Capitolo 10 - L'hai voluto tu

Correva. Così forte che non le bastava il fiato, respirando a rapide boccate che graffiavano la gola ogni volta che racimolava aria. Era già pomeriggio inoltrato e nessuno avrebbe toccato i campi fino alla mattina, eppure Maeriyel non riusciva a calmarsi, a scacciare quelle grida di terrore dalla sua mente.

Tutte quelle vite distrutte senza motivo, tutte quelle radici estirpate per l'unica colpa di crescere insieme al farro, rischiando così di contaminare la mietitura. Se i contadini si fossero davvero preoccupati di rispettare la natura come dicevano, avrebbero raccolto il farro evitando le erbacce, impegnandosi a prendere ciò che era necessario senza distruggere anche il resto: quello però era un lavoro che richiedeva tempo e fatica, e certe cose valevano più della vita di una misera pianta.

Ipocriti. Erano tutti dei maledetti ipocriti, così egoisti e falsi da farle venire la nausea.

Boyaque l'aveva avvertita, durante la festa, tuttavia Maeriyel aveva permesso al dolore di soffocarla: aveva abbassato la guardia, aveva voltato gli occhi e qualcuno se n'era approfittato, proprio come aveva predetto il ragazzo.

E per la sua disattenzione erano morti a centinaia. Morti per colpa sua, proprio come Hervé. Morti perché Maeriyel aveva il potere di forgiare la realtà a suo piacimento, ma non era stata in grado di allungare un braccio.

Avrebbe dovuto essere lì, a tenere d'occhio i campi. Avrebbe dovuto proteggerli, avrebbe dovuto evitare che accadesse, avrebbe dovuto...

Maeriyel impattò contro qualcosa che frenò la sua corsa. Due mani grandi l'afferrarono per le spalle quando lei barcollò all'indietro, mantenendola in piedi.

«Mae-mae!»

La voce di Paver la strappò a quelle nella sua mente, e quando sollevò il mento Maeriyel si scontrò con due occhi di un rosso così scuro da sembrare marrone fin quando non li guardavi da vicino. Il rosso del sangue secco; le ci volle un istante per ricordare che quello era il colore giusto, e non l'azzurro che la sua mente le suggeriva.

Troppo vicino, troppo inaspettato.

Maeriyel si spinse all'indietro, divincolandosi dalla sua presa per allontanarsi. Paver ritirò subito le mani, fissandola con sopracciglia aggrottate mentre Soleil, Eliette e Forois la circondavano.

«Mae-mae!» la chiamò Soleil, frapponendosi tra lei e Paver. «Siano lodati gli Angeli, finalmente sei uscita di casa!»

Maeriyel la fissò di sbieco, la mano premuta sul petto per cercare di calmare il cuore che ancora scalpitava. Adesso Soleil si preoccupava per lei? Si era ricordata all'improvviso di essere sua amica?

«Dov'è lui?»

Soleil sfarfallò le ciglia. «Lui chi?»

Le labbra di Maeriyel si serrarono. Qualcosa nel suo stomaco si agitava come un gatto irrequieto: il suo inconscio aveva suggerito il nome di Boyaque per primo, ma la ragione si rifiutava di ammettere che avesse bisogno di lui.

«Non importa» bofonchiò soltanto, schiarendosi la voce. «Sapete cos'è successo ai campi?»

I quattro si lanciarono uno sguardo di apprensione, scambio di una silenziosa complicità che a Maeriyel non piacque.

Sì, lo sapevano.

«No» rispose però Forois, distendendo un sorriso incerto. «Perché, cos'è successo?»

«Non sono stupida, Forois.» Maeriyel scandì bene ogni lettera, lo sguardo fisso nel suo. «Qualcuno ha tolto le erbacce nel campo di farro, tutte. È un lavoro troppo pulito perché l'abbia fatto una persona sola e in così pochi giorni. Cosa sta succedendo?»

Lui e gli altri si guardarono di nuovo.

Falsi, erano tutti falsi. Persino loro.

