130. L'amore non è uguale per tutti
N/A: finalmente, dopo mesi, avrete il seguito tra Giorgio e Aleksander del capitolo "120. solo un mostro."!!!
Se non vi ricordate che succede (ma dubito fortemente) andate un attimo a rileggerlo e poi tornate qua :3
Questo capitolo è venuto lungo una cosa come 4000 parole. Amatemi, dato che è qua tutto integrale e non diviso in due parti.
Od odiatemi perché vi ho lasciati a rosolare nell'angst, fate voi, a me va bene tutto <3.
Detto questo, buona lettura!
Aleksander si risveglia alle sei di mattina, le coperte strette in una mano e un forte calore addosso.
Alza leggermente la testa solo per sbatterla contro il cuscino.
Il suo cervello è stronzo.
La notte del giorno in cui come un perfetto idiota aveva baciato Giorgio, aveva dormito serenamente. E la mattina dopo, svegliandosi, aveva pensato di aver sognato tutto.
Ma poi il veneto l'aveva palesemente ignorato, creando sguardi confusi e interrogativi nei fratelli.
Non era stato un sogno.
Le notti dopo, invece, la sua mente aveva deciso fosse divertente pensarci ancora e ancora, finendo ogni volta per svegliarsi uguale.
Il ricordo di quelle labbra morbide contro le proprie, il sapore di lui sulla punta della lingua, il dolore sordo del rifiuto nel petto... e un'erezione in piena regola da gestire.
Quella mattina è esattamente così.
Sospira, fissando il soffitto senza interesse.
Come è arrivato a tutto questo?
Gli sembra di essere tornato indietro di secoli, quando ero stato travolto dal suo amore per Mila e aveva dovuto ricorrere a tutto il suo coraggio per dichiararsi.
Ma Mila e Giorgio sono così diversi.
Ormai il caro dalmato è solo un taglio doloroso se premuto, mentre ora come ora il veneto è uno sguarcio in piena regola sul ventre, lasciandolo morente con le budella penzolanti fuori.
E sono differenti anche di carattere.
Hanno entrambi certamente una forza e fierezza che semplicemente ti spinge a star vicino, come se loro creassero la gravità e non la Terra.
Però, dove Mila è stata come una roccaforte, bellissima e difficile da raggiungere, e una volta espugnata rivela ancora più bellezza, Giorgio è una marea.
Travolgente, impetuoso e imprevedibile, che ti avvolge in quel pericoloso e stupendo sublime romantico.
Ma nasconde dietro le sue onde minacciose e mortali una fragilità che Mila non aveva.
Non che non piangesse o non si disperasse, ma c'era sempre qualcosa di composto in lui che non si ignorava. Giorgio è solo emozioni allo stato puro, crude e contorte.
È per quello che l'ha baciato come se lo volesse e poi l'ha cacciato e ora lo ignora da oltre una settimana.
Non sono deficienti in casa, tutti l'hanno notato ma non hanno cavato niente.
Giorgio non si lascia avvicinare da nessuno e già prima era difficile se non era lui... E Aleksander non se la sente di mostrare quello che prova. Non sa come gli altri lo prenderebbero.
Ha apprezzato i tentativi dei suoi fratelli di parlare, ma erano invano. Soprattutto aveva gradito quelli di Bruno, che sembrava osservarlo e parlargli con una certa comprensione, più che compassione.
Ma non bastava.
Niente basta. C'è un buco nel suo animo e ha la forma di quella regione che tanto lo evita.
Si rotola nel letto e le sue parti vitali gli ricordano che ha problemi più concreti a cui pensare.
<Perché non puoi stare tranquillo?> borbotta Aleksander, rigirandosi a pancia in su. Sta iniziando a parlare con il suo cazzo, perfetto.
Si leva la maglietta e se la ficca in bocca per fare da isolante acustico. Abbassa, una volta che le mani sono libere, i pantaloni e i boxer e si masturba, tentando disperatamente di non andare a parare lì.
Ma Aleksander è debole, sotto quel lato, se c'è una cosa di cui è vittima, è l'attrazione.
E non riesce a non pensare a quegli occhi miele, ai capelli ramati scompigliati, alle sue labbra piegate in un ghigno o alla sua voce mentre ride. E da lì i pensieri degenerano. Quelle labbra, come quelle iridi simil ambra lo abbiano fissato intensamente prima del bacio, a quando lo ha visto in costume, le sue forme un po' morbide in bella vista.
