167. Non cretinaggine, ma altruismo
N/A: nonostante il titolo apparentemente stupido, il capitolo tratta di temi seri. Infatti ho provato a rappresentare al meglio delle mie capacità il DBP (Disturbo Borderline di Personalità), disturbo mentale che Francesca presenta.
In vecchi capitoli avevo parlato superficialmente "bipolarismo", sulla brutta scia di usare i nomi di veri disturbi con leggerezza.
Ma dato che sono cresciuta e ci tengo a rappresentare anche queste neurodivergenze bene, volevo dare a Francesca la sua giusta "etichetta" e trattarla "bene".
Tornando più cretina, ci sta, su, abbiamo già definito 3 con DSA (Marie, Franco e Michele), uno con OCD (Carlo) e uno che balla sull'orlo della schizofrenia (Maurizio). Una DBP che vuoi che sia (con pure qualche vocina)?
(Che poi, in teoria, tutti più o meno soffrono di stress post-traumatico ma shhhh).
Passiamo al capitolo.
Francesca, distrattamente, apre la porta per prendere la scopa. Appena finisce di pulire, può andare in camera sua e dedicarsi a dipingere qualcosa!
Casualmente, non afferra bene la scopa. Le scivola di mano, ma per fortuna l'afferra prima che caschi a terra con l'altra, per un soffio!
E poi qualcosa la blocca.
Il suo sguardo si blocca sulla sua mano impegnata e sui braccialetti di plastica che le avvolgono il polso e una parte del braccio.
È una regione. Un cazzo di essere semi-immortale. Ha combattuto guerre su guerre, brandendo spade (ma anche una frusta elettrificata) come armi e facendosi valere... e poi rischia di far cadere una merda di scopa giù per qualche scalino?!
Si è rammollita, decisamente! Non sa più tenere in mano qualcosa di stupido!
Non è degna di essere una regione, né di avere così tante stupende città!
E quelle dannate voci che cerca di zittire sfondano i cancelli del suo raziocinio, inondandole la zona conscia della -sua dannata zucca vuota-!
Dovrebbe sterminare tutte le sue città inutili come lei e tenere in vita l'unica che vale la pena di proteggere (ma lei la potrebbe proteggere davvero?).
"Firenze è il cuore, deve vivere!"
"Ma Pisa è stata potente per così tanto tempo, merita di essere salvata!""Sì, ma sfruttando e razziando luoghi come Livorno! Il nuovo porto dovrebbe sopravvivere, non il vecchio!""Ma Siena è così pittorica e attira così tanti turisti, merita di essere salvata!"
E in sottofondo c'è una voce estranea a quel litigio, quella in accordo al suo corpo che non distoglie lo sguardo dalla mano non colpevole, e che ripete in loop "Debole, debole, debole, debole, debole".
Le mani le finiscono nei capelli, la scopa che cade in un fracasso e scivola giù per i pochi gradini che conducono al seminterrato.
Ma Francesca non ci fa tanto caso, se ne accorge solo perché la voce in sottofondo cambia parola e inizia a rinfacciarle: "Inutile, inutile, inutile, inutile, inutile."
La toscana trema mentre affonda le unghie nel capo, incurante se affonderà così tanto nelle carni, anzi, desiderando spillarsi fuori sangue (almeno riceverebbe la punizione per la sua inutilità).
Sente che il mondo si allontana, il dolore alla testa sta scivolando via in un ammasso confuso, le voci che litigano e la ripetente voce instancabile che l'attirano. Prima che affoghi nella sua mente e il suo corpo sia più distante che nella morte, i braccialetti di plastica sfregano contro il suo volto.
Qualcosa dentro di lei si risveglia e allontana le mani di scatto dalla testa, notando con vago stupore che solo l'unghia del dito medio sinistro è macchiato di sangue. Poi porta le mani sul braccio opposto, dove quei scadenti braccialetti le coprono la pelle (una pelle rovinata perché è solo una bambola di pezza buttata qua e là che nasconde tutto dietro falsità per sembrare di porcellana, ma la verità è una e una sola: è inutile, vecchia, brutta, da buttare via e sta solo inevitabilmente posticipando il suo destino) e li graffia e li tira e li artiglia con forza.
