8.2. VENERDI': Gavettoni, spacchi e festeggiamenti
Quando corsi a cambiarmi nella dependance di Michelle, feci tutto così di fretta da non riuscire neanche per un attimo a fermarmi a pensare a ciò che era appena successo. Entrai nel vestito nero e pettinai i capelli, scelsi una borsa dall'armadio di Michelle perchè non avevo fatto in tempo a prendere una mia e alla fine decisi di appropriarmi anche di un bel paio d'orecchini dorati, grandi e luminosi, nella speranza di rendere meno semplice l'abito che non era altro che un unico pezzo di tessuto nero, lungo fino alle caviglie, con le spalline doppie e uno spacco sulla gamba.
Scambiai uno sguardo con il mio riflesso nello specchio per qualche attimo e mi piacque ciò che trovai davanti agli occhi. Avevo il viso acceso in un modo che nessun blush sarebbe mai riuscito a replicare. Mi ammorbidiva i lineamenti.
Rimasi con le Vans ai piedi, afferrando i tacchi color oro tra le dita e la stoffa del vestito all'altezza delle ginocchia con l'altra mano, così da poter camminare liberamente lungo il viale di ciottoli sino alla villa dei Ricciardo.
Quando lasciai la dependance il sole indugiava ancora sulla linea dell'orizzonte ma le luci che delimitavano il sentiero e tutte quelle che, come addobbo, erano state posizionate tra gli alberi, risplendevano già di una luce calda contribuendo a creare un'atmosfera magica.
Intercettai Dedee e Phillip nel parcheggio, mentre lui aiutava lei a scendere dal Pick Up. Dopo un commento sullo sterrato che le avrebbe rovinato le scarpe, Phillip la sollevò per aria e, come la principessa che meritava di essere, la portò tra le braccia sino al porticato di legno, dove i due si scambiarono un bacio melenso che avrebbe dovuto farmi storcere il naso, ma che in realtà mi rese felice.
Dedee e Phillip erano, a mani basse, i ragazzi più belli che Silky Oak avesse mai visto. Presi singolarmente erano strepitosi, Dedee con i suoi lunghi capelli rossi e lo sguardo da cerbiatta, Phillip con il suo fisico piazzato e il volto che sembrava disegnato da un artista. Insieme, riflettevano l'uno la luce dell'altro e raggiungevano un livello di perfezione che sarebbe stato altrimenti irraggiungibile. Quando le cose andavano bene, come in quel momento storico, si incastravano perfettamente e facevano invidia a chiunque.
Quando andavano male avevano la forza di credere comunque che, prima o poi, sarebbero riusciti a farle andar meglio. Infondo, era invidiabile la loro fiducia in quel rapporto.
Richiamai la loro attenzione e corsi verso di loro, gettando un braccio sulla spalla di ciascuno. Riempii la mia amica di complimenti sinceri mentre entravo a braccetto con loro nel salone di casa Ricciardo. Lì, tutte le candele che Michelle aveva minuziosamente sistemato per la stanza erano accese, i vasi traboccavano di fiori, l'aria sapeva di rose e vaniglia, profumi e sapori chiave del matrimonio. Perché Michelle non aveva bisogno di scegliere fiori o essenze più di nicchia per risplendere, lei amava le rose a prescindere da quanto potessero o meno essere scontate, e non ci avrebbe rinunciato per niente al mondo.
Intravidi i miei genitori in un angolo, intenti a chiacchierare con Grace, mentre Joe stringeva Oliver tra le braccia e discuteva poco distante con i cugini di Vins che avevo già incrociato all'addio al celibato. Prima che potessi dirigermi verso i miei genitori incrociai lo sguardo di Michelle, posatosi prima sui sandali che tenevo tra le dita, poi sulle Vans ai miei piedi.
<<Quelle vanno in camera mia>> affermò, senza ammettere replica, riferendosi alle vecchie scarpe nere.
<<Stai benissimo>> le risposi, allungandomi per lasciarle un bacio sulla guancia e poi sgattaiolando scherzosamente verso le scale che portavano alle camere da letto. Mi resi conto che la prima rampa, prima di voltare sulla sinistra, confinava con il mobile sul quale erano state poggiate le bevande. Non ci pensai più di un attimo ad allungarmi oltre la ringhiera per afferrare il calice più vicino, presumibilmente con del vino bianco all'interno. Michelle ancora mi teneva d'occhio, così sollevai il calice verso di lei come se fosse un brindisi. Appurai il contenuto trangugiando metà del calice. Decisamente vino bianco.
<<Sei tremenda>> mimò la festeggiata con le labbra, in risposta al mio sorriso sornione.
<<Lo so>> risposi, silenziosamente, prima di afferrare la ringhiera e tirarmi su per continuare la salita.
Il primo piano sembrava incredibilmente silenzioso in confronto al salotto, con solo gli echi della festa come rubare di sottofondo.
Almeno finché non mi accorsi della porta socchiusa della stanza di Daniel e udii un sommesso canticchiare.
Quasi mi venne un colpo.
Non ero pronta ad incontrarlo. Non ancora. Non lì, soli, lontano da tutti.
Bevvi un altro sorso di vino, nel dubbio, poi corsi in punta di piedi lungo il corridoio. Cercai di aprire la porta della vecchia camera di Michelle facendo meno rumore possibile e mi ci infiali non appena riuscii a guadagnare uno spiraglio sufficiente a farmi passare.
Il cuore mi rimbombava nel petto e fui costretta a prendere qualche respiro profondo per cercare di calmarlo prima di proseguire.
Pochi minuti dopo, dei passi in corridoio mi suggerirono che l'avevo mancato per un soffio.
"E' solo Daniel" mi dissi, nella speranza di ritrovare contegno.
Quella consapevolezza, però, non era più confortate. Avevo passato tutta una vita in qualche modo standogli vicino, ma non mi ero mai sentita in quel modo. Era come se dovessi fronteggiare una persona diversa e non perchè lui lo fosse, solo perchè era diverso il mio atteggiamento nei suoi confronti. E mi mandava fuori di testa.
Alla fine riuscii a cambiarmi le scarpe in pace, seduta sul vecchio letto di Michelle addossato contro la parete. Una sbarra di plastica era infilata tra il bordo del letto e il materasso, montata perchè Oliver potesse starci quando dormiva dai nonni. Lasciai le Vans accanto alla porta e ripresi il calice di vino poggiato su una madia poco distante, poi mi persi per qualche momento tra le ombre di quella stanza. Sapeva di risate infantili e pigiama party, di confessioni sotto le coperte e compiti a casa. Inspirai quell'aria e poi l'abbandonai per tornare dalla futura sposa, piena del nostro passato.
