5.2. MARTEDI': Corse, tramonti e fumate bianche.

La lunga strada asfaltata che collegava sia la fattoria dei Robinson che quella dei Ricciardo terminava, dopo qualche centinaio di metri da quest'ultima, in una serie di stradine sterrate che si perdevano nell'immensa prateria con la quale confinavano entrambi i terreni.

Una di queste costeggiava in lungo tutti i vigneti dei Ricciardo, fino ad arrivare ad uno strapiombo recintato da una staccionata di legno, che aveva una vista mozzafiato su ettari ed ettari di prateria deserta. Tutti a Silky Oak conoscevano quel posto, era il punto panoramico migliore della città,. La sua fama, tuttavia, non derivava solo dalla bellezza del paesaggio, ma anche perchè era il luogo prediletto da giovani e adulti per i primi appuntamenti. Generazioni e generazioni di coppie avevano sfruttato il tramonto spettacolare che quel posto spesso regalava ai suo avventori, capace di rendere magico persino gli incontri più banali.

Quando il ragazzo l'aveva proposto come meta avrei dovuto obiettare, o quanto meno fare qualche battuta a riguardo, tuttavia le volte che c'ero stata negli ultimi quattro, forse cinque anni, vi ero finita passeggiando solitariamente. Non mi era venuto in mente a primo acchito il motivo per cui tutti andassero in quel posto. Passato il momento giusto per controbattere, avevo optato per l'indifferenza.

Quando Daniel chiese, sporgendosi dal finestrino del Pick-up <<Lo sai come ci si arriva?>> io alzai gli occhi al cielo e Zeus sbuffò per me.

Oliver, ridendo, cercò di scavalcare lo zio per allungare una manina paffuta e toccare il muso imponente di Zeus che, affamato di attenzioni com'era, si avvicinò con entusiasmo e infilò la testa attraverso il finestrino dell'automezzo per incontrare le dita del bambino.

Nel farlo, sbavò senza ritegno sulla maglietta di Daniel, che almeno aveva avuto la decenza di andarsi a togliere la canotta sudata.

Risi anche io di quella scena, mentre il ragazzo si lamentava teatralmente.

Eravamo paralleli all'inizio del sentiero che avevamo scelto per la nostra sfida. Daniel, con il pick up rosso e attempato di suo padre, aveva tutte le ruote sulla strada sterrata mentre io e Zeus ce ne stavamo appena sul bordo, sulla sterpaglia che, solitamente di un bel verde acceso, a causa del caldo afoso di quell'estate tendeva più ad un giallognolo malaticcio.

<<Partiamo? Non ho tutto il pomeriggio>> li incitai, accarezzando la criniera bianca del cavallo e tirando le briglie per farlo tornare sull'attenti.

Daniel doveva sporgersi di parecchio dal Pick Up per guardarmi. Ero molto più in alto di loro, grazie alla stazza imponente Zeus.

Il ragazzo alzò un pollice ed il nipotino lo imitò, sorridendo con tutti i suoi venti piccoli dentini da latte. Il suo viso spuntava da un casco dal casco da cross che Daniel doveva avergli regalato, per fare il paio con la moto che gli aveva procurato per Natale.

<<Al tre, dritti fino alla fine del sentiero. Tu sul prato e io sullo sterrato.>> spiegò Daniel, eccitato quanto Oliver.

<<Ricevuto, Oliver conta>> risposi.

La vocina cominciò ad elencare i numeri.

Al due, il mio corpo si inclinò verso il muso di Zeus, pronto a dargli il comando. Le redini in una mano, l'altra a stringere il pomello di cuoio della sella.

Al tre, con voce ferma, gridai <<Vai!>> e con una leggera pressione delle redini Zeus partì nello stesso momento in cui Daniel sollevò una nuvola di polvere con le ruote del Pick Up.

Il rombo del motore, portato a velocità molto più elevate rispetto a quelle per cui era pensato, copriva persino il suono degli zoccoli che cadevano pesanti sulla sterpaglia.

