133. Sbagliare è reato quando si pensa di valere nulla
N/A: questo capitolo è un po' una mia proiezione in Roberto, ovviamente calata nel suo contesto, riguardo il doversi sentire perfetti.
E un po' di autoconforto, per ricordarmi che non posso e non devo essere perfetta. Se c'è qualcunx fra voi lettori che ha bisogno di ricordarselo ogni tanto, spero vi possa piacere.
Se vi va, commentate e stellinate.
Io vi auguro una buona lettura, poco prima di ripartire, questa volta per la Sardegna (tornata ieri sera, riparto questa pomeriggio... non mi fermo più).
Torino, 1864
Roberto rientra nel Palazzo Reale della sua capitale, dove ora vive insieme a tutte le altre regioni italiane, e scuote la testa.
Sempre i soliti problemi in Parlamento e la sua voce è inascoltata, accantonata.
Ha provato e riprovato a farsi ascoltare, anche con la forza, ma niente!
Paiono immuni al suo potere di regione o, comunque, poco assuefatti. Sarà per il numero elevato di persone, delle quali molte originarie di città al di fuori delle sue, ma il fatto lo lascia con l'amaro in bocca.
Ha già deluso Rita, fin troppe volte; nonostante sono stati per oltre un secolo il "Regno di Sardegna", ai territori della sarda sono sempre state lasciate le briciole.
E la stessa cosa sta succedendo con i territori dell'ex Regno delle Due Sicilie, piegati a un sistema estraneo al loro precedente.
Non hanno creato l'Italia, non come desiderava Roberto: agognava una vera nazione unita e finalmente florida dappertutto.
Invece tutti sono solo annessioni del precedente Regno di Sardegna e gli fa male, tremendamente male. Voleva solo creare un bel posto per tutti. E, invece, gli unici che proliferano sono i territori della Pianura Padana e varie zone toscane.
Lui sta bene, e ne è contento, anzi, i suoi cittadini ricchi a volte lo fanno sentire avido e megalomane: vuole di più, non gli basta essere in cima, vuole essere l'unico.
Però il suo cuore è ben diverso da quello di tali uomini senza scrupoli e subito si disincanta da tali pensieri, disgustato da sé. Come ha osato pensare tali sogni egoisti? Come può aiutare gli altri, se cade così facilmente nelle ragnatele che il suo stesso popolo gli crea, forse pure senza volere?
Viene interrotto dal suo cupo treno di pensieri dal finto tossire di qualcuno. Alza la testa dal taccuino su cui annota sempre i suoi progetti (ovviamente, sempre o quasi irrealizzati) e nota alcune regioni del Sud che lo aspettano all'inizio delle scale, con le braccia incrociate e lo sguardo torvo.
Roberto chiude il taccuino e si avvicina mandando giù un groppo in gola: non vuole essere cattivo o altro, ma spesso alcuni di loro hanno un cipiglio spaventoso, soprattutto nei suoi confronti.
E lui si spaventa, giustamente! Sono regioni millenarie come lui, sanno tutti i modi possibili e di più per ferire qualcuno, se c'è il desiderio di vendetta!
<A cosa serve andare lì e sperperare soldi se poi non cambia niente?> chiede inquisitrice Giovanna.
<Io sono tenuto ad andare, anche per sorvegliare l'operato degli umani, e mi dispiace di non potervi aiutare, ma-> ma Roberto viene interrotto.
Infatti Vincenzo si intromise acidamente: <Ma tanto non t'importa, no? Tu stai bene: hai la tua economia forte, le tue genti istruite e contente, le tue industrie che lavorano a tutto spiano e il tuo sistema burocratico intoccato. Finché il problema non riguarderà te, non farai niente di serio. Sei uguale a loro, è inutile fingere di essere dalla nostra parte, se poi non fai niente per cambiare la situazione.>
Roberto prova a ribattere: <Vi assicuro che tristemente non è la prima volta che non mi danno retta, credo che pure voi lo sappiate benissimo. Dubito che il vostro interesse fosse quello di lasciare i vostri territori nell'arretratezza->
<Ma tu hai il potere e sei sempre coinvolto nelle faccende politiche!> lo attacca verbalmente Giovanna <Spiegami come non hai influenza quando hai tutte queste possibilità! La risposta è semplice: non vuoi cambiare la situazione. Ti piace vederci nella merda, eh? Ti fa sorridere sapere che chiunque prova ad andare contro questo sistema malato venga ucciso o incarcerato senza se e senza ma, eh?>
Roberto scuote la testa, il volto contorto in un'espressione di puro dispiacere.
