Capitolo 2 - Un cadavere tra i cadaveri
Il sole era ancora alto quando la campana della cappella cominciò a suonare. Cinque rintocchi, non quattro come il consueto inizio di ogni celebrazione: i primi erano per il Signore della Luce e la sua schiera di Angeli, ma l'ultimo era per il defunto.
Maeriyel si alzò in piedi, seguendo i suoi genitori fuori casa. Si fermarono proprio sull'uscio, schiene dritte e candele in mano, tutte con una piccola fiamma che bruciava in cima. Lei e sua madre avevano raccolto i capelli in una crocchia alta, liberando la fronte da ogni ciuffo con l'aiuto di forcine sottili. Il viso di Lisaëlle non era tempestato di lentiggini come quello della figlia e aveva tratti marcati dall'età, con rughe profonde ai lati degli occhi e a circondare le labbra, ma la forma era identica - un ovale allungato con mento appena accennato, naso all'insù e labbra sottili. Maeriyel aveva ereditato da lei anche il colore dei capelli e quello degli occhi, arancioni come la fiamma che bruciava sullo stoppino, perciò sembrava la sua copia di parecchi anni più giovane. Era ancora più evidente ora che entrambe vestivano il nero del lutto, con l'ampia gonna a sfiorare le caviglie e le maniche strette attorno ai polsi.
Non aveva trascorso sotto il sole più di dieci minuti, eppure Maeriyel sentiva già il sudore colarle sulla nuca, lì dove l'orlo merlettato del colletto le avvolgeva la gola. Si diceva che l'estate fosse il periodo migliore per morire: si poteva officiare un funerale solo quando il cielo era sereno, perciò in inverno le Lucille avrebbero dovuto trattare il cadavere affinché restasse in buone condizioni in attesa del bel tempo. Per Hervé non era stato necessario: le donne si erano limitate a ricucire la pelle e a ripulirlo dal sangue prima di avvolgerlo in un sudario, operazione che aveva richiesto solo qualche ora: il giorno successivo il sole splendeva, il Lucente era pronto ad accogliere l'anima di Hervé e Maeriyel stava morendo di caldo.
Schiuse le labbra in uno sbuffo leggero, sentendo la mano callosa di suo padre posarsi sulla sua spalla. Si voltò a guardarlo, ma lui si limitò a distendere le labbra in un sorriso gentile, stringendola a sé. La sua pelle era più scura, macchiata dalle ore trascorse sotto il sole a curare i campi, e le lentiggini si mischiavano alle efelidi ricoprendo il volto squadrato. Dei capelli rosso carota restavano solo corti ciuffi ai lati e sul retro del capo, ma la barba era ancora folta: Eumeric la portava lunga, ma rasava il mento come molti uomini a Vou-la-Forêt.
Anche Hervé l'avrebbe tagliata a quel modo, se fosse cresciuto? Maeriyel non riusciva a immaginarselo: anche lui somigliava più a sua madre che a suo padre, perciò non aveva alcun riferimento a cui affidarsi. Sarebbe rimasto così basso e magro oppure il duro lavoro da bracciante ne avrebbe definito la muscolatura? La sua voce sarebbe diventata bassa e piena, com'era successo a Paver?
Hervé le mancava. Le piaceva la sua compagnia, più di quella degli altri suoi amici, ma non sapeva ancora come sentirsi per la sua morte. Gli adulti non le avevano chiesto cosa provasse a riguardo, le avevano offerto conforto per questo o quel motivo, riempiendola di così tante supposizioni da lasciarla confusa.
Pensare che non avrebbero più giocato insieme era... strano. Un concetto che faticava ad afferrare. Però Millicent, la madre di Eliette e Paver, ripeteva che la sua anima sarebbe andata in un posto migliore, finalmente al fianco del Signore della Luce. E suo padre le aveva detto che Hervé sarebbe rimasto sempre con lei, che l'avrebbe osservata dal sole, dove sarebbe stato in pace e non avrebbe più sofferto.
Perciò doveva essere felice o triste? Perché tutti ne parlavano come fosse una disgrazia e al tempo stesso una meraviglia? Nessun altro a parte lei lo trovava assurdo?