Vorrebbe solo baciare quel volto da angioletto e quelle labbra da folletto maligno. Mordere e idolatrare quel corpo poco allenato, con la sua leggera pancetta e il petto morbido e le gambe tornite.
Vuole Giorgio e nessun altro.
Morde il tessuto economico quando viene e i sensi di colpa e la tristezza lo attanagliano mentre il piacere va scemando.
Perché amare deve sempre far così male?
•~-~•
Giorgio sa bene che ci manca poco che gli altri lo buttino in un manicomio o come si chiama la sua versione moderna.
Meno tempo sta fuori da camera sua, meglio é. È il suo guscio protettivo, anche se è pure il luogo del delitto, dove ha ceduto a quel suo lato di sé che disperatamente voleva stringere Aleksander.
Pensava che vederlo il meno possibile e interagire praticamente mai fosse il modo migliore per tornare alla normalità e invece...
Quel qualcosa (quell'infido sentimento) che lo attanaglia alla base dello stomaco è lì, forte e insistente.
Ripensa alla conversazione avuta con Feliciano pochi minuti dopo aver avuto quell'esperienza con il friulano.
L'aveva chiamato e, confuso, aveva risposto. Era successo qualcosa di brutto? Finalmente aveva il lascia passare per ammazzare il crucco?
(Sarebbe stata una buona scusa per non pensare al suo dolore.)
Ancora lacrimante, aveva provato a calmarsi ed era riuscito a sussurrare un fermo: <Pronto?>
<Gigi? Cosa succede? Ho sentito così tanto male per te!> aveva domandato Feliciano, la voce stranamente affannata.
Storse il naso mentre un'ipotesi gli spuntava in testa.
<Sei con il tuo fidanzato?> domandò, anche per evitare il confronto.
<Sì e scusa per le condizioni, ma non ce la facevo a non pensare al tuo dolore!> ribatté il padre.
<Potevi tranquillamente continuare, non è qualcosa di grosso.> mentì spudoratamente il veneto.
<Scusa la franchezza con cui parlerò, Gigi, ma serve a rendere la scena. Ero nudo e Luddy era sopra di me, sexy come sempre ed eccitato almeno quanto me->
<Perché devo sentire di 'ste cose?!> si indignò Giorgio, interrompendolo.
Veneziano riprese: <Come ho detto, devi capire. Avevamo voglia di qualcosa un po' hard stasera e quindi era una totale furia e tutto era così bello finché> e calcò la parola <non ho sentito questo altro calore, non mio, e poi un dolore immenso al petto. Mi sono spaventato e ho fermato tutto e quando, dopo qualche minuto, non è andato via, ti ho chiamato. Potevi essere solo tu.>
<Ed è ancora qua, per tua informazione.> concluse Feliciano.
<Perché hai chiamato?> domandò il veneto.
<Perché non voglio sapere che sei sofferente! Puoi parlarmene.> lo incoraggiò la nazione.
<Quanto sei cretino per pensare che te ne parlerò?> domandò acidamente Giorgio.
<Gigi, se non ne parlerai, starai solo più male. E io starò male. Vuoi questo?> Feliciano si sentì un po' in colpa per dover ricorrere alla carta del sofferente, ma era l'unico modo.
La regione sospirò e, con voce sommessa, raccontò ciò successo, evitando di dire della cicatrice. Riassunse che nel film qualcosa l'aveva fatto schizzare in piedi e fuggire. Ma fu sincero sulla parte del "misfatto".
<Gigi, Gigi, Gigi!> ripeté il settentrionale, come stanco <È stato davvero un male che tu abbia dovuto crescermi.>
<Qualcuno doveva farlo.> rispose Giorgio <E non ho perso alcunché.>
<Hai mai amato qualcuno?> chiese Feliciano, diretto, cambiando argomento.
Il veneto si esibì in un concerto di versi strozzati e shock.
<Pensaci. Hai mai voluto così bene a qualcuno da volerlo al tuo fianco anche quando non era con te? Da pensarlo nei momenti più disparati e con le connessioni mentali più assurde? Da ipotizzare come si sarebbe comportato, se fosse stato lì con te, in una situazione particolare in cui eri solo? Ti sei mai sentito travolgere da una sensazione così forte e bella che non sapevi più respirare, quando eri insieme a quella persona?> lo interrogò, con calma, Veneziano.
Giorgio rifletté.
Aveva avuto una vita turbolenta e piena di sacrifici e scleri, non aveva mai avuto tempo di guardarsi intorno. Né la presupposta volontà o propensione alla socialità.
