Capitolo 5 - Macabri trofei

I sottili rami di vimini protesi verso l'esterno facevano somigliare quel cerchio intrecciato a un luminoso sole estivo. Non poteva ancora chiamarlo cesto, dato che aveva completato solo il fondo, ma guardarlo riempiva Maeriyel di soddisfazione.

Se c'era una cosa per cui poteva ringraziare sua madre, era averle insegnato le varie tecniche di intreccio. Certo, Lisaëlle l'aveva fatto per assicurarsi che Maeriyel facesse qualcosa di utile durante i suoi momenti di riposo, ma era diventato un divertente passatempo. Quel ripetersi di movimenti la rilassava, sentire sotto i polpastrelli le curve formate dall'intersezione dei rami distendeva i suoi nervi. Non era importante il prodotto finale, né era spinta dal desiderio di creare qualcosa: le piaceva e basta.

Lasciava però che fosse suo padre a scorticare i rami. Eumeric la correggeva ogni volta, suggerendo che il termine giusto era decorticare, ma a lei non sembrava poi così diverso. Quando lo aveva visto lavorare sui rami di salice la prima volta, a Maeriyel non era sembrato differente da un macellaio: era solo un lavoro più pulito e meno puzzolente. Anche se si trattava di rami creati con Harvestide, Maeriyel preferiva risparmiarsi quell'orrido spettacolo e maneggiare le ossa pulite da foglie e corteccia; a quel punto era più facile ricordarsi che non si trattava di vero vimini.

«Maeriyel!»

La voce di suo padre era affaticata. Maeriyel non ebbe bisogno di sollevare lo sguardo per leggere la sua espressione: se usava il suo nome per intero, era arrabbiato.

Eumeric risalì lungo la collina a passo svelto, seguito da una ventina di compaesani. Si ammassarono di fronte al faggio che Maeriyel aveva scelto come appoggio per la schiena, ma lei restò seduta, rigirandosi i rami sottili tra le dita. Alzò gli occhi per osservare chi era venuto - nel gruppo c'erano anche Paver, Eliette e Soleil, ma erano rimasti a fianco dei loro genitori - e poi tornò con l'attenzione sul suo cesto, riprendendo l'intreccio.

«Maeriyel» la richiamò suo padre, carico d'esasperazione mentre abbandonava le braccia lungo i fianchi. «Che significa tutto questo?»

«Sto intrecciando un cesto. Non ho ancora deciso se fare anche dei manici e un coperchio.»

«Non scherzare, ragazzina!» Sylvie, la madre di Soleil, si fece avanti. «Sappiamo cos'hai fatto.»

Maeriyel arricciò il naso: non aveva mai capito come una donna così alta e robusta potesse avere una voce tanto acuta; era una fortuna che la figlia non avesse ereditato quella caratteristica, o sentirla parlare sarebbe stata una tortura.

«Allora non avete bisogno di chiedere» rispose, scrollando le spalle.

La folla cominciò a borbottare, ma Eumeric allargò le braccia per quietarla. Si inginocchiò di fronte a lei in un lungo sospiro, passandosi una mano sul viso prima di parlare.

«Mae-mae» disse, con voce calma. «Abbiamo visto i rovi attorno ai campi. Perché l'hai fatto? Cos'è successo?»

«Non mi interessa perché l'ha fatto, deve toglierli subito!» si lamentò qualcuno, e la folla borbottò in assenso. Eumeric li richiamò di nuovo al silenzio, ma il nervosismo serpeggiava ancora tra loro. Era un tripudio di uomini e donne con braccia incrociate e sopracciglia aggrottate, innumerevoli occhi adirati che la fissavano.

«Mae-mae» la chiamò Eliette, venendo avanti. «Per favore, fai come dicono. Sono molto arrabbiati.»

«Non posso toglierli, sono necessari: se non lo fossero, non li avrei creati» rispose, posando l'intreccio di vimini sulle gambe. «Ho deciso che, da oggi, i campi sono sotto la mia protezione.»

«Protezione da cosa?» sbottò François, che parlava bene quando non doveva pronunciare una effe.

«Da voi, prima di tutto.» Maeriyel adagiò con cura il suo quasi-cesto sull'erba, poi si alzò in piedi e si avvicinò ai suoi compaesani, che la fissavano con aria confusa. «Chi vuole potrà continuare a prendersi cura dei campi, ma quest'anno non ci sarà nessun raccolto. E così i prossimi anni. Nessuno farà del male alle piante, finché posso impedirlo.»