Le dita (incapaci di tenere una scopa, figurarsi a dipingere! È solo penosa!) si muovono frenetiche, come prese da una pazzia a se stante, mentre la regione dondola piano piano avanti e indietro con i piedi, provando a ricacciare indietro le voci che vogliono allontanarla da quella stanzetta (farebbe meglio a sparire per sempre ma non può finché la Toscana o una sua parte per come è conosciuta resiste!).
Casualità volle che Mario fosse ancora in cucina e abbia sentito tutto. Aveva aspettato qualche secondo dopo la caduta della scopa, avvicinandosi cauto. Non sentendo dei passi, ma solo dei respiri affannati, si è preoccupato e ha spalancato la porta senza tante cerimonie.
Si blocca davanti a quel triste spettacolo, che gli schiaccia la gabbia toracica in una morsa che lo tortura.
Francesca si è girata solo in parte, gli occhi spalancati, un po' di sangue che le cola su una tempia e giù seguendo il profilo del volto (cosa non proprio normale), mentre si artiglia le braccia e sembra che se le voglia strappare.
<France'?> a malapena sussurra il laziale, tentando un passettino in avanti.
La toscana non arretra, anzi, avanza di un passo (tremolante) e ribatte urlando: <Vattene, testa di cazzo!>
Riconoscendo (ovviamente) che è la sua solita sfuriata, ma qualcosa di più profondo, arroccato nel suo corpo, crudo e tagliente, Mario usa la miglior strategia che conosce per calmare chi è in preda a delle crisi: mantenere la calma e fare in modo che pure chi ha davanti si calmi.
<Non voglio farti niente.> risponde pacato il laziale, alzando le mani davanti al petto, per dimostrare che non ha niente di pericoloso in mano.
<Ma non stai bene e hai bisogno di un po' di aria pulita, no?> prosegue, provando ad allungare una mano verso l'amata.
La quale pare un animale ferito e in preda all'istinto, con gli spalancati e la pupilla microscopica, mentre digrigna i denti. Smette di provare a strapparsi i braccialetti dalle braccia (o la pelle dalle suddette braccia) e prova a spingerlo lontano, ribadendo sempre a gran voce (anche se è roca e meno modulata del normale): <Vattene, ho detto! Vattene!>
Mario non demorde e allora fa l'unica cosa che gli rimane possibile fare. Chiude bene la porta dietro di sé e si siede contro di essa, osservando la toscana che lo fissa stralunata da in piedi.
<Dentro e fuori.> dice il laziale, per poi prendere un respiro profondo e poi lentamente rilasciarlo.
Ripete quelle parole e quel modo di fare qualche volta prima che Francesca, nonostante le voci ancora dominanti nella sua testa, finisca per seguire il suo esempio.
Mentre espira e inspira riesce come a calciare qualche voce un po' più lontana e a soffocare quella che ripeteva "inutile" con la sua stessa lingua incorporea.
Con il diminuire delle voci, però, sboccia il dolore. Percepisce il caldo sangue che le cola per la testa e, nonostante abbia cercato di fare del suo meglio, pulsano lamentosi i segni di profonde unghiate la segnano qua e là vicino ai polsi.
Dopo un minuto passato a respirare seguendo le istruzioni dell'altro, e ad abituarsi al dolore auto inflitto, lo imita in tutto e per tutto e "scivola" seduta a terra di fronte al laziale.
Mario prosegue per ancora una decina di volte a ripetere le istruzioni e ad eseguirle a sua volta, prima di tentare e smettere.
Francesca continua però il suo esercizio, smettendo solo quando un singhiozzo che non riesce più a trattenere la interrompe e scoppia a piangere.