Però dei pensieri gli vennero in mente; svariati mozzi che aveva ingaggiato come coloro che dovevano occuparsi della sua cabina. Li sceglieva spesso e volentieri perché, dopo qualche viaggio insieme, li trovava interessanti, a dirla tutta.
Li aveva pensati anche quando non erano al suo fianco e spesso ipotizzava come si sarebbero comportati davanti un certo problema, se non fossero già morti.
La vita degli umani è così breve e fragile e lo era ancora di più in tempi meno recenti. Affezionarsi era un rischio e il tempo era sempre troppo poco, per lui, per attaccarsi troppo.
Era amore? Non era una cosa travolgente, come Feliciano decantava.
Che fossero "cottarelle"? O come si chiamavano? Un principio di amore mal riuscito?
Aleksander allora gli apparve in mente e lo colpì come un treno in pieno stomaco.
Il friulano lo prendeva in modo totalmente differente. Rispecchiava i punti di Feliciano.
<Amo Aleksander.> sussurrò e non seppe se era un'affermazione o una domanda. Perché ammetterlo senza dubbi era il modo per farlo diventare vero, concreto, più pericoloso di quanto già non fosse.
<Credo di sì, Gigi.> ammise Feliciano <E a me va bene. Siete stati amici, più che fratelli, tutti questi secoli.>
<E cosa dovrei fare?!> saltò su Giorgio, lo stomaco malamente attorcigliato e la bocca dello stomaco chiusa.
<L'ho respinto, mi odierà. E se non mi amasse, ma fosse solo stato un momento?! Ha ammesso varie volte che bacia gente che non ama ma perché può, ne è attratto fisicamente e loro sono d'accordo->
<Gigi.> impose il settentrionale e la regione fermò il suo sproloquio.
<Devi fare quello che ti senti di fare, mi fido del tuo giudizio. Cerca solo di non farti più male di quanto sia necessario.>
E con ciò aveva chiuso la chiamata, lasciandolo solo, con la sua realizzazione e il cuore pesante.
Una settimana era passata e lui non aveva niente. E non aveva intenzione di cambiare.
Si alza, infastidito, tanto non sa che non si riaddormenterà. Esce dalla camera con molta attenzione e scende le scale. Vuole vino. In questi giorni ne ha bevuto in quantità eccessive anche per lui, però è il suo unico modo per non impazzire.
L'effetto collaterale tollerabile è che finisce a piangere tra le coperte come un bambino, volendo abbracciare Aleksander e sapendo che è impossibile.
Si prende un mezzo infarto quando, svoltando per andare in cucina, una voce lo riprende: <Giorgio.>
Salta sul posto e si gira, trovandosi a fissare Carlo seduto composto su un divano.
Il veneto é tentato di ignorarlo, ma il lombardo deve avere un sesto senso o cosa perché lo blocca: <Ho scombussolato i miei piani per parlarti con calma e in privato. Sono già nervoso, prova a ignorarmi e potrei semplicemente usare questo tempo extra da sveglio per strozzarti.>
Giorgio sbuffa e si avvicina, chiedendo: <Che c'è?>
<Cos'è successo con Aleksander?> va dritta al punto l'altra regione.
Il veneto, punto su vivo, incrocia le braccia, pianta bene i piedi a terra e ribatte: <Non sono affari tuoi!>
<Lo sono da quando sembrate sempre sul bilico di scoppiare mentre state mettendo tutti a disagio. Parlatene, per diana, e fatela finita con questo teatrino.> impone l'uomo dagli occhi grigi.
<Non è un teatrino! E non sono cazzi miei se siete a disagio! È -nulla- in confronto a quello che provo! Non puoi capire!> sbotta Giorgio, piegandosi in avanti verso quel palo in culo che non ha diritto di ficcanasare nella sua vita.
<A sentire quello di cui gli altri discutono riguardo voi due, suppongo tu abbia ragione. Non posso capire.> ammette Carlo.
Al veneto un battito del cuore schizza in gola e dopo quello un altro e un altro ancora, mentre le parole dell'altro si sedimentano.
Lo sanno, non sono cretini e sicuro sono più esperti di lui. Ma è così ovvio sulla sua faccia?
Davanti il suo silenzio, il volto del lombardo pare abbandonare un po' della sua rigidità e, a voce bassa, continua: <Ma questo non significa che tu debba star male. Se non parli, non saprai mai la verità. E spesso non basta una chiacchierata per capire, servono gesti sinceri.>
<Perché ti interessa tanto cosa io faccia con i fattacci miei?> continua Giorgio, preferendo abbaiare che risolvere problemi.
