225. Non cedere alla rabbia
Quando Carlo deve compiere un'azione che in qualsivoglia modo possa ledere il suo orgoglio, tale azione prima passa per almeno tre vagli in cui la si confronta con l'idea opposta o un'altra opzione che sia un "male minore". E molte volte il vaglio ha portato ad un cambiamento di programma, se l'opzione minore era più interessante, e anche in quel caso si è devono svolgere tre vagli minimo per essere approvata.
Fatto tragicomico, più di una volta l'opzione dal male minore è stata confrontata con un'opzione dal male "minorerrima" e Carlo ha deciso di vagliare la seconda proposta.
Solo una volta tale opzione "minorerrima" è stata scartata per un'altra ancora più minore ("minorrerrima alla seconda") per essere poi abortita con l'ultima ponderazione.
Solo due volte, al terzo vaglio, con il male "minorerrimo", Carlo ha deciso di portare avanti quest'ultima idea.
Tutte le altre poche volte che si era arrivati al terzo vaglio, sono state scartate al primo round di vaglio.
Già che si fosse arrivati al terzo vaglio era raro, perché spesso Carlo abortiva tutto al secondo (quindi con solo il male minore). Il motivo era logico: se doveva penarsi così tanto per decidersi, non ne valeva la pena.
Però, per questa decisione che lo sta tormentando a più riprese da anni (perché ogni volta decide di mettere in pausa il processo di revisione nella sua testa nella speranza di dimenticare l'idea, ma quella torna sempre), è addirittura arrivato al quinto vaglio, con cinque fasi di "discussione" ciascuno, e quindi confrontarsi sull'eseguire il "male minorerrimo alla terza".
Oggi è il giorno in cui ha deciso.
E il verdetto è, quindi?
Abolire tutto in tronco per però preservare la prima idea e portare avanti la prima.
Era arrivato in una situazione paragonabile ad un cane che prova a mordersi la coda e stava, quindi, impazzendo. L'opzione più plausibile era quindi tornare all'originale, perché si fidava del suo istinto. C'era un motivo se aveva pensato a quella linea d'azione subito e non all'opzione "minorrerrima alla seconda" o quella alla terza subito!
E cosa mai ha tormentato così tanto il povero lombardo?
Parlare con Vincenzo.
Già.
Cioè, il problema non è proprio parlare con il calabrese, è il meridionale che tollera di miglior grado perché è il più sveglio e maturo; il motivo per cui deve calpestare il proprio orgoglio è per l'argomento.
Personale, che non è detto troverà soluzione, che mostra una sua debolezza...
Gli sembra di dare una pistola al nemico e dirgli di sparargli.
Ma deve fare questo salto nel vuoto.
Non può rifare gli stessi errori.
Non quando tutto sembra confluire nella medesima direzione di appena un secolo prima.
Gli umani hanno davvero poca memoria.
La prima fase, riuscire a tirare da parte Vincenzo in un posto appartato, è abbastanza facile.
Quando deve andare fuori a portare il vetro, lo segue e gli chiede se gli può parlare.
Vincenzo alza le sopracciglia in stupore, ma poi annuisce mentre prosegue la sua strada verso il deposito del vetro.
È un lavoro infame che richiede di camminare per una decina di minuti, per andare alla campana del vetro che condividono con gli umani nel raggio di 5 chilometri (sono anche tra i più fortunati, ma non è quello il punto).
Di solito Vincenzo, appena oltre le mura di casa, usa la magia ma capisce che è una situazione spinata e s'incamminano effettivamente verso il punto di raccolta.
Carlo cerca di ricordare il discorso preparato, ma i pensieri s'ingarbugliano. Sospira e fissando il cielo commenta: <Non so neanche se tu puoi capirmi, ma sicuramente sei la mia migliore chance.>
<Su cosa?> indaga il calabrese, che già ha una mezza idea (non hanno tanto in comune), ma preferisce ricevere conferma.
E le parole si capitombolano, male, fuori dalla sua bocca: <Non ti capita mai di ritrovarti in una sorta di limbo, ma emotivo? Cioè, tutte le emozioni sembrano distanti. Vorresti provarle, ma è come se il tuo corpo si rifiutasse e solo con la forza riesci a sfiorare delle emozioni. Più facilmente la rabbia.>
<Come quando rinasci e per un certo periodo di tempo sei presente e insieme dovunque e nessuna parte?>
<Sì.>
Mente, in parte, il lombardo. Perché la sensazione di appena rinato non cambia dalla sua solita. O, almeno, non in modo incidente. Il vuoto e il muro si fanno solo più forti.