Maeriyel scacciò quelle domande scuotendo il capo e lasciò vagare lo sguardo lungo la via. Le altre famiglie si erano già disposte sull'uscio, tutte con i capelli raccolti, gli abiti neri e le candele accese in mano. La tradizione voleva che attendessero lì fuori il passaggio del corteo funebre, che partendo dalla cappella si sarebbe fermato ad ogni porta: avrebbe impiegato almeno un'ora per giungere da loro, e le famiglie avrebbero trascorso quel tempo offrendo il proprio cordoglio al Signore della Luce. C'era chi intonava canti e chi preghiere, voci solitarie a cui ben presto si unirono quelle dell'intera via, e c'era chi piangeva con tale trasporto da non riuscire a fare nient'altro che quello.
«Guarda come si battono il petto disperati» borbottò Lisaëlle, avvicinando all'orecchio del marito le labbra stropicciate in una smorfia. «Per il mio Trudault, invece, neanche una parola di conforto. Non merita canti e lodi anche lui?»
Maeriyel sentì la mano di suo padre irrigidirsi sulla sua spalla. Sollevò lo sguardo e lo trovò con gli occhi sgranati e le labbra strette, pallido in viso.
«Trudault non è morto.»
«Lo è, ti dico. Una madre le sente, queste cose: scommetto che quei luridi sekken non l'hanno neppure bruciato, l'avranno lasciato lì a marcire sul campo. Il mio povero bambino...» Lisaëlle singhiozzò, coprendosi la bocca con la mano libera.
Maeriyel ricordava a malapena di avere un fratello. Era entrato nell'esercito imperiale poco prima della sua nascita e tornava a far visita alla famiglia due o tre volte all'anno, ma questo era prima che Hedea dichiarasse guerra a Secim.
Trudault non si vedeva a Vou-la-Forêt da quattro anni, e da ormai due mesi aveva smesso di rispondere alle lettere. Maeriyel aveva sentito Eumeric rassicurare lei e sua madre, sostenendo che fosse a causa della guerra che si era fatta più intensa - su questo doveva credergli sulla parola, perché gli adulti allontanavano sempre lei e gli altri bambini quando ascoltavano le notizie alla radio o leggevano i giornali - e dunque non aveva tempo e modo di comunicare.
Lisaëlle non gli aveva mai creduto. Maeriyel ne era disinteressata.
«Perché Trudault è andato in guerra?» chiese a suo padre, avendo cura di parlare a bassa voce. Sua madre l'avrebbe rimproverata se avesse disturbato le preghiere. «Dici sempre che la guerra è una cosa brutta.»
«Lo è, però tuo fratello è un semplice soldato» spiegò Eumeric, pacato. Non si rivolgeva a lei come faceva con sua madre o gli altri adulti: sembrava scegliere le parole con cura, come fosse troppo stupida per capire, e le pronunciava con una dolcezza stucchevole. «L'Imperatore Osvaldus gli ha ordinato di andare, non può rifiutarsi.»
«Allora non doveva diventare un soldato» obiettò Maeriyel, arricciando il naso. «Non dovevate lasciarlo andare.»
Il sorriso di Eumeric si allungò. «Anche noi sentiamo la sua mancanza, Mae-mae. Però...»
«Non è questo» si affrettò a dire. «Hai detto che bisogna proteggere la vita, però mio fratello è andato a Secim a uccidere. Fanno questo, i soldati, uccidono altra gente. È una cosa sbagliata, quindi perché non l'hai fermato? Adesso Trudault è una persona orribile.»
«Non parlare di tuo fratello in questo modo!» Lisaëlle l'afferrò per un braccio, puntandole addosso gli occhi rossi e spalancati. Sibilò quel rimprovero a denti serrati, in un ringhio sommesso, ma la stringeva così forte da farle male. «Era il migliore di tutto il paese: bello, forte e con un cuore grande. Che il Signore della Luce lo accolga! Neanche una preghiera gli hanno offerto...» Singhiozzò di nuovo, liberandole il braccio per asciugarsi gli occhi. Cominciò a piangere in lamenti fastidiosi, ma non era l'unica: anche altre donne erano scoppiate in lacrime dopo l'inizio della veglia, e i loro gemiti sofferenti si confondevano tra le litanie.
