74. Rimorsi e pentimenti
N/A: in questo capitolo ci sono scene decisamente R18, data la presenza di atti sessuali.
Lettori avvisati, mezzi salvati.
Leggete a vostra discrezione.
Però prima qualche stupido "meme"!
E niente, ci sono troppi stronzetti in un'unica casa affinché sia possibile la calma.
Rosa e Francesca sono un po' eccessive.
Angela, Franco e Roberto sono i miei mood perenni.
E in questo modo Giorgio ci ha spiegato come mai ha problemi con il vino.
E ora al capitolo!
Giovanna è una regione che ne ha viste di cotte e di crude, continuamente cambiando padroni e sempre affrontando chi aveva davanti di petto.
Nonostante abbia fatto varie scelte sbagliate e ci siano stati fatti fuori dal suo controllo a cui però non ha reagito come sarebbe stato più saggio, non si pente delle proprie azioni.
Pentirsene non cambierà la storia, bisogna accettare come gli eventi siano andati e imparare da essi, riconoscendo anche gli sbagli.
Ma c'è un'eccezione, ovviamente, un episodio della propria vita di cui si è pentita subito dopo essere stato compiuto, ma anche per i secoli successivi fino ad arrivare all'attualità.
E il pentirsene porta con sé odio.
Odio per il fatto e odio per chi ne è coinvolto principalmente.
E mai quell'odio svanirà, finchè ha quel ricordo.
Ma cosa é successo?
Bisogna ritornare a vari secoli prima.
•~-~•
<Siete una manica di pazzi e furiosi selvaggi! Forse sarebbe stato meglio subire la sconfitta da parte dei francesi che ritrovarsi a che fare con voi!> urlò imperioso Pedro, gli occhi dardeggianti di odio.
Era andato nel Sud Italia per una visita di controllo ed era stato vittima di un piano messo a punto dalle regioni meridionali.
Aveva convocato Giovanna, allora Isabella, per ricevere spiegazioni, scuse e un compenso.
<Ah, guarda! Sai invece cosa avremmo preferito noi? Non essere devastati da una cazzo di guerra fra cretini che ci trattano come trofei ed essere finalmente liberi!> ribatté Isabella, sbattendo le mani sulla scrivania dell'altro, una rabbia bruciante e lampante nel suo corpo.
<Ma funziona così! Chi é troppo debole soccombe, diventa un trofeo da prendersi e da spogliare di tutte le ricchezze!> affermò il catalano, alzandosi in piedi dal proprio posto.
<E allora non stupirti se i deboli comunque vogliono la loro libertà! Non è una novità che il sottomesso mostri i denti e faccia di tutto per avere l'agognata libertà. E così faremo anche noi.> minacciò alla fine la siciliana, puntando un dito contro l'altro.
<Pensi abbia paura di te o di quegli altri? Siete solo fastidiosi, come i mori*! Ma, come loro, avete terre che interessano e che più di uno bramano. E dato che ne siete i legittimi proprietari, mi tocca avere a che fare con voi.> affermò Pedro.
<Io invece vorrei vederti bruciare nelle fiamme dell'Inferno! Bastardo! Io mi ero fidata di te!> ricordò la ragazza, gli occhi lucidi dalla rabbia.
<La vita ti dà davanti due semplici opzioni, cara.> iniziò il catalano, raggirando la scrivania ed avvicinandosi all'altra <O sei re o sei schiavo. Tu eri una schiava ed io un re. Da quando in qua i re liberano gli schiavi altrui, invece di prenderseli o venderli?>
La siciliana non si tirò indietro, avanzando, andando quasi naso a naso con il suo (non voluto) capo e ribatté: <E da quando uno schiavo distingue un re da uno schiavo, se disperato? Vuole solo che le sue catene siano rotte.>
<Allora lo schiavo è stolto. Tu lo sei stata, Sicilia. Ti sei fatta raggirare, ma non sei la prima e non sarai l'ultima.> avvisò l'iberico.
<Finché vivrò, ti odierò e desidererò solo vederti soffrire e infine bruciare per mano mia, per farti anche solo immaginare quanto è stato umiliante per me realizzare di essere solo un pezzo di terra per l'ennesima volta.> promise Isabella, una rabbia ed una serietà ed un orgoglio impossibili da tralasciare.
<Se fossi collaborativa, tutta questa tua tenacia sarebbe molto apprezzata. Ma sei solo una ragazza lamentosa. Chiudi quella bocca ora.> ordinò Pedro.
<Obbligami.> lo sfidò lei.
La tensione fra loro due era enorme, una sorta di elettricità li invadeva ed era attorno a loro.
Quello che accadde dopo fu imprevedibile.
Ad essere onesti, si incontrarono a metà strada.
Si baciarono con rabbia e frustrazione, qualcosa di strano e insolito che era scattato fra di loro.
Più che un bacio fu uno scontro di denti e lingua, quella che poeticamente viene definita una battaglia si stava svolgendo.
Combattendo silenziosamente, sfogando una rabbia a lungo repressa, chi per un motivo e chi per l'altro.
E il canale di sfogo che improvvisamente i due trovarono fu quello. Quel puro odio fra di loro sempre a scorrere nelle vene fu sottomesso ad una necessità carnale, senza amore o affetto o qualsiasi emozione positiva.
In fretta Isabella si ritrovò seduta sulla scrivania dell'altro, la gonna alzata e le gambe aperte, intenta ad affondare le dita nella pelle del collo altrui, quella luce di prima negli occhi ancora lì.