«T'as rien dans le crâne!» la insultò François. L'Impero non voleva che si costruissero intere frasi nell'antica lingua, ma insieme ai Lunae erano cadute molte delle loro leggi. Così il padre di Eliette e Paver - o solo di Paver, se si voleva dare credito alle voci che circolavano in paese - proseguì in dialetto, sciorinando una sequela di improperi che Maeriyel capì a malapena data la moltitudine di voci che si levò dalla folla per intrecciarsi in lamenti ed esclamazioni sconvolte.

«Mae-mae, so che i tuoi intenti sono buoni, ma abbiamo bisogno di quei campi» disse suo padre, posandole le mani sulle spalle. «Sei abbastanza grande per capirlo, ormai: senza coltivare non avremmo cibo, legno e altri materiali, né per sopravvivere né da vendere.»

«Sì che lo avrete: a tutto quello penserò io.»

Eumeric sgranò gli occhi. «Cosa?»

«Posso creare tutto ciò di cui il paese ha bisogno e anche di più. Invece che lavorare nei campi, verrete a raccogliere i frutti di Harvestide come lo facevate per conto dell'Imperatore. Così tutti avranno quello che serve senza che quelle piante muoiano.»

Maeriyel drizzò il busto, intrecciando le mani dietro la schiena, e un ampio sorriso si fece spazio sul viso. Aveva voglia di ridere, tanto quel pensiero la elettrizzava: un compromesso perfetto in cui tutti vincevano. Sembrava un sogno. L'idea migliore che avesse mai concepito.

La folla però non sembrava condividere il suo umore. Uomini e donne cominciarono a borbottare tra loro, ma era un vociare più perplesso che entusiasta.

«E come funziona per noi?» domandò François, facendo fischiare la effe. «Chi viene a raccogliere si tiene ciò che prende?»

Eumeric lo fulminò con lo sguardo. «François, non puoi davvero...»

«Falla parlare.» François agitò una mano callosa per zittirlo, ottenendo il consenso di molti compaesani. «Ha fatto tutto da sé, ora voglio sentire che dice.»

«Funziona come funziona per i campi» rispose Maeriyel, drizzando le spalle. «Solo che non dovrete anche seminare, arare, innaffiare, rimuovere le erbacce e via dicendo. Il raccolto andrà sempre bene e posso far crescere tutto quello che vi verrà in mente.»

«E quanto dovremmo pagare, sentiamo?»

«Nulla.» Alcune risate si levarono dal gruppo. Maeriyel non se ne curò. «In cambio dovrete raccogliere anche la parte che spetterebbe alla mia famiglia, solo questo. E dovete promettere che di qualunque cosa avrete bisogno - legno, fiori, cibo, erbe - verrete da me: niente più campi coltivati, niente escursioni nelle foreste. Mi occuperò anche del mangime per gli animali.»

Maeriyel abbassò lo sguardo, mordicchiandosi una guancia. Avrebbe voluto salvare anche loro, ma non aveva una soluzione per quello: non poteva sostituire carne e pelle, e suo padre sosteneva che anche quelle fossero cose necessarie. Sua cugina Colette aveva detto che in città c'era chi non mangiava carne e persino uova e formaggi, ma Jérôme, il dottore del paese, era stato categorico nel dire che non tutti potessero permettersi di sopravvivere così. Maeriyel, che era una Dotai, ci sarebbe riuscita; lei l'avrebbe fatto. Si sarebbe nutrita solo di ciò che era in grado di creare con Harvestide, avrebbe rispettato la lezione di suo padre nel migliore dei modi. Per gli altri, tuttavia...

Sospirò. Perché gli esseri umani erano stati creati in questo modo? Perché non potevano essere come le piante, capaci di trarre sostentamento da terra, acqua e luce? O al più come gli insetti impollinatori, in uno scambio che favoriva entrambe le specie - non lo sfruttamento mascherato da buone intenzioni che fin troppo spesso i suoi simili avevano mostrato. Perché il Signore della Luce li aveva condannati all'esistenza di belve feroci, incapaci di sopravvivere se non attraverso la morte di altri esseri viventi?

«Tutto questo è assurdo!»

Maeriyel sollevò lo sguardo verso suo padre, che discuteva animatamente con il resto del gruppo. Non si era accorta che avessero ricominciato a parlare: perdere il contatto con la realtà le capitava sempre più spesso. Persino adesso, non era certa di esserci tornata: la sua mente viveva un mondo tutto suo, suoni e immagini la raggiungevano come musica da una radio o immagini da un ritratto, qualcosa che riusciva a sentire e vedere anche se non era davvero lì. Forse per questo tutti parlavano di fronte a lei come se non ci fosse? Perché era davvero assente?

