94. Troppa bontà
N/A: ecco qua un disegnino, perché non sono assolutamente scassaballe, noooo.
Non c'entra niente con il capitolo, a parte che in entrambi c'è Carlo.
Hans sfigato come la merda, obv.
E Carlo ha assunto una forma a clessidra perché sì.
Prima o poi dovrò anche fargli i capelli in maniera più decente.
Ma passiamo al capitolo.
Roberto sgattaiola fuori dalla stanza in cui di lì a pochi giorni si sarebbe insediata l'Assemblea Costituente e che avrebbe redatto la nuova Costituzione Italiana.
Avrebbe rimpiazzato lo Statuto Albertino, voluto dai Savoia.
E, chissà, con quello statuto se ne sarebbero potuti andare anche i reali.
Sale le scale e arriva fino all'ultimo piano dell'edificio, in una stanzetta di poco conto. Apre le finestre della grande finestra incastrata nel possente muro di mattoni.
Si siede nel buco riservato alla finestra, osservando fuori.
Da lì c'è una privilegiata vista di Roma.
"Roma, non Torino." gli ricorda una parte di sé.
Preme le labbra in una sottile linea e impedisce a quel fiume di sentimenti in piena di sfondare la diga attentamente costruita.
No, no, non è un bambino.
È più forte di così.
Era un capo. Era.
E ora cos'è?
Una regione come tante.
Il Palazzo Reale di Torino non era più una casa per nessuno.
Era solo un insieme di mattoni.
<La prossima volta, se devi sgattaiolare via, fallo con più discrezione.> nota una voce dietro di sé.
Roberto si gira e trova all'ingresso della stanza Carlo.
Questi, con il suo solito passo sicuro ma leggero si avvicina in un silenzio simil religioso. Tiene in mano una sigaretta ed estrae un accendino dalla tasca.
<Che intendi?> domanda il piemontese, non muovendosi.
Ormai si era arreso all'odoraccio del fumo, anche se mai riuscirà a gradirlo veramente.
<Stavo parlando con Bruno e appena sei uscito ha chiesto a me il perche e dove tu fossi andato.> risponde il più giovane.
<E perché sei tu qua e non lui?> chiede l'ex sabaudo.
<Per pura coincidenza. Gli ho proposto di cercarti mentre io andavo a fumare. Casualità vuole ti abbia trovato io.> risponde il lombardo, accendendo la sigaretta.
<Entrambi prediligiamo spazi in cui non mette piede anima viva o quasi.> nota Roberto.
<Sì, ma io sono qua per fumare. Tu per...?> domanda Carlo, respirando la prima boccata di fumo.
Il suo interlocutore si stringe più in sé e tenta di dare consistenza a quei sentimenti forti ma astratti turbinanti nel suo animo.
<Perché non so se sperare in un'altra monarchia o in una repubblica e voglio capirmi meglio.> risponde.
<Pensavo che tu più di tutti fossi deciso.> nota il lombardo, alzando un sopracciglio in stupore.
<E invece sono combattuto.> ribatte l'ex sabaudo.
<Perché vorresti rimanere sotto una monarchia?> domanda il fumatore.
<Perché ci tengo alla casata dei Savoia. Conosco la loro famiglia da tanti secoli. Sotto di loro, sono divenuto importante.> asserisce Roberto.
<Per gli attuali reali, secondo te, sei importante?> indaga Carlo.
Il piemontese è costretto a rimanere in silenzio per svariati secondi, che paiono dilatati.
Il suo interlocutore si limita a guardarlo e fumare la sua sigaretta, appoggiandosi al muro accanto a sé con la parte laterale del corpo.
Infine il più vecchio ammette: <No, per niente. Sono scappati senza dire niente a nessuno. Anche durante la prima guerra mondiale mi avevano tenuto all'oscuro del Patto di Londra finché non l'ho scoperto insieme a voi. L'unica cosa che mi hanno detto in anticipo era la venuta di Bruno.>
<Quindi qualcosa di cui ti saresti dovuto occupare tu, in un certo senso, mh?> critica il lombardo.
L'ex sabaudo lo guarda accigliato e ribatte: <Bruno è qualcuno, non qualcosa. Ed è mio amico, mi fa piacere stare con lui.>
<Questo perché sei tu. Però, pensaci. Non ti hanno detto qualcosa di politico su cui non abbiamo avuto alcun potere decisionale, mentre ti hanno detto e ordinato di aiutare Trentino una volta venuto qui. Questo perché, secondo te?> esplica il più giovane, realizzando di essere stato abbastanza ambiguo poco prima.