<No, non mi piace affatto! Odio sapere che voi state soffrendo, vorrei che l'Italia fosse una cosa positiva per tutti noi-> tenta, cercando di nascondere il tremolio delle mani.
È un incapace, un viscido e tremendo inetto. Come la fa, la sbaglia miseramente e non riesce mai a imporsi. Forse hanno ragione loro.
Non ci sta provando abbastanza, non ci ha mai provato abbastanza.
Non ha mai effettuato miglioramenti nei territori di Rita, non ha impedito a Rosa di dover rinunciare al suo adorato nome Andrea e conformarsi a un'identità che le sta stretta, non ha mai dato a Marie un'infanzia lontana dalle malelingue di corte, emblema della società corrotta.
Non è mai riuscito a rendere chi ha attorno felice. Ha solo fatto sbagli su sbagli, arrampicandosi con scuse e facce dispiaciute. È solo riuscito a costruire promesse vuote. Ha gettato gli altri in quel buco di dolore e impotenza che voleva rimanesse solo suo, perché lo meritava.
Ha sempre meritato il suo destino, perché quello che fa non è mai abbastanza e mai lo sarà.
È lui il problema, no? Ci fosse qualcuno di più carismatico o incisivo o furbo di lui nel sul ruolo, avrebbero migliorato le condizioni di tutto e tutti.
Vorrebbe la sagacia e la sapienza di Sofia, la testardaggine di Francesca che le permette sempre di essere almeno ascoltata o lo charme di Carlo che gli dà l'enorme potere di essere l'ago della bilancia in una riunione.
Ma lui non è nulla di questo.
È il timido, remissivo e sempliciotto Roberto Amedeo Vargas.
Colui che si è fatto usare da Francia per secoli, come una bambola di porcellana con cui giocare ogni tanto.
Colui che lascia l'ultima parola ai Savoia in nome di un vecchio amore e lealtà alla casata, dando loro il permesso di usare dei suoi poteri e del suo corpo come vogliono.
Colui che non è mai stato il cambiamento senza avere come facciata un politico, come con Camillo Benso Conte di Cavour.
Colui che potrebbe tranquillamente svanire e finalmente concedere agli altri la possibilità di migliorare la loro situazione, non più ostacolati dalla sua nullità.
<Che c'è? Finito di dire stronzate?> lo pungola Giovanna.
Roberto la fissa, bocca secca e annodata, un dolore nel petto che lo schiaccia e odio per sé che gli affolla la mente.
Sta per spezzarsi per l'ennesima volta, come un bambino viziato, per cose che ha creato lui stesso, anzi, che non ha creato perché troppo incapace.
<Al massimo, finite voi di dire stronzate!> esclama una voce palesemente irritata.
I tre alzano la testa e il piemontese spalanca gli occhi al vedere Rosa e Rita.
La più bassa scivola giù per il pregiato e liscio corrimano, saltando via all'ultimo, e si frappone fra Roberto e i due meridionali.
<Non sono affaracci tuoi. E ovvio che sei dalla sua parte, tu non sei nella nostra situazione di merda.> ribatte Vincenzo.
<Conosco i Savoia e questo qua da più tempo di voi e vi assicuro che ha voce in capitolo quanto ne avete voi.> lo difende Rosa.
Il piemontese la guarda con enorme stupore, mentre qualcosa dentro di lui gli scalda il petto a quella vista.
<Se davvero fosse così, perché è sempre insieme a quegli umani che fanno le leggi che ci danneggiano e basta?> contrattacca il calabrese.
<Perché, punto primo, i Savoia a quanto pare si divertono a tenerlo come loro lacché e gli delegano le scartoffie. Punto secondo, è troppo idealista per lasciare perdere una questione a cui tiene, per quanto irrealizzabile.> risponde Rosa.
