ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 14

"Fa troppo caldo in questa maledetta casa".
Con un gesto energico Catherine spalancò la finestra, lasciando che l'aria fresca del mattino riempisse la stanza. Era letteralmente distrutta dalla lunga notte appena trascorsa, ma non avrebbe potuto riposare prima di essersi occupata di Conrad, ovvero niente mendo che il motivo primario per cui lei si trovava in quel posto.
Posizionò la sedia a rotelle proprio affianco al suo letto avendo cura di bloccare entrambi i freni, poi lentamente fece scivolare il suo corpo lungo il materasso in modo da avvicinarlo al bordo; il ragazzo aveva gli occhi aperti e fissi su di lei, ma sembrava incapace di reagire a qualsiasi sorta di stimolo. La sua muscolatura era estremamente irrigidita, tanto che risultò particolarmente difficoltoso il semplice gesto di metterlo in posizione seduta. Poi, posizionando entrambe le braccia sotto alle sue ascelle e avvolgendole dietro alla schiena in una sorta di abbraccio, Catherine si sforzò quanto bastò per sollevare rapidamente il suo corpo e posizionarlo sulla sedia a rotelle.
-So che tua nonna è abituata a lavarti qui- gli disse, con un sorriso. -Ma perché non proviamo a farlo nel bagno? Credo sarebbe più sensato-.
Con una certa premura spinse la sedia lungo il corridoio per poi posizionarla davanti al lavello. Qui si occupò di sfilare molto lentamente la tuta che Conrad indossava, notando che aveva il torso e la schiena letteralmente zuppi di sudore; aveva sicuramente sofferto un bel po' di caldo, quella notte.
Recuperando una spugna bagnata e intrisa di sapone iniziò a strofinarla delicatamente sulle sue spalle, notando che finalmente il contatto con l'acqua fredda lo stava aiutando a risvegliarsi. Di fatti, solo pochi attimi dopo il ragazzo voltò la testa verso di lei e restò semplicemente in silenzio a osservarla, mentre continuava con attenzione e cautela a prendersi cura della sua igiene.
Difficile immaginare che cosa Conrad stesse pensando in quel momento, perché il suo volto non esprimeva alcun tipo di emozione positiva o negativa; di certo, però, il modo in cui la ragazza lo trattava lo faceva sentire bene.
-Pensi che riusciamo a lavare anche i capelli, uh?-.
Aiutandolo a chinare la testa in prossimità del lavello e posizionando un asciugamano raggomitolato sulle sue spalle, Catherine lasciò cadere abbondante acqua fresca sui suoi capelli biondi, per poi affondare le dita tra le ciocche in modo da far penetrare lo shampoo in profondità; era pressoché certa che Milena non lo faceva spesso, poiché il cuoio capelluto era davvero molto sporco.
Dopo aver terminato, con un asciugamano iniziò a strofinare delicatamente il suo capo, mentre con una mano aiutava il giovane a tenere la testa ferma; adesso che erano belli puliti, i suoi capelli apparivano molto più folti e ribelli.
Nel guardarli sorrise, ma subito dopo abbassò lo sguardo. Era tremendamente triste per aver contattato l'agenzia e comunicato le sue dimissioni quella mattina, in un certo senso si sentiva come se stesse tradendo la fiducia di Conrad; d'altro canto, però, la consapevolezza che presto avrebbe abbandonato quell'incarico le diede il coraggio di porre al ragazzo una domanda che vagava per la sua mente già da tempo.
-Voglio... Chiederti una cosa- farfugliò, mentre sfregava la spugna laddove le costole, eccessivamente esposte, si incontravano al centro del suo petto. -Chi è Troy? Ho sentito tua nonna chiamarti così più volte-.
Come se fosse stata appena pronunciata una sorta di parola magica, in quel momento Conrad sollevò la testa di colpo, attraversato da un brivido violento; i suoi occhi color miele erano spalancati, le mani aggrappate saldamente al bordo della sedia a rotelle. Il ragazzo tacque a lungo osservando la sua stessa immagine riflessa nello specchio mentre Catherine, capendo di aver posto una domanda forse troppo personale o scomoda, terminava di sciaquare la parte superiore del suo corpo.