Zeus era un cavallo da corsa tanto quanto quel Pick Up era adatto a simili prestazioni, ma adorava galoppare libero per la prateria e questo valeva più della propria conformazione da animale da lavoro. Il busto largo e possente era stabile mentre le zampe si libravano velocemente sul terreno e dopo la prima curva del sentiero fummo in testa, liberandoci finalmente della polvere che Daniel sollevava ad ogni metro guadagnato sulla strada.

Con il vento dato dalla velocità che mi sverzava il volto e qualche ciuffo di capelli scappato dalle trecce, mi girai per guardare verso i miei rivali e intravidi Daniel intento a sollevare una mano per indicarmi, come a voler dire "vengo a prenderti". Non potei fare a meno di ridere. In realtà, mi resi conto, sorridevo da quando Zeus aveva cominciato a correre. Come sempre, non c'era niente che mi facesse sentire come stare lì su, a godere del sole e del vento e della velocità, dei muscoli di Zeus che si allungavano e contraevano ritmicamente sotto le mie gambe e, per questa volta, anche a fregiarmi del sapore della vittoria per quell'improbabile sfida.

Le vigne della fattoria dei Ricciardo sfrecciavano alla mia destra mentre a sinistra, in lontananza, s'intravedeva una fitta boscaglia di querce dalle foglie dorate. Avrei dovuto proporre di correre tra i sentieri in mezzo a quegli alberi, lì sì che Daniel avrebbe avuto vita difficile con il suo Pick Up. In quel momento, invece, stava costruendo la sua rimonta complice un rettilineo dall'apparenza infinito.

Mi raggiunse e riuscii a sentire la sua risata librarsi dal finestrino aperto, intrecciata con quella di Oliver. Il suono mi distrasse e per qualche metro il muso rosso del Pick Up fu davanti a quello di Zeus.

Anche quest'ultimo però sembrava aver preso la sfida sul personale e riuscimmo presto a recuperare. Tra le curve dello sterrato e la nuvola di polvere sollevata dagli pneumatici, le mie grida di incitamento e le risate dei due ragazzi, mentre il sole che pian piano si preparava a scendere oltre l'infinita prateria che ci si stagliava davanti agli occhi, il recinto che delimitava la scarpata apparve davanti ai nostri occhi.

Preceduto da un ultimo rettilineo, entrambi avremmo dovuto cominciare a frenare alla vista della meta. Tuttavia, eravamo entrambi pienamente consapevoli che, essendo ancora vicini tra noi, il primo a mollare sarebbe stato anche inevitabilmente superato prima dell'arrivo alla fine del sentiero. Fine che sembrava improvvisamente ed inevitabilmente troppo vicina alla recinzione di legno.

Il pericolo mi fece vibrare le ossa, ma non mollai l'andatura. Pensai ad Oliver. Michelle l'aveva affidato a me probabilmente per evitare esattamente ciò che invece stavamo facendo, e mi ero ritrovata ad essere persino complice di quella sciocchezza. Se fosse successo qualcosa al bambino non mi avrebbe mai perdonato, e nemmeno io sarei mai riuscita a perdonarmi.

Con le ringhiere di legno che si avvicinavano ad una velocità che pareva improvvisamente incontenibile, non riuscivo a non chiedermi come avrebbe fatto Daniel a frenare se non avesse cominciato ora a premere sul freno. Dovevo fare qualcosa. Dovevo intervenire prima che fosse troppo tardi, prima che Oliver potesse anche solo rovinarsi un capello.

Invece continuai a correre.

Scoprii, in cuor mio, di fidarmi di Daniel.

Non in generale magari, ma con le mani su un volante sì.

Sia io che Zeus lasciammo tutto ciò che avevamo sugli ultimi venti metri di quel percorso e non appena i suoi zoccoli terminarono il percorso sterrato, con qualche secondo d'anticipo rispetto ai nostri avversari, tirai le briglie in modo da virare violentemente a sinistra per evitare lo steccato.

Subito dopo mi girai per guardare il Pick Up.

Daniel aveva fatto la stessa mossa ma verso destra, e ci volle un po' prima che riuscissi a vedere con chiarezza il mezzo, nascosto dall'immensa polvere che la violenta sterzata aveva sollevato.

