60. In uno sgabuzzino
N/A: ed eccoci qua, con un nuovo disegnino trash
Non c'entra una mazza con il capitolo ma é l'unico disegno che ho di 'sti due insieme 😂
<Chi é il genio che ha impilato tutti quegli scatoloni vicino la porta?!> domanda Carlo seccato ad alta voce.
<Non lo so, ma non sarebbe successo un cazzo se solo tu non avessi deciso di provocarmi!> rimprovera Giovanna.
<Ah, davvero? Ora é colpa mia?! Solo perché ti ho detto che é saggio ricordarsi dove si mettono le cose?> ribatte retorico il lombardo.
<Non hai detto proprio questo, caro> la siciliana calca l'ultima parola con grande ironia <Mi sembra fosse più un «Cretina, potresti ogni tanto anche attivare quei neuroni che hai in testa e ricordarti dove metti le cose, invece di essere sempre nullafacente e con la mente fra le nuvole.» e dubito di essermelo immaginato!>
<Potevi anche non spingermi verso gli scatoloni!> rimbecca il settentrionale, che inizia a sollevare uno degli scatoloni in alto alla pila caduta.
Non solo ci sono scatoloni e oggetti della pila urtata, ma anche di altre pile vicine.
C'è un enorme cumulo che impedisce loro di arrivare alla porta dello sgabuzzino.
<Ooooh, scusami se non ho maniere fini e raffinate come quelle di voi fighetti con un palo nel culo.> recita teatrale la ragazza, collaborando però alla liberazione del passaggio.
Ovviamente a distanza di sicurezza dall'altra regione, mentre iniziano a tirarsi insulti.
<Terrona.>
<Polentone.>
<Ignorante.>
<Saccente.>
<Rozza.>
<Fighettino.>
<Disgraziata.>
<Nano.>
<Come, scusa?!> domanda Carlo, la voce alzata di quasi un'ottava dallo stupore, fissando l'altra e fermandosi.
Sulla sua faccia é dipinto un disappunto molto teatrale: gli occhi sono totalmente spalancati, le sopracciglia sono alzate e la bocca schiusa in una piccola "o".
"É il primo a rimproverare gli altri per la loro teatralità e poi é proprio lui la reginetta del drama…" pensa la siciliana.
<Non ti offendi per nulla di serio… e per ‘nano’ lo fai?! Sei davvero strano, polentone…> commenta Giovanna, proseguendo il lavoro.
Il settentrionale incrocia le braccia e la fissa, affermando: <Perché alle altre sono abituato e posso intuire da dove viene la tua percezione distorta. Ma… ‘nano’?! Da quando in qua essere alto quasi 1.80m é da nano? Voglio delle spiegazioni!>
La meridionale poggia uno scatolone nel punto dove lo ha appena preso, si gira verso l'altro e lo guarda.
<Serio? Sembri un bambino, così.> constata la siciliana.
<Non sto facendo i capricci, come fanno i bambini. Voglio solo capire. Perché mi hai chiamato nano?> domanda lui.
<Son più alta di te, quindi in confronto a me sei un nano.> spiega lei, girandosi per tornare all'opera.
<Un nano é qualcuno di sostanzialmente più basso! Franco e Marie, per esempio, loro li puoi chiamare nani! Sono i più bassi in casa e c'è una sensibile differenza fra loro e te. Ma fra me e te?! Sono miseri centimetri.> ribatte Carlo, seccato.
<Contro di te valgono tanto~> canticchia Giovanna, spostando dietro l'orecchio una ciocca cascante.
Poi, improvvisamente, due mani la prendono per le spalle e la spingono indietro, fino a che non sbatte contro il muro.
<Ehi, brutto stro-> esclama la siciliana, furibonda, ma il lombardo la interrompe prontamente: <Dritta con la schiena, spalle e piedi contro il muro. Ora vediamo quanto ci separa.>
E lui le si mette accanto, rigidamente dritto, come un diligente soldato.
