256. Le cose arrivano quando meno te le aspetti (purtroppo)
"Le cose arrivano quando meno te le aspetti" è una frase tremendamente usata, di qua e di là. Pronunciata da chi è in una situazione di vantaggio con condiscendenza o da qualcuno nella simile sfortuna di chi ascolta, ha sempre lo stesso obiettivo; confortare qualcuno a mani vuote dopo lunghi tempi di ricerca infruttuosa.
Secondo Roberto non ha mai avuto granché senso come frase.
Una cosa non la puoi notare, non la puoi trovare, se non la cerchi. Al massimo può non essere il tuo pensiero principale, fisso, ma lo cerchi lo stesso, data l'opportunità.
Come quando ritrovi una cosa smarrita; forse non la stavi cercando attivamente, ma la volevi e data l'occasione l'avresti ricercata. Hai ritrovato quella cosa perché l'aspettavi, inconsciamente.
O quando finalmente accade un evento in cui avevi "perso le speranze"; perché se davvero avessi rinunciato a qualcosa, non sarebbe capitata l'occasione per ottenerla.
Roberto crede ben poco che le cose ti capitino comodamente su un piatto d'argento senza che tu le voglia, senza che tu non abbia faticato per averle, senza che tu le abbia ricercate.
Sia le positive che le negative; perché la curiosità alla fine uccise il gatto.
Quindi trova assurdo che in un banale mercoledì mattina succeda... quel che succede.
È in camera sua con Bruno, che è in piedi e sta preparando gli spartiti mettendoci più tempo del necessario, ma non gli dà fastidio.
Sa benissimo che il trentino, quando suona, si sente in imbarazzo facilmente e potrebbe capire, se non fosse che quando suona e si fa avvolgere dalla musica, tutto il resto scompare.
I mezzi sono quelli che sono: una pianola, anche se di buona qualità, presa in un negozio di musica dopo incoraggiamenti da più fronti.
Dopo quella esibizione al pianoforte in giro, Bruno aveva suggerito che poteva riprendere a suonare e ovviamente Marie s'era unita e aveva aumentato esponenzialmente l'essere pedante, tanto che nel pestiferarlo s'aggiunsero Rita, poi Rosa e pure Carlo che, con sua grande logica, aveva notato «La musica aiuta sempre a mantenere attiva la mente, è un peccato perderla se sai ancora suonare, in parte. E poi, sono stufo di sentire Marie a tavola. E se non la risolvi in fretta, son sicuro che Giorgio avrà metodi più ortodossi dei miei per farvi smettere.»
E quindi s'era fatto convincere.
Non che avesse preso la pianola controvoglia; gli piace suonare, e tanto.
Non è un pianoforte, ovvio, ma per quello che gli serve si può accontentare.
È che se pensa al pianoforte, pensa anche a quando ha imparato, sotto a chi, e gli mescola la tanto bella e dolce musica a ricordi amari e nonostante tutto ancora con punte dolci e nostalgiche.
Quindi suona solo quando riesce a buttarsi a capofitto nella musica e non pensare al resto.
O quando Bruno gli chiede se possono provare insieme, perché a provare brani sempre da solo per mantenersi allenato lo fa sentire un po' pazzo, a volte.
E se c'è una cosa letale per loro, è la pazzia, ben più di qualsiasi lama o malattia.
E gli fa sempre piacere passare tempo con Bruno.
Non sa perché, se è l'abitudine o perché alla fine il biondo si è fatto uno spazio nella sua cerchia di persone con cui è più in "intimità", ma ogni volta che passano tempo insieme, è sempre più sereno e più energetico insieme.
E sarà una sua percezione stupida data dall'affetto, ma pare aumentare di volta in volta; una briciola in più ogni giorno che passa.
<Ci sono.> annuncia infine Bruno <Tu sei pronto?>
Roberto annuisce e si mette in posizione.
È Bruno a dare il via e Roberto si tuffa nella musica; segue lo spartito e il ritmo del brano, certo, ma tutto il resto sfuma.
C'è lui, la musica che produce (non quella di un pianoforte, ma che pretende?) e... e anche Bruno. E la sua melodia. Ma non può alzare lo sguardo, non può osare rovinare il brano per una sua distrazione!, ma una parte della sua testa continua a focalizzarsi su Bruno e il suo flauto traverso.
Quando concludono il brano, alza subito la testa, quasi avesse fretta di lasciare le braccia così accoglienti della musica!, e osserva Bruno, che invece è ancora rintanato nel suo cantuccio, in cui ci sono solo lui e la musica.
E si chiede se anche lui è così quando suona, così focalizzato eppure così tranquillo. Gli sembra quasi di vedere Bruno per la prima volta, o sotto un'altra luce, mentre le sue sopracciglia bionde sono distese sulla fronte, le sue ciglia chiare quasi accarezzano le gote d'alabastro e le labbra sottili sfiorano ancora il flauto, come indecise se abbandonare quel piccolo paradiso o rimanere rintanati dentro.