Si appallottola ma non prova né a farsi male, né disintegrare ciò che ha attorno, quindi Mario non dice alcunché né si muove, lasciandola sfogare.
È sollevato che, per lo meno, il peggio sia passato.
Quando il respiro della toscana torna normale e si asciuga le lacrime rimanenti, la vergogna le prende la gola. Si è fatta vedere al suo peggio e, tra tutti, proprio dal bucaiolo!
Nessuno doveva sapere quella parte di sé che solo ogni tanto ha lasciato intravedere e concesso agli altri la presunzione di conoscerla perfettamente.
Ma ora Mario sa perfettamente cosa è e cosa fa. È una pazza autodistruttiva.
<Ne vuoi parlare?> domanda il laziale a bassa voce dopo qualche altro minuto.
Francesca alza la testa di scatto, notando come non si sia mosso dalla sua posizione iniziale. È stato serio fin dall'inizio e ha aiutato a concludere questo suo "scatto" molto più in fretta e con molti meno danni.
<Come facevi a sapere che dire e fare così bene?> lo interroga.
Il laziale rimane in silenzio qualche istante, poi ammette: <Non so se è la stessa cosa, ma quando ero piccolo Pietro aveva dei momenti simili ai tuoi. Era furibondo con il mondo e poi si voleva autodistruggere nel dolore. Ho imparato a calmarlo a furia di provarci.>
<Cosa ti succedeva se sbagliavi?>
Sa che sta toccando un tasto dolente, perché capisce Pietro (per la prima e unica volta): vuoi distruggere tutto e tutti in preda alla rabbia. Il laziale sicuro non ne è uscito sempre integro.
<A furia di prendere botte o essere ammazzato.>
<Perché non l'hai lasciato a se stesso dopo la prima volta?>
<Non hai mai visto la sua faccia quando tornava in sé e si scusava. Era... uno shock. Mi dava la motivazione per riprovarci perché non volevo vederlo così.>
<Eri troppo cretino per il tuo bene.> sbuffa Francesca, alzandosi, tastando la ferita in testa. Il sangue almeno si è rappreso, non dovrebbe sgocciolare in giro e sicuro non sviene (o muore) per carenza di sangue.
<Beh, è servito ora, no?> domanda retorico Mario, alzandosi anche lui, ma ben più energicamente di lei.
Poi Francesca fa una cosa che stupisce entrambi. Fa due passi in avanti e stringe forte Mario, sussurrandogli «Grazie» vicino all'orecchio.
Il laziale, poveretto, scioccato, non sa che fare e appoggia tentativamente le mani sulla schiena altrui, abbastanza in alto.
Invece la toscana è una fornace sulle guance, ma non è che se ne penta. Si merita un abbraccio, in un certo senso, quel bucaiolo. È stato bravo, l'ha salvata da una crisi potenzialmente altamente distruttiva.
Francesca si stacca velocemente e minaccia: <Prova a dirlo a qualcuno-.>
<Bocca cucita.> promette seriamente Mario, girandosi e aprendo la porta.
Prima che fugga dal campo visivo della toscana, ella lo richiama: <Mario!>
Il laziale si gira confuso; non pensava avesse ancora bisogno di lei.
<Non sei un cretino, non su questo. Sei molto... altruista.> ammette a mezza voce Francesca.
Mario le sorride radioso e si allontana, crogiolandosi nel complimento (e pensando a quanto sia stato casuale ma importante conoscere questo lato della sua amata France'.)
N/A: e niente, nelle cose poco carine ci inseriamo piccoli momenti in cui questi due parlano un po' più onestamente perché anche la loro relazione si merita uno sviluppo una volta ogni mille anni.
Però, ora che ci penso, Mario sa ben 2 cose che non dovrebbe sapere, su Aleksander e Giorgio e su Francesca!
Chissà se il numero aumenterà.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e io vi auguro una buona settimana, ciao ciao!
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