Maeriyel stropicciò le labbra disgustata mentre si massaggiava il braccio indolenzito. Sua madre non piangeva per Hervé, ma per un figlio che forse non era neppure morto. E riguardo le altre donne, quante di loro erano sincere nel loro cordoglio?
Tutti sapevano che bisognava mostrarsi tristi a un funerale, per rispetto del defunto e della sua famiglia o qualcosa del genere. Più dolore si esternava e meglio era, e se qualcuno non piangeva abbastanza il paese se ne lamentava in chiacchiere e pettegolezzi velenosi; così tutti facevano a gara per apparire più dispiaciuti degli altri. Soleil aveva persino rivelato in segreto che sua zia si faceva pagare per piangere. Quale fosse il motivo, né Maeriyel né i suoi amici erano riusciti a comprenderlo.
«Trudault è diventato un soldato per proteggerci, Mae-mae.» Eumeric si inginocchiò al suo fianco, la mano ancora posata sulla sua spalla. Aveva l'aria stanca, ma sorrideva ancora. Sorrideva sempre quando parlava con lei, anche se parlavano di cose orribili. Perché lo faceva? «È vero, uccidere è sbagliato, ma ci sono persone cattive che fanno del male agli altri e si approfittano dei più deboli. I soldati, come i Sovalye, ci difendono da queste persone: a volte, purtroppo, per fermarle sono costretti a...»
«Quindi i sekken sono persone cattive? L'Imperatore è in guerra con loro perché ci vogliono fare del male?»
Eumeric esitò. Maeriyel lo vide boccheggiare e sollevare lo sguardo verso sua moglie, ma lei non li stava ascoltando: singhiozzava e borbottava frasi sconnesse, farfugliando troppe parole per renderle comprensibili. Allora suo padre si schiarì la voce, marcando il sorriso.
«È un discorso complicato, Mae-mae» disse, e con un cenno del mento la invitò a guardare verso la collina. «Ne parleremo un'altra volta, d'accordo? Il corteo arriverà a breve, adesso Hervé ha bisogno delle nostre preghiere.»
Maeriyel annuì, insoddisfatta. Non le sembrava così complicato; in verità, cominciava a capire quel paradosso. Uccidere era sbagliato, perciò chi lo faceva non meritava di vivere e qualcuno doveva pur occuparsi della cosa. Era successa la stessa cosa nel bosco, no? Il Kimse aveva ucciso Hervé e aveva cercato di fare lo stesso con lei, perciò doveva morire. Forse inconsciamente aveva già compreso quel concetto, ecco perché ciò che aveva fatto non la turbava, non nel modo in cui gli altri si aspettavano. Tutti le avevano offerto parole di pietà e conforto, ripetendo quanto fosse orribile l'accaduto, però Maeriyel non riusciva ad accostare quel termine ai suoi ricordi.
Suonava sbagliato. Se ripensava al momento in cui aveva aperto gli occhi, alla carcassa dilaniata dai rovi e al sangue vivido che colava fino al suolo, non provava ribrezzo. Le sembrava... bellissimo. Non in senso estetico, come si commenta un vestito o un dipinto; più come guardare un campo ben arato in cui erano stati appena piantati i semi. Non era che terra brulla e vuota, una distesa desolata che non aveva nulla di bello da offrire, ma c'era soddisfazione nel sapere che ogni cosa era al suo posto e tanto bastava a renderlo meraviglioso.
Ecco, quella le sembrava una descrizione appropriata - però l'aveva tenuta per sé. Lisaëlle la rimproverava aspramente, quando Maeriyel contraddiceva gli adulti.