Dura giusto un istante, ma è un secondo di troppo che fa passare una scarica per la spina dorsale di Roberto mentre tutto nel volto del trentino pare mai visto prima.
Soprattutto gli occhi, quando le palpebre s'alzano e i suoi occhi azzurri, uguali ad un limpido cielo d'estate, solo per un attimo indugiano nel vuoto per subito cercare i suoi.
Gli occhi azzurri sono sempre descritti come freddi e penetranti, ma il piemontese trova simile affermazione ancora più assurda degli altri giorni, perché quell'azzurro lo scalda con un'ondata di fuoco e lo avvolge come una coperta.
<Siamo andati bene, no?> chiede il biondo e Roberto vorrebbe scuotere la testa incredulo, ma darebbe il messaggio sbagliato.
<Sei stato bravissimo, impeccabile. Avessi potuto smettere a metà brano per ascoltarti, l'avrei fatto... Forse avrei fatto un favore. Tu e il tuo flauto non meritate simile accompagnamento.>
E con un ampio gesto il piemontese indica la pianola e, subdolamente, sé stesso.
E gli occhi di Bruno s'incendiano nell'affronto mentre li spalanca, per poi chiuderli brevemente mentre scuote la testa.
<Anche con una pianola per le scuole medie vecchia e pure mezza rotta riusciresti a cavare fuori qualcosa di buono.> sentenzia la regione più giovane.
Roberto incassa la testa nelle spalle e la scrivania diventa la cosa più interessante da fissare nella stanza. Bofonchia: <Se è mezza rotta, uno non può farci niente.>
<Il concetto però è quello.> ribatte Bruno <Se tu dici che sono stato impeccabile, per me lo sei stato pure tu, nonostante non avessi un vero pianoforte.>
<Però è bella come pianola, eh.> nota Roberto, osservando ora lo strumento musicale davanti a sé.
Bruno ha avuto l'enorme pazienza di scegliere con lui la pianola dopo essere stati oltre un'ora nel negozio di musica. Non vuole fargli pensare che gli faccia schifo, perché comunque non è vero. È che non è un pianoforte.
Alza lo sguardo sul trentino, sperando di non averlo offeso, ma questi lo sta osservando con intensità, però non con cattiveria o malizia.
Ringrazia di non dover parlare subito, perché la gola è estremamente secca, mentre il biondo concorda: <Sì; anche se so che vorresti un pianoforte. Purtroppo in questa stanza ancora non ci entra.>
Roberto si sente un po' (tanto) infantile e non sa bene che dire, ma per fortuna Bruno gli risparmia l'imbarazzo: <Oh, beh, potremmo adibire il soggiorno come stanza per un pianoforte e fare tutte le nostre prove li. Si potrebbe fare perlomeno un quartetto, con lo spazio che c'è. Però dovremmo andare contro a tutti gli altri. Non so se voglio sfidare la pazienza di Mario e Giuseppe e il loro calcio.>
<E Carlo dove lo lasci?!> interviene il piemontese, quasi offeso che si sia dimenticato di quanto il lombardo sa essere tremendo quando entra in gioco quel pallone.
<Che stupido!> esclama giocoso Bruno, dandosi una manata in fronte. Poi inclina la testa mentre continua a scrutarlo e, sempre sorridente, chiede: <E soprattutto, te dove ti ho lasciato?>
E Roberto non può ribattere, ma vuole stare al gioco, quindi sbuffa con troppa enfasi e lamenta: <Beh, ehm... non mi posso difendere, eh?>
E Bruno ridacchia e Roberto non può che sorridere.
Ed è in quel preciso istante, in quel singolo frangente, che qualcosa scatta.
Perché il mondo pare essere stato capovolto e Bruno è di nuovo sotto una nuova luce, ma una luce che viene da dentro il piemontese perché guarda il trentino e nel suo corpo tutti gli interruttori impazziscono.
Un calore estraneo ma non spiacevole lo prende dalla base dallo stomaco e in fretta risale il petto e il collo e arriva alla testa, la quale pare vuota e piena stipata di cotone, dove nessun pensiero prevale perché sono troppi e si accavallano in una baraonda degna di un concerto metal. E il cuore decide sia noioso stare al suo posto e scalcia per uscire dalla gabbia toracica, preme contro lo sterno, implorando di scappare chissà dove, mentre i polmoni paiono aver dimenticato cosa voglia dire "respirare".
E la verità lo colpisce come un fulmine a ciel sereno, lo scuote come un terremoto e lo rende febbricitante come un vulcano pronto ad eruttare.
Una verità che non aveva cercato, non la stava aspettando, eppure gli è capitata lo stesso tra le mani come un regalo inaspettato.