Sbatté le palpebre, scacciando quei pensieri assurdi dalla mente. Doveva concentrarsi, o avrebbe perso l'intera conversazione.

«Non potete prenderla sul serio in considerazione» disse Eumeric, rigido come il tronco di un abete. «Maeriyel è solo una bambina!»

«Via, Eumeric!» sbottò Sylvie. «Ha quasi quattordici anni, è praticamente un'adulta.»

«Per le vecchie leggi, forse. Ma la Repubblica...»

«Si fotta, la Repubblica» ribattè François. «È stata lei a proporre la cosa, non la stiamo mica obbligando. Se la ragazza vuole farlo, io non dico no. O qualcuno qui preferisce spaccarsi la schiena nei campi?»

Un borbottio concorde si levò dai presenti, che annuirono scambiandosi sguardi di assenso. Eumeric piantò le mani ai fianchi, muovendo brevi passi agitati avanti e indietro.

«Maeriyel non è una ragazza normale, questo è chiaro a tutti» disse una delle donne, Talullah, avvicinandosi per accarezzare il braccio di Eumeric. Il suo tono era così condiscendente da far venire la nausea. «Abbiamo visto tutti cos'è in grado di fare. Non hai dimenticato quanto abbiamo fornito all'Impero grazie al suo lavoro, vero? Potrebbe provvedere a un paese ben più grande di Vou-la-Forêt, forse persino all'intera Vourôme. Non fingere di non sapere che ne sarebbe in grado.»

«Sarebbe uno spreco non usare il potere che si ritrova» aggiunse Sylvie, portandosi le mani aperte al petto in gesto di preghiera, con le dita a sfiorare le clavicole per simulare due ali. «È un dono del Signore della Luce e va messo al servizio della comunità. Maeriyel è una ragazza saggia e buona, lo ha capito prima di noi.»

Maeriyel aggrottò le sopracciglia. Saggia e buona? Sylvie l'aveva sempre definita strana e fastidiosa; persino Soleil alzò uno sguardo perplesso verso la madre, arricciando il naso a quell'evidente bugia.

I presenti, però, annuirono concordi. Maeriyel non ricordava di aver mai ricevuto quel genere di complimenti neanche da loro, ma avevano elogiato i suoi poteri quando avevano avuto bisogno di qualcosa.

Maeriyel strinse la gonna tra le dita, sbuffando. Credevano davvero che fosse così stupida? Nessuno di loro meritava la sua gentilezza; credevano che avrebbe messo a disposizione il suo Naru a quel modo, se non fosse stato l'unico modo per salvare la vegetazione di Vou-la-Forêt?

«Non toglierò i rovi» si affrettò a specificare, la voce ben alta. «Potete accettare il mio aiuto oppure no, ma i rovi restano. E se proverete a liberarvene, li farò crescere di nuovo.»

«Basta così, Maeriyel.» Eumeric si accostò a lei, liberando un pesante sospiro. «Andiamo a casa, ora. Lì ne parleremo con calma.»

Maeriyel chinò lo sguardo, osservando il cerchio di vimini intrecciato che aveva lasciato sull'erba. «Non cambierò idea» borbottò. «La vita è preziosa e va protetta, me l'hai insegnato tu. Hai sempre detto che tutto questo è necessario per la nostra sopravvivenza, ma io posso cambiare le cose, almeno qui in paese. Posso proteggere le coltivazioni. Non c'è bisogno di mietere il farro o raccogliere patate: potete lasciarle vivere, crescere e morire con i loro tempi. Non c'è bisogno di far loro del male, papà: posso occuparmene io.»

Il suono di alcune risate soffocate la raggiunse.

«L'hai sentita, Eumeric?» commentò Talullah. «Sylvie ha ragione, tua figlia è davvero saggia. Dovresti darle ascolto.»

Allungò un sorriso mellifluo, ridacchiando appena. Sylvie, al suo fianco, annuì concorde.

«Maeriyel è grande abbastanza, può fare le sue scelte» aggiunse François. «Pensa a tua moglie, piuttosto. È di lei che dovresti preoccuparti.»

L'uomo batté alcune pacche sulla spalla di Eumeric, e i mormorii dei presenti si fecero più docili. Povera donna, diceva qualcuno, ma a Maeriyel il loro dispiacere sembrava falso come quello di un funerale.