Scesi da cavallo non appena intravidi Oliver intento a corrermi incontro, gridando contento.

Lo sollevai tra le braccia e gli feci fare qualche salto, per poi stringerlo forte a me, con la testa sulla mia spalla che pesava per colpa del casco che indossava ancora.

<<Facciamolo di nuovo, dai zia Rolly>> mi incitò, battendo i pugnetti contro le mie braccia.

<<Non esiste>> risposi con tranquillità, allontanandolo da me per sollevarlo fino a farlo salire sulla sella, in groppa a Zeus <<Piuttosto, goditi il giro d'onore sul vincitore>>

In quel momento, un battito di mani rallentato giunse alle mie orecchie e vidi Daniel avvicinarsi lentamente, uscendo dalla nebbia di polvere che lentamente si diradava come se fosse l'eroe di un film d'azione.

Seguii il suo sguardo mentre si posava su di me, poi lo vidi spostarsi verso il nipote.

<<Ei, non volevi farlo salire in macchina con me, e poi lo metti lì su? Chi è ora l'irresponsabile?>> domandò Daniel, indicando il bambino con le mani strette sul pomello di cuoio della sella.

Scossi la testa dopo aver ricambiato la sua occhiata.

<<Oliver è salito su Zeus prima ancora del suo primo compleanno>> risposi, tirando leggermente le briglie e facendo un primo passo seguita diligentemente da Zeus. Camminai verso Daniel e lo superai, accingendomi a raggiungere la staccionata senza però interrompere il contatto visivo. <<Ora ricordo>> esclamai, quando un pensiero mi fece sorridere <<Mimi me lo diceva sempre, tu odi i cavalli>>

Daniel sbuffò in un modo tremendamente buffo, restando fermo impuntato alle mie spalle.

<<Io non odio i cavalli>> esclamò, con l'aria poco convinta <<Sono i cavalli che odiano me, è diverso>>

<<E quindi alla fine c'è qualcuno, in questo mondo, che non ti sopporta>> replicai, dando parecchi spazi vuoti alla fine di ogni frase, per sottolinearne il contenuto ed il modo scherzoso in cui mi stavo ponendo. <<Dovevo aspettarmelo che il ruolo sarebbe toccato ai cavalli, che certamente sono più intelligenti degli esseri umani>>

<<Ho capito, va bene, hai vinto la scommessa, il tuo premio sarà prendermi in giro quanto vuoi senza che io possa ribattere>> disse il ragazzo. Quando mi girai a guardarlo, aveva alzato le mani in segno di resa.

Lo studiai per un momento, senza smettere di camminare lungo la recinzione con Zeus affianco.

<<Non credo che sarà questo il mio premio, è più divertente quando ribatti>> decisi di rispondere, questa volta distogliendo lo sguardo e direzionando la mia faccia divertita verso Oliver.

Daniel dovette rimanere sorpreso, perchè ci mise qualche secondo in più solito per rispondere.

<<Cosa vuoi allora?>> chiese.

Il tono della sua voce, seppur proveniente dalle mie spalle e leggermente distante, mi parve nascondere una certa malizia oltre il solito involucro scherzoso che incartava tutte le sue frasi.

<<Te lo farò sapere>> risposi, liquidando il tutto con un gesto della mano.

Poi continuai semplicemente a camminare, senza però smettere di ridere tra me e me.

Il paesaggio attorno a noi era da togliere il fiato. La scarpata delimitata dalla staccionata di legno assomigliava ad un balcone sulla prateria. In realtà l'altezza rispetto al resto del terreno non era poi così importante, forse persino chiamarla "scarpata" era esagerato, ma era il nome con cui tutti chiamavano quel posto a Silky Oak e seppur meno imponente di quello che la gente voleva credere, lo spettacolo era effettivamente magnifico, e in città sentivamo il bisogno di avere qualcosa di tanto maestoso. Distese infinite di prato, ora di un verde brillante, ora giallo paglia, tagliato da qualche sentiero e da un fiume che terminava molto più in là in un bel lago nascosto da una zona più boschiva con le sue alte querce - i silky oak -, riempivano lo sguardo fino a darsi il cambio con pennellate di un bel color ceruleo, con delle leggere striature rosa ed arancioni.

