Mrs Atwood - Now

N/A: domani partirò per il campo invernale. No, questo capitolo non è niente di che. Sappiatelo. E vorrei sapeste tutti anche un'altra cosa: se vi chiedo dei commenti, non è perché voi mi esaltiate e diciate quel che voglio sentirmi dire. Voglio la verità. E se vi fa schifo, ditelo. E no, non voglio che lo amiate perché io ci butto l'anima. È una storia. Ho scritto di peggio, non penso di poter scrivere di meglio, ma resta il fatto che io scriva per lasciare qualcosa a me e a voi. Piccolo preambolo inutile, me ne rendo conto. Non ho riletto con attenzione, fatemi sapere. Ciao :)

«Ritornati a casa, i tre fratelli si affacciano alla finestra e guardano il vascello dorato allontanarsi nel cielo. "Non è meraviglioso?", dice Wendy. Lei, Gianni e Michele non dimenticheranno mai la meravigliosa avventura che hanno vissuto e, soprattutto, non dimenticheranno mai il loro amico Peter Pan.» guardi ammaliata il visino docile della creatura che hai messo al mondo ben sei anni fa e il tuo stomaco si aggroviglia dal sentimento rivoluzionario che ogni occhiata ai suoi lineamenti - tratti che divengono l'ideale miscuglio e nido d'amore tra te e tuo marito - comporta. Le sue guance rosate, le labbra gentilmente incurvate verso l'alto e la curiosità che il carattere del bambino dimostra deprecano l'instabilità incisiva della tua vita. Vuoi salvare la tua vita, se solo sapessi come questa possa risollevarsi. Nausea. Le quattro mura si ripiegano su di te, pare che il libro giallo con sopra il disegnino felice mangi le gambe sulle quali è poggiato e tutto si muove, tutto crolla e il battito cardiaco accelera con drasticità. Sudi.

Tuo figlio parla, non lo ascolti. Guardi fuori, attraverso le tapparelle e vorresti scappare, non permettendo al bambino che ha stretto il tuo dito da appena nato cosa la sua amabile madre è riuscita a creare. Vomiti quasi. Sarai pallida, il tuo candore deve averlo intimorito che si sporge dalla spalliera del letto e la sua gracile mano si aggrappa alle tue dita sottili. Prudente, pieno d'affetto e a tratti malinconico, ti rivolge un sorriso genuino. I suoi occhi riflettono la spontaneità di un'età che rimpiangi con te stessa e di più. Ti osserva. Vuole che tu gli sorrida. Non puoi.

«È come Carolina.» pare che stia ripetendo, eppure stavolta abbracci pienamente la sua affermazione. Cogli perfino una punta di mancanza nell'alito di menta della sagoma di carta accanto a te. Così malleabile, una spinta e cadrebbe. Un soffio di vento e potrebbe strapparsi. E tu non vuoi. Daresti --- venderesti la tua anima al diavolo per garantire a tuo figlio delle ali per volare. Venderesti tutto il tuo corpo perché lui possa avere la sua felicità. Stringi con possessività il braccino e soltanto all'idea che lui possa andarsene prima di te, che qualcuno possa stagliarlo da te e tu debba vivere - esistere - senza poter godere della sua crescita, dei litigi che l'adolescenza comporterebbe, del momento in cui guiderà, quello in cui lo condurrai all'altare piagnucolando e quello in cui ti darà dei nipoti --- tu hai la necessità di pregarlo sul tuo letto di morte di sopravvivere e usufruire del proprio futuro a tempo debito --- ma avviene l'inverso. Accade che qualcuno debba avvolgere con gli arti il corpo gelido del figlio e piangere perché si è buttato da un ponte. E l'hai causato tu.

C'hai pure pensato. Pensato. Elizabeth le ha detto di stare zitta e tu? Tu veementemente, prima che si uccidesse, le hai ordinato di smetterla di leggere. Taylor le ha detto che le sue idee fossero pessime, ma tu le hai pure sottolineate con un'arcigna arroganza. Vomiteresti. Catherine e Molly --- Josh, le hanno tutti voltate le spalle, ma tu le hai affermato di non pensarci o sarebbe impazzita. Daisy l'ha massacrata con cattiverie di ogni tipo e tu? Ti. Tu. Tu. Tu le hai tolto il privilegio di essere amata da tuo figlio e sentirsi accettata, giusta per della spicciola gelosia. Tu l'hai buttata da lì e vomiteresti.