«Cosa sta succedendo?» ripeté Maeriyel a denti stretti, i pugni serrati lungo i fianchi. Sentì il petto avvampare e i suoi amici dovettero vedere quel fuoco lampeggiare nei suoi occhi, perché Soleil trasalì mentre Eliette e Forois si fecero indietro di un passo, le spalle rigide e i colli tesi.

«Che deve succedere, Maeriyel?» Paver si fece avanti, gonfiando il petto. Era così alto che Maeriyel dovette sollevare il collo per riuscire a guardarlo negli occhi. «Vogliono mietere prima che sia troppo tardi, ecco cosa.»

«Ma perché?» singhiozzò Maeriyel, sentendo la voce cedere al magone che le aveva catturato la gola. Ne parlavano come se fosse niente. Una leggerezza, una cosa secondaria. Perché se ne stupiva ancora? Non avevano a cuore neppure lei, che era una loro simile, loro amica, figurarsi qualcosa che nelle loro menti era paragonabile a un oggetto. «Non c'è bisogno di mietere, non c'è bisogno del raccolto. Ho detto che avrei pensato io a tutto, i patti erano che...»

«I patti?» Paver liberò una risata amara. Sua sorella lo seguì e anche Soleil accennò uno sbuffo ilare, mentre Forois abbassò il capo. «Ci hai costretti tu a questo, altro che patti. Che dovevamo fare, metterci a tagliare i tuoi rovi ogni giorno? Chiamare i Sovalye, che tanto non avrebbero fatto nulla a una ragazzina?»

«Vi ho costretti a cosa, Paver? A cosa?» ringhiò Maeriyel, sforzandosi di non alzare troppo la voce. Il suo sangue ribolliva per il fuoco che le ardeva nel petto, ma non si sarebbe messa a strillare come sua madre. «Eravate tutti più che felici, quando avete accettato. Mio padre era l'unico contrario, ma gli altri? Moine, ringraziamenti e belle parole. Oltre metà di voi non deve più lavorare nei campi o nei boschi, grazie a me, e ora venite a dirmi che vi ho costretti? Vi siete arricchiti con il mio lavoro, perché ne parli come se foste voi gli schiavi?»

«Non è questo il punto» si intromise Soleil, afferrando Paver per un braccio. Gli rivolse uno sguardo eloquente mentre si faceva avanti: il ragazzo sbuffò, ma rimase in silenzio e lasciò che la sua fidanzata si mettesse in mezzo a loro. «Ti ricordi il discorso che ci hai fatto sull'avere figli? Per Vou-la-Forêt è la stessa cosa, Mae-mae: Harvestide è un potere straordinario, ma è soltanto tuo. Se dovesse succederti qualcosa, l'intero paese andrebbe in rovina. Capisci quanto sia precaria la situazione? Non possiamo dipendere da te per ogni cosa, dobbiamo tenerci pronti a tutto. I campi non si coltivano dall'oggi al domani, e se li abbandonassimo del tutto potremmo non essere più in grado di recuperarli.»

Maeriyel arricciò il naso. Conosceva Soleil, abbastanza da riconoscere che quelle non erano parole sue. A chi appartenevano quei discorsi? A Sylvie o qualcun altro degli adulti, senza dubbio. Dopo anni di amicizia, questo era tutto ciò che Soleil era in grado di offrirle? Parole riciclate, ripetute come un pappagallo?

«E l'avete fatto per questo? Centinaia di vite sacrificate per... Per paranoia?» Maeriyel sputò fuori quella parola a denti stretti, marcandone ogni sillaba. La nausea spingeva contro il torace, agitando lo stomaco: era un albero in balia di una tempesta, e Maeriyel sentiva i rami spezzarsi sotto gli ululati del vento in tutto il corpo, lasciandola frastornata e dolorante. «Come fate a... Come fa a non importarvi nulla? Non ci avete neanche provato, a cercare un'altra soluzione. Non potevate chiedermi di preparare altre provviste da tenere da parte? Avremmo potuto costruire altri magazzini, avrei potuto riempirli di cibo per mesi! Non servono anni per preparare un campo, perché tutta questa fretta? Vi sembro in punto di morte?»

