14. Strette significative
Vincenzo é una persona che preferisce gli scherzi ai litigi veri e propri.
Ma é un Vargas e, per di più, uno sotto il diretto controllo di Lovino: é nel suo DNA legarsi al dito questioni scottanti o personali.
Ogni volta che é stato sottomesso al potere di uno straniero, si ritrovava ad odiare il suo nuovo capo estero con ben più astio dei suoi fratellini.
E Giovanna lo sa benissimo, l'ha cresciuto lei stessa!
... dopo essere stata la causa della sua morte.
Ma andiamo con ordine.
Calabria é la seconda regione più vecchia: più "anziano" di lui c'è solo Rita, nata attorno al 2000 a.C.
Invece lui é nato attorno al 1500 a.C., anche se c'erano insediamenti di umani nelle sue terre perfino nel Paleolitico.
Ma anche solo per formare delle rappresentazioni di regioni, molto più piccole delle nazioni, ci vuole che la gente faccia nascere nei loro cuori una sorta di patriottismo, di nazionalismo.
E questo richiede una certa comprensione di se stessi da parte del popolo, che deve essere un minimo evoluto.
Perciò Vincenzo nacque quando su quelle terre vi si insediò una popolazione che aveva nel suo cuore tale senso "patriottico".
La tribù degli Itali.
É grazie al suo originario popolo che, per estensione, la penisola é stata chiamata poi Italia.
Ha vissuto per secoli in tranquillità, praticamente senza nessuno a disturbarlo.
Se aveva dei vicini, delle versioni antiche dei suoi fratelli, non ne era venuto mai a conoscenza.
Solo molti anni più avanti, nella stessa casa coi fratelli, sotto il dominio aragonese, avrebbe scoperto che lui era l'unico ad aver abitato il Sud Italia così addietro negli anni.
Però a tutto c'é una fine, e l'eccezione non fu sicuramente il calabrese.
Andò a tracollo la cosa con l'arrivo dell'Antica Grecia e dei suoi coloni sulle coste italiane.
La Magna Grecia era ormai nata, anche come personificazione, e altri non era se non la "versione" più antica di Giovanna, il primo nome con cui fu chiamata e nacque.
Ma non c'era spazio per più persone, per più province o regioni.
C'era spazio solo per uno di loro.
E chi doveva perire era chiaro: chi non era nato con lo scopo di rappresentare i coloni greci in tali terre.
Tutto avvenne in modo abbastanza improvviso.
Niente guerre, niente urla, niente distruzione.
Nessuna goccia di sangue né lacrima era stata versata.
Una mattina, insieme a dei coloni, quando ormai avevano iniziato ad insediarsi sulle coste calabresi, arrivò anche Giovanna.
Era molto giovane, ovviamente, rispetto alla lei del XXI secolo. Dava l'idea di avere a malapena 12 anni.
Vincenzo la ricordava bene. Era scesa dalla nave con grazia, semplice ma elegante nella sua tunica bianca. Si era rimessa a posto i capelli castano scuro, legati in una treccia in cui vi era stato incastrato qualche candido fiore d'arancio.
Si era guardata un attimo intorno nel porto, aveva preso un respiro a pieni polmoni e così si era diretta verso Vincenzo, il quale si era ormai preso la briga di girare sempre per i porti dove i greci attraccavano.
La ragazza gli aveva porso la mano, piccola, fragile e abbronzata, come la ragazza del resto.
Vincenzo, che aveva le sembianze di un giovane uomo, aveva stretto nella sua mano, grande ed un po' callosa, quella piccola.
<Buongiorno.> salutò allegra la ragazza nella lingua delle nazioni.
<Buongiorno, tu saresti...?> domandò il ragazzo, stupito di sentirle parlare una lingua estranea ma, allo stesso tempo, conosciuta.
<Sono la Magna Grecia e queste terre sono ormai mie. Gli Itali non esistono più come li conoscevi un tempo.> rispose candida la ragazza, dando fine alla stretta di mano.
Vincenzo sentì il cuore saltare un battito.
<Come...?> chiese, confuso.
<Mi dispiace.> ammise sincera la piccola Giovanna.
E il giovane uomo, prima ancora di rendersene conto, iniziò a svanire.
Non ebbe tempo di fare molto, se non guardare ad occhi spalancati la piccola ragazzina, sua messaggera di morte.
Nel giro di un battito di ciglia, di Vincenzo non rimase che della polvere che si sparse nell'aria, volteggiante nel piccolo venticello che l'aveva sollevata da terra.
E così sembrava che il ragazzo non fosse mai esistito.
•~-~•
La giovane Magna Grecia era ormai ridotta di grandezza a causa dell'espansione dell'esuberante popolo insediato sulle sponde del Tevere.
E, dove vi erano prima i suoi territori, erano nate delle personificazioni di "province", come le aveva chiamate quell'uomo muscoloso dai capelli scuri scompigliati, pieni di riccioli ribelli.
Era sicuramente colpa sua se ormai anche lei aveva un ricciolo ribelle e che aveva velocemente imparato a NON toccare.