La cera sciolta aveva già creato una sottile patina bianca sul fondo del candeliere quando il corteo funebre si avvicinò alla via. Luminux Eligos guidava la processione, avvolto in una tonaca dorata. Il simbolo della Chiesa della Luce era ricamato in rosso sul petto, e filamenti di sfumature arancioni si diramavano lungo tutto il tessuto come raggi solari. Insieme alle due Lucille che camminavano ai suoi fianchi - entrambe abbigliate con una tonalità più simile all'argento, con lunghe torce dorate tra le mani - spiccava come un astro nel cielo notturno. Dietro di loro, solo il nero del lutto: i parenti stretti di Hervé avevano cappelli scuri sul capo e veli traforati a coprire il volto, mentre gli altri si erano limitati a raccogliere i capelli. Solo le donne più anziane portavano foulard ricamati attorno a capo e collo: quella di coprire la testa era una tradizione lasyardea, legata ai vecchi culti più che alla Chiesa della Luce, ma c'era ancora chi faticava ad abbandonarla.
Luminux Eligos si rivolse alle famiglie che lo attendevano sull'uscio, una per una, recitando con loro una breve preghiera per il defunto. Li benedisse e quelli chinarono il capo, abbandonando la propria casa per unirsi al corteo. Quando toccò a Maeriyel, il Luminux soffermò lo sguardo su di lei e le sorrise - forse. Era difficile capirlo, con quel fitto reticolo di rughe sul viso tondo. Nessuno sapeva dire per certo quanti anni avesse, ma sembrava l'uomo più vecchio che Maeriyel avesse mai visto; non si sarebbe stupita di vederlo dissolversi in polvere di fronte ai suoi occhi, tanto cascante e raggrinzita era la sua pelle.
«Tornate pure in casa, Eumeric» disse in tono leggero. «Fate riposare la bambina.»
«Non è necessario, Luminescenza» si intromise Lisaëlle, tirando fuori dalla manica un fazzoletto - nero anch'esso - per asciugarsi gli occhi. «Maeriyel non è stanca, non vuole riposare. È giusto che partecipi, lo faremo tutti.»
Chinò il capo e afferrò Maeriyel per il polso, trascinandola con sé in fondo al corteo. Lì, alle spalle della processione, c'era Hervé: il suo corpo era avvolto in un sudario bianco e oro, adagiato su una lettiga che due uomini trasportavano con cura. Accanto a loro camminava Luminux Yeter'el, il giovane che avrebbe succeduto Eligos alla sua morte. Era in paese da un anno, ma era la prima volta che Maeriyel lo vedeva senza le vesti viola da Adepto. Lui non le rivolse lo sguardo, concentrato sulla campanella che suonava per scandire i tempi delle preghiere.
Raccolte tutte le famiglie, il corteo marciò per risalire la collina. La figura della cappella si stagliava solitaria sulla cima, come un re che osserva il popolo dall'alto del suo trono. Maeriyel non ne aveva mai viste altre, ma sua cugina Colette - che si era trasferita in città per studiare - la definiva insulsa se paragonata a quelle moderne: la costruzione di pietra grigia non seguiva i canoni imperiali, ergendosi in un blocco unico che si innalzava al centro con poche decorazioni, per lo più archi in rilievo e bifore allungate. Era vecchia quanto Vou-la-Forêt stesso e girava voce che in origine appartenesse a un qualche vecchio culto, ma non era una preoccupazione così rilevante da pronunciarla ad alta voce.
Colette diceva anche che i funerali non si officiavano più in modo così arretrato: le città erano troppo grandi per riunire l'intera popolazione, così si radunavano insieme solo i parenti e gli amici. Non era importante che il cielo fosse sereno e non si attendeva il tramonto per bruciare la pira; non veniva costruita alcuna pira, in verità, perché il cadavere veniva cremato in un forno apposito e tutto si svolgeva all'interno della cappella.
Maeriyel arricciò il naso, fermando il passo alla serie di trilli acuti che Luminux Yeter'el suonò a conclusione delle ultime preghiere. Osservò quel fiume nero sparpagliarsi e fare spazio ai due uomini che portavano la lettiga, e le Lucille intonarono canti soavi mentre le spoglie di Hervé venivano trasportate fino alla catasta di legni chiari che era stata preparata nel cortile. I ceppi erano stati tagliati in cilindri precisi e mischiati alla paglia, levigati per rimuovere le imperfezioni: i più grandi descrivevano il perimetro e rami più sottili si ammassavano al centro, pronte ad ospitare il corpo. Quello era bello, con archi di legni piegati che si intrecciavano a foglie d'edera e fiori di orociondoli che oscillavano al vento, girasoli ad abbellire i legni ammassati e colonne di supporto avvolte da tulipani rossi e gialli; però era anche orribile.