Dopotutto Jérôme sosteneva che Lisaëlle non fosse malata. L'aveva visitata più e più volte quell'anno, persino durante una delle sue crisi, in cui non era in grado di far altro se non piangere e urlare, ma non aveva cambiato la sua diagnosi. Perciò quando Lisaëlle chiamava il figlio perduto come se potesse sentirla e parlava a lui rivolgendosi al sole, gli altri la evitavano e ridevano alle sue spalle. Di fronte ad Eumeric si battevano il petto, ma in realtà pensavano che fosse pazza e isterica.

Forse lo pensavano anche di Maeriyel. Lei stava attenta a non pronunciare il nome di Hervé a voce alta, gli rivolgeva i suoi commenti solo quand'era da sola, ma era comunque figlia di sua madre e c'erano volte in cui gli sguardi su di lei erano pressanti, come se tutti si aspettassero che da un momento all'altro cominciasse a piangere e urlare anche lei.

Maeriyel si voltò, scrollando le braccia per liberarsi di quel fastidio opprimente che aveva cominciato ad arrampicarsi sulla sua pelle.

«Possiamo andare a casa, papà» disse, raccogliendo il quasi-cesto e il vimini ancora da intrecciare. «Quello che dovevo dire l'ho detto. Adesso la scelta è vostra.»



«E poi mi ha baciata!»

Eliette lo disse quasi cantando, in un trillo melodioso. La sua pelle era troppo scura per arrossire, ma aveva le labbra incurvate all'insù in un sorriso sognante.

Soleil sgranò gli occhi in un verso di stupore, afferrando l'amica per un braccio. «Finalmente! Sulla bocca, vero?» L'altra annuì, e Soleil si avvicinò al suo orecchio per parlare sottovoce. «Con la lingua?»

Eliette si coprì il volto, scuotendo il capo in un verso d'imbarazzo che fece ridere la biondina.

«Com'è stato? Ti è piaciuto?» chiese Soleil, stringendosi al suo braccio mentre camminava. «Devi raccontarmi tutto!»

Maeriyel sospirò, voltandosi a guardare l'orizzonte. Non le importava conoscere la risposta, perciò lasciò che le chiacchiere delle sue amiche si confondessero con i versi degli uccelli - cinguettii di passeri e gracchiare di cornacchie - che facevano da sfondo alla loro passeggiata.

Le sue amiche diventavano entrambe noiose, quando parlavano d'amore. Eliette era di un romanticismo stucchevole, parlava di Forois quasi fosse un Angelo incarnato e vedeva segni dei loro sentimenti in ogni sguardo, ogni parola, ogni situazione. Era impossibile parlare con Eliette di qualcosa senza che nominasse il suo amato; una volta Maeriyel aveva tenuto il conto e il nome del ragazzo era saltato fuori tredici volte in un'ora.

Soleil era meno sognatrice e più pratica, perciò anche più tollerabile. Da quando aveva perso la verginità, però, aveva cominciato a inserire implicazioni maliziose in ogni frase e parlava con una supponenza che rendeva insopportabili anche le battute divertenti: non mancava di ricordare che era lei la più grande, dunque ne sapeva più di loro. I suoi racconti avevano stuzzicato la curiosità di Maeriyel quand'erano una novità, ma a lungo andare le descrizioni dei momenti di intimità tra lei e Paver erano diventate ripetitive e monotone tanto quanto le romanticherie di Eliette.

Maeriyel aveva smesso di cercare di capire cosa ci fosse di così entusiasmante. Avrebbe capito se mai si fosse innamorata, forse, ma non poteva dire di essere impaziente. Per il momento, trovava più interessante osservare il paesaggio: quel Solares di primavera aveva regalato un cielo sereno, di un azzurro tanto intenso che le poche nuvole spiccavano come sagome ritagliate. Attorno al sentiero di terra battuta che le tre amiche stavano percorrendo, risalendo lungo la collina, i prati di Vou-la-Forêt si aprivano in infinite distese verdeggianti.

Le fronde piene dei tigli si stagliavano all'orizzonte, interrotte dalle linee scure dei cipressi. Alcuni cerri si confondevano nel paesaggio: non erano molto più alti dei tigli e possedevano una forma piena e compatta, ma la chioma verdeggiante aveva una sfumatura più scura e una forma più ovale e spanciata. Maeriyel sapeva che Eliette e Soleil non avrebbero saputo notare le differenze, ma per lei era come guardare i visi di persone che conosceva da così tanto tempo da ricordare a memoria ogni imperfezione della pelle; avrebbe riconosciuto quelle fattezze tra decine di alberi differenti.

