Molly - Now

Ovunque avresti pensato potesse condurti il rapidissimo e tonfante passo di Taylor; ovunque. In un bar troppo affollato - magari anche il Chemical Romance, perché no? -, in una biblioteca sminuita di quelle che piacevano a lei o in un parco con delle giostre vecchie e malridotte. Ovunque, ma non qui. Non dove pare che il sole venga oscurato ed un boato di vocine silenziose si propaghi ipocrita.

Ti blocchi, accumuli un insieme di sensazioni sconce e disorientanti, lo assorbi con una freddezza disumana e ti chiedi il motivo: l'odioso spazio si protende all'ispezione della tua vista marroncina e non c'è tessuto che tu possa sbrindellare con le dita sottili per alleviare la pena, la quale si fa largo minuziosa nel tuo corpo.

Attorno a te ci sono delle persone e ti domandi perché. Perché le persone abbiano il vizio di venirci con un mazzo di fiori - magari dei più inappropriati - e, soprattutto, di mattina. Come se, prima che il sole tocchi il punto più alto nel cielo grigiastro, i rimpianti non seminino il rancoroso rimorso. Magari perché poco dopo l'alba la preghiera si mostra più affabile o spontanea --- misero opportunismo nei confronti di dio e tu, tu non te lo spieghi e vorresti neutralizzarlo mentre, stritolando il tuo stomaco con la presa ferrea che le tue braccia hanno creato, impieghi dei minuti insonorizzati per camminare in avanti.

Ma ancora non te lo spieghi: personcine che solitamente conducono la loro vita nell'agio, nel più miserabile degli sforzi, senza adocchiare - per giunta - il pensiero che una carezza ragionevole andrebbe rivolta a chi non c'è più, adesso provano a rivendicare il loro diritto all'appartenenza ad una famiglia, ad un dannato albero genealogico o a qualsivoglia caratteristica che assicuri loro un appoggio, seppure finto o aizzato dalla religione convenevole, in un tragico momento. Tutti hanno tragici momenti, ti dici, ma alcuni non sembrano avere la minima considerazione verso quest'ideologia secondo la quale tutti stanno di merda, una volta o l'altra durante la propria esistenza. E Carolina era una di loro.

Una morsa al petto nel cagionevole secondo di riflessione che vede protagonista la ragazzina dalle felpe larghe ed un sorriso enorme, perfino dozzinale. Ti muore un battito, cerchi il cielo per distrarti.

Il tuo incedere si presenta come un procastinare del tempo segnato per comprendere realmente cosa stia agendo intorno a te e ciò che tu - tuo malgrado - non puoi e non potrai controllare. Provi a starci dentro, a farlo con la tua solita aria da strafottente, ma pare sfuggirti con nonchalance.

Allarghi la distanza fra i tuoi due labbri e mordi uno di essi nel nervosismo crescente. Stringi la presa al maglioncino rosso acceso e con gli stivaletti neri provi a non crollare ora che puoi avere le spiegazioni che necessiti con insistenza.

Così, tra le varie figure - che anche il cimitero è questo: un muoversi di figure, Molly! È questo che aspetta tutti dall'altra parte, perché ammonirmi? - scorgi una fioraria in sovrappeso che, indossando una maglia rosa attillata, sta limando le sue unghie dietro un banco di fiori dai colori variopinti.

Chiudi nel palmo stretto la presa dello zaino e ti avvicini, non percependo altro che rassicurazione nei lineamenti marcati e grassi della donna.

«Ci risiamo.» ti pare di sentirla sussurrare, ma le rivolgi soltanto un'alzata flebile di sopracciglia. Scosti l'attenzione da te ai mazzi di colori meravigliosi, sicuramente troppo vispi per un posto di questo tipo. Spasmodica educazione e mancanza di essa quando meno ce lo si aspetta, ti rimproveri, «Rossi o gialli?»

Le dedichi un'espressione confusa ed interrogativa, poi «Scusi?»

«I tulipani.» non sposta lo sguardo attento dalla lima e dalle sue unghie sottili; scuoti il capo, «No, io --- »

«Non dirmi che li vuoi come quella lì: fucsia. Stiamo scherzando?» infine bestemmia. Sorridi per la strana contrapposizione, nonché associazione. Questa donna sembra fatta.

«Nemmeno.»

