Capitolo 6 - Il suo fiato sul collo
Il tanfo della decomposizione appestava l'aria. Il sangue del cervo che Maeriyel aveva ucciso il giorno prima era ormai secco e la carne mostrava segni di decadimento, aprendosi in solchi sulle guance e sul ventre. Larve e mosche banchettavano con ciò che restava, infestando occhi e bocca, strisciando fin dentro le viscere.
Guardare quei resti la riempiva di amarezza e delusione. Perché si era spinto oltre i confini del sottobosco?
Maeriyel aveva definito un perimetro preciso per descrivere il suo territorio, poiché l'intero bosco era troppo esteso e brulicante di vita per proteggerlo tutto da sola. Ci aveva provato, ma infine era stata costretta a trovare un compromesso tra l'ideale e la realtà, prendendo nota dei suoi limiti.
Così aveva innalzato rovi a delimitare la zona e aveva ucciso istrici e lepri che avevano oltrepassato i confini, lasciandoli appesi tra i fusti di more come avvertimento per gli altri. I corvi si tenevano alla larga dai campi con le carcasse dei loro simili issate a mezz'aria, ma non tutti gli animali erano così intelligenti - o forse le carogne non erano visibili come nei prati aperti. C'era sempre qualcosa che trovava il modo di sgusciare oltre gli arbusti per brucare le distese erbose o strappare le foglie delle varietà di cespugli che crescevano solo dove c'era più luce.
Maeriyel lasciava che gli insetti e gli animali saprofagi si nutrissero di ciò che era costretta a uccidere, ma infliggeva a tutti gli altri la medesima pena. Non c'era altro modo, poiché scacciarli non era sufficiente e persino infittire la vegetazione con Harvestide per offrire loro più cibo non li tratteneva fuori dai suoi confini.
Forse avrebbe dovuto ritenersi appagata del fatto che le intrusioni fossero sempre più rare, eppure non riusciva a scacciare il suo malumore. Perché doveva essere così complicato? Perché l'istinto di ogni bestia era uccidere?
Vedere gli animali tenuti nelle case o negli allevamenti le faceva dimenticare che era quella la loro reale natura: se non costretti e impossibilitati, avrebbero distrutto qualsiasi cosa pur di garantirsi la sopravvivenza.
Non era una loro colpa, questo lo capiva. Lo aveva studiato a scuola e lo diceva anche sua Luminescenza Yeter'el: le bestie non possedevano la ragione, poiché il Signore della Luce aveva concesso logica e conoscenza soltanto agli uomini. Non erano creature da detestare, dato che la loro crudeltà non era voluta.
A lei però non sembrava una giustificazione, quanto più un'aggravante: se non potevano capire, allora erano una causa persa. Non avrebbero mai imparato, né cercato un modo per modificare o quantomeno mitigare la loro condotta. Non le lasciavano altra scelta se non porre fine alla loro vita.
«Devi piazzare delle trappole.»
Boyaque calpestò il terreno con passi pesanti, fermandosi al suo fianco. Aveva le mani affondate nelle tasche dei pantaloni di canapa e un gilet a quadri rossi aperto sul camiciotto bianco. La sua pelle si era già fatta scura sotto il sole d'estate e una rada peluria gli cresceva sulle guance, marcandone i tratti rigidi. Era ben lontana dal potersi definire barba, ma Boyaque ne andava comunque fiero. Alla sua età Paver aveva già il viso pieno, ma quello era un dettaglio che il ragazzo fingeva di non ricordare.
«I rovi non bastano, e neanche i tuoi... avvisi» continuò lui, indicando la carcassa del cervo con un sopracciglio inarcato, quello tagliato a metà dalla cicatrice. «Non puoi fare tutto da sola. Ti servono trappole, tagliole e archetti per tutto il perimetro. Mio padre dice che più ce ne stanno e meglio è.»
Maeriyel arricciò il naso, infastidita. Non sapeva dire da cosa: Boyaque aveva ragione, lei stessa era giunta alla medesima conclusione, eppure sentiva uno sgradevole formicolio correre lungo la pelle, arrampicarsi lungo braccia e gambe e poi dissolversi nel suo petto, corrodendo lo stomaco poco a poco.