Io, Oliver e Zeus passeggiammo prima lungo la staccionata, poi fino ai filari del vigneto poco distanti, e solo dopo parecchi minuti c'incamminammo per tornare al punto d'arrivo della gara. Daniel, nel frattempo, era rientrato nel Pick-Up che aveva lasciato acceso dopo la gara e l'aveva sistemato col muso che guardava dritto verso il recinto di legno. Poi era uscito dall'abitacolo e si era sistemato sul cofano anteriore, sdraiandosi con la schiena poggiata contro il parabrezza, lo sguardo perso dritto davanti a sé.

<<Dobbiamo andare>> annunciai, una volta vicina abbastanza. Le parole sembrarono stranamente fuori posto in quel momento di quiete, come se stessi realizzando solo dopo averle pronunciate quanto mi sarebbe piaciuto prendermi qualche minuto in più per restare ferma lì, in silenzio, a guardare il tramonto.

Lasciare che i pensieri rincorressero le nuvole senza una singola preoccupazione, o un'emozione fuori posto. La mia mente, tuttavia, corse a pensare al lavoro da fare al Blue Wren. Quanto alle emozioni fuori posto, a causa di tutti i sentimenti contrastanti che avevano lottato dentro di me nelle giornate passate, e finita la scarica di adrenalina data dalla gara, mi sentivo inesorabilmente, svuotata.

Aiutai Oliver a scendere dal cavallo e lo guardai correre per qualche momento, finché non raggiunse il Pick Up rosso. Daniel sembrò accorgersi di noi solo allora. Lasciò perdere le elucubrazioni che lo avevano tenuto impegnato mentre guardava il cielo e si concentrò sul bambino, intento ad attirare la sua attenzione.

Poi guardò me. I capelli ricci erano più scompigliati che mai e gli cadevano sulla fronte alta, il viso era girato di lato ed il mento toccava la spalla. La linea delle sue labbra piene, solitamente sempre rivolta verso l'alto, formava una retta inespressiva e gli donava un'aria smarrita.

<<Altri cinque minuti>> disse, e mi sembrò di nuovo il ragazzo triste che avevo incontrato la scorsa sera sul fienile dei Kellin, lo stesso a cui avevo sbattuto in faccia il cancello dopo che aveva avuto la premura di portarmi a casa.

<<Devi ancora raccontarmi cosa ti rendeva triste ieri>> risposi, facendo un passo verso di lui. Mi sembrò appropriato specificare nonostante lo sembrasse anche in quel momento, per fargli capire che parlavo del nostro patto di condivisione della tristezza. Prima che me ne rendessi davvero conto ero davanti al Pick Up.

Aiutai Oliver a raggiungere lo zio sul cofano rosso sbiadito. Daniel lo prese al volo e se lo sistemò sulle gambe, la testa sul suo petto, le braccia muscolose attorno al suo corpo piccolo e rotondo. A quel punto, del viso di Oliver, s'intravedevano soltanto gli occhietti curiosi. Il ragazzo scivolò di qualche centimetro prima di tornare a sdraiarsi con la schiena sul parabrezza e riportare lo sguardo verso l'altro.

<<Penso che tu possa arrivarci da sola>> affermò, ma sembrava passato così tanto tempo dalla mia domanda che non capii subito di cosa parlasse. <<Che fai, non vieni?>> aggiunse subito dopo, cambiando registro. <<La vista è più bella da qua su>>

Un timido sorriso fece ruotare nuovamente le sue labbra verso l'altro e mi dissi che mi sarei sentita troppo in colpa, se fossi stata io a farglielo perdere.

Così mi arrampicai anche io sul cofano e mi ritrovai seduta accanto a lui, più vicina di quanto mi sarebbe piaciuto. Il calore del motore mi costrinse a sollevare le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini, così tirai le ginocchia al petto e ci poggiai sopra il mento, guardando dritto verso la prateria. Lo spettacolo di colori pastello davanti ai nostri occhi era inebriante, ma le ombre degli alberi in lontananza sembravano allungarsi sempre più velocemente, segno che presto il tramonto sarebbe giunto al suo apice. Per me era proprio quel momento fugace, la parte che preferivo dei tramonti. L'attimo subito prima che tutto cominci a scurire.