Le primule dominavano il terreno, facendo capolino tra gli steli d'erba con le loro corone bianche, rosse o viola, ma un occhio attento avrebbe notato anche margherite e fresie. Più avanti, verso est, si scorgevano le palizzate che separavano i prati fioriti dai campi coltivati, liberi dai rovi di Harvestide: Maeriyel li aveva rimossi dopo che gli abitanti di Vou-la-Forêt avevano accettato le sue condizioni, a seguito di lunghe consultazioni. Era stata costretta a farlo: una prova di fiducia o qualcosa del genere, poiché qualcuno si era detto preoccupato di dipendere così tanto da una sola persona. Maeriyel aveva anche promesso di non farli ricrescere finché avessero rispettato le sue richieste, e in quei due mesi non c'erano stati problemi.

Sarebbe stato bello se quella fosse diventata la normalità. Risalire lungo la collina sotto il cielo sereno, respirare l'aria fresca del mattino e ammirare il paesaggio sapendo che nessuno lo avrebbe distrutto di lì a poche settimane. Chiudere gli occhi e sentire il profumo dei fiori e dell'erba stuzzicare le narici, udire il vento scivolare tra rami e foglie, ammirare il volo di api e farfalle che si impegnavano nell'impollinazione.

Eumeric era ancora contrario a quell'accordo, preoccupato dalle richieste dei compaesani, però a Maeriyel non importava. Avrebbe volentieri lavorato ogni giorno, Solares compreso, pur di mantenere quella tranquillità. L'unica cosa che aveva importanza era...

«Devi sbrigarti, Mae-mae!» Eliette la afferrò per un braccio, facendola trasalire. «Adesso sei rimasta solo tu.»

Maeriyel sfarfallò le ciglia, stringendo le dita attorno al manico del cesto da pranzo che trasportava.

«"Solo io" a fare cosa?»

«A non essere fidanzata» sghignazzò Eliette. «Non hai neppure dato il primo bacio, è così strano!»

Maeriyel si accigliò. «Neanche tu, fino alla scorsa settimana.»

«Ma io sono innamorata di Forois da anni, perciò era solo questione di tempo. Tu, invece...» Eliette stropicciò le labbra, picchiettandosi le guance paffute con l'indice. «Davvero non ti piace nessuno?»

«No.»

«Nessuno nessuno?»

«Non mi interessano queste cose, Eli.»

«Vedrai che prima o poi cambierà idea, è solo che non sa cosa si perde.» Soleil allungò un sorriso complice all'amica più giovane. Lei doveva saperlo piuttosto bene, dato che Paver non era l'unico con cui era stata, sebbene fossero fidanzati da oltre un anno.

«Devi solo conoscere la persona giusta» aggiunse Eliette, sfoggiando un sorriso speranzoso. «Dopo sarà impossibile non interessarsi!»

Maeriyel sospirò, roteando gli occhi. «Se lo dici tu.»

«Lo dico eccome! Io non saprei immaginare una vita senza Forois: già ci vedo sposati, con quattro o cinque figli...»

Soleil spalancò gli occhi. «Quattro o cinque?»

«Voglio una famiglia numerosa. E poi se ho almeno due maschi e due femmine possono farsi compagnia tra di loro, no?»

«Non scegli tu se sono maschi o femmine» borbottò Maeriyel. «E poi cosa che importa cosa sono? Possono farsi compagnia comunque.»

«Avere un fratello non è come avere una sorella.» Eliette arricciò il naso, agitando la gonna in un gesto secco, carico di fastidio. «Che vuoi saperne tu? Praticamente sei cresciuta da sola.»

«Eliette!» Soleil le pizzicò un braccio, sbuffando lontano dal viso un ciuffo biondo.

Maeriyel notò con la coda dell'occhio che Soleil aveva cercato il suo sguardo, ma lei l'aveva già abbassato. Percorreva le linee di vimini intrecciato che formavano il manico del cesto, le labbra strette in un silenzio forzato.

Poteva dirlo, che non le importava nulla? Che Eliette aveva ragione, lei un fratello l'aveva avuto solo di nome e non poteva dire di avergli voluto bene. In effetti, doveva ancora decidere se fosse una persona buona oppure no, perché la guerra era un argomento proibito ancor più di prima. Trudault era per lei uno sconosciuto, ma tutti si aspettavano che lei fosse distrutta per la sua morte; sua madre l'aveva persino schiaffeggiata quando Maeriyel aveva ammesso di non soffrirne. E gli sguardi come quello di Soleil, carichi di pietà e un dispiacere che era solo di facciata... Che fastidio. A nessuno fregava niente, ma andava bene solo quando non si diceva ad alta voce.