«Non me lo lasciano fare» rispose in uno sbuffo. Non bastò a cancellare quella sensazione, così voltò lo sguardo verso il fitto del bosco. «Dicono che una ragazzina non dovrebbe occuparsi di cose del genere, è un lavoro da adulti.»
Un modo come un altro per rifiutare qualcosa senza arrovellarsi a cercare una motivazione valida. Funzionava così, a Vou-la-Forêt: Maeriyel aveva già compiuto quattordici anni, ma la sua età assumeva sfumature differenti in base alle necessità. Talvolta era considerata un'adulta, seguendo le vecchie tradizioni imperiali; talvolta i suoi compaesani si trovavano d'accordo con la Repubblica, che reputava tale un individuo solo dopo i sedici anni.
Non era d'aiuto che le stesse leggi fossero variabili: se si trattava di bere alcolici, sposarsi o lavorare, Sayfa alzava la soglia d'età minima a diciotto anni. Così, anche se Boyaque era diventato maggiorenne già nello scorso autunno, avrebbe dovuto attendere oltre per arruolarsi nell'esercito.
Perché covasse ancora quel desiderio nonostante la Repubblica avesse firmato trattati di pace in tutto il Continente, Maeriyel non riusciva a comprenderlo; in effetti, sebbene lo conoscesse da che aveva memoria, di lui non comprendeva molte cose.
«Beh, io sono un adulto.» Boyaque drizzò la schiena, sfoggiando un sorriso tronfio nel passarsi una mano tra i capelli. Aveva cominciato a farli ricrescere da circa un anno: ora li teneva rasati solo ai lati, spingendo le morbide ciocche viola verso la fronte. «E so anche costruire le trappole, oltre che piazzarle. So dov'è meglio metterle, quali fare...»
«Buon per te» lo zittì Maeriyel, piccata. Incrociò le braccia al petto e prese a camminare fiancheggiando il perimetro di rovi, la gonna rosa lunga fino al ginocchio che ondeggiava ad ogni passo. «Trovati qualcun altro da infastidire, Boyaque. Ho di meglio da fare che stare ad ascoltarti mentre te la tiri.»
Boyaque grugnì alle sue spalle. La raggiunse in lunghe falcate e le tagliò la strada, costringendola a frenare il passo all'improvviso. Le bastò spostare lo sguardo sulla sinistra per spingerlo a spostarsi di rimando: il ragazzo distese il braccio e schiantò la mano contro il tronco di un faggio, come a volerle chiudere ogni via di fuga.
«Ma che hai capito? Lo dicevo perché voglio darti una mano, imbécile.»
Maeriyel sollevò un sopracciglio. «Vuoi darmi una mano?»
«Proprio così.»
«Tu?»
«Vedi qualcun altro?»
Maeriyel schioccò la lingua contro il palato. «E perché improvvisamente vorresti darmi una mano?»
«Perché siamo amici, no?»
Maeriyel liberò uno sbuffo ilare. Si conoscevano da anni, frequentavano lo stesso gruppo, avevano giocato, mangiato e dormito insieme - ma non erano amici. Non l'avevano mai detto apertamente, ma lo sapevano entrambi. Così lei gli rivolse un'altra occhiataccia e lui rise, senza neanche provare a rendere credibile quella giustificazione.
«Boyaque, perché sei qui?» Maeriyel sbuffò, abbandonando le braccia lungo i fianchi. «A quest'ora non dovresti essere con gli altri a fare colazione?»
«E stare lì a fare il tronco con le coppiette che si sbaciucchiano tutto il tempo? Col cazzo.» Boyaque si rigirò quel termine tra le labbra con soddisfazione. Dire le parolacce in hedeano moderno - sayfano, ora lo chiamavano sayfano - era considerato trasgressivo, per qualche ragione. Più volgare. «Perché tu sei qui, invece?»
«Perlustrazione. Se non posso mettere le trappole, devo almeno...»
«No, non questo. Perché non sei con gli altri? È da un sacco di tempo che non esci con noi.»
Maeriyel sfarfallò le ciglia, piegando il capo di lato. «Non hai davvero capito il motivo o mi stai prendendo in giro?»
«Che presa in giro sarebbe, scusa?»
«Ah, non lo so. I tuoi scherzi non fanno ridere metà delle volte, e per l'altra metà non hanno senso.»