<<Lo sai che River è un idiota>> dissi dopo aver ragionato per qualche attimo sulla risposta di Daniel, e su quanto mi aveva detto poco prima a casa sua. Mio fratello sapeva davvero essere un idiota, ma Daniel faceva parte di lui tanto quanto il suo bisogno di ricevere attenzioni. Non vedevo una singola ragione per cui potesse davvero evitare Daniel.

<<Io gli voglio bene perchè è un idiota>> mormorò quest'ultimo, mestamente. Il modo in cui pronunciò la parola idiota racchiudeva una dose smisurata di affetto. <<E' il mio migliore amico. Non c'è nessuno per me come lui>>

<<Qualsiasi cosa sia, insisti. Lo sai quanto ama vedere le persone impegnarsi per lui>> mi sentii di consigliare, sapendo che prima avrebbero risolto i loro problemi, prima avrei smesso di ritrovarmi Daniel sempre tra i piedi.

<<Cosa vedi lì?>> chiese Oliver, interrompendo la nostra conversazione e spostando l'attenzione di Daniel su una nuvola sopra le nostre teste.

Ruotai il viso, poggiando la guancia sulle ginocchia che ancora tenevo stette al petto, così da riuscire a guardarli. Rimasi ad osservarli per un po', intenti a cercare forme inesistenti nelle forme morbide delle nuvole cotonate.

<<Lo so che non sei come lui, Car>> disse Daniel all'improvviso, prendendomi in contropiede. Se non avesse aggiunto il mio nome alla fine della frase, probabilmente non avrei neanche capito che stesse parlando con me. Si riferiva alla scorsa sera, quando avevo risposto ad una specie di complimento accusandolo di trattarmi come voleva essere trattato River.

Rimasi a guardarlo perchè lui stava guardando altrove, impegnato a giocare con i pugni di Oliver tra le mani. I lineamenti del suo viso erano definiti ma rilassati, le ciglia scure come i capelli erano lunghe e folte, sulla pelle abbronzata del viso mi sembrò di scorgere una leggera tonalità di rosa. Sembrava così giovane. Era così giovane, con i suoi ventisette anni stampati sul viso.

<<Lo sai veramente? Perché proprio ieri pensavo che ti conosco da una vita, eppure non abbiamo mai parlato davvero, non come in questi giorni. So tutto di te. Io e Michelle parliamo di te costantemente. Sei cresciuto sotto i miei occhi. Ma infondo non ti conosco affatto. E lo trovo sconcertante>>

Mi buttai in quel discorso senza averlo programmato, dando semplicemente voce a tutto ciò che mi era passato per la testa la scorsa sera. Gli occhi di Daniel scattarono a cercare i miei, un'espressione incredula modellava il suo volto.

Sembrava alla ricerca delle parole giuste per esprimere il suo disappunto.

Aprì e richiuse le labbra diverse volte, indeciso.

<<Io ti conosco>> affermò all'improvviso, prima di serrare la bocca. La frase suonò strana, come se fosse troncata, un pezzo di un pensiero molto più elaborato. <<Ma ora dimmi di più di te e Michelle che parlate costantemente di me>> aggiunse poi, con fare scherzoso. Sollevò le sopracciglia nella migliore dimostrazione della sua faccia da schiaffi ed io finsi di cascarci, levando gli occhi al cielo.

Riuscivo però a vedere oltre quella nebbia di simpatia. Sapevo di detto qualcosa che l'aveva toccato in qualche modo, per quanto volesse far finta di niente. E questo, forse, diede una risposta ai miei interrogativi.

<<Sei il fratello della mia migliore amica, è ovvio che parliamo di te>> risposi, mettendo da parte argomenti più scomodi. Ad ogni modo, quel dettaglio sembrava davvero interessare Daniel, che mi studiava incuriosito. <<Andiamo, tu e River non parlate mai di me e Michelle?>> aggiunsi. Mi era sempre sembrato normale, sparlare con la mia migliore amica dei nostri fratelli.