Roberto si morde il labbro e risponde: <Non voglio essere cattivo, ma... è per evitare i neo-italiani si ribellassero al nuovo ordine, no? Se era integrato lui, era più facile l'integrazione degli umani.>
<Esattamente. Ti hanno solamente usato. Poi tu hai creato una vera amicizia perché è la tua indole ed è stata una casualità per te positiva.> conclude Carlo.
<Cosa vuou affermare con ciò?> domanda il piemontese.
<Non è chiaro?> domanda retorico il lombardo <Per i Savoia non sei nient'altro che una pedina, ora. E forse lo eri pure prima, conoscendo come funzionano i nobili.>
L'ex sabaudo sospira tristemente, strizzando ancora gli occhi. Pizzicano da morire e quelle dannate lacrime desiderano uscire.
Un piccolo singhiozzo traditore gli scappa dalle labbra e all'istante sfrega gli occhi, tentando disperatamente di far svanire le lacrime prima che scivolino per le guance.
Il più giovane lo osserva con le sopracciglia corrugate e quel minimo di empatia conservata in lui lo fa dispiacere per il fratello.
La sigaretta ormai è finita, quindi la spegne contro il muro e butta il mozzicone per terra, lontano da loro due.
Si avvicina al fratello, mezzo chiuso a riccio, e allunga cautamente una mano.
L'appoggia sulla spalla altrui e all'istante Roberto alza la testa, gli occhi più rossi del normale e il volto dipinto nel dolore.
Balbetta qualcosa, ma esce tutto così affrettato e accavallato che risulta incomprensibile.
Carlo accarezza la spalla altrui e ordina, nonostante il tono mantenuto basso e calmo per non spaventare l'altro: <Prima calmati, poi parli.>
Successivamente, si siede accanto il fratello e gli cinge con un braccio le spalle.
Il piemontese ci mette poco per stringersi al più giovane, occhi chiusi, e provare a calmarsi.
Il lombardo lo guarda, per come può, con pietà. Nonostante lo ritenga stupido per non aver capito una cosa così ovvia, dall'altro canto gli dispiace, perché era palese quanto ci tenesse, anche se non lo può capire sulla propria pelle.
Ha perso il contatto vivo con le emozioni secoli prima. Tutto gli appare contorto e distante.
Inoltre, a dire il vero, non è mai riuscito a provare quell'amore che è sicuro sia stata la causa dell'enorme fedeltà dell'ex sabaudo per la casata dei Savoia. Né nella prima vita, né nella seconda.
Ad un certo punto, Roberto si acquieta e respira a grandi boccate, non propriamente silenzioso ma neppure rumoroso.
<Scusa, sono patetico.> inizia ad un certo punto <È che fa male ogni volta che penso sia stato tutto un gioco per loro. Davvero male. Io ci ho messo anima e corpo per loro, ho fatto tanto...>
<Lo so, lo so, l'ho visto. Hai seguito gli ordini altrui e anche se provavi a far qualcosa per migliorare la situazione, loro riuscivano sempre a rigirarla a modo loro.> nota Carlo.
<Non mi sono mai impuntato abbastanza, se-> prova ad ipotizzare il piemontese, ma il lombardo lo blocca sul nascere.
Infatti asserisce: <Tu li seguivi perché ti fidavi, perché volevi bene a loro. Invece loro ti guardavano come si può guardare uno schiavo da sfruttare finché non muore.>
<Sono stato un coglione.> sussurra con voce tremolante l'ex sabaudo.
La regione dagli occhi grigi si acciglia, lo stringe più forte a sé, accarezzandogli la spalla su cui ha la mano appoggiata, e ribatte: <Non coglione. Sei stato ottimista, speranzoso, altruista. È che dall'altro lato non hai trovato qualcuno come te.>
<Son stato coglione a non accorgermene.> critica Roberto.
<Probabilmente.> lo appoggia Carlo <Ma nessuno è totalmente efficiente quando ci sono di mezzo troppi sentimenti o sono troppo forti.>
<Anche tu?> domanda il piemontese.