«Perché si fa?» sussurrò Maeriyel, gli occhi fissi sul corpo magro di Hervé avvolto dal sudario. I due uomini lo sollevarono con cautela, depositandolo sulla pira tra legna e fiori.
Un cadavere tra i cadaveri.
«Così la sua anima raggiungerà il Signore della Luce, che lo accoglierà al suo fianco. La luce del fuoco guiderà il suo cammino fino al sole» rispose Eumeric, stringendola al suo fianco. Maeriyel non aveva bisogno di guardarlo per sapere che stava sorridendo, così restò a guardare le Lucille che avvicinavano le torce alla pira per far attecchire le fiamme.
«Fiet Lux» recitò Lucilla Melahel, la più anziana tra le due. Lucilla Pahaliah, che aveva i capelli rossi come la fiamma che portava tra le mani, ripeté quelle parole in una singola nota alta che i presenti imitarono in un coro disarmonico.
Canti funebri si levarono dai presenti mentre le fiamme diventavano più alte, facendo scoppiettare il legno. Lo stomaco di Maeriyel si attorcigliò mentre guardava il fuoco avvolgere il sudario e arrampicarsi lungo gli archi fioriti, lambendo gli orociondoli fino a ridurre i petali in cenere.
«E l'anima dei fiori e degli alberi? Il Signore della Luce accoglierà anche loro?»
«Te l'ho già spiegato, Maeriyel. Smettila con questa storia.» Lisaëlle sbuffò, rifilandole un'occhiata severa. «Le piante non hanno un'anima.»
«Sono vive. Ce lo hanno insegnato anche a scuola: nascono, crescono, si riproducono e muoiono. Proprio come noi.»
«Non come noi, una pianta non è una persona» insistette Lisaëlle. «Non parlano, non si muovono, non pensano.»
«Anche la nonna di Forois non parla, non si muove e non pensa. Dorme e basta, tutto il tempo. Forois dice che devono farla mangiare a forza e si fa pure la pipì addosso. Quindi va bene fare lei a pezzi per far bruciare il fuoco?»
Lisaëlle sgranò gli occhi. Trasalì così rumorosamente che alcuni dei presenti si voltarono a guardarli, indispettiti. Maeriyel li vide con la coda dell'occhio, ma ignorò i loro borbottii e tenne lo sguardo fisso su sua madre, che boccheggiava presa dallo sconcerto.
«Ta gueule!» ringhiò Lisaëlle, chinandosi sulla figlia per tenere bassa la voce. Usava il lasyardeo solo per zittirla o insultarla. «Chi ti ha messo in testa certe idee? Loredana mi sentirà. Le cose che va in giro a dire suo figlio... Non voglio mai più sentirti dire una cosa simile, Maeriyel. Chiedi perdono al Lucente!»
Lei aggrottò le sopracciglia. «E per quello chi chiede perdono?»
Maeriyel alzò la mano a indicare la pira, ormai del tutto avvolta dalle fiamme. Il fuoco aveva distrutto gli archi di legno più sottili e la struttura decorativa stava collassando verso il centro. Una colonna di fumo scuro si innalzava verso il tramonto, portando con sé l'odore di legno e carne bruciati.
«Una vita non vale meno di un'altra, papà lo dice sempre. Tutta la vita va rispettata» disse Maeriyel, alzando gli occhi verso Eumeric. Le ripeteva frasi come quella così spesso... Perché non correggeva Lisaëlle? Perché le insegnava cose che nessuno metteva in pratica? «Il fuoco non si può accendere in un altro modo, senza uccidere niente? Hervé ha bisogno di luce, non di cadaveri che bruciano con lui. Non gli piacerebbe.»
«Mae-mae, ascolta.» Eumeric si piegò sulle ginocchia, portandosi alla sua altezza per guardarla. «Le piante stanno bene, non preoccuparti. Sono...»