Non ero abituata a camminare sui tacchi. A Silky Oak per indossarli avevi bisogno di un'occasione, così passavo la maggior parte del tempo con i piedi infilati nelle Vans o negli stivali da lavoro. In quel momento mi facevano sentire femminile, potente, ma li avrei scambiati volentieri con qualcosa di più vicino al suolo e stabile.
Lanciai un'occhiata alla porta socchiusa della stanza di Daniel ma parve non esserci nessuno, così ripercorsi la strada a ritroso, gli echi della festa che si facevano più intensi man mano che mi avvicinavo alla scalinata. Il fatto che non ci fossimo incontrati lì su non significava che non fossi comunque inquieta all'idea di incontrato, solo saperlo in una stanza piena di gente risultava più gestibile.
Certo, non mi sarei aspettata di vederlo infondo alla scala quando girai l'angolo che portava all'ultima rampa.
Era la sua schiena quella che vedevo, in realtà.
Il dorso ampio fasciato dal tessuto bianco della camicia infilata nei pantaloni scuri, la testa piena di ricci. Se ne stava in piedi sull'ultimo gradino, le braccia aperte con le mani poggiate sulle ringhiere che delimitavano ambo i lati della scalinata. Michelle gli sbarrava la strada, intenta a dirgli qualcosa che da lì non riuscivo ad afferrare.
Temporeggiai il tempo di uno, due respiri, poi cominciai a sentirmi una scema lì immobile e trovai il coraggio di continuare a scendere. Strinsi la presa sul calice di vino, pensando che avrei dovuto finirlo prima tutto d'un sorso, mentre con l'altra mano afferrai la ringhiera. Puntai lo sguardo sui gradini, scendendoli cautamente.
Una volta arrivata in basso gli avrei chiesto gentilmente di spostarsi e, anche se saremmo stati da subito fin troppo vicini, mi dissi che tanto alla fine ci saremmo dovuti incontrare, in un modo o nell'altro. Meglio tagliare la testa al toro.
Così guadagnai fiducia gradino dopo gradino, alzando persino gli occhi per scrutare la sala. Qualche altro ospite era arrivato - la famosa zia da Perth dei Ricciardo che procurava quel buonissimo vino dolce dalla sbronza facile; le cugine Daphne e Gillian; il padre di Vins con la sua compagna -, creando piccoli campanelli di persone che sollevavano calici e chiacchieravano rumorosamente. La cugina Daphne sollevò una mano quando mi vide, sorridendo nella mia direzione. Ricambiai staccando la mano dalla ringhiera, con un sorriso spontaneo. Avevo passato così tanto tempo con la famiglia Ricciardo che mi ci sentivo parte.
Quell'ultimo pensiero sembrò improvvisamente stonato.
Ci pensai mentre raggiungevo gli ultimi gradini che mi separavano dalla schiena di Daniel, ancora intento a discutere con Michelle. Ero nella scia del suo profumo. Alla fine aveva ascoltato la sorella e pareva essersi imbevuto in un'essenza al sandalo mischiata con qualche spezia. Intenso, ammiccante.
Scossi la testa e cominciai a sporgermi per toccargli una spalla e chiedergli di spostarsi.
<<D'accordo, d'accordo, vado>> esclamò lui con fare esasperato, rivolto a Michelle.
Sollevò le mani per aria mentre si girava per risalire la scala, dove sicuramente non si aspettava di trovare me.
Il suo piede era per aria ancor prima di notarmi, ancor prima che il suo braccio si scontrasse col mio.
Ci fu un attimo di caos. Lui non trovò appoggio sullo scalino, già impegnato dai miei piedi, ed io cercai di fare un passo indietro per dargli spazio. Solo che l'equilibrio non era dalla mia parte. Non avevo calcolato i tacchi, né il tessuto lungo del vestito. Strinsi la mano che teneva la ringhiera e sperai ardentemente che sarebbe bastata a tenermi in piedi, mentre la scarpa incespicava sul vestito e perdevo un appoggio.
Mi accorsi di aver tenuto chiusi gli occhi per tutto il tempo solo quando realizzai di non essere caduta.
A tenermi su però non era stata la presa sulla ringhiera ma le mani di Daniel, strette attorno alla mia vita. E lui, che mi guardava un gradino più in basso, con la camicia zuppa di vino e le labbra spalancate.
Un'imprecazione, detta a voce fin troppo alta, sfuggì dalla mia bocca.
<<Vi lascio prima che mi venga voglia di prendervi a testate, sistemate tutto>> esclamò Michelle e intravidi la sua sagoma allontanarsi da dietro le spalle di Daniel ma il viso di lui era, effettivamente, tutto ciò che riuscivo a guardare.
E che volevo guardare, considerando che sarebbe stato imbarazzante a livelli inimmaginabili scorgere le espressioni dei presenti. C'erano i miei genitori lì in mezzo, nonché mezza famiglia Ricciardo, ed io avevo appena fatto un gavettone al ragazzo prodigio di casa.
<<Se volevi vedermi senza camicia bastava chiedere>> affermò lui con tono scherzoso, anche se non abbastanza da cancellare quella vena di sensualità che accompagnava l'espressione sul suo viso.
Mi resi conto della presenza di Dedee, fin troppo vicina, solo quando sentii un colpo di tosse soffocato. L'aveva sentito. Eravamo fregati. Avrei dovuto dire qualcosa, controbattere, eppure non riuscii a distogliere lo sguardo.
Anche quando quello di Daniel si staccò dai miei occhi per far scivolare i suoi sul mio corpo, io rimasi a studiare il suo viso.
Fui consapevole dello spacco del vestito sulla gamba solo quando lui lo trovò con lo sguardo, e delle sue mani sui miei fianchi nel momento in cui li strinse con più forza e quasi bruciarono oltre il tessuto.
Non avevo idea di quanto stesse durando quella scenetta, il tempo sembrava essersi improvvisamente dilatato e i suoi gesti venivano processati dal mio cervello quasi a rallentatore, ma dovevamo metterle fine il prima possibile. Sentivo le guance andare a fuoco e, se Michelle si fosse girata a guardarci, a guardarmi, avrebbe capito tutto.
<<Tu vuoi uccidermi, Car>> sussurrò infine Daniel, tornando a guardarmi. Non si riferiva al nostro sfiorato capitombolo.
I suoi occhi erano carichi di qualcosa che riconobbi all'istante. Era lì, chiaro, cristallino, come qualsiasi emozione passasse dietro quelle iridi.
Il desiderio.
<<Smettila di guardarmi così>> trovai la forza di dire, bisbigliando tra i denti con imbarazzo.
Le labbra di Daniel si plasmarono in un sorriso sfacciato, malizioso. Un sorriso che sapevo non avrebbe portato a niente di buono.
<<Prima tu>> mormorò.
