173. Apatia
N/A: dato che il capitolo non è troppo allegro, ecco un video stupido che ho fatto con le regioni, spero vi piaccia!
E dopo quello, buona lettura!
586 d.C, tra 'Regio Transpadana' e 'Venetia et Istria'.
Nicus non riesce a stare fermo. È terrorizzato, vorrebbe tanto pietrificarsi, ma il suo corpo è febbrile; se si fermasse, perderebbe totalmente il senno.
Stanno arrivando.
Uno dei tanti gruppi di quei dannati barbari che hanno distrutto il glorioso impero di Romulus. Che hanno ammazzato Romulus.
E ora stanno venendo per tutti loro, la sua numerosa progenie.
Avrebbero iniziato con loro, territori debolucci, per poi puntare ai due pargoli che espressamente Romulus aveva riconosciuto come suoi diretti discendenti poco prima di morire per sempre.
Nicus non si farà calpestare: difenderà il buon nome dei romani. Vuole vivere.
Si chiede se Transpadana e Venetia sopravvivranno.
Con cinismo, pensa che forse solo lui sarebbe rimasto. Esiste nonostante sia diviso tra le suddette regioni, quindi forse scamperà all'ira dei barbari perché non è segnato sulle carte.
Non sa che è una speranza vana.
Sente quella fiumana di barbari calpestare i suoi territori e distruggere qualunque cosa dietro di loro.
Ora sono vicini, troppo vicini per essere un caso.
Dicono che il loro capo non è come loro, non del tutto, perché quel popolo non ha una terra da chiamare casa. Ma ha un popolo unito sotto un'unica idea di uomo, diverso da chi ha attorno. E ciò basta per creare un essere semi-immortale, anche se con minori poteri.
Purtroppo, a quanto si dice, questo suo essere bastardo come territorio, gli permette di scovare qualunque altro essere sovrannaturale, come gli Imperi o le loro province.
E ha sete di loro sangue e fame delle loro carni morte.
Nicus guarda fuori dalla finestra, spaventato.
Forse verrà tutto raso al suolo e lui verrà ucciso. L'unico modo per rimanere in vita sarebbe diventare schiavo del nuovo capo.
Ma non potrebbe mai! Non potrebbe più definirsi uomo!
Non sa quanto tempo passa, prima di sentire il dolore dell'avanzata dei barbari farsi soffocante, come se gli zoccoli dei loro cavalli lo stessero schiacciando davvero sul petto.
Sente urla.
La porta del palazzo cede.
I nemici entrano.
Non può nascondersi.
Afferra il suo gladio e un piccolo scudo e corre giù per le scale, superando altri soldati presenti nel palazzo e pronti a difendere il giusto potere.
Nicus si blocca al vedere il bagno di sangue davanti a lui, sangue principalmente romano.
Ed è allora che vede negli occhi la morte.
Un giovinastro, poco più grande di lui, ma dal corpo definito e forte, come un Ercole in miniatura, che taglia il collo ad un soldato romano.
Gira la testa di scatto e punta i suoi occhi chiari come il cielo sulla sua figura esile.
Nicus ingoia la paura e cerca di trattenere le lacrime.
Sta per morire, vero? Non vuole morire, è ancora così piccolo!
Il giovane Ercole-barbaro ride di gusto ed ordina nella sua lingua selvaggia qualcosa.
I suoi uomini diventano come delle belve e ammazzano lo sparuto numero di soldati che valorosamente cercano di difendersi.
Cadono in fretta, come canne al vento, tirandosi dietro solo pochi nemici, giù, nell'Ade (o Inferno, per i cristiani).
<Sei anche più patetico di quanto pensassi.> sghignazza il ragazzino, parlando quella loro lingua universale, ma con un accento forte e fastidioso.
Anche in quello è diverso; nessun altro territorio parla quella lingua con un accento, Nicus ne è certo.
<Non mi farai schiavo!> riesce solo a ribattere Nicus, in latino, balbettando un po'.
Il ragazzino si avvicina e ride sguaiatamente, seguito a ruota dai suoi uomini nel gesto, che però rimangono a distanza dai due.
<E per cosa mi saresti utile da schiavo? A nulla; sei troppo piccolo e magrolino. Sei molto più utile da morto!> esclama il barbaro.
Nicus cerca di lottare, di ferire il nemico, ma quel ragazzino è più alto e forte di lui (e più esperto, suo mal grado): in fretta si ritrova con lo scudo rotto, il gladio a terra e la mano che reggeva l'arma grondante di sangue.
Nicus si stringe la mano ferita al petto, le lacrime che gli appannano la vista, ma più di tutto si vergogna.