<<Non vorrei rivelartelo così ma, tra ragazzi, le sorelle degli amici sono un argomento, come posso dire, tabù>> disse lui, lasciandomi sinceramente sorpresa. <<River poi ha una particolare tendenza a prendere a pugni chiunque parli di te>>

Il suo sguardo sembrò perdersi per qualche attimo nei ricordi, poi una risatina si impossessò delle sue labbra.

<<Cosa? Raccontami!>> lo incitai, sempre più attonita. <<Dai, dai>>

<<E' troppo imbarazzante>> decretò lui, scuotendo l'unica mano che Oliver gli aveva lasciato libera. <<Magari un giorno, dopo un'innumerevole quantità di birre, te lo racconterò>>

Lo guardai storto, rendendomi conto solo allora di aver lasciato la mia posa composta e di essermi avvicinata ancora di più a lui, presa dal discorso. Mi sentii tirare improvvisamente la testa verso il basso. Oliver aveva catturato una delle mie trecce e ci stava animatamente giocando.

Daniel dovette intervenire per aiutarmi a liberarmi e, approfittando del caos, disse <<Tornando al discorso di prima, credo di aver capito che vuoi passare più tempo con me, per conoscermi meglio>>.

M'immobilizzai all'istante e mi ritrovai faccia a faccia con Daniel, davvero troppo vicino per i miei gusti, intento a sorridere. Non aveva il diritto di avere un sorriso così disarmante.

<<Non è quello che ho detto>> lo ripresi non appena riuscii a mettere un po' di spazio tra noi, libera dalla presa di Oliver. Il cofano della macchina cominciava a starmi stretto e mi spostai il più possibile verso il bordo.

<<A me piacerebbe>> rispose semplicemente lui, come fosse la cosa più naturale da dire in quel momento.

Voltai la testa e raggiunsi il bordo del Pick Up, pensando che per quel giorno ero stata sin troppo indulgente. Ero stata al gioco, avevo accettato la sua sfida, mi ero divertita, avevo acconsentito persino a starmene lì a chiacchierare con lui, a guardare il tramonto seduti sulla sua macchina come fossimo in un film degli anni novanta. Mi ero lasciata prendere la mano dalla scenografia e avevo esagerato con i discorsi a cuore aperto, ma nella poesia del momento era stato difficile ricordarsi chi eravamo. In quel momento, però, sentivo di dover mettere una certa distanza tra noi. Di ricordare che c'era il fratello di Michelle davanti a me. Non un ragazzo qualunque, ma Daniel. E lui forse poteva permettersi quegli sguardi, quel modo di fare un po' ambiguo che mi aveva riservato da quando era tornato a Silky Oak, quegli sguardi silenziosi, alternati ad esternazioni dette con leggerezza ma che implicavano significarti con un peso specifico ben diverso. Io no, però. Io dovevo essere quella matura, dare un significato a quei cinque anni d'età che ci separavano

<<Dobbiamo davvero andare>> tagliai corto, sempre continuando ad evitare il suo sguardo.

La sua mano mi afferrò il braccio, forse con una presa un po' troppo stretta. Persino lui dovette rendersene conto perchè l'allentò immediatamente.

<<Scusa>> mormorò, e non capii se fosse rivolto alla presa o a ciò che aveva detto. Probabilmente non sembrò chiaro neanche a lui, perchè ripetè un'altra volta <<Scusa, Car>> con tono sommesso.<<Fa' finta che non abbia detto niente, ma fammi un favore, sdraiati per un attimo e goditi questo momento. Solo qualche minuto. Poi ce ne andiamo, promesso>>

Daniel mi sembrò improvvisamente impacciato ed io dovetti davvero sforzarmi per non cedere a guardarlo, perchè sapevo che se l'avessi fatto, se avessi ceduto, lo sguardo che avrei trovato sul suo viso mi avrebbe rattristato forse più del dovuto.