Capii che era arrivato il momento di prendere la situazione in mano per entrambi.
<<Vatti a cambiare, prima che Michelle cominci a gridare>> affermai.
La voce era leggermente roca ma, a parte quello, il cambio di registro riuscì ad infrangere l'atmosfera che si era creata. Almeno momentaneamente.
Feci per muovermi e lui non mi trattenne, lasciando scivolare le mani dalla mia vita per farmi scendere quell'ultimo scalino che mi separava dal resto della sala. Non lo guardai, ma sentii i suoi passi frettolosi sulle scale dirigersi verso il piano superiore.
Immaginai di seguirlo, di dargli una mano a togliersi la camicia bagnata.
Avevo il fiato corto, le guance accaldate e probabilmente un'aspetto ridicolo, ma per quanto mi dicessi di darmi una calmata non riuscivo a smettere di pensare al fatto che lui fosse da qualche parte, sopra la mia testa, intento a spogliarsi.
Non riuscivo a smettere di pensare a lui e basta.
Le cugine di Daniel e Michelle mi placcarono prima che potessi scappare a prendere una boccata d'aria, peggiorando nettamente la situazione perchè mi sentii quasi una criminale a fantasticare sul loro cuginetto proprio sotto i loro occhi.
Daphne era mia coetanea. Era la ragazza più alta che conoscessi e in quel momento appariva potente, fiera, con le spalle larghe lasciate scoperte e dei pantaloni a palazzo scuri. Aveva i lineamenti marcati ma il sorriso dolce, ed era sempre stata la cugina con cui più andavo d'accordo. Sua sorella Gillian, più grande di qualche anno, aveva l'aria della ragazza di città e ogni volta che passava da Silky Oak doveva rimarcare quando arretrata fosse la campagna in confronto a Perth e quanto puzzasse rispetto alla città, il che la rendeva piuttosto antipatica a chiunque del posto nonostante i suoi sforzi di sembrare quantomeno cordiale.
<<Che imbranato che è Danny>> esclamò Daphne di punto in bianco, portandosi il calice alle labbra e ridacchiando. Quel gesto mi fece pensare che procurarmi un altro bicchiere di vino sarebbe stato un ottimo punto di partenza per sopravvivere al resto della serata. <<Menomale che non ti ha sporcato il vestito>>
Mi dissi che quindi era quello, che la gente aveva visto da fuori. Che era a causa sua che c'eravamo scontrati. Personalmente non avrei saputo a chi dare la colpa, ma per qualche motivo mi fece sentire sollevata che i riflettori fossero su di lui.
<<Secondo me è inciampato proprio perchè ha visto Carolina in quel vestito>> ribattè Gillian, lanciando un'occhiata complice alla sorella e facendola scoppiare a ridere.
<<Sarebbe credibile>> rispose quest'ultima.
Il mio sguardo si spostò da una all'altra più volte, cercando di afferrare il sottotesto.
<<Che c'entra il mio vestito?>> domandai, forzando una risata. Sapevo che non era di quello che si stava discutendo, però.
<<Niente Car, ti sta benissimo>> affermò Daphne, facendomi un occhiolino. <<Come sta tuo fratello? Non viene?>> aggiunse poi, cambiando ancora discorso.
Scappai dalle due sorelle non appena ne ebbi l'occasione e corsi ad accaparrarmi un calice pieno di vino prima di poggiarmi con la schiena contro il muro perimetrale, sospirando rumorosamente.
Il modo in cui Daphne e Gillian avevano liquidato lo scontro tra me e Daniel, senza pensare neanche per un secondo che sarei potuta essere io quella che si era lasciata prendere la mano quando l'aveva visto tirato a lucido e così vicino, tanto da inciampargli addosso, mi aveva ricordato quando Daniel aveva detto di non preoccuparsi di cosa avrebbero potuto pensare i suoi amici a vederci passare del tempo insieme, che tanto nessuno si sarebbe mai sognato d'immaginare che tra noi potesse esserci qualcosa.
Lo sanno che sei fuori dalla mia portata, aveva detto.
Io non gli avevo creduto, soprattutto non pensavo davvero di esserlo, ma in quel momento capii cosa aveva voluto dire. Nessuno in quella stanza, nessuno in tutta Silky Oak, avrebbe mai avuto l'audacia di immaginare che io, Carolina Robinson, potessi provare qualcosa - fosse pure semplice attrazione - nei confronti di Daniel Ricciardo.
Il ragazzo aveva il mondo ai suoi piedi, ma secondo chiunque non avrebbe mai avuto me.
Ero combattuta da quei pensieri, non sapevo come sentirmi a riguardo.
Tantomeno avevo idea di come rispondere quando Dedee mi affiancò per chiedermi <<Cos'era quello?>>.
Non avevo bisogno di chiedere a cosa si riferisse. Infondo, Dedee mi conosceva un po' meglio degli altri presenti. E aveva sentito quello che Daniel aveva detto.
La mia rovina, avrei voluto rispondere.
Mi trattenni, un po' perchè non volevo mettere Dedee in mezzo, un po' perchè non sarebbe stato veritiero.
Daniel, al massimo, sarebbe potuto essere la mia salvezza.
O almeno, qualcosa per avvicinarmici.
Scossi la testa e rimasi in silenzio ad osservare la serata che cominciava ad ingranare.
Daniel tornò al piano terra poco dopo, con una camicia pulita e una giacca elegante. Era così bello che dovetti distogliere lo sguardo, temendo che osservandolo troppo gli avrei dato potere per affondare ancor di più le sue radici attorno ai miei organi.
Il mio stomaco l'aveva già conquistato e sul cuore ci stava lavorando, aggravare la situazione sarebbe stato rischioso.
Ero intenta a chiacchierare con mia madre e Dedee quando si presentò al mio fianco, rimpiazzando il calice vuoto tra le mie mani con uno pieno di liquido chiaro.
<<La mia offerta di pace>> affermò, facendo tintinnare il suo bicchiere contro il mio. Lo guardai di sfuggita. Sul viso aveva stampato un sorriso timido, quello che metteva in risalto la fossetta sulla guancia poco sopra la linea precisa della barba rada.
Mia madre gli strinse forte la spalla, a mo' di saluto, e lo riempì di complimenti per quanto fosse elegante.
<<Michelle mi ha costretto a mettere la giacca, per me la camicia era più che sufficiente>> rispose lui, dandomi un'idea del motivo per cui stavano bisticciando poco prima. <<Ma in questo modo, almeno non sfigurerò stando seduto vicino a Carolina>>> aggiunse.
Sentii lo sguardo di Dedee addosso ma non le diedi la soddisfazione di contraccambiarlo. In realtà, notai che anche mia madre mi stava scrutando con un'espressione indecifrabile.
