Molly - Now
N/A: quando torni a casa alle tipo dieci dopo due ore di riunione con gli scout e da dopo scuola sei fuori casa e hai mangiato solamente un panino e tua madre: "Ah! Ma ci sei anche tu. No mi sono dimenticata di prepararti la cena. Vedi, ci sono degli affettati in frigo."
GRAZIE MADRE ANCHE IL MIO CUORE PULLULA DI AFFETTO PER TE.
Abbandonando questo preambolo melodrammatico, ho una cosa da chiedervi (la nota sarà più lunga del capitolo lol).
Carolina è agli sgoccioli, signori, e ho intenzione di darmi una mossa (già mi sono portata avanti di tre capitoli yeah) e io, una volta terminata, opterò seriamente per un meritato mesetto di pausa da watty. Ma nel mentre, vorrei portarmi avanti con la prossima storia da farvi leggere.
Il problema? Ho tre idee e capite bene devo dare ad una la priorità così da ottenere aggiornamenti regolari una volta che l'avrò postata. Gradirei mi indicaste una vostra eventuale preferenza e magari dubbi al riguardo ok:
-Prima opzione: storia a sfondo adolescenziale. Una ragazza resta intrappolata nel mondo dei suoi sogni e deve uscire. Tematiche? Fama, illusione e disillusione, amicizia e, soprattutto, sana adolescenza.
-Seconda opzione: monologo sull'omosessualità stile Novecento (di Baricco! Non l'avete letto? Blasfemi, correte). Già questo dice tutto, non mi dilungo.
-Terza opzione: storia d'amore molto happy ending (già, so che questa cosa vi è nuova perché io e l'amore non facciamo proprio coppia), ma (eheh, volevate fosse semplice) con sfondo due tematiche che tenterò di approfondire in maniera sensibile ed opportuna: autismo e nucleo familiare.
Fatemi sapere!
Intanto, ecco il capitolo! (Meeeezzeca, la nota più lunga de sempre ho fatto). Xx.
Pietà.
Pietà.
Pietà.
La pietà che necessiti pare bruci il terriccio intorno alla tomba nella quale ti immergi, soverchiando la tua colpevolezza con una compassione benevole e sinonimo di ottemperanza di una qualche giustizia angosciosa che t'attanaglia - l'ha fatto con altri, era questione di giorni prima che si aggrappasse anche alle tue braccia, ne sei consapevole, - e cerca di venire in superficie, di liberarsi, di vivere.
Ma la sua esistenza è nauseabonda inesistenza della tua vitalità. La tua cera è bianca, potrei giurare di poter osservare le tue vene visibili dal candore in cui stai sprofondando. Mancanza di cibo, stomaco chiuso e se potessi dare un dannato volto alla desolazione, mi appellerei al tuo.
Se potessi donarle una bocca con la quale masticare le incessanti paure, sceglierei le tue labbra gonfie e rosee, desiderio per il tuo fidanzato. Sceglierei delle labbra screpolate ed incurvate dalla spietata accezione che la tua vita si sta impegnando ad indossare.
Se potessi disegnare le guance della desolazione, taglierei le tue - nonostante il fitto urlo e il dolore (privo di descrizioni: che bisogno v'è di definire il dolore?) che verrebbero a crearsi - e le levigherei affinché rappresentassero il pallore, lo stato spoglio di una pelle assorbente tutto il resto.
Se potessi vestire la succitata di abiti, aprirei il tuo armadio e afferrerei i capi più raffinati. Chi l'ha detto, che la colpa indossa i panni di un barbone sudicio? I tuoi, profumati e ben stirati, odorano delle parole che avresti dovuto dedicarle --- e la parte peggiore? Lo sai. Sputi sul pavimento della tua camera per rimandare lontano la sensazione.
E se potessi regalarle una voce, infilerei una mano nella tua dolce gola e strapperei quelle corde vocali ironiche e divertite, minute e sagge. Le starebbero a pennello; una voce aizzata per dar un giudizio, per affermare una qualche opinione data per oggettiva.
E se, infine, dovessi cavare degli occhi per ficcarli nelle sue orbite - quelle della desolazione, intendo, - non perderei un attimo per le tue chiaro-scure, insipide e piene, spalancate e imbottite di sani principi. Che incanto, sarebbe la maledetta desolazione, se potesse abitarti, Molly.
Oh, ma lei ti abita. Mentre te ne stai seduta a rivangare, ad intagliare i piccoli e spigolosi alibi, lei si è insidiata ed adesso dimora tutta ben assediata. È seduta e le tue viscere sono il suo trono, la tua spina dorsale è la sua incurvatura, il suo attuare una giustizia cupa che ti si riversa contro e ti sbatte.
La tua delicata casetta, i tuoi nonni al piano di sotto e una famiglia disintegrata --- o questo è ciò che tu credi, disegnando degli alberi autunnali.
È già accorsa tua nonna, t'ha beccata a braccia conserte, il mento abbassato e gli occhi dispersi un po' ovunque. Stringevi il vecchio e bianco cellulare fra le dita. La felpa cadeva lungo i fianchi abbondanti e i leggins stringono le tue cosce, ti senti affogare. L'hai guardata, allora, e non eri in grado neppure di regalare un sorriso tirato a quella vecchia. «Va tutto bene, tesoro?» il suo accento inglese è evidente e tu hai semplicemente annuito, scostando il tuo viso stanco dalla sua non attenuante considerazione. «Me lo diresti, vero?»