Anche l'altro aveva una faccia contratta nella rabbia mentre, con i pantaloni calati alle caviglie, affondò con poca gentilezza e senza preavviso nel corpo della ragazza.
La siciliana si lasciò scappare un sibilo di dolore alla dolorosa penetrazione, vendicandosi e conficcando con più forza le unghie nella carne altrui, fino a farlo sanguinare.
<Non abbassi mai gli artigli, eh?> chiese Pedro retorico in un sussurro avvelenato, spingendo con forza dentro ella.
<Se mi devi fottere come se fossi una puttana qualsiasi per qualche soldo, che almeno mi diverta mi sembra il minimo.> rispose la ragazza, ghignando, portando la mano libera fra le proprie gambe, stimolandosi, conscia che se aspettava l'altro non avrebbe mai ricevuto piacere.
Gemette piano e si contrasse, stringendo in una deliziosa stretta il pene dell'altro, portando il catalano ad ansimare e spingere più forte.
Isabella continuò a stimolarsi, spostando anche la mano, fino ad orgasmare e venire, buttando la testa all'indietro e stringendosi attorno l'erezione altrui.
Furono le ultime spinte per Pedro, che venne dentro la ragazza. Riprese per qualche attimo fiato, prima di togliersi da dentro di ella e rialzarsi i pantaloni.
Si riordinò la camicia e con un lindo fazzoletto si asciugò il sangue sul collo, guardando la regione davanti a sé prendere un fazzoletto decisamente usato, abbassarsi la gonna e pulendosi così. Infine scese dalla scrivania.
Isabella si sentì investita da quello appena fatto, la rabbia e la vergogna che si mescolavano dentro di sé, anche se era decisamente meno stressata.
<Osa dire una sola parola...!> lo minacciò la siciliana, puntandogli il dito contro.
<Cosa dovrei dire? Che ti ho fottuto sulla mia scrivania in preda ad un istinto animalesco? No, grazie. E sparisci, mi disgusti.> ordinò imperioso Pedro, ritornando a sedersi alla propria scrivania.
La ragazza, livida di rabbia e rimorso per quello fatto, uscì dalla stanza sbattendosi dietro la porta.
Si congelò appena vide vicino a sé Vittoria, precedente nome di Carmela, gli occhi spalancati e lucidi.
Tutta la rabbia sparì momentaneamente nello sconforto.
Quanto aveva visto?
Vittoria la prese per il polso, provando a trascinarla lontano, e la più grande la lasciò fare.
Si rifugiarono nella stanza della più giovane.
La lucana fissò la madre e chiese fra i singhiozzi: <Perché ti ha costretto quel mostro?>
La siciliana la strinse e sussurrò: <Non mi ha costretto. È stato un impulso, ma non ha valore per nessuno dei due. Ora vorrei solo essere stata più forte, ma ho le mie debolezze.>
<Ti ha costretto, ti ha costretto! Lo odio, lo odio, lo odio! Prima ti inganna, poi ci conquistano, poi ci rubano Lovino e ora ti fa questo! Lo voglio uccidere, lo voglio morto, morto, morto!> quasi strillò Vittoria, le lacrime che scorrevano senza freni.
La sicula le accarezzò le guance, dicendo «shhh» a bassa voce, in conforto, sedendosi e facendola sedere sulle proprie gambe.
<Tesoro, io lo odio, ma quello che è appena accaduto, l'ho voluto. Avrei voluto fermarmi, ma il corpo è più forte della testa, alcune volte.> spiegò Isabella.
<No no no! Ti ha costretto! Tu sei forte, tu-!> provò a ribattere la lucana, ma la siciliana la interruppe: <Io sono debole come tutti. La tensione era troppa e l'istinto urlava solo... quello. Alcune volte l'odio fa queste stranezze.>
<Non capisco...> sussurrò Vittoria.
<Non devi. Neanche io lo so.> affermò Isabella.
La lucana strinse l'altra, piangendo frustrata e arrabbiata, non credendo alla "madre".
Era andata verso l'ufficio dello stronzo per salvare in parte la madre, ma aveva sentito dei versi e, sbirciando dalla porta, aveva visto la scena da già nel mezzo.
Si era congelata, terrorizzata, andando alla conclusione più logica: quello stronzo era anche un violentatore.
Uno senza scrupoli o morale.
E la madre forse voleva solo proteggerla.
Ma lei non si sarebbe fatta ingannare, quello che le diceva la più grande erano bugie a fin di bene!
•~-~•
Da quel giorno non ne parlarono esplicitamente, ma dentro di loro le emozioni rimasero.
In Sicilia, il rimorso e l'odio.
In Basilicata, il desiderio di vendetta.
E ogni tanto, quando si guardavano, si capivano. E i loro sentimenti si scontravano.
E la siciliana si sentiva anche in colpa per averla fatto assistere involontariamente.
N/A:
*mori= si intendono le popolazioni arabe che hanno vissuto e tenuto sotto controllo la Penisola Iberica a partire dall' VIII secolo. Vennero progressivamente scacciati grazie ai Regni Cattolici nel nord della penisola, nel lungo processo detto Riconquista. I mori vennero definitivamente scacciati nel 1492 con la conquista di Granada, ultimo loro baluardo.
È un'idea che mi frullava da TROPPO nella testa e finalmente sono riuscita a scriverla.
Non ne sono 100% soddisfatta, ma è il meglio che sono riuscita a fare.
Spero vi sia in qualche modo piaciuto.
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