235. Nostalgia di uno sconosciuto
"Posso parlarti un attimo in privato?"
Francesca di certo non si aspetta tale messaggio da Mario, in privato.
Fissa quelle poche lettere scettica, ma non pensa siano il preambolo di uno scherzo.
Né di una delle sue mosse pessime su di lei.
Anche se ormai è più un gioco di cane e gatto, in cui Mario fa dei complimenti poco graditi e lei lo manda a 'fanculo (ignora forzatamente come le ricordi una dinamica di un paio di millenni prima).
Allora scrive: "Dove e quando?"
E ritorna a tirare fuori la sua strumentazione per dipingere. Dubita voglia vedersi subito e, in ogni caso, ora che è ispirata di certo non manderà tutto all'aria per Mario (non lo farebbe per nessuno).
Afferra il lapis («Le matite sono altro!» replica sempre di fronte agli sguardi altrui) e inizia.
Anche se è incuriosita da cosa mai il laziale può volere da lei, ora ha minimo una bozza da portare alla luce.
•~-~•
Chissà perché vuole incontrarsi la sera, quando ancora c'è sole, mentre quelli del nord stanno cenando.
Ma le va bene.
Sulla sua tela molti tratti del lapis sono scomparsi sotto le prime pennellate di pittura. Non è ancora completa l'opera, ovvio. Ha solo messo le tinte piatte generali, per capire i principali volumi e se l'opera fosse sbilanciata e nei suoi pesi e dimensioni.
Ma tutto le sembra armonico, quindi non c'è bisogno di aggiungere o togliere pezzi mentre lamenta la sua stessa stupidità per non averlo notato prima, anche se tra lapiz e pittura c'è una grande differenza.
Esce e va verso l'orticello.
Mario è già seduto su una panchina ricavata dai pallet e-
E Francesca ovviamente si blocca perché c'è quel cazzo di lupo (anzi, -lupa-, che poi s'incazza. A quanto pare riconosce quando la chiamano con il genere sbagliato) che si sta facendo coccolare docilmente dall'idiota.
Come se non fosse una belva trancia-uomini al primo comando, ma piuttosto un enorme peluche vivente.
Come se quell'essere strano, fin troppo sapiente per essere una mera evocazione tramite magia, senziente in tutti i sensi e oltre per qualsiasi normale animale o quasi, non fosse memento del fatto che è stato trasmesso, che nonostante sia di Mario da quando è piccolo, per lei sarà sempre anche suo.
(E probabilmente non è neanche dire granché, perché Mario è -lui-, è innegabile, ma allo stesso tempo no, perché non ha la coscienza di essere una re-incarnazione come Vincenzo o Carlo.
Ha memorie che vede tramite lenti. Non una sua vita. Ma quella di un altro che gli viene concessa perché utile.)
Mario si gira e la saluta e le fa segno.
Francesca si siede nello spazio libero accanto al laziale, comunque cercando di lasciare un po' di distanza.
Mario riprende a coccolare la sua belva potenzialmente letale e la Toscana sta per perdere le staffe che questi domanda, a mezza voce: <Ti può mancare qualcuno che non hai mai conosciuto?>
E non c'è bisogno di chiedere di chi stia parlando.
E la risposta è altrettanto facile.
<Sì. Perché forse nessuno l'ha davvero conosciuto. Secondo me ho conosciuto solo qualcuna delle sue sfaccettature, quelle che voleva che io vedessi.>
<Però lo conosci, in qualche modo. Io no. Eppure mi manca.>
<Ma tu lo conosci. Anche tu, in qualche modo tutto tuo.>
Mario la fissa poco convinto.
<Hai qualche vaga memoria sua, che riconosci non essere tua in nessun modo, no?>
<Sì. Ma proprio qualche cazzata. Non lo conosco. E una buona parte delle cose che so non ha senso! Una delle prime cose che ho scoperto è stato lui che tiene in braccio Lovino e Feliciano, poi che saluta Lovino e lo dà a Giovanna per infine tornare da Feliciano e dire qualcosa che non ho mai capito.>
<E le cose che capisci di più?> indaga Francesca. Non capisce dove la conversazione vada a parare, ma è anche vero che difficilmente una conversazione del genere può essere dettata da qualcosa che non siano impulsi emotivi.
(Perché non si alzi e si rifiuti di farsi trascinare nei propri sentimenti è tutt'altra cosa)
<Sono comunque... poco. E abbastanza prevedibili, almeno per quanto riguarda lui che si guarda, come a velocità aumentata, mentre è sempre meno splendente e sempre più debole, più stanco.>
Mario sospira e la lupa appoggia le zampe anteriori sulle sue ginocchia per leccargli la faccia. Il laziale la lascia fare, sorride e le fa i grattini.
Aggiunge: <Invece, di più strano, c'è lui che mi vede o in sogno o in una sorta di allucinazione, perché non mi ricordo nulla di simile, mentre piccolo piccolo che gli sorrido e dico che sono Roma.>
<Questi sono solo esempi, no? C'è altro che hai tralasciato, forse per te insignificante ma non lo è?>
Mario si morde il labbro inferiore mentre torna a guardarla e sussurra: <È tutto quello che ho.>
Il primo istinto della toscana è dire «Oh», ma poi si frena appena prima di aprire le labbra. Perché non è vero.
<No.> ribatte, di fronte allo stupore del laziale.