"É proprio matto, bah…" pensa lei, però acconsentendo, il cuore ancora che batte più velocemente del normale.
L'ha colto di sorpresa e si é leggermente spaventata, tutto qua!
Poi sente un dito premere leggermente contro la testa.
Rapidamente Carlo si stacca dal muro e le va davanti, mostrandole il medio e l'indice uniti.
<Neanche due dita. Neanche due fottute dita ci separano in altezza e io sarei un nano?!> chiede il lombardo.
Giovanna fissa per interminabili secondi il settentrionale, osservando la sua espressione di stizza e le sue dita alzate e mostrate come prova.
Poi scoppia a ridere di gusto, portandosi un braccio alla pancia che si abbraccia, con la testa piegata in avanti.
Il lombardo la guarda, colto di sorpresa, prima di contrarre il volto in una smorfia di rabbia e domandare: <Che c'é da ridere?!>
<L-La tua faccia- puhahaha!> risponde fra le risate la meridionale, tentando di calmarsi dopo qualche altro secondo di risa.
Il settentrionale la squadra qualche secondo, il volto sempre imbronciato, poi torna a spostare gli scatoloni, borbottando riguardo la sua non-bassezza.
<Facciamo in fretta, qua c'è un caldo da soffocare.> decreta la siciliana, riprendendo il lavoro.
<Non c'è neanche una finestrella da aprire! … E non azzardarti a denudarti!> ammonisce Carlo.
<Non é che mi spoglio a cazzo di cane e di sicuro non lo faccio davanti a te! Quante volte devo dire che era stato un caso?! Mi ero dimenticata della nostra riunione, era agosto, c'era un caldo da abbrustolirsi ed ero in camera mia!> ribatte Giovanna, seccata ancora dalla questione che l'altro ogni tanto riporta a galla.
<Ma una qualsiasi traccia di vestiti era troppo, per Diana? Anche solo delle mutande o una canottiera! Qualunque straccio di indumento sarebbe stato meglio di aprire già poco allegro la porta e trovarti a dormire spaparanzata, totalmente nuda!> la rimbecca il lombardo.
<Senti, dormire nudi non fa male! Anzi, il contrario! Aiuta a dormire più tranquilli, perché tutto il corpo riceve peso omogeneo! E mi vuoi dire che con il caldo che c'è in estate tu dormi in pigiama?> chiede a mo' di sfida la meridionale.
<No! Ma almeno una canottiera e l'intimo li indosso sempre o solo dei boxer leggeri, se proprio fa così caldo!l'intimo!> spiega il ragazzo, ruotando gli occhi.
<Ma non sei scomodo? Non sei tutto appiccicoso la notte?!> domanda Giovanna, provando ad alzare uno scatolone abbastanza grande e non riuscendoci, mollandolo con leggero fiatone.
<No, perché sono vestiti leggeri. E ce la fai a sollevare uno scatolone o vuoi l'aiuto del pubblico?> chiede il lombardo, retorico e impaziente di uscire da lì.
<Provaci tu.> lo sfida lei, lasciando stare lo scatolone.
Carlo prova a sollevarlo, ma si ritrova a sbuffare dallo sforzo e a malapena sollevarlo di due centimetri, prima di rinunciare e lasciarlo dove é.
<Visto? É pesantissimo! Cosa ci sono dentro, dei mattoni?!> s'interroga a voce alta la siciliana.
L'altra regione resta in silenzio qualche altro secondo, poi schiocca la lingua contro il palato e decreta: <Saranno probabilmente dei pesi che abbiamo lasciato qua dicendoci che ce ne saremmo sbarazzati dopo e di cui però ci siamo dimenticati.>
<Dei pesi? Tipo quelli dei bilancieri o dei manubri?> cerca di capire, curiosa, Giovanna.