«A me ne basta uno» disse Soleil, schiarendosi la gola. «Due figli, al massimo. Non di più. Tu che ne pensi, Maeriyel?»

«Nessuno» rispose, drizzando le spalle per sgranchirsi le ossa. «Non voglio figli.»

Eliette trasalì con tale stupore da fermare il passo. «Come no? E perché?»

«Non vivrò per sempre, e quasi certamente morirò prima di loro.»

«E quindi?»

Maeriyel sospirò. «Harvestide, Eli. Se muoio, non ci sarà nessuno che possa creare ogni cosa per loro come io faccio con voi. Che faranno, a quel punto?»

«Beh, torneranno a coltivare i campi» disse Soleil.

«Appunto» confermò Maeriyel, stringendo il cesto tra le mani fino a far scricchiolare l'intreccio di vimini. «Non voglio questo per i miei figli. Non voglio dar vita a degli assassini.»

Soleil smise di camminare, boccheggiando una risposta inconcludente. Fu costretta a fermarsi anche Maeriyel, e voltandosi verso le amiche non fu sorpresa di trovarle con gli occhi spalancati e le espressioni incerte.

Maeriyel conosceva quello sguardo, quello che molti nel paese rivolgevano a sua madre da quando le sue crisi erano aumentate. Forse Eliette e Soleil pensavano lo stesso di lei, che fosse pazza e isterica proprio come Lisaëlle, ma l'avrebbero detto a chiunque meno che a lei. Funzionava così, quel gioco contorto; più Maeriyel comprendeva le regole e meno aveva voglia di giocare.

«Come vola bassa quella cornacchia!» esclamò Soleil per cambiare argomento, distendendo il braccio verso il cielo. Aveva un tono rigido e forzato, tuttavia Maeriyel tenne per sé il commento.

Lei ed Eliette si voltarono per seguire l'indice dell'amica con lo sguardo, puntato verso la figura scura di una cornacchia. O un corvo, forse; quando non avevano il piumaggio bicolore, Maeriyel non sapeva distinguerli. Non era come per le piante, di cui conosceva le caratteristiche di ogni foglia e stelo.

"E hanno il coraggio di chiamarla suggestione."

«Se ne vedono tantissime in questi giorni, avete notato?» trillò Eliette, distendendo un sorriso allegro.

Maeriyel annuì distrattamente, seguendo il volo dell'uccello sopra le loro teste. Presto se ne affiancò un altro, e insieme cominciarono a sbattere frenetiche le ali in un gracchiare più intenso. Era così distratta dall'ammirare il paesaggio che non l'aveva notato prima, ma le figure scure dei volatili si stagliavano in gran numero nel cielo sereno, ammassandosi vicino al terreno; Maeriyel non ricordava di averne mai viste così tante tutte assieme, forse perché il movimento dei contadini nei campi - ancor più degli spaventapasseri - di norma era sufficiente a spaventarle.

Un orribile presentimento l'afferrò per la gola, bloccandole il respiro. Le dita sottili dell'angoscia affondarono il suo petto e la squarciarono fino allo stomaco, mentre i craa craa distanti suonavano come risate crudeli.

Maeriyel lasciò cadere il cesto e scattò, ignorando i richiami delle amiche. Sollevò la gonna dell'abito viola fin sopra le ginocchia e corse per i campi in fiore, con il suono del suo respiro affannato a tapparle le orecchie e il battito accelerato del cuore che sbatteva qua e là nel suo petto.

Quando si chinò per passare sotto la staccionata, le voci delle sue amiche non si udivano più: Maeriyel non sentiva che il coro dei versi striduli così vicini da riecheggiare nelle sue orecchie. C'erano almeno cinquanta esemplari, una decina in volo e il resto a razziare i campi coltivati, zompettando in un frusciare di ali scure tra le pannocchie del granocorallo. Quella varietà di granturco cresceva solo a Lasyard: quello tradizionale non era ancora stato seminato, ma il granocorallo cresceva in primavera e sfoggiava già spighe dai chicchi rosati. Non erano ancora maturi per la mietitura, ma lo erano a sufficienza per i volatili: i loro becchi scuri tiravano via le cariossidi una a una, lasciando dietro di sé quelle che apparivano come gengive sdentate e sanguinanti.