Sorrisi alla due donne, volutamente esagerando il gesto, poi afferrai il braccio di Daniel e lo costrinsi a seguirmi.
<<Conosco la disposizione del tavolo, io e te non siamo seduti vicini. Non oggi almeno>> bisbigliai dopo aver messo qualche passo di distanza tra noi e le due donne. Un certo istinto mi suggeriva che, se mi fossi girata, avrei catturato lo sguardo di entrambe intento a seguirci.
Daniel, nel frattempo, prese la mano con cui gli avevo afferrato l'avambraccio e la sistemò scrupolosamente così che stessimo a braccetto.
<<Potrei aver spostato i segnaposto poco fa>> mormorò in risposta, guardandosi attorno e continuando a passeggiare per la stanza. <<Per creare un po' di caos>>
<<I nostri?>> domandai, curiosa e al tempo stesso incredula.
Daniel si girò a guardarmi e non riuscii a distogliere lo sguardo quando mi sorrise.
<<Tutti i segnaposto>> rispose, lasciando trapelare il divertimento che gli generava l'aver messo in atto quello scherzetto. <<Il fatto che io e te siamo capitati l'uno accanto all'altro è una casualità>>
<<Casualità>> ripetei, sollevando un sopracciglio.
<<Una piacevole casualità>> affermò, poi s'interruppe all'improvviso. Alzò una mano per attirare l'attenzione di una ragazza con la macchina fotografica appesa al busto. <<Una foto al testimone e alla damigella d'onore?>> chiese, non appena la fotografa ricambiò il suo sguardo.
<<Quanto ti piace sfruttare i nostri ruoli?>> gli domandai, sarcastica, prima di imbastire il mio miglior sorriso.
<<Tanto quanto l'idea di essere forzati a passare tutto questo tempo insieme>> rispose, imitando il mio gesto.
Fummo presto investiti dalla luce accecante del flash e risi da sola al pensiero di Michelle che avrebbe voluto bruciare quella foto una volta scoperto lo scherzo di Daniel e qualsiasi altro disastro che avevamo e che avremmo combinato sino alla fine del matrimonio.
<<Vado a finire il giro dei saluti>> annunciai, facendo scivolare il braccio dal suo. Era stato oltremodo confortante tenerlo stretto in quel modo, ma presto sarebbe cominciato a sembrare inopportuno.
<<A me tocca intrattenere i cugini di Vins>> replicò lui, osservando la mia mano tornare al proprio posto, ciondolante accanto al fianco. Mi chiesi se anche lui avesse provato quel senso di appartenenza a starsene vicini e avvinghiati, seppur per poco tempo. Poi mi sorrise. <<Ci vediamo a tavola>>
Il volto di Michelle cambiò diverse sfumature di rosso quando gli ospiti cominciarono a sedersi a tavola e comprese che doveva esserci stato un problema con i segnaposto. Nessuno avrebbe mai messo Bethany, la Zia di Perth, a dividere Dedee e Phillip, né i cugini di Vins sparsi ad almeno tre sedie l'uno dall'altro. Io e Daniel eravamo finiti all'estremità opposta del tavolo rispetto a Michelle, a buon ragione, con la nonna ipoudente di Vins a capotavola e di fronte Daphne e Liam, uno dei cugini di Vins che, Daniel mi aveva rivelato, aveva espressamente chiesto di poter capitare accanto a lei.
Michelle era in piedi davanti al suo posto, il capotavola che divideva con Vins, intenta ad osservare la disfatta della sua perfetta organizzazione. Tutto doveva sembrare comunque perfetto però, quindi non disse niente.
<<Un brindisi ai futuri sposi>> esclamò Daniel, lasciando la propria sedia e sollevando un flûte di champagne verso Michelle e Vins.
Tutti seguirono e la sposa fu costretta a sorridere, nonostante le fosse chiaro che quel disastro l'avesse combinato proprio suo fratello. Prese la mano di Vins quando lui l'affiancò ed entrambi i festeggiati sollevarono il proprio calice.
<<Alla mia bellissima sorellona e all'uomo, il santo, che fa parte delle nostre vite da una decade. Il matrimonio di domani sarà solo una formalità perchè, Vins, nel caso non lo sapessi, per i Ricciardo sei parte della famiglia dal primo giorno che hai varcato la porta di casa. Questa è casa mia tanto quanto è casa tua. Sono contento però che ci abbiate dato una scusa per ubriacarci, grazie. Ai nostri sposi, cin cin>>.
Tutti risero della battuta di Daniel ma, chi come me stava osservando Vins, si rese conto degli occhi lucidi del futuro sposo. Mi venne un'idea di come sarebbe stato l'indomani, se cominciava a piangere già da oggi. Il problema però, fu che vedere Vins emozionarsi fece pizzicare irrimediabilmente anche i miei occhi. La cosa mi sorprese fino ad un certo punto.
Se anche solo l'attesa di quel matrimonio mi aveva causato una certa instabilità, iniziavo a comprendere che i festeggiamenti avrebbero messo a dura prova i miei nervi.
Soprattutto se Daniel continuava a girarmi attorno in quel modo.
Io e Dedee non rimanemmo separate a lungo.
Approfittando degli antipasti a buffet, Dedee chiese con gentilezza e il suo miglior sorriso ai parenti di Michelle che sedevano accanto a noi di scambiarsi di posto. Così, il quartetto creato da me, Daniel, Daphne e Liam venne integrato da Dedee e Phillip. Più la nonna di Vins, a capotavola.
Quest'ultima si rivelò la parte più divertente della serata, almeno finché non chiese di essere portata in qualche stanza a riposare. Ci riempì di aneddoti di Vins da piccolo, la maggior parte dei quali mi ricordarono le imprese di Oliver, e raccontò la bellissima storia di come si erano conosciuti i genitori di Vins, che ammise essere il suo jolly in ogni serata. Daniel doveva averla messa accanto a noi pensando che ci avrebbe lasciato chiacchierare per tutta la sera senza interruzioni ed io risi al pensiero di quanto i suoi calcoli fossero stati errati.
Nel frattempo, di fronte a noi, si consumavano i tentativi del simpaticissimo cugino di Vins, Liam, di fare colpo su Daphne. Una sensazione alimentata dalle risate di lei mi diceva che, complice l'atmosfera del matrimonio, l'indomani il ragazzo sarebbe riuscito nel suo intento.
Daniel si confermò brillante e scherzoso e, quando nonna Susanna smise di tenere banco, fu lui a rimpiazzarla. Dalla nostra parte del tavolo si creò una sintonia tale che difficilmente calava il silenzio.
Raccontammo nuovamente a Phillip di quella sera al Fabrian, quando avevo cercato di assoldarlo come spogliarellista proprio sotto gli occhi di Daniel, e quest'ultimo rivelò i particolari di ciò che era avvenuto nel parcheggio una volta finita la festa, che eravamo tutti troppo ubriachi per ricordare.