<Un po' e un po'. Li avevamo comprati sperando di riuscire a costruire un piccolo edificio accanto alla casa dedicato solo agli strumenti e per esercitarci. Purtroppo i costi erano troppo alti e abbiamo lasciato perdere, anche se avevamo già preso pesi per futuri bilancieri, manubri e kettlebells.> illustra Carlo.
Il tono é più basso del solito, é calmo e vibrante e trasmette un vago senso di dispiacere.
La siciliana é abituata a sentirlo con i suoi soliti modi di fare altezzosi e quella voce quindi un po' la sorprende.
É quasi rassicurante.
E non avrebbe mai pensato di poter dire una cosa del genere riguardo il lombardo.
<Parli al plurale. Tu e chi altri avete comprato queste cose?> lo interpella lei.
<Io, Rosa, Aleksander, Bruno, Francesca, Domenico, Mario, Vincenzo e se non sbaglio anche Franco.> elenca Carlo, cercando di ricordare con precisione.
<Non ne sapevo nulla…> commenta Giovanna.
<É tutto nato da una chiacchierata in soggiorno con alcuni di quelli che ti ho citato. L'idea ci piaceva, ma eravamo in troppo pochi per realizzarla. Allora gli altri presenti l'hanno proposto a chi sapevano sarebbe stato interessato e siamo arrivati a formare quel piccolo gruppo.> spiega il lombardo, provando testardamente a sollevare quella scatola.
Si china e fa leva sulla gambe e non sulla schiena, prendendo il grande scatolone il meglio che può, ma nulla. Lo alza di miseri centimetri con enorme sforzo, il che lo costringe a lasciare di nuovo lo scatolone, sennò rischia di farsi male.
La siciliana annuisce e sospira.
Si siede a terra, vicino gli scatoloni, e chiude gli occhi.
<Ti arrendi?> domanda il ragazzo, fissandola scettico e sprezzante insieme.
<Aspetto che qualcuno si accorga che siamo qua, dato che siamo senza cellulare entrambi e non abbiamo nessun modo per spostare quelle ultime scatole troppo pesanti. Non possiamo neppure sollevare le cose singolarmente perché non abbiamo delle forbici per aprire gli scatoloni.> illustra Giovanna.
<Davvero ti vuoi affidare alla speranza che gli altri si accorgano della nostra scomparsa?> Carlo ripete il concetto detto dall'altra regione, incredulo.
<Perché non dovrei? Si accorgeranno che non ci siamo!> afferma la siciliana con enorme naturalezza, sconcertandolo.
Il lombardo si siede a terra contro il muro, distante un metro in linea d'aria dall'altra, con la testa rivolta verso di lei.
<Hai molta fiducia nella benevolenza degli altri. Anche troppa.> constata il settentrionale, giocando assente con un polsino della sua camicia.
<Oppure sei tu che non ne hai proprio e sbagli. Gli umani sono "animali sociali", per dirla come diceva Aristotele, e anche noi un po' lo siamo. Viviamo molto meglio se in compagnia degli altri.> illustra Giovanna, un pizzico di superbia e rimprovero nella voce.
<Una società funzionante é forse più impressionante di un singolo autarchico, ma se devo scegliere fra un covo di serpi e la solitudine scelgo la seconda, grazie.> ribatte Carlo freddamente.
Stringe una mano a pugno qualche secondo, per poi distenderla di nuovo.
<Solo perché qualcuno ti ha trattato male non devi far di tutta l'erba un fascio.> nota la siciliana, stranamente con tono vagamente addolcito.
Sa benissimo cosa sia l'odio.
Per un po' é stata anche misandrica, lo riconosce.
Odiava tutti gli uomini perché alcuni di loro l'avevano trattata con sufficienza e solo come matrona, e non come essere dotato di intelligenza e creatività.
Però l'aveva superato, anche grazie all'affetto che la legava alle altre regioni del meridione e a Lovino.
Dall'altro lato capisce che spesso c'è bisogno di una spinta per il cambiamento.