<Allora perché non hanno effetto le sue idee? O sono solo idee che ci affossano, mh?> indaga Giovanna.
<Viene ostracizzato.> si intromette Rita, finalmente alla base delle scale, parandosi anche lei di fronte il piemontese.
Roberto non vuole che loro due siano coinvolte, né vuole essere difeso (non si merita tale aiuto), ma non riesce a spiccicare parola.
<Rita, tu dovresti capirci. Quando mai ti ha aiutato, questa scusa di regione?> la interpella Giovanna.
<Ci ha provato tantissime volte ed è sempre stato ignorato o le sue idee sono subito state accantonate, dimenticate. Non so neppure io quante volte ha provato a mandare fondi nei miei territori per modernizzarmi, ha creato strategie per permettere un vero sviluppo... E non so quante volte l'hanno respinto.> risponde la sarda.
<Ho capito, siete dalla sua parte.> decreta Vincenzo, guardando storto Rita <Te, che decidi di stare con il nemico... deplorevole.>
Allora Rosa, chiaramente seccata, si gira verso Roberto e gli strappa il taccuino di mano, con come sola risposta da lui un flebile <Ehi.>
La ligure gira le pagine fino ad arrivare alle ultime. Mostra i fogli ai due meridionali e li punzecchia: <Leggete e ditemi se è uno stronzo. Vi sfido.>
Giovanna e Vincenzo si sporgono per leggere. Vorrebbero dire che sono cazzate, ma onestamente non possono.
Sono idee sensate, anzi, molto furbe e con risvolti positivi, ma vicino a ognuna è scarabocchiato, in piccolo, un 'non accettata'.
Rosa sfoglia per loro le pagine e anche le precedenti sono uguali identiche all'ultima. La ligure chiude il taccuino e lo ridà al piemontese, guardando torva i meridionali.
<Roberto ci tiene, sono gli umani a non farlo.> nota Rita.
I due meridionali, come punti sul vivo, li guardano in modo indecifrabile e se ne vanno su per le scale, lontano da loro tre.
Le due si girano verso il riccioluto che le fissa sempre con stupore e, in aggiunta, gli occhi lucidi.
<Ragazze...> balbetta, le gambe deboli e la voce tenue.
<Ti stavano trattando di merda, quando non lo meriti. Sai essere stupido, ma hai un buon cuore.> dichiara Rosa.
Roberto si ritrova a scuotere la testa alle sue parole e ribatte: <Ma avevano ragione. Non ho fatto niente per aiutarli. Li ho trascinati ancora di più nello schifo.>
<No, é diverso. Loro non ti hanno lasciato fare niente. Tu ci stai provando.> nota Rita. Si prova ad avvicinare ed accarezzarlo sulla spalla.
Lui si sposta come scottato e le supera, andando verso le scale, salendo un gradino, il suo corpo stranamente distrutto come il suo animo. Replica con una rabbia tinta di disperazione: <Ma provare non basta se gli altri soffrono! Posso solo farcela! Tutto il resto è fallire, sbagliare!>
<Tutti soffriamo, è utopico essere tutti felici e contenti! Si può solo provare a ridurre i danni e fare ciò che è alla nostra portata!> sbuffa Rosa, provando a fermarlo.
Ma non c'è bisogno, perché le gambe gli cedono. Si aggrappa al corrimano con un gridolino, le altre due che si avvicinano, preoccupate.
Lui si lascia scivolare a terra, sedendosi sui gradini, lo sguardo basso.
<Ma non riesco neppure a fare quello per cui sono nato, per cui esistiamo: comandare i nostri territori!> si esaspera Roberto.
<Nessuno di noi ci riesce, perché gli umani non ci rispettano! Non l'hanno mai fatto! Sembra tutto creato da un essere sadico: noi siamo i migliori per governare, siamo meglio dei comuni umani, sappiamo tutto quello che succede nei nostri territori... e non ce lo lasciano fare. Sei come tutti gli altri, idiota, impotente allo stesso modo.> gli va contro Rosa.