«Carolina è come Peter Pan, mamma.» adesso ti scappa un  rutto, pari nemmeno per tempo la mano dinanzi alla bocca che il caschetto liscio del bambino si volta pienamente nei tuoi riguardi e ridacchia. Ti ha beccato, ti raccontano i suoi occhi vispi. Marroni. Come quelli di Carolina. Sebbene gli occhioni di tuo figlio sono i più ogni cosa, immagini la dolorosa disgrazia di dover vivere privati di tale strepitosa fotografia. Adesso saranno riempiti di vermi e il suo corpo decomponendosi e tu, tu eri lì a fabbricare la bara con le mani unte di odio.

«Perché parli di Carolina?» biascichi verso di lui. Si acciglia ed è pronto al contrattacco, alzatosi sulle ginocchia, «Perché ho sentito te e papà dire che è andata via. Come Peter Pan, mamma, lei non cresce più e gioca con i bambini sperduti? Adesso vive sull'isola che non c'è e gioca con Trilli e le sirene? La vedrò più mamma?» e diglielo. Ammetti davanti a tuo figlio cosa il tuo organismo è stato in grado di realizzare, pezzo dopo pezzo e «Certo.»

«La vedrò?» è speranzoso. Tu vuoi rimettere sul suo pigiama di Spider Man. Lo abbracci e fai sì che si stenda al di sotto delle coperte, sorridendoti contento. «L'isola che non c'è è un posto magico, tesoro. Se chiudi gli occhi, forse la ricorderai.»

«Lo so che è morta, mamma. Ma non è che ho capito bene che vuol dire morta.»

«È qualcosa che vorrei non conoscessi mai.» sospiri e ti alzi, baciando la tempia del bambino curioso ed assonnato. Spegni la luce e lasci accesa quella accanto al comodino, lui pare avvolgere con le manine sudaticce le coperte di Cars e «Tu sei una brava mamma. Sai sempre cosa dire.» e un altro rutto. Lacrime che bruciano contro le palpebre, annuisci e «Non sempre.»

Chiudi la porta dietro di te e cammini come una sbandata, un'ubriacona nel corridoio, appoggiandoti al muro quando riesci. Altre volte ti accasci e permetti ai singhiozzi - misti a rutti - di invadere le tue labbra sobrie prima di raggiungere la cucina, sedere e aprire la bottiglia di vodka. Tiri indietro la testa, il liquido gelido fluisce lungo la tua gola calda e un bruciore pervade il tuo petto. Pian piano ti senti un poeta di altri tempi, inizi a recitare Jacques Prevert e spalanchi la flebile porta della tua casa delle bambole. Lo show ha inizio e ricordi quel che hai posto nel dimenticatoio. Tua madre, il suono odioso delle sue lamentele e quello meschino delle sue urla. Tuo padre . . . Karenin, al confronto, avrebbe detto Carolina, sarebbe stato Jay Gatsby. Un fratello maggiore indimenticabile. Rifiuti. Rifiuti. Rifiuti. E l'alcool scende, scende, scende, scende e il corpo è improvvisamente leggero. I pensieri si zittiscono e incominci a tracciare il tuo corpo con le mani, dimenticando cosa ti turba e puoi aprire il teatro, la sceneggiatrice e regista può divenire la perfetta attrice. «La madre lavora a maglia,» singhiozzi, addirittura. La saliva nella tua bocca è pastosa e il vetro freddo della bottiglia è incendio contro le tue labbra screpolate. Un altro singhiozzo, il freddo accarezza il tuo corpo formoso attraverso il raso grigio della tua candida vestaglia, «Il figlio fa la guerra, la madre trova tutto questo naturale.» sospiri. La tua mano destra è al centro delle tue gambe, scosta disillusa il leggero tessuto della camicia da notte e dona alle dita il diritto di accarezzare con spigolosità la tua entrata e di lasciarti stravaccare su una sedia della tua cucina, che sono le undici di sera, e rilasci un frivolo gemito. Le gambe sono malleabili, morbide. «E il padre cosa fa il padre?» gemi, di nuovo. Il cuore ti piomba nella tua zona intima, come se dovessi pisciare. Masturbandoti ottieni questo: come se dovessi pisciare e «Fa gli affari. La moglie lavora a maglia, suo figlio la guerra, lui gli affari. Il padre trova tutto questo naturale.» Molli la sacrilega presa su te stessa e respiri, il fiato vive in un tremolio stancante. Spingi indietro il capo, i corti capelli corvini toccano il piano del tavolo e spalanchi le gambe, tenendo nella mano sinistra la bottiglia di vodka.

