ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 13

Nel tentativo di rassicurare il suo animo inquieto, quella notte Catherine lasciò accese le luci del salone e del bagno per tutto il tempo; proprio come una bambina dopo quello che era accaduto si sentiva terrorizzata dell'oscurità, come se temesse che al suo interno si celasse un orrendo mostro pronto a saltarle addosso.
Si ritrovò a camminare avanti e indietro lungo l'appartamento per una decina di minuti, per assicurarsi che quel losco individuo se ne fosse andato per davvero; poi, dopo aver verificato la sua effettiva assenza sbirciando nuovamente dallo spioncino del portone, si disse che avrebbe dovuto trovare un modo per calmare i nervi. Ma dormire nella sua stanza, quella notte, sarebbe stato davvero impossibile.
Affacciandosi timidamente oltre il ciglio della porta osservò la figura distesa di Conrad, notificando che aveva gli occhi spalancati e lo sguardo fisso sul soffitto sopra di sé: doveva aver udito anche lui tutto quel baccano, dopotutto.
Gli si avvicinò a passo lento, rimboccandogli le coperte con particolare premura. -Ti spiace se resto qui con te, stanotte?- sibilò. Lui non rispose al quesito, né cambiò l'espressione immobile sul suo volto; tuttavia, lo vide chiaramente stringere le labbra per una frazione di secondo.
-C'era un uomo fuori dalla porta- spiegò la ragazza, come a voler giustificare la sua richiesta. -Non so cosa volesse, cercava insistentemente tua nonna. Comunque non gli ho aperto, credo che se ne sia andato-.
Recuperò una coperta pulita dall'armadio e la distese a terra sul pavimento, per poi disporvi sopra anche un cuscino di forma rettangolare; con questi semplici gesti si creò un giaciglio improvvisato, che posizionò proprio accanto al letto del ragazzo.
Inspirò aria lentamente, gonfiando il petto fino a riempire i polmoni.
Anche se si trattava di un sentimento illogico e irrazionale, la sua vicinanza la faceva sentire molto più al sicuro.
Cullata dalla luce soffusa che inondava la stanza tentò di trovare una posizione sufficientemente comoda, girandosi più e più volte e piegando in due il cuscino in modo da raddoppiarne lo spessore; poi, con un sospiro pesante, volse il suo sguardo al letto di Conrad e realizzò con stupore che si era lentamente voltato verso di lei.
Istintivamente sorrise. -Ti darò fastidio solo per questa notte, giuro- ridacchiò, tentando di sciogliere la sua stessa tensione; ma il ragazzo continuava a fissarla immobile, con uno sguardo che adesso non esprimeva più la sua assenza, ma l'esatto opposto.
Con evidente sforzo, sbattendo le palpebre più volte, riuscì poco dopo a pronunciare un suono ben distinto. -..Zio..-.
Catherine aggrottò la fronte e sollevò la schiena, in modo da riuscire a guardarlo dritto un faccia. -Come?- mugolò, arrotolando nervosamente la coperta tra le mani. -Quel... Quell'uomo alla porta, intendi?- insistette.
Conrad annuì con un movimento lieve, che fece scivolare alcune ciocche dei suoi capelli neri sulla fronte. -.. Sì- rispose, muovendo gli occhi in direzione del corridoio parzialmente illuminato dal lampadario acceso in salotto. -Era mio zio...- bisbigliò ancora.
La ragazza lo guardò incredula. -Oh..-. Non riusciva a comprendere in che modo quel ragazzo potesse passare da uno stato di catatonia pressoché perenne a una condizione di presenza e controllo come quella, senza alcuna apparente spiegazione; tuttavia, il fatto che avesse riconosciuto la voce dell'uomo alla porta e lo avesse identificato come un membro della famiglia, dimostrava quanto in realtà Conrad fosse conscio di ciò che accadeva attorno a lui.
Puntando i palmi a terra la giovane si alzò in piedi, avvicinandosi a lui. -Io non lo sapevo, altrimenti lo avrei fatto entrare- mormorò, assumendo un'aria pensierosa. -Il fatto è che mi ha spaventata. Parecchio, anche-.