Maeriyel indietreggiò, appoggiandosi alla staccionata mentre le forze la abbandonavano. Tentò di distogliere lo sguardo, ma ovunque posasse gli occhi il suo cuore si raggrinziva nel petto, e lo stomaco si torceva in spasmi violenti come se una lama l'avesse trafitto. Non vedeva più il cielo azzurro e l'immensità del campo, ma solo scorci: ora metteva a fuoco gli artigli neri che si aggrappavano agli steli e logoravano le foglie, ora i becchi che ingoiavano i chicchi dopo averli spezzati, ora il terreno che i corvidi setacciavano alla ricerca del cibo sfuggito ai compagni.

«Maeriyel!»

La voce di Soleil si fece strada a forza nel caos di suoni e pensieri. Maeriyel sentì le mani dell'amica stringersi attorno al suo braccio, quasi temesse che potesse scappare di nuovo.

«Che diamine ti è pre...» Soleil trasalì, prendendo rumorosamente fiato. «Santa luce, hanno distrutto tutto.»

«Oh sole e stelle... È terribile» mormorò Eliette, affiancandosi a loro. Aveva il fiatone e si piegò sulle ginocchia per riprendersi dalla corsa. «Per fortuna non dobbiamo preoccuparci del raccolto, quest'anno. Non è rimasto quasi niente!»

«Fortuna? Ti sembra una fortuna?» Maeriyel si voltò, le labbra distorte in una smorfia disgustata. «Tu hai di che mangiare, quindi chi se ne frega del resto? È questo che pensi? Non ti importa di chi muore, fintanto che tu stai bene?»

Eliette boccheggiò, sgranando gli occhi. Li spostò oltre la sua spalla, forse per cercare sostegno in Soleil, e Maeriyel sentì la presa dell'amica farsi più salda.

«Voleva solo dire che sarebbe stato peggio» disse la bionda, avanzando per frapporsi tra le due. «E comunque anche i corvi devono mangiare, Mae-mae. Che dovrebbero fare, morire di fame?»

Maeriyel si voltò, singhiozzando alla vista dei corvi che banchettavano con ciò che restava dei cereali. Il suo cuore sanguinava, ma non riusciva a chiudere gli occhi. Non riusciva a scacciare dalla testa quell'insistente gracchiare che si mescolava alle urla del granocorallo che veniva straziato e distrutto.

Non dovevi proteggerci? Sembrava chiedere tra i lamenti acuti. Non hai risolto un bel niente.

Era stata sciocca. Poteva controllare gli abitanti del paese e gli animali degli allevamenti, ma gestire le bestie selvatiche era tutt'altra storia: se anche avesse creato intere piantagioni con Harvestide solo per loro, non avrebbero fatto altro che razziare entrambe le cose.

È vero, uccidere è sbagliato, le aveva detto suo padre. Ma ci sono persone cattive che fanno del male agli altri e si approfittano dei più deboli.

Corvi e cornacchie non erano persone, eppure a Maeriyel quelle parole non erano mai sembrate chiare come in quel momento. Il granocorallo era indifeso, una vita delicata alla mercé di quelle orribili creature.

Forse erano davvero demoni, come diceva sua madre. I corvidi si nutrivano di carogne in decomposizione e così della frutta matura, dopo che questa era caduta naturalmente. Non potevano accontentarsi di questo? Non potevano attendere che la natura facesse il suo corso, invece di cacciare e uccidere?

I soldati, come i Sovalye, ci difendono da queste persone: a volte, purtroppo, per fermarle sono costretti a...

«Forse hai ragione, Sol.» Maeriyel alzò le braccia, il Sihir che scorreva nei pugni chiusi. La nausea era sparita, il cuore pompava energia in tutto il corpo e la sua mente era placida come l'acqua di un lago. «Se non sanno far altro che questo, allora dovrebbero morire.»

Maeriyel aprì le mani e la terra tremò, smossa dal Sihir che si riversava nel suolo. Rovi e liane si issarono seguendo i movimenti delle sue braccia e si attorcigliarono in grovigli nodosi, trecce di corteccia, foglie e spine che abbracciavano le spighe straziate del granocorallo.

Corvi e cornacchie gracchiarono di spavento e si librarono in un volo disordinato, sbattendo le ali con una tale frenesia che si scontravano gli uni contro gli altri mentre cercavano di fuggire.

Oh, non gliel'avrebbe lasciato fare.

Maeriyel piegò le dita e il Sihir fluì come linfa nelle sue creazioni, facendo tendere i tronchi in scricchiolii cupi. Le liane scattarono come fruste flessibili, fendendo l'aria in uno sfregare di foglie mentre si gettavano nello stormo impanicato. Puntarono ai corvidi più lenti e ne catturarono una mezza dozzina, avvolgendo busto e collo: più quelli si dimenavano, agitando le ali e spalancando i becchi scuri in versi terrorizzati, più le liane crescevano e li stringevano in una presa salda.