«Te li darei rosa, ma poi non me li hanno chiesti più. Arancioni non li vendo, già me li voleva comprare la riccia.» non afferri il significato del suo sproloquio, la vedi battibeccare con se stessa riguardo l'acquisto di fiori che nessuno poi compra e che si ritrova a smaltire sempre fra le solite venti tombe alla prima svolta a destra. Un po' ti inquieta il suo fare, vorresti che la sua movenza cafona avesse un limite, vorresti che ti infastidisse, ma è piuttosto divertente.

«Perché mi chiede se voglio dei tulipani?»

«Tutti quelli che sono venuti prima ne hanno presi.» scrolla le spalle e ti accorgi della scoliosi. Sorridi sconcertata.

«Allora, rosa.» annuisce e si lamenta del fatto che non sa se arriva al numero e «Non le ho detto quanti me ne servono.»

Ti ignora e la osservi mentre ne prende sei con delicatezza, chiudendoli in una bustina trasparente e porgendoteli. Desisti e fai per prendere i soldi, ma lei scuote il capo e ti dice che non fa niente. Sono sei: barcolli.

«Signora?» ti rivolti quando oramai già sei a qualche passo compiuto di distanza, lei è tornata alle sue unghie. Solleva per un minuto lo sguardo e ti fissa impaziente, schiudendo le palpebre in fessure infastidite, «Che sta succedendo?»

«Al mio paese la chiamiamo giustizia.» e infine rincomincia a prestare attenzione soltanto a sé. Sei imperterrita, non te lo spieghi.

Ti muovi verso l'ingresso del luogo astruso di profumi --- di fiori e di morte. Ma questo qui è meno definibile. Non sai con esattezza di cosa odori la morte. Probabilmente, ti sei detta una volta, dipende dai casi: può sapere di speranza o di felicità. Perché no? Può emanare una fragranza di rasserenazione o, forse, di pietà. Magari profuma di paura e a tratti sa di pace. Altre volte, più rare, trabocca quest'odore della più insalubre disperazione ed inorridisci al pensiero che, dato il parallelismo costituito da ogni tempo dalla morte con la vita, esso possa biascicare disperazione.

Ed è quando non lo accetti ed un conato di vomito ti attraversa la gola lunga che scorgi la tua destinazione, senza che tu te ne fossi prefissata alcuna. Lo spiazzo nuovo del vecchio cimitero è già stracolmo di lapidi e di tumuli, ma non ti occorre chissà quanto per notare la figura accovacciata di Taylor. Ti nascondi dietro un cespuglio e ti trafigge come una lama in pieno stomaco nel momento in cui realizzi che se ne sta tremante e infreddolito ai piedi di Carolina. Stringe la terra e metti a fuoco le mani sporche, esattamente come se avesse scavato. Scuoti la testa.

Sembrano passare ore fino a che, asciugando il muco dal naso col polso, non utilizza la felpa per asciugare le lacrime e resti allibita nel concepire che proprio lui si sia lasciato andare. Un pugno in pieno petto, ti rompe la gabbia toracica dall'adrenalina.

Ti avvicini appena lui corre via, contrassegnato dalla consueta camminata sciancata, e ti blocchi quando i tuoi occhi incontrano la dedica: sperando abbia trovato la sua pace, il tuo cuore è a terra, esattamente nel centro del tumulo sotto il quale una bara bianca contenente il corpo che va via via disintegrandosi di una delle tue migliori amiche, ove giacciono anche i tulipani che ti sono scivolati dalle dita affusolate. Un corpo che verrà mangiato progressivamente dai vermi: i suoi occhioni, i capelli crespi --- tutto di Carolina sta marcendo proprio sotto di te. Sotto i tuoi piedi.

Una nausea si impadronisce dello stomaco e ti muovi per cercare i pezzi di carta che Taylor doveva nascondere. Impieghi poco per notare uno spicchietto di prato privo di erba e ti accovacci, non curandoti dei pantaloni bianchi; scavi con le mani voraci e curiose, non ti fermi finché non provi ribrezzo nel toccare altro che non sia terra.

Ed è quando la carta umida tocca i polpastrelli caldi che la tua anima si sperde in cerca di riposo. Un'altra scarica di adrenalina e di compassione ti avvolge mentre leggi le iscrizioni e apprendi di che diavoleria si tratti.

Per Carolina. Per la Morte.
A Carolina. Alla Morte.
Di Carolina. Della Morte.
Carolina. Morte.
Con Carolina. Con la Morte.

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