E il polentone le da l'impressione di uno che non si fa dare spinte incorraggianti, ma che al massimo spinge gli altri giù dalla loro posizione.
Carlo la fissa negli occhi, carico di un'algida rabbia, mentre le labbra si tirano in una linea sottile.
<Hai vissuto la mia vita? No. Allora non criticarmi perché non mi fido degli altri.> dichiara il settentrionale, la voce chiaramente rotta, ma il volto é ancora impassibile <Non sai neppure gli effetti collaterali del rinascere. Ogni tanto penso sarebbe stato meglio non rivivere e lasciare il posto a qualcun altro.>
Il ragazzo manda giù un groppo in gola e aggiunge: <Non conosci le mie relazioni passate, non sai le mie vicende nel privato, ignori come le ho vissute e non intendi come sono io. Se fossi stata nei miei panni, anche te ora saresti così.>
Giovanna lo ascolta ad occhi spalancati.
Carlo, di tutte le regioni in quella casa, le sta confessando qualcosa di sé.
Sono costantemente cane e gatto, sempre una alla gola dell'altro.
Continuamente pronti a litigare e tenere vivo quel divario fra Nord e Sud esistente da ancora prima dell'unificazione del Paese.
Eppure, in quello sgabuzzino, con una luce fioca a illuminare la stanza, arresi ad aspettare aiuto esterno… il settentrionale é disposto a mostrarsi umano e dire a lei, fra tutti, quello che sente, anche se pure in modo vago.
<Noi siamo il risultato delle nostre esperienze e di come le abbiamo affrontate. É la somma di un 50 e 50 fra caso e volontà. Come sono ora dovrebbe dire abbastanza sulla mia volontà e sul mio caso.> conclude Carlo, che non ha mai distolto lo sguardo da lei.
La voce, alla fine, é tornata stabile.
L'istinto caritatevole suggerisce a Giovanna di avvicinarsi e abbracciarlo, perché ora si chiede cosa sia mai accaduto a quello stronzo per essere diventato appunto così stronzo e apatico.
A parte la voce e qualche movimento di mano istintivo, é rimasto una pietra impassibile quando raccontava di sé, mentre sicuramente tristi ricordi riaffiorivano.
La siciliana si morde l'interno della guancia, indecisa se parlare o rimanere in silenzio.
Alla fine ci pensa il caso a scegliere per lei e la porta (che si apre verso l'esterno) viene aperta.
<Oh, ecco dove eravate!> commenta Domenico, sporgendosi con la testa.
<Oh, finalmente! Quegli scatoloni sono troppo pesanti per essere sollevati tutto insieme! Prendi delle forbici così li apriamo e spostiamo poco alla volta!> spiega Giovanna, sollevata.
<Torno subito.> dichiara l'abruzzese e va a prendere un paio di forbici.
<Non dire un cazzo a nessuno del mio ultimo discorso, capito?> minaccia Carlo guardando l'altra regione.
La meridionale lo osserva con calma e afferma: <Sì, non dirò alcunché. Non che mi crederebbero.>
<Bene.> decreta il settentrionale, più sollevato.
<Anche se ti voglio dare piccolo consiglio: abbiamo sempre la possibilità di cambiare noi o tentare di modificare il nostro ambiente. Bisogna solo volerlo.> sussurra lei, guardando Domenico tornare, sperando di rimanere inudita.
E invece Carlo l'ha sentito eccome.
E sul suo volto si forma un sorriso amaro, leggero, solo per un istante.
Eccome se lo sa.
Peccato che non ci riesca.
N/A: ecco qua il capitolo richiesto da AliciaMentasti, che mi ha permesso di far intravedere un pochino di Carlo.
Lo so, lo dipingo sempre come uno stronzo (e forse un pochino lo é), ma non é totalmente colpa sua.
É principalmente colpa mia =)
E del passato che gli ho dato =)
Anche se stronzo, ha i suoi motivi. Non lo giustifico, ma gli do un perché.
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