<Tu hai lei.> e indica la lupa <Come hai fatto a trovarla? A evocarla?>
Mario osserva la belva famelica (che sembra docile quanto un bassotto tra le mani del padrone) e le accarezza il pelo per lunghi secondi. Infine ammette: <Non lo so. Un giorno ero in giardino, annoiato, perché sicuramente dire altre preghiere con Pietro non era allettante, e ho pensato "Vorrei tanto qualcuno con cui giocare!" e... e semplicemente mi è venuto in mente, come se fosse la cosa più ovvia, "Dì 'Roma Invicta' mentre con una mano tocchi il pavimento!". E io l'ho fatto. Ed è comparsa.>
<Ed è lei a legarti a lui, ben più del tuo aspetto.> nota Francesca.
Mario non lo nega. Continua a coccolare quell'essere ancora assurdo, anche per le regioni che praticano la magia con sapienza.
<Perché lei era sua. Te lo posso assicurare. Anzi, si può dire che lui era sua. Come tu sei sua. Anche con... con Romulus si frapponeva tra lui e chiunque, a meno che lui non la calmasse coccolandola. In quello siete uguali, perché anche lui per calmarla la grattava sempre dietro l'orecchio destro. E sono sicura che anche quello tu lo sappia così, d'istinto.>
<Non aiuti la sensazione di essere in lutto per qualcuno morto secoli e secoli fa che non ho mai conosciuto di persona e che, anzi, non esiste perché esisto io!>
E qualcosa dentro Francesca scatta.
(Proprio come allora, sempre per colpa sua e insieme solo e sempre colpa di lei stessa e nessun altro)
Ribatte, tono tagliente: <Volevi che io, in quanto conoscevo Romulus e sono stata colei che gli è stata vicina fino alla morte, ti togliessi il diritto di soffrire? Sarò scontrosa, acida e poco gentile, ma non mi metto tra qualcuno e il suo lutto. Come potrei, quando anche a me manca? Come posso dirti di non soffrire, quando è vero, tu esisti e quindi lui non esiste più, quando tu gli sei così simile e hai sue memorie ma non sono tue e sai come evocare e tenere a bada la Lupa senza che nessuno ti dicesse niente?>
Come se sapesse di essere tirata in causa, la lupa ringhia, ma Mario riprende la coccola magicamente calmante e torna ad appoggiare il muso contro la gamba del padrone. Il laziale la esorta a continuare, perché sa che non ha finito e non le permetterà di mantenerle chiuse sotto chiave.
(Perchè la vita è una ruota che gira e gira e torna sempre al punto di partenza?)
E quindi sbotta, tutti i pulsanti premuto nella peggior maniera possibile, mentre s'alza in piedi: <Come posso osare di dirti che non meriti di essere in lutto? Come posso strapparti il tuo dolore? Non posso. E non lo farò. Perché so quali sono le conseguenze. La ferita non si cuce, con il tempo non sparisce. La nascondi, mentre continua a infettarsi o rimanere in stato critico, come in stasi. Se almeno uno di noi due può risparmiarsi questo dolore eterno, dato che sono pure testarda e orgogliosa, ben che venga.>
Lunghi secondi di quiete, in cui solo il fiato rumoroso dell'animale evita un silenzio assoluto.
<Tu lo ami.> afferma Mario.
Francesca non lo nega. Non nega il concetto, non nega i soggetti, non nega il verbo usato. Perché è tutto vero.
E odia essersi mostrata così vulnerabile con lui.
<Infatti non ho mai davvero deciso di gestire il lutto. Di ammettere a me stessa che mi manca. Che ho sbagliato, per come l'ho trattato. Che ha sbagliato, per come mi ha trattato, è tutto questo che pensavo per giustificarmi nel schiacciare tutto dentro di me. È anche per questo che... che ogni tanto faccio fatica a guardarti. Perché la ferita è ancora aperta. E tu sei il sale che viene sfregato lì. Ti prego, non finire come me.>
Forse è crudele a mettergli addosso questo peso, questa colpa di cui non è responsabile. Ma che senso ha mentire e fare marcia indietro dopo così tanta onestà?
Per stemperare la tensione, incurvando leggermente, in sfida, le labbra all'insù, commenta: <Oltre che sei un bucaiolo sfacciato del cazzo che porca la Madonna mi fai venire voglia di strangolarti ogni volta che spari stronzate. Purtroppo è il tuo marchio.>
<Grazie.> è tutto quello che dice Mario, gli occhi palesemente lucidi.
Francesca non lo fa notare.
Non chiede per cosa la ringrazia. Non lo sa. E non vuole saperlo.
(O forse lo sa benissimo e dato che fa sempre parte di quella ferita mai curata, ancora aperta, non vuole che la lama torni a peggiorare lo squarcio)
<'Notte.> augura Francesca, mentre si gira e torna velocemente in casa.
Mario non la ferma.
La lupa non ringhia nemmeno.
Francesca non piange.
Emette solo un sospiro tremolante quando torna in camera, per poi sedersi sul suo letto e fissarsi le mani.
È davvero troppo tardi per ammettere che le manca qualcuno che ha così tanto odiato, che ha conosciuto solo in parte, per espiare il suo dolore e il suo amore e i suoi rimpianti?
È davvero troppo avanti per poter davvero voltare pagina, invece di continuare a scrivere sui bordi degli stessi fogli vecchi e consunti, pur di non abbandonare quelle parole?
N/A: spero vi sia piaciuto <3 perché almeno mi rallegra la settimana in quanto ieri mi sono presa una storta alla caviglia e quindi sono costretta a stare praticamente immobile.
Ma niente, sono pirla io.
Buona giornata!
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