Nella scia di racconti sui giorni passati da quando Daniel era tornato a Silky Oak, si lasciò persino sfuggire un accenno alla nostra sfida tra Zeus e il suo Pick Up. Anche se lo fulminai con lo sguardo, Dedee lo costrinse a parlare promettendo che non sarebbe arrivata neanche una parola a Michelle di quella sfida.
<<E alla fine Car ci ha portato a casa sani e salvi a cavallo, da vero cavaliere>> concluse, lanciandomi un'occhiata divertita al ricordo.
<<E tu cavalcavi all'amazzone?>> domandò Phillip, trattenendo a stento le risate.
<<Ormai noi donzelle in pericolo di Silky Oak siamo emancipate>> ribattè Daniel, ingollando l'ultima fetta di Roast Beef nel suo piatto. <<Io e Car crediamo totalmente nella parità dei sessi, vero? Come quando mi hai scarrozzato dopo l'addio al nubilato perchè ero troppo sbronzo per guidare>>
Gli diedi una stampata sotto il tavolo il cui significato era chiaro: smettila di divulgare tutte queste informazioni su quanto tempo abbiamo passato insieme.
Non era abbastanza ubriaco perchè le sue parole fossero guidate dall'alcool, lo stava facendo apposta. E pensai che non doveva essere soltanto perchè nessuno avrebbe mai creduto che potesse esserci qualcosa di più, tra noi.
Era come se stesse dando a Dedee, a Phillip, persino a sua cugina, briciole del nostro rapporto. Forse per tastare il terreno. Forse per dimostrarmi che nessuno si scandalizzava a saperci passare del tempo insieme, che poteva essere qualcosa di estremamente naturale. Il che era esattamente ciò che sentivo da quando avevamo cominciato ad interagire a cena. Un legame naturale.
Certo, lo sguardo che Dedee mi stava rivolgendo sin dalla scenetta sulle scale era curioso, intrigato. Lo sguardo di un'amica che ti conosce da una vita e sa capire benissimo quando qualcosa sta succedendo. Cercavo di ricambiarlo il meno possibile ma quando, verso la fine della serata, cedetti, lei mi sorrise.
Non sapevo cosa avesse visto in me, tanto da farla sorridere in quel modo.
Eppure significò qualcosa.
Daniel attirò il mio sguardo e mi fece cenno con la testa dall'altra parte del salone, indicando la porta d'ingresso.
Aggrottai la fronte, non capendo cosa volesse dirmi. Avevo tra le mani un vassoio carico di calici vuoti, essendomi offerta per dare una mano a rassettare mentre i Ricciardo salutavano gli ultimi ospiti. Daniel era preda di Zia Bethany e, conoscendola, non l'avrebbe lasciato andare tanto facilmente. Lasciai perdere quindi e raggiunsi Dedee in cucina, intenta a caricare la lavastoviglie.
Quando tornai in salone risi dello sguardo disperato di Daniel, ma non andai a salvarlo. Piuttosto, procedetti col recuperare le bottiglie di vino mezze vuote lasciate sul piano bar per andare a sistemarle in cantina.
Prima che potessi imbarcarmi per il secondo viaggio, delle mani mi sfilarono parte delle bottiglie dalla presa.
<<Quella donna è instancabile>> affermò Daniel, lasciando andare un sospiro. <<Settant'anni di pura energia e voglia di bere>>
Mi fece ridere e sembrò subito sollevato, poi afferrò le ultime bottiglie rimaste e mi accompagnò silenziosamente in cantina.
Tornammo in salone giusto in tempo per sentire Grace che invitava Michelle ad andare a dormire.
<<Tanto qui abbiamo finito di sistemare>> insistette, quasi accompagnandola alla porta. Intercettò il mio sguardo ed io feci un gesto che la incitava ad andarsene.
<<Vai Mimi, ci vediamo domattina>> dissi, sorridendo.
<<I vestiti ci aspettano a Villa Astoria>> aggiunse quindi Michelle, come se non me l'avesse già ripetuto una decina di volte. <<Lì alle dieci>>
<<Sarà fatto, capitano>> risposi, imitando un saluto militare.
Michelle alzò gli occhi al cielo, poi però mi fece segno di raggiungerla. Mi gettò le braccia al collo ed io sorrisi, perchè sapevo cosa si celava dietro quel gesto.
<<Andrà tutto alla grande>> affermai da sopra la sua spalla e non parlavo solo del matrimonio.
Michelle si convinse ad andar via e a lasciare Oliver a casa dei nonni, visto che era già addormentato nella vecchia stanza di lei. Rimasi a guardare mentre si allontanava verso casa sua, mano nella mano con Vins, poi il braccio di Daniel sfiorò la mia spalla.
<<Mettiti le scarpe>> disse, tranquillo. <<Ti porto ad una festa>>
<<Ci sarà River>> gli feci presente, ben consapevole che la festa in questione fosse il compleanno di Peter, alla fattoria dei Kellin.
<<Appunto>> rispose Daniel. <<Sarà uno schifo perchè tuo fratello mi eviterà per tutto il tempo. Se sarai con me, però, almeno non sarà tempo sprecato>>.
<<Lo sa che potrebbe piantare una grana anche solo vedendoci arrivare insieme?>> domandai, voltandomi leggermente per guardarlo.
Nel momento in cui i miei occhi incontrarono i suoi, accesi per la prospettiva di continuare insieme la serata, seppi di aver già deciso. Col benestare di River o senza.
<<E' una festa a casa dei Kellin, Austin ti avrebbe invitato a prescindere da me. O sbaglio? Ci andiamo insieme...>> s'interruppe, pensando al proseguo della frase <<Per comodità>>
<<Finiamo seduti vicini per casualità, andiamo insieme ad una festa per comodità. Sembra che il mondo sia proprio dalla nostra parte questa sera>> lo presi in giro, rendendomi conto soltanto mentre parlavo di quanto il tono della mia frase fosse ammiccante. Soprattutto unito al modo in cui lo stavo guardando.
<<Dirò al mondo di continuare così>> rispose lui, sorridendo sornione.
Scossi la testa con fare rassegnato e mi girai per andare a recuperare le Vans dalla camera dove dormiva Ollie.
Realizzai di essere totalmente fuoriluogo soltanto quando raggiungemmo la fattoria del Kellin. Sapevo di non essere vestita per una festa di compleanno, nonostante le Vans che avevo infilato al posto dei tacchi smorzassero la seriosità del lungo vestito nero con lo spacco. Tuttavia, fu sotto lo sguardo delle mie concittadine che capii di essermi guadagnata il centro dell'attenzione. Davanti ai miei occhi vedevo soltanto sandali e stivali texani, pantaloncini di jeans e vestitini a fiori. Era facile per me passare inosservata tra loro nella vita di tutti i giorni, con la t-shirt annodata sul ventre e gli shorts a vita alta. In quel momento, però, mi riconoscevano per quella che ero davvero. Un'adulta, ad una festa di ragazzini.