Carlo lo guarda come se fosse scemo.
<Siamo fratelli.> asserisce con una nota di candore assolutamente non da lui <Non vedo perché non dovrei almeno dirti la mia, nella speranza ti aiuti. Ma non posso costringerti, quindi sta tutto nelle tue mani.>
<Io non ascolto nessuno.> ribatte Giorgio.
<Neanche i tuoi sentimenti.> contrattacca Carlo, le parole semplici ma che lo colpiscono nel profondo.
Il lombardo si alza dal divano e va in cucina, senza più nulla dire o guardarlo. Qualche attimo dopo scendono anche gli altri del nord, meno Aleksander.
Il veneto si morde l'interno guancia mentre pensa che questa settimana non si è sentito più vuoto solo per via della realizzazione dei suoi sentimenti almeno decennali o dell'odio per sé... gli manca.
Si sente quasi come quando aveva perso l'occhio e con esso la metà della sua vista. Ma questa volta è un sentimento attanagliato più nel profondo, in modo meno cruento ma contorto.
Raggiunge gli altri in cucina, decretando che è inutile fuggire ancora una volta. L'aveva fatto per anni davanti lo specchio, per paura di vedere quell'occhio malato, anche se ben nascosto.
Aveva evitato di guardare Feliciano in faccia per non ricordare cosa aveva perso, notare come sarebbe apparso se non fosse stato mutilato.
Ha affrontato lo specchio e i demoni che racchiudeva. Può anche confrontarsi con Aleksander e i sentimenti che porta dietro.
•~-~•
Aleksander sta ponderando se scappare a Trieste per qualche settimana sia un'ottima idea per calmare le acque, che bussano alla sua porta.
Dopo le intrusioni dei giorni precedenti per convincerlo a raccontare ciò successo, tiene chiuso a chiave.
Si mette seduto e chiede: <Chi è?>
<Sono io... Giorgio.> si annuncia niente di meno che colui che affolla la sua testa da una settimana.
Gli casca la mascella e strabuzza gli occhi dallo stupore, fissando il pezzo di legno in shock.
<Ok, non vuoi, allora me ne v->
<No aspetta!> strilla il friulano, risvegliandosi dallo shock. Salta giù dal letto e corre alla porta, aprendola.
Giorgio è davanti a lui, in maglietta, pantaloncini e ciabatte. Le labbra sono premute in una linea dritta, gli occhi fissi avanti a sè e le spalle tese.
È in ansia almeno quanto lui. Peccato che lui non si è preparato psicologicamente al confronto.
Fa un passo indietro e lo lascia entrare, chiudendo di nuovo a chiave la porta. Col cazzo che qualcuno entra a caso! Sarebbe disposto a uccidere, se succedesse.
<Siediti pure.> dice Aleksander ma quasi gli sembra di non star parlando. È tutto così surreale.
Giorgio annuisce con scatti rigidi e si siede sul bordo del letto. Il friulano lo imita, lasciando un po' di distanza fra loro due. Non voleva spaventarlo.
Il veneto trae un sospiro profondo e si gira col volto per osservarlo. Si morde dentro la guancia un altro poco, poi prende fra le mani quel poco coraggio che ha e parla: <Non avresti dovuto vedermi ridotto così, quella sera.>
Aleksander non si aspetta quelle parole, ma non per questo ritiene sia saggio fare scena muta: <Forse, ma avevi bisogno di sfogarti con qualcun altro. Hai bisogno di qualcuno che ti faccia capire che non sei un mostro, perché non è così.>
<Come fai a dirlo con tale sicurezza? Mi conosci da tanto, sai come sono fatto!> ribatte Giorgio.
<Appunto per quello, so che sei tutto l'opposto di un mostro.> afferma il più basso.
<Non ha senso. Te sei pazzo.> dichiara l'altro, fissandolo come in shock.
<Forse sì, forse no.> fa spallucce Aleksander. E poi pensa sia il momento perfetto per sganciare la bomba e quindi dice: <Ma sono sicuro di essere pazzo di te da circa un secolo.>
<Quando, di preciso? Lo hai capito subito?> domanda il più alto, fissandolo in shock. Lo sa da oltre un secolo e non ha mai fatto una mossa?
Quanto è stato cieco per non vederlo?
