257. Il vino fa cantare, ma parlare fa bene

Giovanna stringe la bottiglia al petto e fissa il cielo sopra di sé.
La notte stellata non è niente di grandioso, perché comunque essere nei dintorni di Roma rende il cielo inquinato a livello luminoso.
Ma mette comunque le cose in prospettiva.

Il cielo, nonostante quella tinta non totalmente blu, ma decisamente meglio che in centro a Roma, riesce a fare valere qualche stella più luminosa.

E mette le cose in prospettiva.
Perché quelle stelle sono luminose e sono lontane, lontanissime, più di quanto è facile immaginare, perché oltre ad un certo punto tutto diventa ammassato in "lontanissimo".

Ma, pensare alle stelle, le fa sempre ricordare quanto sono piccoli e insignificanti, per quanto loro e gli umani possono decidere di plasmare e vedere l'esistenza solo con i propri occhi.

E allora perché i loro litigi, un nonnulla su un pezzo di terra e acqua che ruota attorno ad una delle infinite stelle nel cielo, sui bordi di una galassia tra mille e mille altre, fanno così male?
Perché rassomigliare agli umani, capirli, vuol dire essere come loro, se non peggio?

Beve un altro sorso del vino e ringrazia la magia che aveva richiesto a Rita e che lei gentilmente aveva eseguito.
Non aveva chiesto niente, aveva annuito, come se le bottiglie di vino che teneva nelle mani fossero piene di acqua.

Vorrebbe sentirsi in colpa per buttarsi nell'alcol, ma neanche quello le riesce.
Vi sta ricorrendo forse pure troppo (grazie Lovino!) e ormai la sua resistenza è schizzata alle stelle.
Non ricorda quasi più il giovanile piacere del sentire la gola bruciare e il calore affiorare dallo stomaco.
Ormai è solo un sapore pungente e lascia che il suo cervello piano piano si uccida e il suo fegato lamenti gli effetti.
Tanto può sempre uccidersi.
E, in ogni caso, se Giorgio e Aleksander vivono senza cirrosi epatica, sicuramente a lei non succederà niente.

Cavoli, se Carlo, che ogni tanto ha i suoi periodi in cui fuma come un turco!, ha ancora dei polmoni abbastanza buoni da allenarsi con costanza e avere bei risultati, certamente lei può sgarrare con l'alcol.
Si gira su un fianco al pensare a Carlo, perché la sua mente lo ricollega a Pedro (all'odio che ha provato per entrambi e che comunque non le ha impedito di farsi sbattere come una cagna in calore).

Si gira dall'altro lato e maledice la sua stessa mente.
È strana, probabilmente pure un po' "picchiata" nella testa, ma non può definirsi una cagna.
Non la è.
È solo estremamente illogica.

Un fruscio le fa alzare pigramente lo sguardo e nota Giuseppe avvicinarsi.
<Sei ancora nel regno dei vivi?> chiede lui.

<C'è freddo.> è l'unica nota di Giovanna, che si siede.
Il campano si avvicina e le si siede accanto.
Non sa perché lo invita accanto a sé, nel suo bozzolo di miseria e odio per sé stessa.

O forse lo sa.
Chi lo sa?
L'alcol sta iniziando a ucciderle irrimediabilmente i neuroni.
Morirà prima di collasso del fegato o della morte totale delle sue sinapsi?
Sta scommettendo sui secondi. E non è totalmente sicura, dato il loro danneggiamento, che sia la scelta giusta.
Ma a chi importa? Sicuro non a lei.

<Posso?> chiede Giuseppe.
Giovanna gli passa la bottiglia che sta bevendo (la terza su cinque totali... e la prima tirata fuori dalla borsa che si è portata appresso quando è andata a chiedere a Rita, dato che due non stavano dentro) e il campano beve un lungo sorso, poi abbassa la bottiglia.
E poi un altro lungo sorso.
Poi un terzo.

<Prenditi le tue bottiglie.> lamenta Giovanna, ma non fa niente per fermarlo o levargli la bottiglia.
Qualunque cosa abbia il fratello/figlio, è palese lo stia tormentando. E negli ultimi tempi, pure più di prima.
Crede (e spera) sia molto diverso da quello che la sta divorando.
Ma comunque lo affligge.

Però non sa se ne vuole parlare.
Implicherebbe parlare di sé.
E di quello non ha assolutamente voglia.
Alcune volte serve solo condividere il proprio dolore solitario. Fa bene ricordare che si può avere i propri patemi, custoditi gelosamente, ma che non si è gli unici a soffrire.