«Sono solo maudites piante!» gracchiò Lisaëlle, massaggiandosi le tempie. Maeriyel assottigliò lo sguardo, stringendo forte il candeliere tra le dita. Ora il fuoco bruciava anche nel suo petto, più caldo di quello che faceva sudare la sua pelle.
Era tutto maudit, maledetto, per sua madre. Era maledetto il tempo, erano maledette le cornacchie che si avventavano sulle colture, erano maledetti Maeriyel e suo padre, a volte erano maledetti persino gli Angeli - ma quello non poteva dirlo a nessuno, o Lisaëlle l'avrebbe punita. C'era qualcosa di cui le importasse, oltre quel figlio forse vivo o forse morto che nessuno vedeva da anni?
«Lisa, ti prego, abbi pazienza.» Eumeric le rivolse uno sguardo stanco, e Maeriyel notò che aveva la mascella serrata. Quando tornò a guardare lei, però, sorrise di nuovo: le avvolse le spalle con la mano libera, addolcendo il tono. «Un albero non muore quando perde le foglie, giusto? È un po' come un cervo che perde i palchi, o una pecora a cui viene tosata la lana. Possiamo prendere ciò che ci serve dalle piante e averne cura allo stesso tempo. E il Signore della Luce ama ogni cosa nel mondo: siamo tutti parte della sua luce, sono certo che accoglierà al suo fianco ogni creatura.»
Lisaëlle schioccò le labbra in un verso di disappunto, poi cominciò a pregare a voce più alta. Maeriyel non la degnò d'uno sguardo; il solo sentirla era sufficiente a renderla nervosa.
Non voleva guardare neppure suo padre, perché quel sorriso era come lo zucchero con cui i dottori nascondono una brutta medicina; così tenne gli occhi fissi sul fuoco, anche se brillava così forte da farli lacrimare.
Si fidava di suo padre, eppure non era convinta delle sue parole. C'era odore di morte, nell'aria, tanta da farle venire la nausea. Mentre il sole volgeva al tramonto e tutto diventava cenere, Maeriyel non sapeva distinguere i suoni delle ossa da quelle del legno, che crepitava e si spaccava dilaniato tra le fiamme. Il coro di preghiere non riusciva a nascondere il cupo ruggito del fuoco, gli scoppiettii che risuonavano nelle sue orecchie come urla acute, grida che sembrava essere l'unica a udire.
Un cadavere tra i cadaveri. Maeriyel non riusciva a vedere altro. Così prese fiato e cominciò a cantare, pregando per tutti loro, perché nessuno a parte lei lo avrebbe fatto.
L'allegria continua con il funerale del piccolo Hervé, che ci permette di cogliere qualche dettaglio in più sulla Chiesa della Luce. Come potete intuire, a Sayfa non esistono cimiteri dato che i corpi vengono cremati: niente apocalisse zombie, mi spiace (?)
Nei piccoli paesi come quello di Maeriyel il senso di comunità è ancora molto forte e tutti gli abitanti vengono coinvolti in simili celebrazioni, quasi fossero una grande famiglia, ma la realtà è - ovviamente - un mero gioco di apparenze.
Facciamola conoscenza della simpaticissima madre di Maeriyel, perché se almeno uno dei due genitori non è insopportabile non siamo felici XD Chi ha letto Bluebird ha già capito (spero!) qual è la guerra che sta combattento il fratello di Maeriyel, e dunque sapete già quale sarà l'esito del conflitto 👀 Maeriyel però vede le cose in modo molto più pratico, cominciando a notare le prime discrepanze tra l'ideale (aka gli insegnamenti di suo padre) e la realtà.
Maeriyel ha sviluppato una particolare sensibilità verso le piante, considerando la loro vita al pari di qualunque altra. Cosa che, nonostante i buoni intenti di suo padre, crea un paio di problemi: per Maeriyel, che prende le cose molto alla lettera, certi discorsi generano... un po' di confusione, per così dire. E qualcosa di più definito comincia a formarsi, nella sua personale filosofia...
Preparatevi a scendere sempre di più nella sua mente, questo è solo l'inizio ♥
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