ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 25

Giunta finalmente a casa Catherine trovò ogni cosa così come l'aveva lasciata: lo zerbino arrotolato affianco alla porta d'ingresso, l'ombrello appeso all'inferriata e il vaso di fiori riposto sull'unica finestra, bisognoso di essere innaffiato.
Varcando la soglia, la ragazza emise un profondo sospiro. Percepiva ancora un lieve dolore alla testa e il suo naso era divenuto molto gonfio, ma ciò che le faceva più male era la consapevolezza che sebbene lei fosse stata tratta in salvo Conrad non aveva avuto lo stesso privilegio; per questo motivo si sentì quasi in colpa di trovarsi lì in quel preciso momento. Ancora non sapeva come, ma avrebbe dovuto trovare il modo di convincere le autorità a tirare quel povero ragazzo fuori da quella casa, allontanarlo dalla follia dei suoi familiari.
Dopo aver chiuso la porta a chiave e controllato più volte che la serratura fosse funzionante, Catherine si ritrovò da sola all'interno del monolocale, circondata da tutti i suoi averi e dal profumo accogliente di quelle mura che sapevano di salvezza. Nonostante ciò, dopo aver resistito così a lungo i suoi nervi cedettero e si lasciò cadere tra le braccia di un pianto incontrollato, stringendo forte al petto il cuscino del divano; scossa da mille singhiozzi strinse le palpebre e restò in silenzio, continuando a ripetersi che tutto sarebbe andato bene.
Il dottore le aveva suggerito di restare a riposo almeno per qualche giorno, ma una sola cosa adesso riempiva insistentemente i suoi pensieri: avrebbe dovuto recarsi all'agenzia e dire alla direttrice tutto ciò che era accaduto. Se la polizia non era disposta ad intervenire in modo immediato per aiutare Conrad, forse lei avrebbe potuto invece fare qualcosa.
Ma la stanchezza ebbe la meglio, e poco dopo si addormentò.
Il profumo intenso del caffè, il rumore del tostapane, il tintinnio dello scacciapensieri appeso accanto alla finestra aperta: ogni cosa per Catherine suonava tanto familiare quanto estranea, adesso che era tornata al suo appartamento.
In completa solitudine quel giorno aveva avuto innumerevoli occasioni per pensare a tutto ciò che aveva vissuto di recente, al modo in cui la storia travagliata della famiglia Page le era entrata dentro fino quasi a diventare anche la sua. Si chiese se forse tutto quell'interessamento non fosse in realtà un modo per sfuggire alla sua brusca rottura con Dave, per pensare ad altro; ma ogni volta che la sua mente richiamava il ricordo del volto di Conrad, si diceva che in realtà il suo interesse nei suoi confronti era assolutamente genuino.
Chiunque svolga il lavoro di assistente domestico sa quanto sua importante non lasciarsi coinvolgere eccessivamente dalle problematiche della persona assistita poiché, oltre ad essere un comportamento poco professionale, rischia di ledere anche la salute dello stesso operatore; si trattava di una legge non scritta, che le era stata ripetuta più e più volte anche durante il corso formativo al quale aveva preso parte prima di intraprendere quel percorso. Nonostante ciò, Catherine non aveva potuto fare a meno di empatizzare profondamente con quello specifico paziente, riuscendo a vedere quanta tristezza e quanto dolore riflettevano i suoi occhi apparentemente vuoti.
Trascorse il resto della giornata a letto, buttando giù un paio di farmaci per placare l'emicrania e cercando di distrarsi guardando un paio di film; nonostante la sua agitazione e il suo desiderio di sistemare le cose, si impose di non uscire.
L'indomani, finalmente riposata e di nuovo nel pieno delle forze, la prima cosa che decise di fare fu raggiungere l'agenzia che l'aveva collocata giorni addietro presso casa Page; parlare con loro, adesso, era una priorità assoluta. Indossò un completo leggero e sistemò distrattamente i capelli davanti allo specchio, osservando con disappunto l'intenso gonfiore ai lati del suo naso e l'ematoma che aveva generato una chiazza scura nella pelle: sembrava quasi uno zombie.
Uscì di fretta, incamminarsi lungo il marciapiede a testa bassa evitando il contatto visivo con qualche passante. Ancora non sapeva in che modo avrebbe affrontato la situazione, ma di certo poteva dire di provare un profondo astio nei confronti di Roxi e di tutto il resto del personale d'ufficio, che mai una singola volta aveva risposto alle sue chiamate mentre era in seria difficoltà. Trovandosi infine dinnanzi all'edificio fece un respiro profondo, si massaggiò la fronte ed entrò spedita spingendo la porta a vetri; era troppo tardi per qualsiasi ripensamento.
-Buongiorno-. Ad accoglierla fu una giovane ragazza, forse tirocinante, che le sorrideva ampiamente da dietro alla scrivania.