Però lei ha fatto soffrire Carmela, ha tradito la sua fiducia; una delle poche cose preziose che non era ancora riuscita a distruggere irrimediabilmente-

Come può permettersi di soffrire quando è stata lei a mentire, quando è stata così codarda e mai si è corretta? Perché soffre, quando quello che ha ricevuto è solo la conseguenza delle sue azioni?!

Le bugie hanno le gambe corte, se l'era dimenticato, come s'era dimenticato che il breve è solo relativo, ancora di più per loro.

Perché non riesce mai a fare una cosa giusta su tutta la linea? Perché tutti i suoi affetti sono condannati ad essere rovinati o incrinati in un punto del loro percorso dalle sue stesse mani?!

E scoppia a piangere mentre Giuseppe sta ancora bevendo dalla sua bottiglia.

Ma ovviamente il campano si ferma e osserva preoccupato la mamma/sorella, per stringerla a sé ed accarezzarle la schiena.
Giovanna continua a piangere come una bambina, ma non riesce a smettere e probabilmente non vuole neanche.

Quindi rimane appoggiata al campano e si sfoga, fino a che non ha più lacrime.
Quando tira su con il naso da oltre un minuto, allunga una mano e afferra la bottiglia e sta per bere un sorso che Giuseppe commenta: <Se continui di questo passo, piangerai vino. Mi sembra uno spreco.>

Giovanna si ferma, bagnandosi appena le labbra, mentre il braccio casca a penzoloni davanti a sé, la bottiglia quasi vuota dimenticata.
Sbuffa divertita e ribatte: <Già...>

Per alcuni secondi rimasero in silenzio, poi Giuseppe fece la domanda fatale: <Ne vuoi parlare?>

Silenzio.

<Tranquilla, non serve. Se ti basta piangere e bere, beh, io sono qua. O se vuoi, me ne vado.> tranquillizza il campano.
Giovanna scuote leggermente la testa: <Non è quello. È che... è imbarazzante. In dettaglio.>
<E in generale?>

La sicula riflette e poi illustra: <Ho litigato con Mimi, perché le ho mentito su qualcosa di importante.>
<Importante quanto?>
<Ho detto una bugia su una cosa tipo nel 1500 e da allora non ho mai avuto il coraggio di dirle la verità. E gliel'ho detto per sbaglio poco tempo fa.>

<Oh.>
<Già.>

Altro silenzio.

<Non è tutto perduto, lo sai?> domanda il campano.
<Ah si?> inquisisce la siciliana retorica.
<Anche se le hai mentito, avrai avuto una ragione. La verità... Non sempre è semplice.>
Giovanna si ritrova ad annuire, anche se ribatte: <L'ho comunque ferita.>

<Si. Ma non è una condanna. Si sbaglia. Tu, io, tutti. Infatti anche Mimi ha sbagliato nella vita. Non siamo dei pezzi di merda, perché possiamo migliorare.> illustra Giuseppe, guardando dritto avanti a sé.

Giovanna finisce il poco vino nella bottiglia e la lascia cadere a terra con un delicato tonfo. Per fortuna la distanza era poca e nessun sassolino ha infranto il vetro.

<Grazie. Forse ci potevo arrivare anche io, è una mezza cazzata. Ma avevo bisogno di sentirlo da qualcuno.> nota la siciliana.
Giuseppe commenta: <Beh, a posteriori siamo tutti bravi a dire che le cose sono cazzate.>

<Da quando in qua sei così filosofico?> indaga la sicula e allora il fratello lamenta la sua offesa con un «Ehi!» e una delicata spallata contro la spalla della sorella.

Passano altri secondi in silenzio.

<E te?> domanda Giovanna.
Giuseppe non risponde subito e la siciliana non se ne lamenta. Sta quasi aspettandosi che l'argomento sia morto prima ancora di nascere, che il fratello ammette: <Credo... credo di essermi innamorato.>

<Non è una brutta cosa innamorarsi.> replica Giovanna, anche se si sente estremamente ipocrita nel dirlo. I suoi sentimenti per Carlo sono, nel migliore dei casi, una pianta infestante a malapena sotto controllo.
(Nel peggiore dei casi, sono la sua condanna a morte.)

Ma amare non è sbagliato; anche nel senso generale. Affezionarsi e tenere a qualcuno di per sé non può essere un male.