Mi dissi che, magari, era Daniel che guardavano. Neanche lui si era cambiato e falcava lo sterrato indossando il pantalone dell'abito e la camicia sbottonata sino al petto, le maniche arrotolate. Solo le Vans ai piedi stonavano col completo, identiche alle mie.
Forse, semplicemente, guardavano noi.
Per fortuna, Austin Kellin mise fine a quel supplizio correndoci incontro.
<<Che bellissima sorpresa Carol>> esclamò, gettandomi un braccio attorno alle spalle che tramutai in un abbraccio.
Incrociai lo sguardo divertito di Daniel oltre la schiena di Austin e ricambiai con una boccaccia. Sapevo che il suo era un implicito sfottò sulla mia presunta cotta per il biondino tra le mie braccia.
<<Mio fratello?>> domandai quando Austin passò a salutare Daniel con una pacca sulla spalla.
<<Con il festeggiato, a fare gli idioti completamente sbronzi>> rispose il ragazzo, indicando con un cenno del capo il lato della costruzione di legno poco distante. <<Non che io me la cavi meglio>>
Anche quella sera, file di lucine illuminavano lo spiazzo davanti al fienile e la musica proveniva dall'interno, sicuramente gestita dal gemello di Austin. Era tutto pressoché identico alla festa che si era tenuta lì solo pochi giorni prima - gli addobbi, le persone - se non per lo striscione che penzolava sopra l'ingresso del fienile con su scritto "Congrats Peter for makin' it to 27".
<<Lo sai com'è Peter, è uno spericolato. Ogni anno scriviamo la stessa frase e cambiamo soltanto il numero, sorprendendoci che sia ancora vivo anno dopo anno>> spiegò Austin, intercettando il mio sguardo.
Pensare che quello fosse il tratto caratteristico del migliore amico di River, il rimpiazzo di Daniel, non mi faceva stare tranquilla.
<<Andiamo a salutare>> disse Daniel, incamminandosi verso il punto indicato da Austin.
Trovammo il gruppetto di ragazzi in condizioni pietose.
Il festeggiato era in piedi su un tavolo di legno, senza maglietta e con una chitarra acustica tra le mani, i capelli completamente fradici. River era steso sulla panca accanto al tavolo, la testa poggiata sul grembo di Beth, la sua ragazza. Tutt'attorno stava seduto il resto della compagnia. Dylan e Laurence, i più piccoli, cercavano malamente di tenere il tempo battendo le dita sul tavolo. Un paio di ragazze, sedute a cavalcioni sulle panche, incitavano Peter a cantare il prossimo pezzo.
<<Danny, sei qui>> esclamò però il festeggiato, facendo voltare tutti nella nostra direzione. River si limitò a sollevare leggermente il busto con fare annoiato. <<In compagnia>> aggiunse, quasi stranito. Poi spalancò la bocca. <<Oddio Carol, non ti avevo riconosciuto. Ciao.>>
Quasi cadde dal tavolo per raggiungerci e Daniel si precipitò per aiutarlo a scendere senza rompersi una gamba. Abbracciò l'amico mentre gli faceva gli auguri. Per fortuna, io e lui ci limitammo ad un solo bacio sulla guancia.
Non avevo davvero voglia di scoprire se quello che gli imperlava viso, capelli e petto fosse sudore, una miscela di alcolici o entrambe.
<<Abbiamo quasi completato il triathlon>> esordì Peter, facendo ridere Daniel.
<<Ora è tutto chiaro>> rispose quest'ultimo, evidentemente comprendendo come mai il festeggiato stesse parlando di un Triathlon mentre era visibilmente sbronzo.
River si mise a sedere, scrutandoci per qualche secondo. Anche se in condizioni lievemente migliori rispetto agli altri, i segni del troppo alcool erano chiari anche su di lui. Nonostante ciò, annunciò <<Vado a prendere qualcosa da bere>>
<<Vengo con te>> dissi, perchè non avevo idea di cosa dire agli altri e sentivo davvero il bisogno di buttare giù qualcosa prima di pentirmi per aver assecondato Daniel.
Beth ci seguì, ma rimase un'ombra silenziosa. Io non ero ancora riuscita a scambiarci una parola e davvero non capivo cosa ci trovasse River in lei, soprattutto visto il quantitativo spropositato di tempo che le dedicava.
Chiacchierai con River a proposito della cena, gli raccontai qualche aneddoto della serata, risi dei capelli cotonati di nostra madre. River interagì senza troppo entusiasmo, ma neanche mi chiuse completamente fuori.
<<Sono qui solo perchè non avevo proprio voglia di tornare a casa e sapevo che Austin ne sarebbe stato felice>> sentii il bisogno di spiegare, mentendo, mentre mio fratello riempiva un bicchiere di birra. Gli chiesi di prepararne un altro e mi imbarazzò pensare che entrambi eravamo consapevoli che sarebbe stato diretto a Daniel.
River mi rivolse un'occhiata che rendeva davvero palese quanto poco ritenesse vero ciò che avevo detto.
<<Carol, mi va bene frequentare le stesse feste>> rispose lui, cominciando a sorseggiare la propria birra. Sollevai un sopracciglio.
<<Sembri scocciato però>> lo incalzai, e mi chiesi se magari non stessi cercando uno scontro con lui.
<<E tu non sei la ragione>> replicò però, lanciando uno sguardo di traverso ai suoi amici. <<Ma spero che tu sappia quello che stai facendo>> mormorò prima di girarsi a guardare Beth e, come se non stessimo affrontando un discorso più o meno serio, le domandò: <<Balliamo?>>.
La ragazza annuì sorridendo e lo seguì, la gonnellina a fiori svolazzava dietro di lei e le accarezzava le gambe lunghe e sottili.
<<Una strana coppia>> affermò una voce alle mie spalle.
Era la gemella di Austin, la più silenziosa dei tre e, forse, la meno amante di tutto quel casino che i suoi fratelli combinavano in fattoria. Nell'ultima settimana avevano dato almeno tre feste.
Mi fermai a parlare con lei e, quasi senza accorgermene, scolai sia il mio bicchiere che quello che avevo riempito per Daniel. Non era una grande idea bere tutta quella birra dopo il vino trangugiato a cena ma, forse, essere sbronza sarebbe stata l'unica vera cosa in comune con la maggior parte degli invitati.