<Credo tutto sia nato tra i trattati di Versailler del 1919 e la seconda guerra mondiale. Avevo capito che non avrei rivisto Mila per svariato tempo e mi sono costretto a non pensare a lei. In qualche modo, l'affetto verso di te è diventato amore. Credo di averlo capito mentre eravamo nella resistenza partigiana. Avevo il terrore di perderti. Era troppo forte e profondo per essere paura per un amico.> racconta il friulano.
Giorgio sposta lo sguardo al terreno, sospirando: <E non hai mai detto niente.>
<Non sapevo come potevi prenderla. Non sapevo neanche se ti piacessero gli uomini. Non lo so ancora! E sei sempre così contro qualsiasi cosa da coppia e->
<Anch'io non mi capisco, ok?!> sbotta il veneto, interrompendolo, e scattando in piedi <Non voglio scopare con te, né farmi toccare o toccarti in quei posti! Ma ti voglio vicino! Voglio abbracciarti e baciarti sulle guance e sulle labbra e voglio proteggerti e sapere che tu proteggerai me e->
Un singhiozzo lo interrompe e la vista si appanna, le lacrime che premono per uscire.
È stanco di provarsi a capire e sentirsi sbagliato, perché non è per niente come l'Internet, il mondo, dice.
Prosegue, la voce strozzata nel pianto che soffoca: <Non so se è amore! Non lo so, ok?! Per il mondo no, perché se non voglio certe cose è solo affetto, ma io così non mi sento con nessuno, neppure con Feli! Questo vorrà pur dire qualcosa, vé? O... sono solo così disperato per un po' di affetto che non sia di Feli?>
Aleksander lo fissa, il cuore stritolato nell'improvvisamente stretta cassa toracica, la gola chiusa.
Quanto può far male un dolore altrui?
Si costringe ad alzarsi, avanzando di un passo verso l'altra regione, che lo osserva guardingo, il respiro rapido che tenta di ricacciare indietro le lacrime.
<L'amore... non è uguale per tutti. Non dà gli stessi effetti. Non credo tu sia solo disperato per affetto.> risponde con calma.
<Tu non ci sei nella mia testa e neanche io mi capisco! Come puoi riuscirci tu?> ribatte Giorgio.
Non vuole essere ingannato, non gli serve avere la propria piccola parte buona distrutta da se stesso.
Non vuole buttarsi in qualcosa di falso da cui entrambi uscirebbero distrutti.
Sarebbe solo un mostro per l'ennesima volta. Non vuole esserlo, non con Aleksander. L'unico che ha visto così tanto di sé e non è scappato.
Non si può morire per il dolore emotivo senza azioni fisiche, lo sa, ma crede che sarebbe capace di crepare se ferisse così nel profondo dei sentimenti Aleksander.
Il friulano si avvicina un altro po', piegando la testa all'indietro per guardarlo meglio negli occhi.
<Il... nostro bacio, cosa è stato per te?> chiede.
<C-co-... In che senso?> domanda Giorgio.
<Ti ha disgustato? Non ti ha detto niente? Ti ha fatto sentire... come se fossi in un altro universo?> incalza Aleksander.
Il veneto ci riflette, ma le sensazioni di quel bacio sono offuscate dal dolore di quella stessa sera e tutto è confuso.
Ammette: <Non mi ha disgustato. Ma non ricordo così tanto. Ero... pensavo alla mia faccia da mostro. A come tutto ciò fosse assurdo. A come mi fossi sentito una merda nello spingerti via.>
<Allora qualcosa deve aver significato.> asserisce il più basso. Ma il tono lascia trasparire quanto sia una speranza stretta al petto più che una certezza.
Aleksander prende ad accarezzare le braccia di Giorgio, sfiorando la pelle con ghirigori senza senso.
Il veneto lo guarda e, dopo un profondo dibattito interno che dura minuti, sospira. Alza un braccio verso il volto e, sussurrando qualcosa, tira fuori una carta. La carta della maschera.
Il suo volto originale, crudo e vero, appare davanti gli occhi del più vecchio e lo osserva con estrema cura.
Con riverenza e timore alza una mano e, in silenzio, chiede di poterlo sfiorare.
Giorgio chiude gli occhi, dandogli il muto permesso.
Aleksander prima percorre la lunga e vistosa cicatrice, di qualche sfumatura più chiara della sua pelle.
Poi si sofferma sull'occhio, accarezzandolo con estrema delicatezza. Allontana la mano solo per depositarle su un bacio e così "trasmetterlo" all'occhio, troppo in alto per lui.