Rita si siede sui gradini, accanto all'ex sposo, e lo guarda con tristezza. Asserisce: <Savo, Rosa ha ragione. Nessuno di noi riesce a farsi ascoltare in modo assoluto dai suoi umani, già tanto se ti considerano! Perché tu non puoi avere il lusso di sbagliare?>
<Perché cosa sono, se non so essere un buon governante?> domanda lui.
Rosa lo fissa truce, anche se la sua rabbia non è direttamente rivolta al fratello. Si china su due gradini più in basso degli altri due e si siede a gambe incrociate lì, dando le spalle alla fine della scalinata.
<Togliti dalla testa questa cazzata.> impone la ligure.
Il piemontese la guarda come se stesse parlando arabo.
<Tu vali.> assicura la bassa regione, gli occhi fissi su quelli dell'altro, che ogni tanto rifuggono i suoi <Tanto. Ben di più di quello che tutti i bastardi che hai incontrato ti hanno fatto credere. Infinitamente di più di quello che tu pensi.>
<Sbagliare è umano, non puoi applicare quella regola agli altri e non a te.> si aggiunge Rita.
<E invece sì!> si incaponisce Roberto, sfregando gli occhi lucidi e le guance bagnate, la voce già spezzata <Perché non mi interessa se gli altri fanno sbagli, perché ne hanno il diritto! Io no! Io non valgo niente se sbaglio! Non valgo niente da un bel pezzo e continuo a provare a dimostrarmi il contrario ma è così! Quindi, almeno, cerco di ricordarmi che non è giusto che io sbagli->
<La vuoi finire con queste stronzate per una buona volta o no?!> urla Rosa, la voce che rimbomba per le scalinate e la stanza in cui si trovano.
Gli ficca un dito nel petto e continua, con lo stesso tono e la stessa forza: <Tu.vali. E tu hai il diritto di sbagliare. Ben più degli altri, perché nessuno ti ha mai detto fosse giusto, perché sei umano! Siamo umani, in parte, per quanto non vogliamo pensarci. Come loro sbagliamo. Quindi non osare più dire cazzate del genere o giuro che ti prendo a calci in culo finché non diventi furbo!>
Roberto la fissa e piange silenziosamente, tirando su col naso. Rita gli circonda le spalle con un braccio e gli fa poggiare la testa sul suo petto, accarezzandogli con cura i capelli.
<Ti meriti il meglio, Savo. Soffri tanto e ricevi dolore. Ti -crei- dolore. Non devi, noi crediamo nelle tue capacità e nel tuo buon cuore, l'abbiamo visto, e sappiamo che, anche se sbagli, comunque hai dato del tuo meglio.> sussurra la sarda.
Roberto abbatte qualsiasi sua difesa e inizia a singhiozzare con forza, abbracciando l'antica regione.
Rita ricambia l'abbraccio e, con uno sguardo, sprona Rosa.
Questa non ha cuore di fare la preziosa e, solamente lanciando un'occhiata storta alla sarda, si siede vicino ai due e abbraccia quell'idiota dal cuore d'oro.
Roberto si rannicchia su se stesso, lasciandosi avvolgere da quell'affetto di cui tanto aveva bisogno. Negli ultimi mesi si era intestardito abbastanza da rinunciare spesso e volentieri al cibo, piuttosto trasportandolo in giro per la città e donandolo ad un qualsiasi poveretto senza tetto.
Era l'unica cosa che sapeva di poter fare, quando tanta parte d'Italia soffriva e lui non poteva fare niente.
Gli sembrava di avere la situazione in controllo, in qualche modo. E di comportarsi giustamente.
Toglie a sé per dare agli altri, è l'unica cosa che sa fare. Ciò l'ha condotto ad essere sempre stanco e debole e ancora più prono a piangere senza freni per qualsiasi situazione stressante o brutta.
È anche per quello che è caduto sulle scale, oltre il dolore quasi immobilizzante e sicuramente soffocante che prova tutt'ora.
Ma, circondato dagli abbracci coordinati di Rita e Rosa, può finalmente smettere di correre e correre verso qualcosa che non può raggiungere e riposarsi.
Può trattarsi, anche solo momentaneamente, per quello che è, secondo le sue sorelle.
Un essere fin troppo umano per essere perfetto.
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