Riempii nuovamente entrambi i bicchieri rossi e m'incamminai per tornare da Daniel, per quanto strana quell'idea potesse sembrarmi.
Peter era seduto a gambe incrociate sul tavolo e strimpellava la chitarra, Dylan sembrava intento a rapparci su mentre Laurence lo accompagnava con del beatbox.
<<Fai schifo con il freestyle>> gli disse quest'ultimo, dandogli una spallata. Poi Daniel s'intromise nella strofa e, anche se ero troppo lontana per distinguere perfettamente le parole, fece ridere gli altri.
C'era un albero poco distante, leggermente in penombra, con delle lanterne ricavate da vecchi barattoli appese ai rami. Mi poggiai contro il tronco, non volendo interrompere quel momento di goliardia, e rimasi a guardare i ragazzi divertirsi.
<<Suona qualcosa di country>> esclamò ad un certo punto una delle ragazze, sedendo accanto a Peter al centro del tavolo. <<Fate cantare anche noi>>
<<Bruce Springsteen>> esclamò Dylan.
<<Bruce non è Country>> replicò la ragazza.
<<Questo è un tema di cui dovremmo discutere>> affermò l'altro.
<<Suona la canzone preferita di Daniel>> disse allora Austin.
Aguzzai l'udito solo quando Daniel si lamentò di quella scelta, con una serie di <<No, dai, ragazzi>>.
<<Perfetta>> esclamò invece Laurence, lasciando andare un mezzo ululato prima di scoppiare a ridere.
Peter suonò il primo accordo, poi si fermò perchè fu scosso anche lui da una risata. Daniel ne approfittò per cercare di togliergli la chitarra di mano, ma Austin fu più veloce.
<<Com'è che dice sempre Danny?>> chiese allora Peter, guardando Austin come se fosse pienamente consapevole che l'amico conoscesse la risposta.
<<Non è una canzone su uno Stato, è una canzone su un posto>> disse infatti Austin, in una pessima imitazione di Daniel. Gli altri risero mentre Daniel si portò una mano a coprirsi il viso, imbarazzato.
<<Quanto ancora mi prenderete in giro per questa storia?>> domandò, la voce resa ovattata dai palmi delle mani schiacciati contro le labbra.
<<Anche le persone possono essere un posto dove sentirsi a casa>> continuò Austin, gettando un braccio sulla spalla dell'amico e ridacchiando. Dylan e Laurence applaudirono. Daniel sprofondò sulla panca, quasi scivolando fin sotto il tavolo, ancora con il viso coperto.
Poi Peter tornò ad intonare gli accordi, solo che questa volta riconobbi la canzone.
Immaginai il senso di quel teatrino e il cuore cominciò a battermi furiosamente nel petto.
<<In my mind I'm going to Carolina...>> cantarono in coro Austin, Dylan e Laurence.
Daniel doveva aver detto quelle cose, parlando di quella canzone. La sua canzone preferita, che parlava di un posto, non di uno Stato. Un posto con il mio nome. Un posto, dove si sentiva a casa.
Anche le persone possono essere un posto, mi ripetei mentre la testa vorticava.
Che si sentisse a casa, quando era lontano, pensando a me?
Mi chiesi da quanto tempo i suoi amici lo prendevano in giro per aver detto quelle cose, a quando risalivano quelle parole. Se le pensava ancora, se non ci credeva più. Se appartenevano agli ultimi giorni passati assieme o a un Daniel diverso, sepolto dal tempo.
Una parte di me ardeva alla sola idea che le pensasse davvero, tanto che dovetti stringere la presa sui bicchieri per evitare di farli cadere a causa di un improvviso tremolio. Volevo che pensasse quelle cose.
Volevo che Daniel provasse qualcosa per me.
Trovai sconvolgente quell'epifania, forse persino sbagliata su diversi piani etici, eppure incredibilmente vera.
L'avevo covata per giorni, godendomi come un piccolo, inaspettato dono ogni momento in sua compagnia. Ogni sorriso, ogni risata strappata.
Volevo che continuasse a farmi sentire come aveva fatto da quando era tornato, a guardarmi sempre come se fossi l'unica persona che gli importava guardare, a sorprendersi quando sorprendeva me ad osservarlo, quasi non lo credesse possibile. Lui, che era tutto ciò che chiunque avrebbe desiderato.
<<Carol, hai sentito il richiamo della canzone?>>
La voce di Austin mi fece sobbalzare, riportandomi brutalmente alla realtà. Scossi la testa e, persa com'ero nei miei pensieri, non mi ero neanche accorta di essere rimasta a fissare un punto indefinito del cortile quasi fino alla fine della canzone. Ricambiai lo sguardo del ragazzo e notai che Daniel, seduto al suo fianco, guardava ovunque tranne che verso di me.
<<Mi ero incantata, troppa birra>> risposi, cercando di dissimulare il mio imbarazzo. Lasciai il tronco dell'albero contro il quale ero rimasta sino ad allora e camminai fino a raggiungere il gruppetto di ragazzi stravaccato attorno al tavolo.
Affiancai la panca che condividevano Austin e Daniel e, senza pensarci troppo, m'infilai tra i due. Passai a Daniel il bicchiere che avevo spillato per lui e abbozzai un mezzo sorriso quando i nostri sguardi si incrociarono. Lui ricambiò con un sorrisino imbarazzato. Immaginai che si stesse chiedendo se avessi o meno origliato il preludio alla canzone. Ad ogni modo sembrò contento di potersi nascondere per qualche momento dietro il bicchierone rosso, trangugiando la birra al suo interno.
Rimasi in silenzio per un po', pensierosa, ma i ragazzi cercavano sempre di coinvolgermi e alla fine mi lasciai travolgere dal loro entusiasmo. Cantavamo a squarciagola il loro repertorio preferito di canzoni Country, allegri e alticci. Era notte fonda anche se non avevo idea di che ore fossero e, soprattutto, a nessuno sembrava importare. Tutto ciò che contava era la musica, la birra, le risate e per un momento mi dissi che non importavano neanche gli anni che ci separavano. Il sonno cominciava a rendere le palpebre pesanti, complici le nottatacce dei giorni passati, ma non volevo andare via.
Sentirsi così leggeri era bello tanto quanto incontrare casualmente lo sguardo di Daniel e poi distoglierlo, sfiorare la sua gamba con la mia, riconoscere il suo profumo tra gli altri. Il confine che avevo tracciato tra noi non pareva più tanto nitido e più passava il tempo, più ne sembravamo entrambi consapevoli.
La sua mano si poggiò casualmente sul mio ginocchio, sotto il tavolo, ed io non feci niente per spostarla. L'alcool mi rendeva più audace e mi faceva immaginare scenari poco appropriati. Ad essere onesti, era tutta la sera che pensavo a Daniel in modi sconvenienti. Solo che era più difficile contrastarli con le sue dita poggiate sulla mia gamba.