Giorgio percepisce il cuore battere in modo un po' strano, quasi innaturale, a quello strano ma estremamente dolce gesto.
Aleksander continua ad accarezzarlo e lasciargli bacini in quella maniera indiretta per tutto il volto e si sente sciogliere.
Riapre gli occhi quando nota che gli sta toccando la guancia, ben più sotto della cicatrice.
Il friulano lo sta osservando con i suoi occhi un po' mare e un po' terra con enorme intensità e le palpebre leggermente abbassate.
Lo sta guardando come se fosse l'essere più bello e interessante al modo e non ce la fa più.
Non vuole più aver dubbi, non ne ha, non con tutto quello che sente nello stomaco e nel petto.
Giorgio poggia le mani sulle spalle dell'altro e spinge entrambi verso il letto e si siede su esso di peso. Il friulano non si fa pregare di seguire i suoi movimenti e si siede sulle gambe del più alto, le ginocchia puntellate sul letto e le braccia attorno il suo collo.
Sono naso a naso e Aleksander, nonostante lo stupore, lo guarda ancora come se fosse stupendo e prezioso e lo lascia fare, aspettando sia lui quello pronto.
Giorgio lo circonda con le braccia, una mano arpionata alla maglietta altrui e l'altra incastrata tra i capelli.
Vorrebbe dire qualcosa, tipo ad effetto, figo e romantico come solo i film e i libri possono essere. Ma lui non è famoso per saper esprimere i propri sentimenti e specialmente non in un ambito come l'affetto.
Quindi lo spinge delicatamente a sé, annullando quei due centimetri inutili che li separano, e lo bacia impacciato.
Aleksander si stringe a lui e si scioglie contro la sua figura, dettando il ritmo del bacio, senza approfondirlo.
Continua a spostare leggermente il volto per baciarlo da un'angolazione differente, per non perdersi niente di quelle labbra che tanto ha sognato e agognato, per impararle a memoria in ogni loro piccola piega.
È tutto così tremendamente semplice e puro e leggero e va bene così lo stesso, perché sta baciando Giorgio, inesperto e contorto in quello che vuole. Va bene combattere contro il proprio impulso di sentire quanto le sue labbra siamo effettivamente morbide, risentire il sapore della sua bocca e strapparli versi osceni.
Lo ama, cazzo, di cos'altro può aver bisogno?
Giorgio si stacca ad un certo punto con estrema delicatezza, cosa non da lui, e lo osserva in quelle iridi bicrome. I suoi occhi miele sono liquidi dalle lacrime che gli scorrono sulle guance e le labbra ancora chiare, invitanti, pressoché intatte.
<C-cosa c'è che non va?> balbetta preoccupato Aleksander, realizzando pienamente che sta piangendo.
<Mi sto... sfogando, ma sto così bene come non sto da una vita. Non fermarti.> asserisce Giorgio <Fa come l'altra volta.>
Il friulano spera di non aver capito male.
<Vuoi che ti limoni?> domanda con fin troppa gioia e stupore insieme.
Il veneto lo guarda imbronciato e, improvvisamente serio, minaccia: <Toccami da qualche parte -troppo intima- e ti castro con un calcio.>
Aleksander non ce la fa a non ridere, decretando: <Ora sei di nuovo più te!> e non perde tempo a baciarlo ancora.
E finalmente sbriglia la sua passione dalla sua ragione, spingendosi ancora di più contro di lui, se possibile. Non gli da tregua, mordendogli e leccandogli e succhiandogli il labbro inferiore, godendosi quanto sia morbido.
Ovviamente lo alterna a momenti in cui lo bacia concretamente senza freni, assaporandolo, sorridendo internamente all'inesperienza e impacciataggine altrui.
Ora tutto pare avere un posto nel mondo, quel pezzo di puzzle che prima non si incastrava, ora si inserisce con estrema facilità.
E sa che c'è tanto di cui parlare, capire come far funzionare la loro relazione, cosa fare con gli altri...
Ma in quel momento possono andare tutti quanti a farsi inculare insieme alla Madonna.
Giorgio, che lo ama!, lo sta baciando e non ha intenzione di staccarsi prima dello stretto necessario.
E, senza che se ne accorgano, i loro riccioli si modellano in un due grandi cuori tra i loro capelli.
N/A: finalmente vi ho dato una gioia, Giorgio e Aleksander si amano e si sbaciucchiano, yeeeeee.
Spero vi sia piaciuto <3
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