ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 31 - Ending
Quando un uccellino nasce in cattività e trascorre ogni singolo giorno della sua vita all'interno di una stretta gabbia, potrebbe non essere affatto entusiasta di uscire all'esterno nel momento un cui qualcuno gli spalanca la porta.
Sarà sempre felice quando gli viene somministrato il cibo, amerà cinguettare guardando il mondo attraverso le sbarre, ma non sarà a suo agio nel poter volare libero dove vuole: la libertà richiede ali forti, capacità di procacciarsi il cibo in modo autonomo e soprattutto una certa abilità nel saper sfuggire dalle grinfie dei predatori.
In alcuni casi, infatti, quando l'uccellino viene liberato il suo primo istinto è quello di tornare in gabbia.
Non sempre è un gesto generoso, quello di liberare un animale cresciuto in cattività; il prezzo che dovrà pagare, nella maggior parte dei casi, è quello di morire di fame nel bosco.
Catherine non aveva avuto una vita particolarmente facile, ma quel preciso giorno si interfacciò per la prima volta con il dolore più puro e profondo che avesse mai provato.
Aveva mantenuto la parola data, recandosi alla struttura di accoglienza il giorno l'indomani per tornare a trovare Conrad; al suo arrivo, tuttavia, lo scenario che si trovò davanti non fu quello che si sarebbe aspettata.
Una pattuglia di poliziotti la attendeva dinnanzi all'ingresso, intenta a parlare con alcuni medici e qualche infermiere di turno, tutti raggruppati attorno alla volante parcheggiata al centro del vialetto. Nonostante le numerose procedure di sicurezza Conrad, quella stessa notte, era riuscito a togliersi la vita utilizzando il cavo elettrico di una lampada da muro, che aveva legato attorno al suo collo per poi lasciarsi cadere giù dal letto; il decesso era avvenuto nel giro di poche decine di secondi, per soffocamento.
Quando le fu spiegato ciò che era successo, in un attimo Catherine sentì ogni forza abbandonare il suo corpo; si lasciò cadere conficcando le ginocchia sulla ghiaia appuntita, con il volto coperto da entrambe le mani, abbandonandosi a un pianto disperato che quasi le impedì di respirare. Realizzò che ogni suo brutto presentimento si era appena trasformato in realtà, fu schiacciata dal senso di colpa come fosse una misera formica sotto a uno scarpone.
Era stata una complice, aveva aperto lei la porta di quella maledetta gabbia. Aveva creduto di poterlo salvare, di poterlo aiutare ad ottenere una vita più felice, di sollevare Conrad dal dolore che lo opprimeva; ma adesso, china a terra e accerchiata da un imprecisato numero di operatori sanitari che cercavano di assicurarsi che lei stesse bene, capí che niente fosse andato nel modo in cui aveva sperato inizialmente.
-No no no no...- ripeteva sussurrando, mentre un fiume di lacrime salate attraversando le sue guance si riversava sulle labbra socchiuse. -Perché non lo avete tenuto d'occhio? Perché avete permesso che accadesse...-.
Per Conrad la sua gabbia sicura era quell'esistenza vuota nella quale era sopravvissuto, le mura bianche della sua stanza, il modo in cui Milena lo chiamava con il nome del fratello come se in qualche modo lui fosse ancora vivo dentro al suo corpo. Aprendo la porta lo aveva liberato, ma inevitabilmente l'uccellino era morto di fame addentrandosi nel bosco.
Il dolore le spezzò il respiro, fu come venir investita da un camion in corsa. A nulla servirono i continui tentativi del personale di parlare con lei, sentiva le loro mani sulle sue spalle scuoterla insistemente ma la sua mente si era del tutto disconnesso dal mondo circostante.
Conrad non c'era più.
Non sarebbe tornato mai più.
Dopo dodici anni dal suo tentato omicidio, questa volta cel'aveva fatta per davvero; e forse da qualche parte nell'universo era riuscito per davvero a ricongiungersi al fratello, ma la sua assenza adesso avrebbe causato un vuoto enorme nel mondo dei vivi.
-Lui mi aveva chiamata... Mi era sembrato strano...- continuava a balbettare, tremando vistosamente. -Ma non avevo capito... Non avevo capito quando stesse male-.
"Un ragazzo di ventisei anni si è tolto la vita questa mattina mentre era ricoverato presso una struttura sanitaria residenziale. A dare l'allarme alcuni infermieri di turno, che hanno trovato il giovane privo di vita e riverso sul pavimento; a nulla sono serviti i tentativi di rianimazione.
Il ragazzo, accolto dalla struttura solo il giorno prima, risultava affetto da gravi disabilità fisiche ed era stato ricoverato dopo essere stato prelevato dalle forze di polizia dalla casa in cui era cresciuto con la nonna; sono ancora da chiarire le dinamiche dell'incidente, ci si chiede come sia possibile che in un ambiente di questo tipo non siano state prese le dovute precauzioni atte a scongiurare una tragedia simile.
Come testimoniato dalla cartella clinica il ventiseienne presentava notevoli disagi psicologici che lo rendevano un soggetto a rischio di suicidio; i riflettori sono adesso puntati sugli infermieri che in quelle ore erano in turno, sui quali ricade la responsabilità di quanto avvenuto. Le indagini sulle dinamiche del decesso andranno a concludere questa lunga storia travagliata, lasciandoci con una inevitabile domanda: avremmo potuto fare qualcosa in piu?".
Catherine ripensò alle sue parole, quelle che Conrad aveva pronunciato proprio il giorno precedente durante la sua visita: "ad ogni respiro che faccio mi sento un po' più vicino a Troy".
Pur non avendo fece in alcuna religione, le venne automatico chiedersi se alla fine davvero i due fratelli si fossero incontrati ancora. Questa era l'unica cosa che ancora poteva permettersi di sperare.
-Signorina, risponda! Sta bene?-.
La mora sollevò il capo, mettendo in luce un volto paonazzo ed un paio di guance zuppe di lacrime; sopra di lei, una coppia di infermieri la osservavano con preoccupazione. -Riesce a sentirmi?-.
Travolta dai singhiozzi del pianto lei annuì con una serie di movimenti ripetuti del capo, tentando di regolarizzare il suo respiro. Tutto il dolore emotivo che bruciava dentro di lei contorceva le sue membra, fino a causarle una violenta nausea.
-Portatele un bicchiere d'acqua, su-.
Il ricordo degli ultimi momenti vissuti con Conrad era una pietra conficcata nel suo petto, perché mentre li viveva non aveva idea che sarebbero stati gli ultimi. Si odiò profondamente per non essere riuscita a comprenderlo fino in fondo, per non essere rimasta al suo fianco abbastanza a lungo.
Ma ormai era troppo tardi, aveva aperto una porta impossibile da richiudere.
Stringendo tra le dita tremanti alcuni sassolini serrò le palpebre e sollevò il capo, gonfiando il petto con tutta l'aria che riuscì a farci entrare.
-Sto bene- mugolò.
E nel tornare presente ebbe la sensazione di riuscire a percepire ancora il calore della pelle di Conrad a contatto con la sua. Avrebbe dovuto far tesoro di quel ricordo, mantenerlo più vivo che mai, cosicché potesse portarlo per sempre con sé come fosse un gioiello prezioso stretto sul polso.
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