Un giorno stava passeggiando per le coste dove vari secoli prima era approdata e aveva rimpiazzato quel giovane uomo.
Ormai anche quelle terre erano state conquistate dal popolo guerriero e lei era ridotta, per i territori, alla singola isola.
Si aspettava di veder comparire qualcuno perché aveva sentito il dolore lancinante nel petto pochi giorni prima, sinonimo che aveva perso una parte dei suoi territori.
<Mi scusi...> una vocina sottile la richiamò, tirandola per il retro della veste.
Giovanna si girò e si ritrovò un bambino, i capelli e gli occhi scuri, con un ricciolo che spuntava prepotente fra gli scompigliati capelli, che la fissava curioso.
<Sì?> chiese la ragazza, sentendo il cuore saltare un battito. Il suo profumo... era così dannatamente simile a quello dell'uomo che prima governava quelle terre.
Lo ricordava benissimo.
<Sarei il capo di queste terre... e il signore Romulus mi ha detto di cercare una esattamente come lei che mi avrebbe aiutato, dato che é già abituata ad aiutare le nuove province.> spiegò candido il piccolo.
Giovanna sospirò, borbottando epiteti poco carini al romano, per poi sorridere il più dolcemente che poteva.
Ormai per Romulus era diventata la badante di quelle piccole rappresentazioni di terre, senza neanche averle chiesto se le andasse bene!
Ma, in fondo, lo doveva a quei ragazzini.
Aveva visto, andando sulle loro coste, che c'era una civiltà abbastanza evoluta da avere un rappresentante. Ma non era nato a causa sua.
E specialmente al rappresentante di quei territori doveva quella gentilezza, dato che ne aveva ucciso il predecessore.
<Capisco. Certo, vieni. Andremo a casa mia. Lì ci sono già degli altri... i tuoi fratelli.> spiegò Giovanna, tendendo la mano al piccolino.
Il bambino la prese e, camminando al suo lato, le chiese: <Il signor Romulus si deve fidare di te se lascia noi, suoi figli, nelle tue mani... Sei per caso la sua moglie? Sei la nostra mamma?>
Dalla labbra di un bambino potrebbero risultare strane tutte le sue parole, se ci si dimentica che tutte le personificazioni nascono con una mente proiettata più matura della loro età, anche se conservano un po' di candore finché sono fisicamente così piccoli.
<No, no, assolutamente no!> esclamò la ragazza, rabbrividendo un minimo all'idea di essere sposata con Romulus.
<Considerami più... come tua sorella maggiore!> aggiunse.
•~-~•
Era una mattina presto di un'estate come altre.
Lovino era a casa della corte degli Aragona, dalla personificazione della Spagna.
Le cinque regioni sotto il suo governo, le cinque del Sud Italia, abitavano tutte a casa di Sicilia per mera comodità.
Ormai Puglia, Basilicata, Campania e Calabria erano dei ragazzini e la siciliana era una giovane donna, una diciottenne, nell'età degli umani.
Giovanna, che quel giorno si era svegliata presto, era scesa nel giardino a fare una bella passeggiata. Si incuriosì quando vide Vincenzo seduto su una panchina nel giardino di casa, a fissare il mare che si vedeva attraverso le piante rigogliose.
Il calabrese, senza girarsi, solo riconoscendola dall'odore, disse: <Ho sognato qualcosa di strano, Giovanna. E ho bisogno di conferme.>
La voce era ferma.
Non felice come quando giocava coi fratelli o con lei o con Lovino le rare volte che ritornava da loro.
Non arrabbiata come quando litigava perché voleva fare qualcosa contro le regole.
Non acida come quando si lamentava del controllo straniero sotto cui erano sottoposti e la povertà in cui versavano rispetto gli Stati del centro e nord Italia.
E questo spaventò un minimo Giovanna.
Raramente il calabrese aveva usato tale tono.
Quindi si affrettò a raggiungerlo e a sedersi al suo fianco.
<Parla pure.> lo incitò lei.
<Io so di esser nato grazie a Romulus, però lì, in quel sogno... ero grande, tipo della tua età o poco più e vivevo in serenità col mio popolo. Si chiamavano gli Itali. Vivevo felice. Poi... é arrivata un nave. Fra la gente, sei scesa tu, più piccola, ma indubbiamente tu. L'odore era il medesimo...> iniziò Vincenzo.
Giovanna si irrigidì sul posto.
Che le sue teorie fossero fondate?
Che davvero Vincenzo fosse la reincarnazione del capo della tribù degli Itali che lei aveva fatto scomparire senza che lui potesse combattere per la sua vita?
Il ragazzo proseguì: <Beh, fatto sta che ti eri avvicinata a me, tutta dolce, vestita similissima a quando mi hai preso sotto le tue cure quando te l'aveva chiesto Romulus. Mi avevi stretto la mano, dicendo di essere Magna Grecia, che quelle erano ormai le tue terre e che io non servivo più. E poi ero diventato polvere.>
Il cuore della ragazza perse un battito.
Ricordava tutto.