Si è innamorato di Bruno.
E tutte quelle sensazioni vengono spente, soffocate, estinte, perché la paura lo assale.
Si è innamorato di Bruno.
Non dovrebbe essere nulla di orribile, perché l'amore è una cosa bella, per amore si fa di tutto e di più, è l'essenza decantata da così tanti poeti...
Ma lui è Roberto. Roberto Amedeo Vargas.
Si è innamorato di Bruno.
O Jacques Francois. O il Regno di Savoia. O solo Piemonte.
Cambia solo l'esterno, il contenitore, perché la solfa è sempre quella.
Lui ama senza misure, cade a capofitto e ne esce sempre con un cuore infranto. Sa di aver amato poco nella sua vita, che i suoi amori non sono neppure stati convenzionali, ma chi ha amato gli ha spezzato il cuore e l'ha gettato al vento e comunque quel cuore batteva e lui amava, anche se avrebbe voluto solo sradicarsi quel sentimento molesto.
<Non ti potrai difendere, ma non m'interessa. So benissimo quanto sei poco "te" e quanto ti influenzano le tue genti.> assicura Bruno, sorriso ancora in volto.
E Roberto non può che pigolare: <Grazie.> mentre il suo cuore masochista e traditore rimane in subbuglio di fronte a quel dolce sorriso.
<Riproviamo? Ti va?> propone Bruno e Roberto ringrazia quella distrazione, annuendo energicamente.
Bruno dà di nuovo il via e Roberto comincia a suonare.
Ma non riesce a buttarsi nella musica; bensì sua testa si mescolano le note della sua pianola, la melodia del flauto di Bruno e i rimbombi del proprio cuore contro le tempie.
(Si è innamorato di Bruno.)
(Si è innamorato di Bruno.)
(S i è i n n a m o r a t o d i B r u n o.)
Non che pensa che Bruno gli spezzerà il cuore.
A differenza dei suoi altri amori, Bruno l'ha conosciuto per molto tempo. E forse è l'amore più genuino che ha mai provato, a parte qualche raro umano (ma con cui non ha mai avuto neppure una chance perché ora che ci aveva pensato, ora che aveva deciso cosa provava, era passato per lo meno un decennio e non erano più gli stessi).
Non c'è nessun rapporto diseguale, sono due regioni sullo stesso piano.
Anzi, tecnicamente, Bruno è su un piano diverso perché ha statuto autonomo, ma questo non lo rende superiore a Roberto. Solo diverso.
Eppure la paura è lì, potente, incontrollabile, e mentre l'amore gli attiva tutto in una direzione, il terrore lo spinge nell'altra.
Anche perché Bruno non ricambierà mai il sentimento.
Ben che sia, lo vede come un fratello. Nel peggiore dei casi, come un peso o una causa persa che si tiene appresso per dovere dopo che lui l'ha aiutato a integrarsi.
Perché dovrebbe amarlo?
Non ha nessuna motivazione.
E non sa se è meglio.
Perché se non lo ama, e Roberto non dirà assolutamente niente, Bruno non terrà neppure in mano il suo cuore, così non avrà chance di spezzarlo.
Ma il suo cuore vuole essere messo nelle mani di chi ama, con il rischio di essere distrutto, perché non ha paura; è la mente a temere lo stesso finale, il cuore lo accetta di principio anche se non lo vuole, anche se farà male.
E non sa quanto può essere doloroso neanche avere la possibilità di riporre il cuore nelle mani altrui, provare amore non corrisposto su quel livello.
Non sa se è meglio o peggio e lo spaventa in ogni casistica, perché comunque vuol dire soffrire.
Lui non voleva innamorarsi, non lo ha aspettato, inconsciamente non lo desiderava.
Eppure è successo.
Ma ora cosa può fare?
Non può buttare tutto in un bidone; fisicamente non può, mentalmente è impossibile.
Ma non vuole rovinare il prezioso legame che ha con Bruno, si ammazzerebbe prima di farlo. Non può dire alcunché e Bruno non potrà mai ricambiare i suoi sentimenti, quindi non c'è chance di dare il proprio cuore e ricevere quello del trentino.
Rimarrà con il suo cuore zampillante sangue, che implora di essere preso da Bruno, con la chance di essere spezzato, ma desideroso lo stesso di essere tenuto stretto.
Ma solo Roberto può tenerlo a sé, perché ora il terrore peggiore non è di vedere il proprio cuore sbriciolato, ma che venga lanciato via o ripudiato ancor prima che possa essere sfiorato.
Davvero le cose arrivano quando meno te lo aspetti.
Per una volta gli sarebbe piaciuto avere ragione lui, piuttosto che i detti.
(Ama Bruno.)
N/A: ...
. . .
Volevate che Roberto si togliesse la salumeria da davanti agli occhi, no? Eccovi accontentati!
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