<Ovvio, anche io. Per quanto mi piaccia pensare di essere intoccabile, non lo sono. Basta vedere cosa ho fatto durante questa guerra.> risponde il lombardo.
<Me ne ero anche mezzo scordato in questo momento, sai?> asserisce l'ex sabaudo.
<Ecco, un altro esempio di come i sentimenti ti rendono mezzo cieco. Dovresti metterti degli occhiali.> decreta Carlo.
Roberto sorride leggermente alla mezza battuta altrui e dice: <Purtroppo i miei sono fuori produzione.>
Il lombardo emette un piccolo sbuffo divertito e commenta: <Già.>
Rimangono in un pacifico silenzio per un minuto o due.
<Grazie. Sono abbastanza sicuro che per te non sia semplice comportarsi così.> ringrazia il piemontese.
<Hai ragione, mi sembra ovvio. Ma... avevi il morale sotto le scarpe e sinceramente non ho voglia di vedere te piangere.> risponde in fretta Carlo.
<Me no? Altri si? E perché me no?> domanda Roberto.
<Calma con le domande.> ghigna il lombardo <Voglio vedere soffrire chi odio, non qualcuno che ancora crede nella bontà e genuinità altrui. Per quanto ritengo ciò stupido, è ammirevole. Ci vuole molta volontà e forza per essere buoni in questo mondo.>
Il piemontese incassa la testa e si rannicchia un pochino di più, borbottando: <Non si può pretendere gli altri siano buoni se tu non lo sei per primo.>
<È ammirevole, appunto. Guarda me, è già tanto se non fulmino con lo sguardo quando vedo qualcuno.> nota la regione dagli occhi grigi.
<Con qualcuno in casa lo fai.> nota l'ex sabaudo.
<Loro però mi danno fastidio.> asserisce con forse fin troppa serietà Carlo.
Roberto ridacchia e si mette meglio seduto, ma senza allontanarsi dal fratello e questi non toglie il braccio.
Si sfrega gli occhi e scaccia le ultime tracce di tristezza. Sorride e asserisce: <Grazie di cuore.>
<Appunto, troppo buono.> sospira Carlo, ma subito aggiunge: <Prego e per tua fortuna ero in vena di essere compassionevole.>
In quel momento la porta si apre e sull'uscio compare Bruno, che appena vede il piemontese si rilassa ed esordisce: <Roberto, ti stavo ce-> ma si blocca, notando sia in compagnia del lombardo.
Questi in fretta ha tolto il braccio dalle spalle altrui quando ha sentito la porta aprirsi, ma il trentino ha visto la fine del gesto. E comunque sono seduti molto vicini.
Qualcosa dentro il biondo brucia e lo punzecchia insieme, rendendosi conto di essere molto infastidito dalla scena che ha davanti.
Roberto si alza in fretta, sorride cortese all'amico e nel mentre si avvicina a lui.
<Oh, è vero, Carlo me l'aveva detto. Scusami se non ti sono venuto a cercare, ma->
<Nessun problema, volevo sapere come stavi, mi sembravi... triste.> spiega il trentino.
<Tutto a posto, tranquillo.> lo rassicura il piemontese.
<Casualità ha voluto lo trovassi io prima.> nota Carlo, ancora seduto nella rientranza della finestra.
Bruno sente l'impulso di maledire questa casualità o di rispondere acidamente al lombardo, ma se lo impedisce, tornando a fissare l'ex sabaudo.
Questo lo esorta: <Torniamo dagli altri, mh?> ed esce dalla stanza, poggiandogli una mano sulla schiena e sospingendolo via.
Bruno si lascia guidare, quella mano che gli provoca un piacevole brivido per la schiena.
Intanto Carlo abbozza un sorriso fra sé e sé, si accende una seconda sigaretta e sussurra: <Già, troppo buono per questa realtà.>
N/A: NON C'È NULLA DI ROMANTICO IN QUESTO CAPITOLO, È TUTTO FRATERNO, LO GIURO.
Beh, a parte i sentimenti di Bruno per Roberto, che in quel momento era ancora in fase "che cazzo provo?", quindi ancora pensava di essere etero.
Ripeto, giuro, fra Carlo e Roberto non c'era alcunché di tenero, era solo affetto fraterno.
E dato che Roberto è graziato con la stima di Carlo, ha dei privilegi, tipo poter essere consolato da questi.
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