Esattamente tutto.
Provò a calmarsi, decidendo di inventare una scusa per spiegare tale cosa.
Lui stesso aveva detto che l'aveva sognato! Poteva spacciarlo come qualcosa di strano, come uno scherzetto del Diavolo per metterli l'uno contro l'altra...
<E la cosa più strana di tutte é che più che un sogno mi sembrava un ricordo. Mi bruciava sotto la pelle come se fosse una memoria. E tutt'ora ne ho la convinzione. E nonostante sia sveglio... mi vengono in mente altre sottigliezze collegate al sogno, altre vicende di questo me grande, come se aggiungessi memorie secondarie alle più importanti.> ammise il ragazzo.
Giovanna percepì il cuore sprofondare quando Vincenzo la guardò dritto negli occhi, più serio che mai.
<Dimmi la verità, Giovanna... era un sogno o un ricordo? D'altronde, la nostra reincarnazione é possibile. Ha fatto il giro della penisola il caso della Lombardia.> domandò il ragazzo.
Si riferiva al fatto che Carlo si era dissolto quando erano arrivati i Longobardi, distruggendo la vecchia provincia, miscuglio di Galli e Romani.
Eppure era rinato come personificazione di quei luoghi, questa volta sotto il nome di Lombardia, conservando le memorie dell'altro e condividendone l'aspetto fisico (erano quasi due gocce d'acqua).
La notizia aveva fatto il giro della penisola, alimentando i dubbi della siciliana.
Il Vincenzo che lei conosceva, Calabria, era similissimo a colui che lei aveva ucciso senza dargli la possibilità di ribattere.
<Giovanna...> la richiamò il calabrese, le lacrime agli angoli degli occhi. Leggeva sul volto della sorella maggiore lo sconforto, la paura e il rimpianto.
Gli stava dando la conferma non verbale.
E quando la ragazza lo strinse in un abbraccio, il cuore rinchiuso in una morsa dolorosa d'acciaio, sussurrandogli all'orecchio delle scuse, capì che aveva ragione.
Vincenzo si allontanò dall'abbraccio, facendo brillare gli occhi di Giovanna con dolore. Ella vide negli occhi del fratellino l'odio e il tradimento e, in fondo, sapeva di meritarlo.
<Ti do una possibilità di spiegarti. Non sprecarla.> concesse il calabrese e la siciliana ne approfittò per raccontare tutto quello che il cuore le dettava.
Ad un certo punto, quando ormai stava solo ripetendo scuse, il ragazzo la fermò e l'abbracciò, sussurrando <Ti perdono, sorellona>.
Ma Giovanna sentì la freddezza in quella stretta.
•~-~•
Sono passati secoli.
Si sono svolte guerre, ribellioni, spargimenti di sangue.
Si é un'Italia unita, nelle sue debolezze e nei suoi mille problemi.
Si é nel XXI secolo.
Il tempo per cucire e far sbiadire quella cicatrice é passato.
Eppure Giovanna ancora non riesce a non sentirsi male, ne profondo del suo animo, ogni tanto.
Quando si concede di essere debole, nella sua stanza, al buio e lontano da tutti, pensa a tutti i suoi sbagli e a tutte le sue cattiverie e fra le prime vi é sempre quella.
Di aver ucciso Vincenzo, l'originario sé.
Una di queste volte il calabrese la sente.
É quasi mezzogiorno e la malinconia é salita in fretta nel cuore della siciliana, facendola scattare con una scusa in camera.
Ma il ragazzo ha notato lo sguardo di pietà che gli ha riservato.
Perciò si alza a sua volta e va in camera di Giovanna, la quale ha lasciato la porta socchiusa.
Nella fretta se ne é dimenticata.
Vincenzo entra in camera e allora la siciliana si volta, guardandolo con lo sguardo lucido e colpevole, pigolando delle scuse.
É strano vedere una regione così forte, tosta e scherzosa, ridotta a piagnucolare come una bambina.
E gli dispiace, in fondo, di esserne la causa.
Si avvicina a Giovanna e l'abbraccia, stringendola a sé.
<Dopo secoli, ti ho ormai perdonato. Non c'era nulla che avresti potuto fare, sorellona, lo so.>
Giovanna lo stringe forte, ripetendo come un mantra la parola <Grazie>.
Questa volta la stretta é calda e sincera.
N/A: lungo capitolo partito tutto da una cretina me che si era decisa a mettere giù BENE tutti i periodi di nascita delle regioni e da quali popolazioni erano nati.
E Calabria mi é venuto da metterlo giù così e ho pensato di dedicarci un intero capitolo perché suppongo sia interessante e diverso.
Io sono convinta che in Hetalia le nazioni possano reincarnarsi *coff coff* GermaniaeSacroRomanoImperosonolamedesimapersonaenonrompetemitantononcambioidea *coff coff* e, perciò, vale pure per le mie regioni.
I "Gesù Cristo" d'Italia sono Calabria, come largamente spiegato, e Lombardia, come accennato.
E dopo questa cosa kilometrica... alla prossima settimana!
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