-Ho bisogno urgente di parlare con Roxi, sono una delle vostre operatrici- esclamò frettolosamente Catherine, andando dritta al punto.
La ragazza assunse un'espressione dispiaciuta. -Oh, purtroppo al momento è occupata. Ma se vuole, possiamo prendere un appuntamento-.
-No- ribatté schiettamente l'altra, scuotendo la testa. -È una cosa davvero urgente, aspetterò qui-.
Al costo di sembrare sgarbata, si accomodò in sala d'aspetto con le braccia conserte dicendosi che avrebbe aspettato anche un'ora, se necessario, per poter parlare con la direttrice; anche perché discutere con quella tirocinante, che tra l'altro non ricordava di aver mai visto prima, non avrebbe avuto alcun senso.
Si sentiva nervosa. Non riusciva a smettere di muovere le gambe, nonostante avesse cambiato posizione già diverse volte.
Quando finalmente la porta dell'ufficio infondo al corridoio fu spalancata, la figura alta e snella della direttrice si palesò ai suoi occhi; ella indossava una gonna aderente, una camicia elegante e una grande spilla lucente aggrappata alla folta capigliatura riccia. Nel momento in cui notificò la presenza di Catherine, il sorriso cordiale sul suo volto sembrò spegnersi istantaneamente, come se fosse già consapevole che avrebbe dovuto affrontare una conversazione piuttosto complessa e spiacevole.
-Non ho un appuntamento, ma devo parlare con lei- annunciò la ragazza, balzando in piedi e avvicinandosi con decisione. -Sono Catherine-.
La donna sembrò irritarsi, pure cercando di non darlo a vedere. -Stamattina sono molto impegnata- ribatté, stringendo sul petto un plico di documenti. -Sarebbe meglio ved...-.
-È urgente- ghignò l'altra, indicando la tumefazione sul suo volto con un gesto rabbioso. -Non ho intenzione di andarmene senza aver prima parlato con lei-.
Visibilmente scocciata dalla situazione, Roxi strinse le spalle ed emise un lento sospiro svuotando i polmoni; aveva davvero molto da fare, l'irruzione di quella ragazzina nel suo ufficio era l'ultima cosa di cui aveva bisogno quel giorno. -Vediamo di fare in fretta, allora- le disse, spostandosi di lato in modo da invitarla a entrare, per poi richiudere accuratamente la porta dietro alle sue spalle.
Catherine si mise a sedere, irrigidita dalla tensione che le stava mozzando perfino il respiro. La prima volta che era entrata in quell'ufficio era entusiasta della nuova prospettiva di lavoro, mentre adesso sentiva di odiare ogni singolo dettaglio di quell'ambiente: il pavimento lucido, l'orchidea bianca poggiata silla scrivania, tutto appariva ai suoi occhi come fastidioso. -È stata informata di quello che è successo?- disse, andando dritta al punto.
La direttrice si accomodò a sua volta, accavallando le gambe. -A cosa di riferisci, di preciso?-.
-Al fatto che sono stata aggredita, che mi hanno portata in ospedale, che sono stata interrogata dalla polizia!- esclamò a gran voce la ragazza, che già stava perdendo le staffe. -Mi avete spedito in una famiglia di pazzi dove ho rischiato di rimetterci le penne, ecco a cosa mi riferisco-.
La donna parve piuttosto appresa da quelle parole, ma anche visibilmente irritata dall'atteggiamento aggressivo dell'altra, che pareva essere piombata nel suo ufficio con il preciso intento di darle del filo da torcere. -No, non sono stata informata di questo- le rispose mantenendo un tono di voce estremamente pacato. -Senza dubbio la famiglia Page vive una situazione molto complicata, ma non si tratta di cattive persone. Curiamo il caso di Conrad da un paio d'anni, ormai-.
-Avete detto che avrei potuto chiamarvi in qualsiasi momento, in caso di problemi- continuò a inveire Catherine, stritolando le sue stesse dita nel pugno destro. -Invece non mi avete risposto neanche una singola volta. Mai. Non avete risposto neanche ai messaggi in segreteria-.
La direttrice sospirò nervosamente. -Abbiamo avuto dei problemi con la linea telefonica, purtroppo- ribatté.
Lasciandosi scappare una risata amara la ragazza distolse lo sguardo. -Ma certo- commentò, con marcata ironia. -Comunque non è per questo che sono qui. Si tratta di Conrad, sono praticamente certa che sia in grave pericolo in questo momento-.
Roxi afferrò distrattamente la spillatrice riposta sulla sua scrivania e la aprì, iniziando a inserire delle nuove puntine con fare annoiato. -Che cosa intendi dire?- domandò, continuando a evadere il suo sguardo. -Abbiamo già ricevuto l'incarico di reperire una nuova assistente per lui, a giorni sarà tutto sistemato-.

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