Non è riuscito a difendere l'onore di Romulus. È davvero inutile.
Il barbaro neanche gli concede di dire delle ultime parole e gli affonda teatralmente la lama nel petto.
Nicus si sente strappato dal mondo.
Non è come l'unica volta che era morto; non è come andare dolorosamente a dormire. È questo quello che gli umani provano quando muoiono?
Il suo corpo è pesante, pesantissimo. È pietra e sabbia insieme, è inamovibile ma gli sfugge tra le dita.
La sua mente invece si alza, fluttua, ma erodendosi. Pensare è difficile, per un brevissimo istante neanche pensa, semplicemente è.
E poi non è niente.
E poi è di nuovo tutto, si sente strappato e buttato a terra dopo quello che è parso un millennio e un secondo insieme.
Apre gli occhi e di nuovo sta guardando quel barbaro, ma non è trionfante, è terrorizzato. E non lo sta più guardando da una visuale più in basso, sono allo stesso livello.
Si osserva le membra. È più alto. Ha un corpo.
Non era morto definitivamente?
Tale pensiero non lo spaventa, se non in un angolo remotissimo del cervello.
Ha lo stesso peso del notare del terriccio sotto i suoi piedi, che prima non c'era.
La poca terra però non riesce a nascondere il gladio.
Fissa il nemico, ancora bloccato, tremolante, e nota che i suoi uomini sono bloccati nel medesimo modo.
Nella mente risuona solo un'unica regola, perfino sopra l'apatia che lo avvolge.
Colpire il nemico mentre è distratto.
Si china, afferra il gladio e si slancia verso l'alto. Conficca la lama nello stomaco prima ancora che il nemico possa arretrare di due passi completi.
Lentamente, nella lingua di quel barbaro, che ora parla come se fosse sua, nota: <Ora muori tu.>
Il barbaro si contrae nell'orrore, prima di sgretolarsi a terra in un misto di polvere e sabbia.
In cima al mucchio, rimane una piccola banda di metallo elaborata, anche se il materiale è di poco valore, che prima il giovane indossava.
La prende, se la pone sul capo e dichiara, sempre in quella lingua che non sa se è più straniera: <Sono il vostro nuovo capo, ubbiditemi.>
E tutti i presenti si inchinano al suo cospetto.
Quel gesto non gli lascia niente, né spavento, né euforia, né gioia.
L'unica cosa che smuove leggermente il suo petto è la soddisfazione di aver ucciso quello stronzo.
•~-~•
Longobardia, VII secolo.
Agiprand ci ha messo qualche hanno a venire a patti con la sua nuova realtà.
Non era stata una sua impressione, quel fatidico giorno, era davvero morto.
Uno degli umani astanti gli aveva successivamente raccontato che si era tramutato in terra, per poi ricomparire da altra terra, precipitatasi dentro la sala dall'esterno, in pochi secondi.
Sa il motivo.
Non è più una regione romana.
È la terra dei Longobardi. Longobardia.
Non sa ancora se gli piacciono o meno queste sue nuove genti.
Non sa cosa gli piace e cosa no.
Tutto è così distante. Pensava che l'apatia da appena rinato, avuta anche la prima volta che era tornato nel suo corpo, sarebbe sparita.
Invece no, anzi; sembra essersi radicata nel profondo.
La gioia non sa cosa sia.
La tristezza gli sembra così aliena.
La rabbia è quella che più riesce a scalfirlo, ma nonostante ciò è come se quell'emozione fosse sua e non sua. Gli sembra di recitare, in parte, un ruolo che non gli si addice.
Sente un briciolo di vita, di vita vera, solo quando uccide. Quando può avere la presunzione di essere Dio e strappare vite.
Non sa se questa apatia rimarrà.
Non lo preoccupa, l'apatia gli impedisce di provare simili emozioni.
Sa solo che Nicus sarebbe terrorizzato da Agiprand.
Per Nicus sarebbe stato peggio perdere il suo briciolo di umanità che morire.
N/A: ecco come Carlo è diventato il bastardo semi-senza emozioni che conosciamo!
Diciamo che neanche lui ha avuto un'infanzia molto carina, ecco.
Piccola chicca: il nome Agiprand non me lo sono inventata io, l'ho trovato in una lista di nomi longobardi e significa "spada che incute timore" (in teoria).
Secondo me era azzeccato per Carlo, soprattutto per come è morto/rinato.
Spero vi sia piaciuto e che aggiunga un tassello nella vostra opinione su Carlo! Fatemelo sapere in qualsiasi modo!
Ciao ciao!
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