Il resto del mondo mi sembrò improvvisamente offuscato e la realtà fatta soltanto di quei piccoli tocchi, degli scontri casuali dei nostri arti, degli sguardi rubati, dei sorrisi sommessi.
Rimanemmo nella nostra bolla almeno finché, in un'accesa discussione su chi fosse il giocatore più capace di beer pong, qualcuno tirò in ballo il nome di Daniel.
<<In effetti, sono il più forte. E' solo che non volevo farvi sfigurare>> esclamò Daniel, dando il via ad un insieme di versi d'incitazione e sfida da parte degli amici. Con la punta delle dita stava disegnando dei cerchi sulla mia gamba e lo trovavo molto più interessante della conversazione, così li lasciai parlare senza sentire il bisogno di intervenire.
Impazzivo al pensiero di stargli lasciando fare ciò che stava facendo.
Impazzivo pensando a come sarebbe andata a finire quella serata, a quando sarebbe stato troppo e gli avrei dovuto dire basta.
Impazzivo pensando, pensando, pensando.
<<Forse non giochi soltanto perchè hai paura di essere battuto>> disse Peter, dopo qualche scambio di battute a cui non avevo dato peso.
<<Sai cosa Pete, se questa è una sfida, considerala accettata>> ribattè Daniel, interrompendo il contatto con la mia gamba per portare entrambe le mani sul tavolo e sporgersi verso il festeggiato. <<Solo se Car gioca con me però>>
Un'altra ondata di "uhhh" si levò mentre i ragazzi si girarono contemporaneamente a guardarmi. Rimasi per un attimo spiazzata, non avendo prestato particolare attenzione al dibattito.
<<Se tu prendi Carol, io prendo Austin>> aggiunse Peter, distogliendo lo sguardo giusto il tempo di cercare quello di Austin e fargli un cenno.
Io aprii la bocca pronta a dirgli di lasciar perdere, che non avevo più l'età per certe cose. Mi dissi, però, che quello era proprio il modo in cui non volevo sentirmi. Che quella serata, proprio all'alba del matrimonio della mia migliore amica, era fatta per cercare quella leggerezza che sembrava da tanto dimenticata, quel guizzo di follia così difficile da ritrovare nella vita ordinaria.
Magari ero davvero troppo grande per certe cose, e ne avrei pagato le conseguenze. Ma non quella sera.
Così mi misi in piedi anch'io, affiancando Daniel.
<<Avete appena sfidato un asso del beer pong>> esclamai, poco prima di battere il cinque al mio compagno di squadra.
Effettivamente, non giocando da un po', le mie doti da giocatrice erano abbastanza arrugginite e nonostante gli sforzi di Daniel ci ritrovammo a perdere metà dei bicchieri dalla nostra parte del tavolo prima ancora di fare centro in due di quelli avversari. Il che creava un notevole problema, considerando che tutta quella birra che eravamo stati costretti ad ingurgitare, complice anche ciò che avevamo già bevuto prima del gioco e una certa dose di stanchezza, aveva fatto subito effetto. La testa mi girava e mirare cominciava a diventare un serio problema.
Per fortuna, Peter e Austin erano molto più ubriachi di noi e diedero segni di cedimento dal quarto bicchiere che centrammo, regalandoci un po' di respiro. Io e Daniel festeggiammo quel punto battendo un cinque per aria, quello dopo il cinque si trasformò in una stretta di mano che durò più del previsto.
Quando cominciammo a vincere mi sentii euforica. La sensazione mi inebriò più dell'alcool, ricordandomi quanto sapessi essere competitiva. Saltavo sul posto e ridevo, lanciando occhiate entusiaste a Daniel che sorrideva e mi guardava assorto, tanto che mi chiedevo come facesse a giocare così bene se tutto il tempo, in realtà, teneva gli occhi su di me. Gli era saltato un bottone della camicia dopo un movimento brusco e aveva un'aria giovane e ribelle con il petto in mostra, i capelli scompigliati e le guance arrossate dall'alcool. Sapeva di libertà.
<<Tutta fortuna>> gridò Austin quando centrai il sesto bicchiere, o meglio biascicò, ma neanche ci feci caso. Daniel era dietro di me e mi afferrò le mani, sollevandole al cielo in segno di vittoria. Risi poggiando la testa all'indietro, contro la sua spalla.
Peter si fece presto dare il cambio da Dylan perchè non riusciva ad ingurgitare un altro goccio d'alcool. Daniel sbagliò un paio di colpi, segno che anche su di lui la birra aveva avuto un certo effetto, per poi ritrovare la concentrazione e mettere a segno i punti finali.
Io non riuscivo a smettere di ridere.
Mi facevano ridere i tentativi di sabotaggio di Austin, che cercò persino di prendermi in braccio e trascinarmi via; mi faceva ridere la posizione con cui Daniel sosteneva di riuscire a centrare ogni tiro; mi facevano ridere i miei sbagli, essendo pienamente consapevole che non sarei più riuscita a mettere a segno alcunché.
Le ultime manches mi sembrarono infinite. A noi erano rimasti tre bicchieri, agli opponenti solo uno. Quando Daniel riuscì a centrarlo, con tanta forza da farlo retrocedere di qualche centimetro, urlai.
Un secondo più tardi le mie braccia erano attorno al collo del mio compagno di squadra, le sue avvinghiate al mio busto con tanta forza che quasi faticavo a respirare. Doveva essere la stessa cosa per lui. Afferrai la stoffa della sua camicia tra le dita, la strinsi. Sentivo la pelle calda della schiena sotto il tessuto, quella del suo collo contro la mia guancia. Immersa nel suo profumo, nella forza di quell'abbraccio, mi persi. La testa mi girava ma lui mi teneva salda. La sensazione di essere tornata tra le sue braccia era inebriante, mi rivelò che non avevo desiderato altro che abbracciarlo di nuovo dopo la scorsa sera. Lo sentii ridere, il petto che si alzava e abbassava irregolarmente contro il mio, il suono direttamente nel mio orecchio, e qualcosa si mosse in me. Avevo il folle desiderio di dimenticare qualsiasi cosa e rifugiarmi lì per sempre.
Daniel mi strinse un po' di più prima di cominciare a cedere la presa.
Mi sfilai lentamente, portando le mani sul suo petto. La mia guancia sfregò contro la sua, la sua barba rada che graffiava contro la mia pelle mi fece piacevolmente rabbrividire.
Condividemmo un respiro.
L'attimo dopo ci stavamo baciando.
🐎🐎
Complimenti se siete riusciti ad arrivare sin qui!!! Io scappo, così posso pubblicare. Spero che vi batta un po' il cuore.
Ciao, vostra
Donna
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