Boyaque stropicciò il viso in una smorfia, facendole il verso, poi infilò le mani nelle tasche. «Non ho capito sul serio» disse soltanto. Non ribatté cercando qualche motivo per insultarla, come si aspettava Maeriyel; quello era inusuale. In effetti, si comportava in modo bizzarro sin dal suo arrivo.
«Eliette mi evita per quella storia delle cornacchie» spiegò Maeriyel, rigirandosi una delle trecce più corte tra le dita. «Perciò mi evitano anche gli altri, a catena: Forois perché è il suo fidanzato, Paver perché è suo fratello e Soleil perché sta con Paver. Fino a oggi pensavo mi evitassi anche tu, per maggioranza.»
«Non mi frega nulla di quello che fanno loro» disse Boyaque, alzando le spalle. «Eli è una cagasotto, si impressiona per ogni cavolata. Se dobbiamo darle corda per ogni cosa che la fa piangere, non faremmo mai nulla. Se gli altri vogliono darle ragione, sono affari loro; per me, Eliette sta esagerando... E poi, io ti preferisco di gran lunga così.»
Maeriyel lo fissò di sottecchi. Boyaque le stava offrendo supporto? Tra tutti, proprio Boyaque?
«Così come?»
«Cazzuta.»
«E che cavolo vorrebbe dire?»
«Che non hai paura di fare quello che vuoi e non ti importa se agli altri sta bene oppure no.» Lo sguardo che aveva mentre parlava era diverso dal solito. Maeriyel non sapeva dire in che modo, ma era certa che non le avesse mai rivolto quell'espressione. «Prima eri tutta "voglio coltivare patate" e "viva i fiorellini", non facevi che rompere i coglioni. Quella volta che ho tagliato la coda a una lucertola hai piantato un casino assurdo, te lo ricordi? Non volevi nemmeno che schiacciassi una zanzara, che noia mortale. Adesso, invece... Vieni a mangiare nel mio campo? Ti stacco la testa. Entri nel mio territorio? Ti appendo ai miei rovi. Sei molto più interessante, ora che parliamo la stessa lingua.»
«Sei un idiota se non vedi la differenza» disse Maeriyel, sentendo quel fastidioso pizzicore sulla pelle farsi più intenso. «Io sto cercando di difendere queste colline, tu lo facevi solo per divertirti. Non te n'è mai fregato nulla di fare del male a qualcuno, se puoi schiacciare qualcosa la schiacci, punto e basta. Meglio ancora se ti dà fastidio, come le zanzare, e quindi sei pure giustificato a farlo.»
«Sul serio, Mae-mae?» Boyaque rise, gettando la testa di lato. Da quando usava anche lui quel nomignolo? «Vuoi farmi ancora la predica? Guarda che tu hai fatto di peggio che uccidere qualche zanzara. Giocare a fare "l'angioletto delle piante" non ti riesce più così bene.»
Boyaque si lasciò cadere contro il tronco, poggiandovi le spalle. Quel ghigno strafottente che gli curvava le labbra era così fastidioso che Maeriyel avrebbe voluto strapparglielo via dalla faccia.
«Lo vedi, che non parliamo la stessa lingua? Tu proprio non capisci» ribadì Maeriyel, scuotendo il capo. «Io non penso che Eliette sia esagerata, penso che sia ipocrita: non solo zanzare e lucertole, ma anche topi, bisce, mosche, vespe e chissà quanti altri insetti. Ognuno di voi ha ucciso più animali di me, però i vostri non contano perché erano piccoli, brutti o insopportabili, perché qualcuno ha deciso che la vita di un cervo vale più di quella di un geco e quella di una formica non conta proprio niente. Io non voglio tracciare una linea, non mi sembra giusto: sono tutte cose vive, come me e te. Il Signore della Luce ha creato tutto e tutto deve vivere. E se questo non può succedere, perché così funziona la natura, allora che muoia chi fa del male agli altri, piuttosto che gli innocenti. Io uccido per questo, ma voi? Voi lo avete fatto per noia, perché qualcosa vi faceva schifo o vi dava fastidio, e io avrei fatto di peggio?»