«Neanche tuo padre lo sembrava.» Soleil lo pronunciò in un soffio, un sussurro sfuggito alle sue labbra. Subito abbassò lo sguardo, serrando le labbra fino a ridurle a una linea sottile; pentita, ma solo di averlo detto.

Maeriyel deglutì, sentendo il nodo alla gola stringere più forte. Lo sapeva, era così che funzionavano le cose a Vou-la-Forêt: nessuno si preoccupava di essere una brava persona, ma solo di sembrarlo. Era così da sempre, ma non per questo faceva meno male.

«Mae-mae, ascolta.» Forois avanzò con cautela, affiancando i suoi amici. Aveva superato da molto la pubertà, eppure la sua voce era ancora leggera; era il modo in cui parlava, placido come l'acqua di un lago, che non lo faceva sembrare ancora un ragazzino. «Nessuno di noi ha sofferto per tuo padre quanto te, ma la sua morte ha scosso l'intero paese. Ha portato tutti a riflettere su cose che abbiamo sempre dato per scontate: Harvestide, il tuo aiuto, questo... patto. E in tutto questo la tua assenza si è fatta sentire.»

«Non sono uscita per cinque giorni, Forois. Cinque. Giorni» sibilò Maeriyel. Le labbra sembravano pietrificate: a malapena era in grado di muoverle, e ogni parola apriva una nuova crepa nella roccia che componeva la sua pelle, sbriciolandola lentamente. «E a voi ne sono serviti tre al massimo per decidere, perché non ci credo che in meno di due giorni abbiate ripulito tutto. Ti sembra normale? Non mi avete avvisata di nulla, non avete neanche rispettato il lutto e mi date pure la colpa?»

Forois abbassò lo sguardo, incassando la testa nelle spalle. «Non volevo dire questo.»

«"La tua assenza si è fatta sentire"» ripeté Maeriyel, sbeffeggiandone il tono. «Come dovrei interpretarlo? Cosa volevi dire, che vi sono mancata? Non vi siete neppure degnati di venire a trovarmi.»

Il ragazzo inarcò ancora di più il busto, le guance imbrattate da un rossore diffuso. «Pensavo che non volessi vederci.»

Maeriyel sgranò gli occhi. «Io? Siete voi che...»

«Non si poteva aspettare, Maeriyel» la interruppe Paver, liberando l'aria trattenuta in uno sbuffo. «Non l'abbiamo scelto noi, ma sai meglio di tutti come funziona: è Cancer, siamo già in ritardo. Non è questione di quanti giorni sei mancata: se avessimo rimandato ancora, non avremmo raccolto un bel niente.»

«Nessuno voleva ignorare il tuo lutto» aggiunse Soleil, ammorbidendo il tono. A Maeriyel non piaceva quella nota melensa, viscida, che suggeriva l'influenza di Talullah. «Devi credermi, non volevamo ignorarti, te ne avremmo parlato appena possibile. Eravamo tutti d'accordo nel concederti il tuo tempo, senza farti alcuna richiesta, proprio per rispetto.»

«Avrei preferito lavorare notte e giorno, piuttosto! Avrei preferito usare Harvestide fino all'Affaticamento, avrei preferito...» Le parole si incastrarono in gola, sciogliendosi tra le labbra tremanti. Maeriyel singhiozzò nel riprendere fiato, spingendo la mano contro il petto; avrebbe fatto meno male se le avessero squarciato il torace per estrarle il cuore.

Suo padre non l'avrebbe mai permesso. Eumeric non era neppure d'accordo con quel patto, ma per lei, solo per lei, avrebbe fatto di tutto pur di rispettarlo. Perché se anche non riusciva a comprenderla fino in fondo, non aveva mai smesso di provarci. L'aveva amata e protetta, fino alla fine, nonostante tutto.

E adesso non c'era più.

Lacrime calde le appannarono gli occhi, riducendo le figure dei suoi amici a masse informe di colori. Maeriyel non le asciugò; non era certa di voler incrociare i loro sguardi freddi e vuoti.

