Capitolo 22

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Mi stringo la giacca al petto, più per abitudine che per il freddo. Il cielo terso, così luminoso e diverso da quello che sono solita rimirare a Boston, mi ricorda la meraviglia di questo posto.

Le stelle sembrano esplodere e la loro luce è pura e immacolata. La spiaggia è una distesa di granelli argentati che riflettono i bagliori della luna.

Ed è qui che trovo Noah. É seduto sulla sabbia e indossa solo i pantaloncini e una felpa leggera, ma accanto a lui sono appoggiate due lunghe tavole.

Ha i capelli umidi e i ricci sembrano impossessarsi dell'essenza stessa del cielo, risplendendo sotto i suoi astri. Cerco di fare piano mentre mi avvicino: lui sembra quasi una figura eterea, in sintonia con la spiaggia e l'oceano.

Ma Noah si accorge subito di me. Non dice nulla, ma i suoi occhi seguono lenti ogni mio movimento. Quasi mi dimentico il motivo per cui sono arrabbiata con lui, pensando invece che gli sono stata separata per tutto il weekend e, soltanto adesso, il nodo intorno al mio cuore comincia a sciogliersi.

La sua espressione è indecifrabile. Mi siedo accanto a lui, cauta.

«Ciao» dico, non sapendo come comportarmi. Noah sembra distante, come le stelle nel cielo. Anche se dovrei essere io quella arrabbiata, quella distaccata, sono io che gli tendo la mano. Perché, nonostante tutto, non sono capace di resistergli.

Pensavo che sarei stata più forte, più salda nelle mie convinzioni. Ma il cuore ragiona con un ritmo diverso rispetto alla mente e, spesso, prende il sopravvento.

«Ciao, America» la sua voce è bassa, vellutata. «Ho saputo che hai avuto la febbre, mi dispiace. Come ti senti?».

«Ora sto meglio» gli rispondo. Sento la sua voce pregna di rimorso. «Se volevi che rinunciassi alle lezioni, ti tocca trovare un altro modo» non so dove trovo il coraggio di pronunciare queste parole, o quello di sorridere. Ma lui è preoccupato. Per qualche ragione, si è preoccupato per me.

«Non sei arrabbiata?» domanda, consapevole che sarebbe la scelta più sensata da parte mia.

Scuoto il capo. «Solo perché mi nascondi delle cose».

Noah sposta lo sguardo verso l'oceano, come se avessi appena sfiorato un nervo scoperto. Ma, in qualche modo sembra anche rassegnato.

«Chiedi pure».

«Davvero?»

«Non ho intenzione di vederti soffrire di nuovo, soprattutto se é a causa mia. Una volta è stato già orribile, non credo che lo sopporterei se succedesse ancora».

Noah parla con una calma che mi lascia spiazzata, con una verità che, sebbene a volte mi lacera il cuore, sa anche come lenire le sue ferite.

«Cosa c'è tra te e Jessie? Perché vi odiate?»

Lui ride, come se si aspettasse una domanda del genere. «Vuoi dire perché tento, così ostinatamente e senza successo per giunta, di tenerti lontana da lui?»

Annuisco, guardandolo negli occhi.

Lui fa un sospiro, pronto a liberarsi del suo passato e lasciare che ne custodisca una parte.

«Quando ho compiuto quindici anni ho partecipato alle mie prime gare professionali, con gli sponsor e tutto il resto. Ho vinto tutte le heats con ottimi risultati. Mancava soltanto la finale contro Jessie, ma il vento si era calmato e non arrivavano molte onde e siamo per lo più rimasti ad aspettare. Poi scattarono gli ultimi cinque minuti, io avevo la priorità e stava per arrivare un'onda perfetta; comincio ad inseguirla, ma noto che qualcosa non va e non appena mi alzo in piedi la tavola oscilla senza controllo e cado in acqua» Noah parla per tutto il tempo ed io resto immobile ad ascoltarlo.

Ho paura che ogni mio minimo movimento lo faccia smettere ma, anche quando sussulto, lui continua. «Jessie aveva di proposito allentato le pinne della mia tavola, per farmi cadere. Mi hanno squalificato e lui ha vinto. Ho persino rischiato di farmi male, ma per lui contava soltanto la vittoria».