Maeriyel cercò i loro occhi scuri, ritrovando quelli del Kimse che l'aveva assalita quand'era bambina. Occhi vuoti e crudeli, occhi di chi non aveva esitato a dilaniare il corpo di un innocente, ringhiando verso di lei con il muso ancora sporco del suo sangue.

Creature come quella non meritavano di vivere.

Chiuse i pugni. Le urla di Eliette e Soleil coprirono il suono dei piccoli colli che si spezzavano. Spine crebbero arrampicandosi lungo rami sottili sulle liane, stringendosi attorno alle ali ormai immobili. Ne graffiarono le carni fino a farle sanguinare e poi fecero la stessa cosa con la testa, torcendo e squarciando fino a staccarla dal corpo.

Maeriyel sorrise quando le vide cadere al suolo e perdersi tra spighe e arbusti, risparmiandole la vista di quei piccoli occhi neri e spalancati. Sorrise mentre il sangue colava lungo i rami, brillando al sole con una sfumatura tanto intensa da togliere il fiato. Era meraviglioso ora come allora, grondando dalla carcassa scura di quei demoni che non avrebbero più distrutto alcuna vita. Maeriyel non poteva fare a meno di ammirarlo, sentendo il petto scaldarsi di sollievo al suono delle piccole ossa cave che si spezzavano sotto la sua stretta.

C'era fascino nella morte, quand'era meritata. La soddisfazione guizzava tra i muscoli e le scuoteva il corpo di un piacere che non era paragonabile a nulla che avesse mai provato prima. Uccidere era orribile, ma non se lo scopo era proteggere: allora diventava bellissimo, la faceva sentire bene.

Maeriyel si voltò, incrociando gli sguardi sconvolti delle sue amiche. Eliette era piegata a metà e sembrava che senza l'aiuto di Soleil, che la reggeva per le braccia e le teneva i capelli scuri dietro le spalle, sarebbe caduta in ginocchio. Doveva aver rimesso la colazione che avevano consumato insieme, a giudicare dal tanfo che raschiava le narici di Maeriyel.

Non disse nulla e loro fecero altrettanto. Ignorò le loro espressioni atterrite e si voltò verso il campo, ora silenzioso: i corvidi erano fuggiti tanto lontano che non si vedevano le sagome né si udivano i versi. Maeriyel agitò una mano e le piante di Harvestide si ritirarono - tutte tranne sei rami, uno per ogni volatile. I fusti spinati si tesero verso l'alto e issarono le carcasse come macabri trofei, spalancando le ali e infilzando il petto come spade affilate.

«Saranno un monito per gli altri» spiegò Maeriyel, compiaciuta mentre sollevava la gonna viola per ripercorrere i suoi passi tra i prati in fiore. «Se sono furbi come si dice, impareranno la lezione.»



Ebbene no, Maeriyel non ha intenzione di condannare il suo paese a morire di fame, come qualcuno aveva supposto u_u Qualcuno si è preoccupato del fatto che si stanno approfittando di una ragazzina, a parte Eumeric? MA FIGURARSI! Possono smettere di lavorare e ricevere cose gratis, chissenefrega del resto X°D

Considerando che comunque la proposta è venuta da Maeriyel, diciamo che tutto sommato è una win-win situation, giusto? :) Non ci sono assolutamente falle nel magico piano della nostra protagonista, ne siamo sicuri :) Tutto andrà a meraviglia :)

Primo problema all'ordine del giorno per la cara Maeriyel: puoi convincere le persone, puoi decidere cosa far mangiare agli animali di compagnia e da allevamento, ma come la mettiamo con quelli selvatici? 

La natura fa giustamente il suo corso, ma lei non riesce a tollerarlo e la sua soluzione è prendere decisioni drastiche. A suo modo, sta facendo esattamente ciò che le è stato spiegato, "punendo i cattivi" per proteggere "gli innocenti". Forse qualcuno avrebbe dovuto spiegarle anche che non si dovrebbe applicare la logica in questo modo...

Come ho già accennato in qualche commento, non siamo qui per essere d'accordo con lei, però mi piacerebbe trascinarvi nel suo punto di vista e comprendere il suo modo di ragionare, le argomentazioni dietro la sua follia che diventa sempre più evidente. Non aggiungo altro perché vorrei che a parlare sarà Maeriyel stessa nel corso nei capitoli, però mi farebbe piacere leggere le vostre riflessioni in corso d'opera *_*

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