Decine, forse centinaia di secondi dopo, il ragazzo sembrò lottare contro se stesso per riuscire ad assumere di nuovo il controllo del suo corpo, almeno abbastanza da poter comunicare finalmente con lei. -Mio... Mio fratello- sussurrò, con un filo di voce.
La giovane si fermò all'istante, restando immobile con la spugna insaponata ancora tra le mani: in effetti, non aveva mai considerato la possibilità che Conrad avesse fratelli o sorelle. Forse era per questo che Milena si confondeva spesso, affibbiandogli un nome che in realtà non era il suo.
-Oh, capisco- rispose con un sorriso. -E lui abita da queste parti?-.
Lo sguardo assente del ragazzo si sollevò su di lei, così pungente e gelido da causarle un brivido lungo la schiena. -È morto- si limitò a rispondere, per poi tornare a fissare insistentemente lo specchio.
Catherine deglutì a vuoto, completando frettolosamente la routine di pulizia per poi condurre il suo assistito fuori dal bagno; soltanto adesso aveva compreso quanto la sua curiosità fosse stata di troppo, e quanto quella domanda potesse aver avuto un'influenza negativa su di lui. Ci fosse stato un modo per tornare indietro, di certo avrebbe scelto di restare in silenzio.
Ricondusse il giovane paziente nella sua stanza, dove lo posizionò vicino alla finestra aperta per somministrargli la sua dose quotidiana di farmaci. Aprendo il sacchetto di plastica, però, si ritrovò involontariamente a osservare con tristezza e disappunto le numerose scatole aperte in modo maldestro ed i blister semivuoti sparsi al suo interno; quella mattina scelse di non aggiungere i sedativi alla razione, perché aveva bisogno di capire se davvero Conrad ne necessitava oppure fossero nient'altro che una passima abitudine utilizza da Milena per tenerlo ancora più sotto il suo controllo.
Durante il percorso lavorativo affrontato fino a quel momento Catherine aveva avuto modo di conoscere numerose terapie farmacologiche, e tra queste vi erano proprio le benzodiazepine: sapeva che saltando un paio di dosi non avrebbe potuto creare alcun danno alla salute del ragazzo il quale, al massimo, avrebbe mostrato segni di astinenza.
In silenzio avvicinò le capsule alle labbra di Conrad e lo aiutò ad aprire, per poi fare in modo che le buttasse giù assieme a poca acqua; mentre lo faceva, pensò che anche questo fosse un'assurda contraddizione. Perché mai era in grado di deglutire l'acqua ma non il cibo?
Troppe cose in quella famiglia non andavano, più passava il tempo più si convinceva che Milena stesse manipolando astutamente la situazione per fare in modo che il nipote continuasse a dipendere da lei in tutto e per tutto. Forse c'era proprio questo alla base della quasi totale assenza mentale del ragazzo, oltre ovviamente alle sue condizioni di salute fisica.
Strinse le labbra in una smorfia, mentre collegata il sondino alla pompa per l'alimentazione forzata. Non appena tutto quanto sarebbe finito, una volta fuori da quella maledetta casa, avrebbe parlato con l'agenzia di tutti i fatti preoccupanti di cui era venuta a conoscenza e avrebbe fatto lo stesso anche con gli assistenti sociali, se lo avesse ritenuto necessario.
Lanciando un rassicurante sorriso al suo giovane assistito abbandonò la stanza e si concesse una breve sosta, mettendosi a sedere sul suo letto con le gambe incrociate. Controllò lo schermo del cellulare per verificare se vi fosse chiamate perse; lo aveva già fatto un'infinità di volte quella mattina, senza avere mai un riscontro positivo.
Sospirò, selezionando un contatto in rubrica e avvicinando l'apparecchio alla guancia. Il centralino dell'agenzia continuava a suonare fino allo stacco della segreteria, pareva proprio che tutti quanti gli impiegati in ufficio si stessero categoricamente rifiutando di rispondere ai suoi continui tentativi di mettersi in contatto con loro.
-Vaffanculo- ghignò, portando le mani al volto. Si sentiva in trappola, e iniziava a domandarsi quando sarebbe riuscita a tornare a casa e lasciarsi alle spalle quella terribile esperienza.

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