Capitolo 14

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Il rumore del mare mi colpisce le orecchie come un tuono e morbide onde si scagliano sugli scogli appuntiti. Mi porto le gambe al petto,  appoggiando il mento sulle ginocchia e passo entrambe le mani nella sabbia, é fresca.

«Venivo sempre qui quando avevo voglia di pensare» una voce mi raggiunge alle spalle. É familiare, eppure rabbrividisco come se avessi appena visto un fantasma.

É Rory.

É bellissima come sempre, con i capelli rossi e le lentiggini sparse sul viso.

Si siede accanto a me sulla spiaggia e il suo ciondolo scintilla sotto la luce rosata dell'alba.

«Perché hai questa espressione triste, stellina

«Se tu sei qui, vuol dire che questo è un sogno. E non è reale» sento le lacrime pizzicarmi gli occhi.

«Non piangere» la mano di Rory raggiunge la mia guancia, asciugandomi una lacrima solitaria. La sua pelle é calda e così... viva.

«Vorrei raccontarti così tante cose. Ma, soprattutto, vorrei non averti detto quelle parole» non riesco a ripeterle, ma la mia mente rivive il ricordo dell'ultima volta che ho visto mia sorella, di quando abbiamo litigato.

«Lo so» dice lei con un sorriso. «Sei mia sorella, ti conosco. Sei l'altra metà della mia anima».

«Mi manchi» ho la voce rotta, ma so che non avrò altre occasioni per dirglielo.

«Lo so» ripete. «Anche tu. Ma sono fiera di te, stellina. E ricorda, l'oceano è casa».

Nel sogno, Rory si alza, cominciando a camminare verso il mare. Vorrei dirle di non andare, di restare con me ancora un po', ma dalla mia bocca non esce alcun suono e la gravità mi tiene incollata alla sabbia.

La vedo avanzare, serena e senza rimpianti, finché le lacrime offuscano la sua figura e tutto diventa bianco.

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Mi sveglio all'alba con il viso bagnato di lacrime. Mi porto la mano sulla guancia, sperando invano di sentire il suo calore, il suo profumo. Ma c'è soltanto il fantasma delle mie lacrime.

Guardo il telefono in carica sul comodino: non ho sentito la sveglia e sono in ritardo per la lezione con Noah. Quindi mi alzo con un balzo, asciugandomi il viso, faccio un respiro e mi sbrigo ad indossare la muta.

Aderisce sul mio corpo come una seconda pelle ma, nonostante mi copra in ogni centimetro, mi fa sentire molto più esposta. Segna ogni punto.

Cerco di non pensarci, afferro la borsa che avevo preparato già ieri sera e raggiungo la spiaggia. Noah è già nell'acqua bassa e anche lui indossa la sua muta e, se possibile, i muscoli sono ancora più evidenti così.

Per una frazione di secondo anche lui mi guarda. Sento i suoi occhi azzurri su tutto il mio corpo e avverto l'impulso di coprirmi. Con uno schiocco di lingua, Noah distoglie lo sguardo.

«Oggi iniziamo a fare sul serio, America» mi dà il buongiorno costringendomi a fare una lunga sessione di stretching per gambe e braccia e non so quanti addominali e esercizi per la mobilità della schiena, prima di entrare in acqua.

«Sei pronta?» mi chiede serio, dandomi l'impressione che, se per qualche ragione volessi rinunciare, lui lo capirebbe.

Ma non voglio rinunciare. Non dopo aver visto Rory, almeno nei miei sogni.

L'oceano è casa, mi ripeto mentalmente.

«Si, sono pronta».

«Bene, per le prime volte ci eserciteremo con le onde bianche, quelle vicino alla riva. C'è anche bassa marea, quindi è perfetto per i principianti perché le onde sono più dolci e lunghe» mi spiega Noah e cerco di prestare tutta l'attenzione che posso e non pensare al fatto che, per quanto io voglia davvero farlo, c'è una parte di me che è terrorizzata dall'oceano.

«La combinazione non è molto difficile: pagaia dietro le onde, posiziona il muso della tavola verso la spiaggia, in modo che l'acqua ti spinga da questa parte e poi, come abbiamo già provato, cerca di alzarti» continua lui. «Non avere fretta, scegli l'onda che ritieni perfetta».

Fisso lo sguardo sull'oceano, per non rischiare che Noah veda quanto sono agitata.

«Io sono proprio qui, va bene?» mi fa sapere, come se avesse letto la verità dietro la mia espressione.

«Va bene».