Ma non ha mica demorso, si è assisa sul letto e i suoi piedi - accolti dalle morbide e nuove ciabatte di un rosa acceso - erano accanto al tuo sedere. Hai alzata la testa, per uno o due secondi, hai piantati i tuoi occhi nei suoi materni e devoti, ti sei accertata fosse andata come sua consuetudine dal parrucchiere e ti sei rigettata a capofitto nella rude devastazione. Ah, il silenzio era, in quell'attimo, similare alla tua agonia: indelebile, pesante e da non potersi consumare. Si appoggiava incisivo - lo sta facendo proprio adesso, solamente più cruente e derisorio - sui tuoi seni piccoli e pareva tirarli fino a strappare i lembi - i primi - in eccesso del tuo corpo. E strappa, stravolge, strattone. Stride il suono ruvido delle unghie della consapevolezza lungo la tua candida esistenza.
«Sto bene, nonna.»
«Vuoi venire al cimitero con me e il nonno?» e non c'hai visto più. Non l'hanno per nulla archiviata, loro, la genuina ed educata Carolina, compagna di discorsi sulla filosofia e di ripetizioni di matematica. Ti si era aggrovigliato il collo in se stesso, pareva sgualcirsi e ridursi in brandelli sul pavimento. Non sapevi - non lo sai neppure adesso - come si respirasse.
«Perché?»
«Vogliamo portare dei fiori alla tua amica. Non se n'è andata davvero, Molly. Non devi pensare che tutti ti abbandonino, non --» la sua voce docile e deliziosa strisciava fino a biascicare saliva velenosa nel percorrere le tue dritte vertebre. Percepivi un freddo nuovo, insicuro.
«Io non lo penso.»
«Non è la stessa cosa dei tuoi genitori.» ti poggiava una mano sulla spalla e la dilettava con un tocco amorevole, affettivo. Quasi hai vomitato, lo detestavi. Accendeva in te un odio represso e saliva, saliva, la desolazione. Cupa. Possedeva i tuoi stessi rimorsi.
«Non lo penso.» lo hai persino sibilato. Volevi smettesse, che desse un taglio al tormento che inconsapevolmente causava nelle tue budella attorcigliate.
«Lei c'è ancora, come loro -- »
«Ma la smetti di dire cazzate?» e sei scattata; non l'hai retta, quella pesantezza. Gettavi i ciottoli contro la lugubre immagine riflessa nello specchio a capo a letto. E più i ciottoli rimbalzavano, più lo specchio sembrava raggiungere frantumazione e quel che era possibile osservare era uno scheletro, un mostro.
«Cara,» s'era sollevata tua nonna, annodando le dita sottili fra loro. Il flaccido del suo corpo improvvisamente diveniva una sapienza che avrebbe potuto giudicarsi e avresti voluto staccarlo. Così come i tuoi seni, la tua pelle, i tuoi peli, tutto veniva graffiato ed il dolore era platonico e raffinato, ricco di una vendetta insolente.
«Lei non era come i miei genitori!» hai chiuso i pugni e le unghie andavano a spaccare la pelle delicata.
Lei provava a parlare, ma tu - inchinandoti quasi e ridendo - la fermavi, «Lei si è uccisa perché era una stronza in cerca di attenzione, i miei genitori non hanno cercato la morte. E rimarresti delusa, cara nonna, nel sapere che nulla di quello che era Carolina era positivo o buono: un fardello, nient'altro.»
«Rimani sola col tuo rancore, tesoro mio.» e se n'è andata, sbattendo la porta. I tuoi occhi viscidi, languidi, con eccessiva probabilità osceni, devono averle aperto uno spiraglio e fatto notare che mostro sia la nipotina desiderata e amata da tutti. E non impieghi molto, ora, nel rivangare, ad affacciarti dalla finestra e rigettare perfino la tua svuotata anima. E la colpa sale, sale, non arresta la corsa. Spezza la colonna vertebrale, ti piega in due e fa il medesimo lavoro con le gambe. Ti riduce in frammenti le ossa e pare che tu, quando cerchi di vomitare di più, possa sentire il vento perforarle.
Ti tieni e non esce niente. La bava sporca i tuoi capelli e termini nel piangere un singhiozzio isterico e mostruoso, tipico di uno scheletro che passeggia.
Pietà.
Pietà.
Pietà.
Sei bloccata nelle tue stesse catene e non occorre l'odioso sguardo che mi rivolgi: ti lascio da sola.
Pietà.
Guardati senza che nemmeno io ti parli. Ti piace?
Pietà.
Sei una persona maleodorante e colpevole seduta col culo sul freddo marmo della finestra. E ora, crogiolati nel silenzio, perché neppure i miei sacrileghi giudizi ti disturberanno.
Addirittura la desolazione s'è scocciata, ha girato i tacchi ed è uscita rumorosamente dalla porta.
Ora sei davvero sola.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top