la luce argentata delle stelle.

«Volevo vederti prima» si volta appena, in modo da starmi di fronte. Continua a guardarmi, come se si fosse stancato del cielo e volesse scrutare me.

Il modo in cui i suoi occhi seguono i miei mi fa battere più velocemente il cuore. «Mi dispiace, quello che hai visto prima... non era nulla. Mike Jacobs voleva solo fare qualche scatto e Jessie ha approfittato della situazione...» non so più cos'altro dire e il silenzio indagatore di Noah non mi aiuta per niente.

«Sono qui per te, America. Smettila di parlare di quell'idiota» si avvicina di un passo, la voce suadente che mi fa sciogliere le ossa e la risata roca che mi scalda il cuore di desiderio.

Mi sarei aspettata una reazione del tutto diversa, ma non posso mentire a me stessa: lo sguardo di Noah mi fa sentire come se potessi toccare le stelle con un dito. Le sue dita neanche mi sfiorano ma sento comunque il calore che irradiano.

«Pensavo saresti stato geloso...» dico, sforzandomi di imitare un finto broncio.

Noah si fa ancora più vicino, i suoi occhi scendono con una lentezza atroce dal mio viso fino ai fianchi, come se si rendesse conto soltanto adesso che indosso ancora il costume azzurro. Il suo sguardo brilla e indugia immobile e vedo un piccolo fremito vibragli nelle spalle.

Ma a differenza di quello gelido di Jessie, lo sguardo di Noah è come il fuoco, del tipo che può far bruciare all'istante e, al tempo stesso, scacciare via ogni paura. Ed è questo tipo di calore che mi fa tremare le gambe.

Noah si avvicina ancora, finché tutto il resto attorno a noi scompare. Solo adesso le sue dita si posano sulla mia pelle. Accarezzano, delicate ma bollenti, il mio viso, scendendo sulle labbra.

Continuano sfiorandomi il mento e la debole pelle tra quest'ultimo e la clavicola. La discesa è lenta, fatta di piccole scintille che mi fanno desiderare di averne di più. E sento di poter davvero prendere fuoco quando gli occhi azzurri di Noah, pieni ed ebbri, si inchiodano nei miei.

«Dovrei avere qualche motivo per esserlo?» domanda con la voce roca, impiastricciata del profumo delle stelle e dell'oceano.

Trattengo un gemito quando le sue dita si fermano sul petto appena sopra il seno, all'altezza del cuore.

Cambiano percorso, tracciando la linea della nuca e scendendo lungo la schiena. Vorrei dirgli che se continua così non resterà molto altro di me, ma i brividi del suo passaggio mi spezzano le parole in gola.

Noah si china su di me e, per istinto, piego la testa. La mia pelle è una costellazione del suo tocco, e spero soltanto che mi baci, per completare la sua opera.

Ma lui invece ride, aspettandosi una risposta. Come se non fosse già abbastanza palese...

«No» vorrei che la mia voce risultasse chiara, ma invece appare come mozzata da un gemito.

Finalmente le braccia di Noah mi stringono a sé. Petto contro petto, cuore contro cuore, labbra contro labbra. Non é un bacio delicato, ma non mi importa. Anche Noah sembra pensarlo perché il modo in cui mi tiene stretta potrebbe farmi perdere il respiro e, ne sono certa, se la sua presa non fosse così salda le mie gambe avrebbero già ceduto.

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