«Non demoralizzarti se le prime volte cadi, é normale. Ci vuole pazienza. E se non te la senti, in qualunque momento, dimmelo».

«Si va bene» il suo sguardo mi cerca e quando incrocio i suoi occhi ho tutte le certezze di cui ho bisogno. Non sono da sola.

Faccio un respiro e mi sdraio sulla tavola. É strano essere finalmente in acqua piuttosto che sulla sabbia, al sicuro. Ma è anche indubbiamente una bellissima sensazione. Comincio a pagaiare come mi ha spiegato Noah.

All'inizio sono piuttosto scoordinata, perché é difficile controllare qualcosa di indomabile come l'oceano, ma presto trovo il mio equilibrio e comincio ad andare nella direzione giusta.

Mi sento proprio come diceva Rory... padrona del mondo intero. Adocchio la mia onda e comincio a pagaiarle dietro e, quando sento lo slancio, lascio che mi trascini verso la riva e provo a mettermi in piedi.

Cado subito e la tavola si inclina. Immagino Noah ridere per la mia disfatta, ma quando torno in superficie lui é immobile.

«La tecnica é giusta, continua così» mi urla con le mani a cono sulla bocca, spronandomi.

«Per quanto tempo?» chiedo, portandomi indietro i capelli ormai zuppi.

Lui ride. «Finché non resterai in piedi sulla tavola per almeno cinque secondi».

Reprimo l'impulso di mostrargli il dito medio e comincio a nuotare di nuovo verso le onde.

All'inizio credevo che sarebbe stato molto più facile e che avrei impiegato molto meno tempo per riuscire ad alzarmi, ma dopo un'ora tutti i miei tentativi sono falliti.

É perché continui ad avere paura dell'oceano, sento quasi la voce di Rory accanto a me. Non devi cercare di controllarlo, ma lasciare che diventi una parte di te.

Mi siedo a cavalcioni sulla tavola, ho bisogno di un momento. Il sole caldo mi picchia sul viso, chiudo gli occhi e respiro a pieni polmoni l'aria di mare.

L'oceano è casa, mi ripeto. Quando riapro gli occhi, vedo un'onda venire dritta verso di me. Mi sdraio immediatamente, cominciando a pagaiare con tutta la forza che ho nelle braccia. Il mio respiro si abitua al ritmo dell'oceano, come se fossero un tutt'uno.

Rory ha ragione, devo smettere di avere paura dell'oceano. Devo lasciare che diventi parte di me.

La schiuma bianca mi sospinge dolcemente verso la riva, ma con la giusta velocità. Con uno scatto preciso, porto le mani sulla superficie della tavola e il piede destro al centro e, facendo forza sulle braccia, mi alzo in piedi, mantenendo lo sguardo fisso davanti a me.

E... non cado.

Quando l'onda si rompe, mi lascio cadere nell'acqua bassa, con un grande sorriso sulle labbra.

«Ce l'ho fatta!» grido a Noah, ma lui ha seguito ogni mio movimento e mi sta già sorridendo.

«Sei stata brava, America».

«Voglio riprovarci» gli dico mentre lo vedo avvicinarsi.

«Per oggi basta. É meglio festeggiare la vittoria che rischiare di non rialzarsi più per via della stanchezza» il suo ragionamento sarebbe anche giusto se non mi sentissi così piena di adrenalina.

«Solo un'altra volta» lo prego, ma lui è inamovibile.

«Domani» ha lo sguardo tenero. «Devo andare dagli altri, oggi inizio anch'io gli allenamenti per le regionali».

«Sono già le undici?» chiedo sorpresa. Ieri Stormie mi ha mandato un messaggio invitandomi a guardare i loro allenamenti.

Noah ride, mostrando i suoi denti bianchissimi. «Già, il tempo vola quando si è in acqua».

Mi sbrigo a seguirlo e recuperare le mie cose. «Vieni anche tu?» mi domanda mentre mi sfilo la muta dalle braccia e indosso una maglietta di ricambio.

«Si, Stormie e Maila me lo hanno detto» gli faccio sapere. Spero che non sia un problema, per lui.

«Stai diventato proprio una locale, America» commenta invece, continuando a sorridere.

Ci incamminiamo insieme dall'altra parte della spiaggia, dove Stormie mi ha spiegato che le onde sono più alte, perfette per i professionisti.

Per tutto il tempo, io e Noah camminiamo vicini, le mani quasi si toccano. Una strana elettricità vibra nell'aria e, ne sono sicura dal modo in cui mi guarda, l'ha avvertita anche lui.

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