Il vetro che conteneva il liquido scadente del supermercato è oramai rifiuto. Lo abbandoni sul tavolo e stavolta la passeggiata nei corridoi di casa tua è piacevole. Ogni quadro, ogni oggetto --- ogni sfaccettatura del tuo piccolo mondo delle bambole, adatto ai rimedi, risulta vuoto. Scompartimento dopo scompartimento l'annullarsi delle tue voglie e delle tue volontà annulla il tuo ragionare. È dolce la sensazione di sconforto: somiglia ad una torta cioccolato e poca arancia. Sei allergica all'arancia e neppure ti accorgi che v'è. La notte quasi soffochi.
Lo sconforto è il mare di cioccolato nel quale anneghi, fino a non percepire l'asfissia. E quella sopraggiunge ed è troppo tardi. Ormai hai ingoiato l'arancia. Torna ad essere di plastica, Jennifer, la tua intera esistenza lo è. Compra tende, truccati, ma la desolazione del tuo viso al mattino è il più grande sistema di compassione. Licenziati. Ma hai forgiato le tue catene, pronta a tenerle addosso e a trascinarle per l'eternità? Non ci saranno spiriti per rimuoverle.

Le tue ossa non tengono lo stracciato panno bagnato e flaccido in cui secondo dopo secondo ti trasformi, le tue grinze invecchiano e potresti leggere questa piccola faida psicologica come un romanzo di oscar Wilde, ma sono tue le membra, quelle che man mano perdono consistenza fino a diventare vecchia e umida carta straccia. «E il figlio, e il figlio? Cosa ne pensa il figlio?» sussurri, spingendo le unghia lunghe contro la parete di vernice fresca finché esse non si spezzano una ad una e ridi. Ma neppure tale dolore fisico ti dà pace. Nulla potrebbe regalarti del benessere. Rutti e ridi, l'alito è disgustoso.

«Il figlio non ne pensa assolutamente niente!» lo strilli, getti in aria le braccie qus un gridolino solca la bocca sottile. La vestaglia pende da ambedue i lati. Mantieni con le mani, poi, lo stomaco e ti svaghi con degli schiamazzi osceni.

«Il figlio, sua madre fa la maglia, suo padre gli affari, lui la guerra. Quando avrà finito la guerra,- respiri a stento e apri la porta di camera tua, assicurandoti che lui non abbia dato conto alla scena nel corridoio, pessima, -si occuperà degli affari come suo padre. La guerra continua la madre continua a lavorare a maglia, il padre continua a condurre gli affari. Il figlio è ucciso e non continua più, il padre e la madre vanno al cimitero.» parli piano piano. Il tuo tono è basso, a tratti inesistente. La vestaglia ti cade di dosso, tu compi qualche passo.

«Loro, padre e madre, lo trovano naturale, la vita continua la vita con il lavoro a maglia e gli affari. Gli affari la guerra il lavoro a maglia la guerra. Gli affari, gli affari e gli affari, - il tuo compagno solleva gli occhi e - la vita con il cimitero

Impieghi poco a socchiudere la porta e iniziare a spogliarti. Il velo della vestaglia da notte cade al di sotto dei tuoi piedi scalzi e quel che era un pigiama -- ciò che ti occorre per vestire la cicatrice umana che sei sempre stata sparisce e noti la stessa curiosità di tuo figlio nel tuo compagno. Ed avarizia. E un piacere perverso. «Jen, tutto bene?»

Ti denudi, ma è tutto ancora alzato. I vestiti sono a terra, gli sbagli e le insicurezze persistono nello starti indosso. I suoi occhi lussuriosi fanno sì che il suo movimento, il posare il cellulare e sistemarsi più in avanti sul letto eccitino la tua voglia di star bene.