Il male può essere il destinatario di quei sentimenti, qualcuno che non farà altro che giocarci o ignorarli.
O come si gestiscono i propri sentimenti; il male in quel caso capita quando ci si lascia dettare dalla possessività, da istinti animaleschi e crudeli, che poco ben s'addicono con l'affetto.
Sono quelli il male.

Ma tenere a qualcuno ben più di quanto tu tieni a te stesso, provare un sentimento così contrastante il soffocante egoismo che pervade come un malanno l'umanità... non può essere un male.

<Lo so, lo so.> assicura Giuseppe che, per ovvi motivi, ha una linea di pensiero molto simile alla madre/sorella su ciò <È che... ho paura di rovinare la nostra amicizia. Anche perché... è successo tutto così a caso-!>

<L'amore non ha molto senso.>
E Giovanna crede di esserne l'esempio più brillante. Nessuna versione di sé sana di mente si sarebbe innamorata del polentone. Eppure lo ama.
Che divertente la vita!

Vorrebbe un'altra bottiglia, ma la borsa è lontana e non vuole "abbandonare" Giuseppe, a livello fisico, neanche per un secondo, perché lui l'ha ascoltata e lei vuole che lui si sfoghi a sua volta.
Perché ci tiene.

<T'assicuro che in questo caso è ancora meno sensato del solito.> sospira Giuseppe <E, davvero, il problema è che ho paura di rovinare tutto. Siamo amici e... e non voglio perderlo perché non ho saputo tenermelo nei pantaloni.>

<Perché sei così sicuro che non ti ricambi?> inquisisce Giovanna, che quindi cataloga sia uno degli altri uomini di casa.
(Con spirito ironico, si dice tra sé e sé che come al solito la maggior parte dei problemi li creano gli uomini.)

<Perché... perché sì. Come io ho passato decisamente troppo tempo a sbavare dietro a Rita, e un pochino anche a Roberto, lui... beh, lui è decisamente peggio di me su quel fronte.> racconta Giuseppe.

E non ci vuole tanto a comporre i pezzi del semplice mosaico, dati anche gli atteggiamenti visti e ciò sentito da Mario raccontare a Michele riguardo Angela.

<Maurizio?> domanda Giovanna.

E Giuseppe spalanca gli occhi in una maniera quasi comica, prima di guardare dall'altro lato e chiedere: <È così ovvio?>
<Beh, con come si comporta anche lui e Mario che ha gossippato con Michele che Maurizio pare non essere più interessato ad Angela, perché l'ha detto lui ad Angela in persona chiaro e tondo!, beh... mi sembra la situazione più logica. Anche perché in questa casa di sottoni maschi non ce ne sono troppi. Siete una specie rara.>

E Giuseppe ridacchia, annuendo, mentre la tensione solo in parte abbandona le sue spalle.
<Sai il mio orribile segreto che a sto punto credo che non sia troppo un segreto.> decreta il campano.

Ritornano in silenzio.

Giovanna muove un braccio e gli stringe le spalle per lunghi secondi.
Poi sussurra: <Grazie per avermelo detto. Avresti potuto anche negare fosse Maurizio.>
<Non ti fa strano?>
<Cosa?>
<Che mi piaccia Maurizio.>
<Beh, non avrei mai detto sarebbe stato il tuo tipo... ma vi ci potrei vedere. Così diversi che potreste funzionare molto bene, l'uno il complementare dell'altro.>
<Grazie.>

E Giuseppe ricambia la stretta. Dopo un battito, aggiunge: <E se vorrai ancora parlami del problema tra te e Mimi, io sono qui.>
<Grazie, ma credo di dovermi solo fare coraggio e discuterne seriamente con Mimi. Ma se ci sarà bisogno, verrò sicuramente da te.>

Altro silenzio.
<Torniamo in casa?> chiede la sicula.
<Sì, dai.> e Giuseppe si alza, porgendo la mano alla sicula.
Prendono la borsa con le due bottiglie piene, raccolgono le tre vuote e tornano in casa con calma.

Sono più leggeri e il sonno viene facilmente, una volta a letto, anche se il problema è ancora lì.
Alcune volte basta solo parlare per fare sempre una merda un po' meno schifo.


N/A: anche questa settimana un capitolo un po' più lungo del solito.
Spero vi sia piaciuto!

Forse Giuseppe e Giovanna smetteranno di star lì a ribollire nel proprio brodo (soprattutto Giuseppe) e faranno qualcosa!

In ogni caso, alla prossima settimana e vi auguro un buon pomeriggio!

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