«Santa Luce, quanto la fai lunga. Ho detto "peggio" nel senso che schiacciare una zanzara non è come impalare un cervo» si giustificò Boyaque, agitando una mano a mezz'aria. «Mi hai capito, no? È più difficile, questo dico. Ci vuole un certo impegno, una zanzara l'ammazzi pure per sbaglio. Per il resto non c'è meglio o peggio: uno vale l'altro, come dici tu.»
Maeriyel si strinse nelle spalle, un brivido che correva lungo la sua schiena. «Non è come dico io. Per me significa che ogni vita vale come un'altra, per te che nessuna ha valore. Se muore un cervo o una formica, se ne muoiono dieci o cento, a te non interessa nulla.»
Boyaque si limitò a scrollare le spalle. Non si preoccupò di correggerla o di fingere che avesse torto: Maeriyel non sapeva se detestasse di più il suo atteggiamento o il fatto che ne andasse fiero, ma doveva ammettere che quantomeno lui era coerente. Spietato, ma coerente.
«Quindi lo vuoi il mio aiuto oppure no?» chiese Boyaque, allontanandosi dal tronco. Fece un passo avanti e la guardò di nuovo con quello sguardo strano, quello che non riusciva a decifrare. «Posso darti una mano a controllare i confini, se vuoi. Se qualcosa supera i tuoi rovi, muore; parola mia.»
Maeriyel distolse lo sguardo. «Vuoi soltanto una scusa per ammazzare qualcosa. Non puoi fare il soldato, non sai con chi prendertela e allora vieni da me.»
«È più divertente che stare con quei quattro, questo sì» la corresse lui, sbuffando una mezza risata. «Dico sul serio, è una rottura star dietro alle coppiette. Siamo rimasti tu e io, Mae-mae.»
Boyaque si avvicinò ancora. Lo stomaco di Maeriyel si contorse e d'istinto indietreggiò, ma lui avanzò di un altro passo. Solo uno, ma era comunque troppo: fu sufficiente a farla irrigidire di fronte a quella violazione. C'erano rovi anche attorno a lei, cespugli invisibili che descrivevano lo spazio in cui Boyaque poteva esistere: non ne aveva idea, l'aveva scoperto solo adesso che quei confini erano stati superati.
Perché le dava così fastidio? C'erano state volte in cui Boyaque si era aggrappato al suo braccio o l'aveva avvolta per le spalle; non le aveva fatto piacere, ma non aveva provato un disagio tale da mozzarle il fiato in gola. Non aveva sentito il cuore pompare freneticamente nel petto, fino a riecheggiare tra le orecchie.
Quand'era stata l'ultima volta che qualcuno si era avvicinato in quel modo? Di fronte a lei, così vicino da sfiorare il suo petto e sentire il suo fiato caldo sul collo...
«A me non è mai servita una scusa, tu però hai bisogno di aiuto» continuò Boyaque, chino su di lei. Vicino, troppo vicino; Maeriyel si sentiva soffocare, ma non lo spintonò come voleva fare. Sembrava che le braccia non fossero più sue, che nulla del suo corpo le appartenesse se non quell'angosciante pressione che la manteneva immobile, ancorata a terra. Lasciò che Boyaque le afferrasse il mento, sollevandole il viso per costringerla a incrociare i suoi occhi neri - neri, non azzurri come suggeriva la sua mente.
Perché si aspettava un colore diverso?
«Come la vedi? Io do una mano a te, e in cambio tu potresti darmi qualcos'altro.»
Boyaque allungò un sorriso sghembo, intrigato. Le accarezzò un braccio, facendo scivolare le dita sulla pelle nuda fino al polso. Le afferrò la mano.
E tutto scomparve.
Maeriyel era di nuovo in cima alla collina, le fronde della quercia solitaria che disegnavano ombre danzanti sul terreno. Aveva di nuovo nove anni e la sua mano era minuscola in quella di Boyaque, che la stringeva come sempre con troppa forza. Sentì il vento di primavera soffiare sulle guance, la voce sottile di Eliette che chiamava l'uno, poi fu come essere strattonata di nuovo, gettata a terra senza riuscire a opporsi. Rivide le schiene dei suoi amici che correvano via e il sogghigno vittorioso dipinto sul viso di Boyaque prima di restare sola per cercare nascondiglio.
Solo che non era da sola.