Resto in silenzio come se avessi appena ingoiato tutta la sabbia sulla spiaggia. Non metto in dubbio le parole di Noah, ma non riesco a non pensare al fatto che, io, ho conosciuto un Jessie molto diverso. Forse riesco a scorgere nel suo sguardo dorato l'ambizione, ma faccio fatica a pensare a lui come una vipera.

«Mi dispiace».

«I ragazzi di Silicon Bay sono sempre stati agguerriti e non hanno mai guardato in faccia nessuno quando si trattava di dimostrare di essere i migliori nelle gare. Sono abituati a prendersi ciò che vogliono e io non volevo che Jessie avesse te» le prime stelle nel cielo illuminano i suoi capelli.

Lui cerca di evitare il mio sguardo ed io non faccio nulla per cercarlo: le sue parole trovano ancora una volta la strada per insinuarsi nella mia testa e nel mio cuore e stravolgere tutto quanto. Ci riescono fin troppo bene.

«Per questo cercavo di tenerlo lontano, di tenerti lontana. Ma sai essere davvero cocciuta alle volte» continua lui, l'abbozzo di una risata sulle labbra piene.

Ripenso agli avvertimenti che mi ha dato in tutto questo tempo e mi sento una stupida. Capisco che, in un modo tutto suo, Noah ha provato a proteggermi e questo mi sconvolge ancora di più. Perché, da quando sono qui, nessuno mi ha ferita più di lui.

«Comunque, mi sono rifatto l'anno successivo e insieme a Rory abbiamo vinto la nostra categoria» gli occhi di Noah si stagliano contro l'oceano.

É il mio momento. Cerco di ignorare il tamburo che batte al posto del mio cuore e cerco di formulare le domande nella mia testa: é il momento di chiedergli di Rory, di sapere — una volta per tutte — cos'è successo tra loro. Se lui la ama ancora. Cosa significa quel bacio che ci siamo quasi scambiati.

«Cos'è successo tra te e Rory?» poche cose mi spaventano come la risposta alla mia domanda, ma ho bisogno di sapere.

Noah sospira e lascia andare un lungo respiro, come se si aspettasse una tale richiesta. Si alza in piedi con un balzo, tendendo la mano nella mia direzione. «Ti racconterò tutto, America. Però voglio farti vedere una cosa prima».

Afferro la sua mano e mi tiro su. Noah raccoglie le due tavole sulla spiaggia e, forse, troppo tardi capisco cos'ha in mente.

La sua presa rimane salda mentre cammina verso la riva. L'acqua scura si infrange sulla battigia in una schiuma scintillante.

Noah abbozza un sorriso e il suo viso diventa quello di un angelo. Faccio una smorfia quando l'acqua mi bagna le caviglie, ma non è così fredda come pensavo.

«Non ho il costume» provo a ribellarmi.

«Non ti serve».

«Sono appena guarita, vuoi farmi ammalare di nuovo?» ribatto. Sto prendendo tempo, lo so. La verità è che aspettavo da così tanto questa risposta che, ora che Noah è qui davanti a me pronto a raccontarmi tutto, ho paura.

Paura che mi dica che mi sono sbagliata e ho frainteso tutto, che quello che c'è tra noi è solo nella mia testa, che il mio cuore è il solo a battere così forte perché il suo ha avuto un solo amore, ed era Rory.

Lui mi guarda serio. Si sfila la felpa dalle spalle scoprendo un lembo di pelle abbronzata. La maglietta al di sotto si stropiccia, ma lui non ci bada e mi passa la sua felpa. «Così va meglio».

Rabbrividisco, anche se non fa poi così tanto freddo. Mi infilo la sua felpa, é calda perché ha ancora intriso il calore del suo corpo e il profumo di oceano mi colpisce in pieno.

Noah ridacchia, perché la sua felpa mi sta enorme e non riesco a trovare le mie dita, sepolte tra le maniche. Cerco di indirizzare i miei pensieri altrove, a qualunque cosa che non sia il suo sguardo su di me.

Ma Noah si avvicina, impercettibilmente, e mi passa una mano sul viso per scostarmi i capelli ancora incastrati nel cappuccio. É un gesto lento, pieno di minuscoli brividi.

Penso a qualcosa da dire. In fretta, Stella. Ma ho la mente completamente annebbiata e, quando alzo lo sguardo su di lui, i suoi occhi sono pieni e riflettono gli scintillii del mare.

«Vieni con me» sussurra.

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