Erano fin troppe le domande che balenavano nella sua mente, e avrebbe voluto porle tutte quante al suo interlocutore per fare luce sui numerosi dubbi che le erano sorti fin dal primo momento in cui aveva messo piede in quella casa; tuttavia, solo un attimo dopo si rese conto che Conrad aveva ripreso a fissare il soffitto con uno sguardo assurdamente vuoto, come fosse tornato a rifugiarsi da qualche parte all'interno della sua mente.
-Non ti va di parlare, uh?- ridacchiò, tornando a distendersi a terra nel suo letto improvvisato. -E va bene, torna a dormire adesso. È davvero molto tardi-.
Se è vero che la notte porta consiglio, tutte le successive ore che Catherine trascorse ad occhi spalancati non fecero che continuare ad alimentare un pensiero che già dal giorno precedente aveva iniziato a maturare: doveva andarsene da quella casa, al più presto possibile. Da quando aveva iniziato a lavorare per i Page niente era andato nel verso giusto, e la sensazione di disagio che aveva percepito fin dal primo momento si era rivelata sentore di ciò che sarebbe accaduto in seguito. Lo strano comportamento di Milena, il suo incidente in bagno, i turni allungati a dismisura ed ora anche uno svitato che era venuto a gridare al portone in piena notte; tutto questo iniziava a ledere seriamente la sua salute mentale.
Ma l'unico reale motivo che la spingeva a non demordere, oltre ovviamente al bisogno di denaro, era Conrad: le dispiaceva terribilmente dover abbandonare quel ragazzo, perché sapeva bene che non era in grado di difendersi da solo in alcun modo e poteva essere scaricato come un sacco dell'immondizia per cause che non dipendevano da lui. Non meritava di essere abbandonato senza ragione, così come Dave aveva fatto con lei poche ore addietro.
Travolta da una serie di inarrestabili pensieri che si aggrovigliavano tra loro diventando una massa di ansie e paure, la ragazza trascorse il resto della nottata a pensare mentre continuava a girarsi tra le coperte tentando invano di prendere sonno; vi riuscì solo verso l'alba, quando i primi deboli fasci di luce iniziarono a penetrare il vetro polveroso della finestra infrangendosi sul pavimento. E quando tornò ad aprire gli occhi, alcune ore dopo, realizzò con stupore che fossero già le nove.
Non avrebbe atteso oltre.
Lasciando che Conrad riposasse ancora al sicuro nel suo letto, Catherine recuperò da terra il proprio cellulare e uscì frettolosamente in terrazza, componendo il numero dell'agenzia che l'aveva collocata in quel posto di lavoro; era indicato nel modulo che le era stato consegnato al momento della firma del contratto, dunque lo aveva trascritto e salvato in rubrica per eventuali necessità.
Con i gomiti poggiati sul corrimano e lo sguardo perso a osservare distrattamente le auto di passaggio lungo la strada sottostante, restò in ascolto di ogni singolo squillo fino allo scatto della segreteria, poi provò ancora, ma senza mai ricevere risposta. Era assolutamente certa che il numero fosse corretto, anche perché il messaggio registrato recitava l'indirizzo e gli orari di apertura dell'agenzia; tuttavia, semplicemente nessuno si stava degnando di rispondere alle sue chiamate.
Dopo tre tentativi andati a vuoto e con una crescente ansia che si faceva spazio nelle sue viscere, la ragazza decise infine di lasciare un messaggio in segreteria con la speranza di essere ricontattata.
"Salve, sono Catherine Bless, mi avete collocata da qualche giorno presso la famiglia Page per il turno di notte. Sono davvero dispiaciuta ma mi rendo conto di non reggere affatto dei turni così lunghi, credevo di essere all'altezza di questa occupazione ma purtroppo mi sta creando molti problemi... Inoltre, ho assistito ad alcuni eventi, diciamo, piuttosto inquietanti e anche spiacevoli... Considerate questo messaggio come la mia comunicazione di dimissioni-.
Si interruppe, restando alcuni secondi in silenzio con il cellulare in mano. Poi, aggiunse:
"Ma sapete che non posso lasciare Conrad da solo, quindi ho bisogno che mandiate qualcuno a sostituirmi prima possibile. Per favore, richiamate appena sentite il messaggio, non me la sento più di proseguire con questo incarico. Grazie".

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top