Era con Hervé, stretta a lui tra i tronchi dell'orociondolo, così vicina da sfiorare il suo petto e sentire il suo fiato sul collo. Lo aveva chiamato scemo anche se era il suo preferito, poi lo aveva lasciato saltare giù senza riuscire ad afferrarlo. Era rimasta immobile, con il cuore che martellava nel petto e il respiro mozzato in gola. Era rimasta immobile, mentre le grida di dolore del suo amico le laceravano la mente con lame rotte e arrugginite.
Se solo avesse allungato il braccio...
Un ruggito risuonò tra i tronchi, mozzandole il fiato. Maeriyel trasalì mentre quel suono gutturale e vibrato si avvinghiava al suo petto, facendole tremare le gambe. Le sentì cedere e dovette aggrapparsi al ragazzo per non crollare a terra, stringendosi a lui.
«Lo hai sentito?»
«Sentito cosa?»
Maeriyel si voltò. Cercò gli occhi neri della Chimera tra le foglie, setacciando la vegetazione alla ricerca di un movimento, un suono - ma tutto tacque. C'era solo il ronzare delle mosche attorno alla carcassa e l'olezzo di morte che copriva quello dolciastro e selvatico delle...
«More» sussurrò, in affanno. Inspirava con tutte le sue forze, ma l'aria faticava a scivolare lungo la sua gola. «È attratta dalle more. Non possiamo stare qui, Hervé: dobbiamo fuggire, dobbiamo...»
«Hervé?» Boyaque aggrottò le sopracciglia, poi allungò le labbra in un sogghigno. Liberò uno sbuffo divertito che mutò presto in una risata piena, così insolente da mandarle a fuoco le guance.
Maeriyel indietreggiò, stringendo le mani al petto mentre Boyaque continuava a ridere. Vide di nuovo il presente con chiarezza, come se la sua mente fosse appena scivolata via dal sonno: non c'era nessun gioco e nessuna collina, solo lei e Boyaque tra i cespugli di more che aveva innalzato con Harvestide. Non c'erano neppure Hervé o la Chimera - e come potevano esserci? Erano morti, entrambi per colpa sua.
«Cos'è, senti la sua voce? Hai paura che il Kimse torni dalle tenebre per finire l'opera?» sghignazzò Boyaque, agitando le mani a mezz'aria. «Allora è vero, sei fuori di testa! Completamente andata.»
Maeriyel sgranò gli occhi, stringendo le labbra sottili. Puntò lo sguardo alle more, ma persino quelle sembravano ridere di lei.
Pazza e isterica, come tua madre.
Chiuse gli occhi, scuotendo il capo per scacciare quelle voci. Era rimasta troppo a lungo vicino alla carcassa e il tanfo della decomposizione le aveva dato alla testa, ecco cosa; poteva succedere con gli odori molto forti, l'aveva letto da qualche parte. Ne era certa.
Non era pazza, era colpa di Boyaque che si era avvicinato troppo. Maeriyel sentiva ancora lo stomaco attorcigliato e la bocca secca, le dita gelide per l'ansia strette tra loro. Non avrebbe dovuto prenderla per mano. Non l'aveva mai fatto, se non durante quei giochi che avevano smesso di fare da anni. L'aveva fatto apposta, per farle ricordare quel giorno e farla soffrire, così da poter ridere di lei.
Maeriyel sbuffò e gli diede le spalle, i muscoli tesi mentre si forzava a muovere un passo dietro l'altro per allontanarsi. Il cuore batteva ancora così forte che le faceva male il petto, e anche quando si allentò il bavero del vestito non riuscì a scacciare la sensazione di una mano serrata attorno alla sua gola.
«Andiamo, Mae-mae!» urlò Boyaque alle sue spalle. «Non dirmi che te la sei presa! Era una battuta, stavo solo scherzando.»
Il fruscio dell'erba la avvisò che il ragazzo aveva cominciato a camminare verso di lei, ma questa volta Maeriyel non aspettò che la raggiungesse. Si voltò, assottigliando gli occhi in uno sguardo di fuoco, poi sollevò le braccia. Il Sihir scivolò sulla sua pelle e s'insinuò nel terreno, correndo verso le gambe di Boyaque. Prima che il ragazzo completasse un nuovo passo, liane robuste spaccarono il terreno e si avvinghiarono alle sue caviglie, stringendolo in una solida presa.