«Jen --- » ti siedi sul suo grembo e lo baci. Può sentire l'odore invadente di alcool, ma la passione è più forte. La sua. La tua è immbolizzata. E guardi allo specchio quando il suo capo è ai piedi del letto e tu «Lasciami fare.» lo vedi, il tuo corpo nudo. Il tuo seno ponderoso e la peluria al tuo pube. La tua nudità è apparente. Tutto è apparente e pronto per il secondo atto. Le dita ruvide di lui ti toccano e insistono nella zona inguinale, premono. Premono ed è un brivido leggero fino a che non sono insite in te.  Fuori e dentro. Fuori e dentro. La tua vagina risponde, la tua mente è allo specchio di fronte a te contro il quale ti aizzi. Osservi una meretrice di sensazioni chiedere appagamento all'uomo che ami. Ma non sei tu. Il piccolo spettacolo è tenuto in piedi dalle tue leggere urla.

Godi. O meglio. Il tuo corpo è scosso dai gemiti crescenti ed è una sentimento contraddicente. Lo conosci. Togli i boxer al tuo compagno e lasci che il suo pene grosso rimbalzi sul tuo stomaco, eccitato. Dovresti gemere all'idea, rilasciare un minimo desiderio di possedere i suoi sentimenti, ma vuoi solo che ti riempia e lasci qualche ricchezza. È tutto vuoto. Puoi vederlo nello specchio: i tuoi occhi. Ti senti un poeta e gemi aforismi di Charles Bukowski mentre il suo sesso ti riempie e tu rimbalzi sul suo ventre. Muovi i fianchi soavemente e lui approva, ti chiama e ti dice che sei fantastica, ma tu guardi te stessa allo specchio mentre permetti ai vostri sessi di congiungersi ancora. E ancora. E ancora. Vomiteresti. Vuoto, vuoto. Solo uno sfregare e un piacere immane che viene a spargersi lungo le tue vertebre. Vibri quasi dall'intensità e lui stuzzica la tua intimità con le dita, affermandoti il suo amore. E tu guardi lo specchio. E vedi Carolina ridere del tuo misero stato di pietà. Piangi. Stai danzando con lui dentro di te, come se nell'atto ci fossi soltanto tu, come se dovessi mettergli nell'anima qualcosa. Far sì che insidi ed accertarti che valga la pena. Gemi. Lui si accorge che fai l'amore in maniera strana, il suo petto non risponde alle dita avare che salgono lungo il tuo caldo corpo. È solo lui. Sei solo tu. «Jen, che succede?» geme. Spinge il bacino verso di te ed assecondi la movenza. Sa che in tutte queste moine risiede la desolazione avvincente del tuo spirito e «Che diavolo

«Shh, non è niente.» ti chini per afferrare le sue labbra. La catenina sul suo petto pare vibrare al contatto. Sa che sai che sa che c'è qualcosa che non va. Piangeresti. Lo fai già. Balli nelle meccanismo e lo specchio ti tormenta. Mostra la tua codardia, il tuo vuoto.

Piangi e ti incurvi perché il suo pene ti riempia ancora di più. Su e giù. Su e giù. Il terzo atto viene a consistere in una donna disperata che piange e geme un piacere assente, inutile. Vieni e permetti ai tuoi movimenti di regalare godimento al tuo compagno. Le sue dita scavano nel tuo culo e «Jen,» ma tu niente. Vuoi che il suo seme resti dentro e scuoti la testa, mandando indietro le lacrime quando lui fa per allontanarti. È caldo, disperatamente caldo e riveste le tue pareti. Cedi all'immagine di una te di fronte ad un riflesso che non rivesti la donna che da bambina avresti voluto essere. Le tue rughe sono fisiologicamente rilassate, ma dentro, dentro tutto va sgretolandosi. Emuli una guerriera insipida, il lugubre atteggiamento nel quale ti sei accinta ad esistere è adesso - paradossalmente - un motivo per odiarti.

I tuoi polmoni insorgono sui reni, il cuore spacca la gabbia toracica e raggiunge le viscere e nonostante l'odore sgradevole di sesso e di sudore, tu ti stendi sul corpo nudo del tuo compagno e piangi. Lui è troppo assuefatto per accertarsene. Piangi e lo spettacolo è finito.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top