Qualche secondo di riflessione e poi Vincenzo chiede a bruciapelo: <Ma per te non vale solo in quei momenti, vero?>
Carlo non risponde, ma lo fissa. Dritto nelle pupille, quasi arrestandosi.
Sa cosa prova? Come riesce a fingere così bene?!
<Sì.> e odia quanto il suo tono sia strozzato. Odia mostrare quanto sia -inumano e sbagliato e imperfetto- rispetto a tutti loro.
<Quando?>
<Sempre.>
È un sussurro, ma investe Vincenzo come una valanga.
<Sempre?> ripete, gli occhi sbarrati.
<Sempre.>
<Pensavamo- pensavo...>
<Cosa?!> sibila il lombardo, aggrappandosi come un bimbetto disperato a quella brezza rancorosa che lo sfiora, con cui vuole solo proteggersi, perché non può tollerare di non essere visto se non come -perfetto-.
<Sempre...? Io-. Io ho dei periodi. Casuali, non ho ancora capito cosa li scateni.> ammette Vincenzo ed è il turno di Carlo di sbarrare gli occhi.
Non è solo. Non è uguale, ma non è solo.
<Ed è orribile. Sentire e poi sentirsi intrappolato, soffocato. È facile aggrapparsi alla rabbia, perché è tutto quello che provi anche se il tuo corpo te lo impedisce ed è facile aggrapparsi.>
<E come fai a non cedere alla rabbia? E, in situazioni critiche, alla vendetta e all'odio?>
Vincenzo non rallenta il passo, ma l'osserva. Non è pietà. Ma lo fa formicolare sottopelle lo stesso, anche se senza farlo arrabbiare.
<Beppe, Miche, Mimi, Gio'... Ho loro. Quando se ne sono accorti una volta e abbiamo provato a dargli un nome, sbagliando per secoli... comunque, il punto è che mi stanno vicino. Aiuta molto.>
Carlo non avrebbe mai il coraggio di dire che non ha nessuno a cui rivolgersi (o, almeno, nessuno con cui sarebbe capace di farlo senza prima dover fare un vaglio di opzioni peggiore di quello che ha fatto per parlare con Vincenzo).
Ma il calabrese coglie al volo e aggiunge: <E quando sono solo, cerco sempre di avere con me qualcosa che mi rende felice. Che mi fa stare bene. Che non mi fa vedere la rabbia davanti a me come l'unica soluzione possibile. Anche solo un ricordo, un oggettino, una scritta, qualsiasi cosa va bene. Basta che sia una sorta di scaccia-rabbia.>
Continuano e arrivano fino alla campana, dove Vincenzo scarica il vetro.
Lì, Carlo riesce a chiedere: <E se non bastasse? Se fosse troppo... allettante quella rabbia, rispetto ad una felicità che non riesco a provare?>
<Da soli non sempre risolviamo. Bisogna sforzarsi e chiedere a qualcuno.>
Carlo lo osserva come se gli avesse appena detto di tagliarsi il braccio destro.
Infatti il calabrese aggiunge senza perdere un attimo: <Ora hai me. So e ti capisco, no? E ti assicuro che in quei momenti, paradossalmente, è più facile parlarne con qualcuno di cui ti fidi.>
<Spero di non doverci arrivare.>
È chiaro il messaggio.
<Lo spero anche io. Lo speriamo tutti. Chissà se la nostra speranza basterà.>
La storia è condannata ad evolversi in una spirale verso il basso o riusciranno a risollevarsi prima che sia troppo tardi?
N/A: spero vi possa essere piaciuto anche solo un cicinino e io vi auguro una buona festa della liberazione d'Italia!
Combattuta da partigiani, che "portavano" tante ideologie diverse (comunisti, socialisti, monarchici, liberali, repubblicani e via discorrendo!), e che, intrinsecamente, all'inizio di tutto, non erano neppure strettamente politici.
L'unica vera politica era che fossero contro il fascismo!
E qua nessuna Rai di emme può censurarmi!
Informatevi sempre, perché è importante conoscere la storia, è necessario essere consapevoli da dove si arriva (in senso lato)!
Ciao ciao!
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