Maeriyel gli lasciò il tempo di imprecare, poi roteò i polsi e comandò ai tronchi di crescere. Forme scure e ritorte si innalzarono ai fianchi di Boyaque tra scricchiolii cupi, catturando i suoi polsi tra rami sottili. Con piccoli movimenti delle dita, Maeriyel ordinò alle piante di stringere la presa: quanto più il ragazzo si dimenava, tanto più liane e rami gli si attorcigliavano addosso, bloccandolo fino a gomiti e ginocchia.
«Sei tu quello fuori di testa» sibilò Maeriyel a denti stretti. «Prova ad avvicinarti di nuovo e ti sbatto a terra.»
Boyaque smise di agitarsi e liberò uno sbuffo divertito, incurvando le labbra all'insù. «Tanto per essere chiari, vuoi spaventarmi o farmi eccitare?»
Maeriyel sfarfallò le ciglia, interdetta. Dovette ripetere nella sua mente quello scambio di battute un paio di volte prima di capire: allora sgranò gli occhi e schioccò le labbra in un sussulto, sentendo il viso avvampare.
Ripensò al sorriso sghembo di Boyaque, a quel suo bizzarro atteggiamento, allo sguardo intrigato con cui la fissava... Per il Lucente, faceva sul serio?
«Io... e te?» balbettò, e lui si limitò a sghignazzare.
Maeriyel lo rivide chino su di sé, così vicino da far mescolare i loro respiri, e un brivido le percorse la schiena. Lo immaginò a posare le labbra sulle sue, a far scorrere le mani sulla sua pelle, a fare tutte quelle cose che Soleil le aveva descritto con entusiasmo.
No.
No, no e ancora no.
Maeriyel distese i palmi e i rami avvizzirono attorno ai polsi di Boyaque, rinsecchendosi fino a svanire. Le liane attorno alle sue gambe, però, non si mossero: con le mani libere il ragazzo avrebbe potuto liberarsi da sé, ma gli sarebbe servito del tempo, abbastanza perché non fosse in grado di inseguirla.
Maeriyel si voltò, busto dritto e pugni serrati, ignorando i richiami del ragazzo mentre si allontanava spedita.
«Hanno paura di te, Mae-Mae!» gridò Boyaque alle sue spalle. «Tutto il paese ne ha, una paura fottuta! Ma non io: io ti preferisco pazza.»
Maeriyel lo ignorò, trattenendo l'istinto di rispondere o anche solo di voltarsi.
Non voleva vederlo. Non voleva ascoltarlo.
Si tappò le orecchie con le mani e camminò più veloce, fin quando la vegetazione del bosco non tornò ad essere la sua unica compagnia.
Proseguono i pipponi mentali di Maeriyel, che (purtroppo) non si è fermata alle cornacchie dello scorso capitolo :')
Posso sentire Fraxinusexcelsior urlare da qui. AMAMI COMUNQUE, PLS XD
Il pensiero di Maeriyel ha delle falle morali grosse quanto città intere, ma a livello puramente logico i suoi ragionamenti hanno una base solida. Lei dà ad ogni vita lo stesso peso, perciò come fai a convincerla che è lei in torto quando gli altri sono i primi ad essere degli ipocriti? (:
C'è chi comprende che ideale e realtà sono due cose differenti e chi si riempie la bocca di bei discorsi per poi riempirli di "ma" e specifiche varie in base alla convenienza. Sono due cose molto diverse, ma se Maeriyel si trova solo la seconda categoria a "fronteggiarla" è chiaro perché si radicalizza sempre di più nel suo modo di vedere le cose XD
E Boyaqye? Maeriyel però è molto ferma sulla parte "Enemies" e la sua vicinanza la mette fortemente a disagio. Non solo perché lo odia, ma perché continua ad associarlo a quel giorno. Bello quando un trauma viene assorbito e sotterrato invece di essere affrontato e superato, vero? Non lascia per nulla segni e non tornerà mai più a galla :D
Anyway, cosa ne pensate di questo signorino? Lo abbiamo visto l'ultima volta che aveva dodici anni, ora lo ritroviamo sedicenne. Come pensate si evolveranno le cose tra i due?
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