<<Andiamo, voglio assicurarmi di lasciarvi a casa prima di andare a lavoro>> risposi, perentoria, scendendo definitivamente dal cofano.

Ricordai la telefonata con Michelle, quando mi aveva consigliato di chiedere a Daniel un passaggio per arrivare fino al Blue Wren considerando che la mia macchina era fuori uso. In quel momento, però, avrei preferito andarci a piedi nonostante l'immenso ritardo che avrei accumulato. O in groppa a Zeus, che tuttavia non avrebbe gradito rimanere attaccato ad un palo fuori per tutta la serata.

Allungai le mani verso i due ragazzi, guardando fisso verso Oliver che, nel frattempo, si era leggermente appisolato. Daniel si decise a lasciar perdere l'idea di rimanere lì a goderci il tramonto e scivolò piano sul cofano fino a raggiungere il bordo, poi sollevò leggermente il bambino da sotto le ascelle perchè potessi afferrarlo e metterlo a terra.

Per qualche attimo le mie mani furono sopra le sue, calde, possenti. La stretta su Oliver era ferma e salda, e seppi in quel momento che Michelle si sbagliava. Niente di male sarebbe mai potuto succedere ad Oliver, finché fosse stato con Daniel.

<<Sali in macchina Ollie, ora zio Danny ti porta a casa>> dissi, rimanendo a controllare che il bambino effettivamente salisse dal lato passeggero nell'abitacolo del Pick Up. In realtà il mezzo era troppo alto perchè ci riuscisse in autonomia, così lo aiutai a sistemarsi e ne approfittai per mettergli la cintura.

<<Aspetta, all'andata l'ho sistemato tra queste due>> affermò Daniel, spuntando a sua volta nell'abitacolo ma dalla parte opposta, allungandosi verso di noi.

Ci ritrovammo ancora una volta troppo vicini e, mentre il ragazzo faceva sedere il bambino leggermente più al centro, così da sfruttare la presa di due cinture di sicurezza al posto di una, i suoi ricci solleticavano la mia fronte.

<<Tutto ok?>> mi domandò con nonchalance, questa volta anche lui senza guardarmi.

<<Mh-mh>>

Non appena Oliver fu' messo in sicurezza uscii dall'abitacolo per raggiungere Zeus, camminando frettolosamente a testa bassa. Non vedevo l'ora di essere al Blue Wren, con Busty Joe e Noiosa Jeff seduti al bancone ad importunarmi affettuosamente e così tante comande da preparare da non avere tempo per pensare a niente.

<<Ci salutiamo davanti casa vostra>> annunciai, aggrappandomi saldamente alla sella e mettendo un piede nella staffa. Mi tirai su prima di aspettare una risposta e cominciai a portare Zeus al passo.

Sentii Daniel mettere il Pick Up in moto, poi uno strano rumore mi fece girare.

Daniel diede nuovamente gas, ma il suono del motore sembrò incredibilmente sbagliato.

<<Ci sei?>> domandai, tirando le briglie per fermare Zeus.

Vidi il ragazzo all'interno del veicolo scuotere la testa, mentre la mano armeggiava con la chiave.

La girò più volte e più volte provò a far rinascere il Pick Up, ma ogni volta che riprovava, il motore dava sempre meno segni di vita.

<<Non parte>> affermò, e la sua sentenza fu accompagnata da una fumata bianca. <<Ed io sono un ottimo pilota, ma un disastroso meccanico>>.


🐎🐎🐎

*The Boys after the race sperando che mamma Mimi non scopra mai niente*


*Car che si gode il momento giusto per un attimo*




Incredibilmente due aggiornamenti ravvicinati, pazzesco.

Questo capitolo avrà un seguito, ovviamente, e ci tengo particolarmente a dire che è sugli avvenimenti del capitolo 5 che è nata tutta questa fan fiction, quindi ci sono particolarmente affezionata.

Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate e se vi sta prendendo la storia. Dal canto mio, cercherò di impegnarmi ad essere più assidua negli aggiornamenti.

Ahhhhh, se fosse sempre vacanza.

Baci mie splendide e splendidi cowgirls e cowboys.

Ye-ah

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