Erano così tranquilli, così... indifferenti. Non verso di lei, no; i loro volti suggerivano una pletora di emozioni differenti. Le sopracciglia aggrottate di Paver, le labbra strette di Eliette, lo sguardo acquoso di Forois, il sorriso amaro di Soleil.

Ma per ciò che era successo? Per tutte quelle vite stroncate? Importava loro così poco che non si preoccupavano neppure di fingere un po' di risentimento.

Erano davvero identici alle bestie. Il lume della ragione non cambiava la loro natura: se non costretti o imprigionati, avrebbero calpestato ogni cosa in nome della propria sopravvivenza - o, peggio, del loro egoismo.

Ciclo della natura? Equilibrio tra vita e morte? Scuse, nient'altro che scuse. Una comoda giustificazione per porsi al di sopra di tutto. Era vero per tutto ciò che viveva al di fuori da Vou-la-Forêt, ma per loro? Maeriyel aveva eliminato la necessità dall'equazione. Aveva riscritto il ciclo con Harvestide, aveva offerto loro il mondo eppure non era stato sufficiente.

«Vi avevo chiesto una sola cosa, in cambio, una sola: rispettare ogni forma di vita su queste colline» gemette Maeriyel, stringendo la stoffa nera tra le mani. Aveva bisogno di sentire qualcosa tra le dita, di concentrarsi sulla trama della cucitura; un appiglio, qualcosa che la tenesse ancorata alla realtà, che la trattenesse dall'esplodere. «Era una richiesta così terribile? Così assurda che non siete stati in grado di resistere per cinque maledetti giorni?»

«Bordel de merde! Ma come fai a non capire?» tuonò Paver, spingendo il busto in avanti. Il resto del corpo non seguì quel movimento solo perché Soleil strinse il suo braccio con vigore, bisbigliando il suo nome in un rimprovero a denti stretti. Paver si fermò, ma non staccò gli occhi da Maeriyel: il rosso delle sue iridi sembrava più intenso, come se il sangue avesse ripreso a scorrere. «Dipendiamo dai tuoi capricci: potresti svegliarti una mattina e decidere che non hai più voglia, e che potremmo fare noi a quel punto? Nulla! Saremmo spacciati! Come pretendi che possiamo vivere così? Nessuno ci assicura che non cambierai idea, che non te ne uscirai un giorno dicendo che non vuoi più farlo o che vuoi farti pagare, o qualunque altra cosa ti venga in mente.»

«Io ve lo assicuro.» Maeriyel spinse la mano contro il petto, sentendo la voce grattare contro la gola. Passò in rassegna i loro visi, ma c'era qualcosa di strano negli sguardi che si scambiarono l'un l'altro, un non detto che non riusciva a decifrare. Eliette schioccò persino la lingua contro il palato, incrociando le braccia al petto.

«È stata mia madre, vero? Vi ha messo lei queste idee in testa?» tentò Maeriyel, ma nessuno rispose. Si lanciarono un'altra occhiata, poi spostarono gli sguardi al terreno, alle case, a qualunque cosa che impedisse loro di incrociare lo sguardo di Maeriyel.

Omertà. Un'altra di quelle cose che era sempre andata di moda, a Vou-la-Forêt. Tutti sapevano, ma nessuno parlava; per proteggere i propri segreti ognuno manteneva quelli degli altri in un intreccio senza fine.

Maeriyel inspirò a pieni polmoni, gettando fuori l'aria in un lento sbuffo. «Non mi interessa cosa vi ha detto, non può parlare per me. A me non importa nulla del denaro: voglio solo che tutti possano vivere in pace, almeno qui in paese, e non cambierò idea su questo.»

«E come facciamo a sapere che non ci abbandonerai?» Eliette sputò quelle parole come fossero veleno, arricciando il naso in una smorfia pregna di risentimento. Erano stati loro a prendere le distanze da lei, eppure la fissavano come se fosse Maeriyel quella in difetto. «Non siamo ciechi. Ti abbiamo vista alla Sagra, con Boyaque: lo hanno capito tutti che state insieme, non serviva neanche che ce lo dicesse lui. Partirai anche tu per Sirio con l'anno nuovo, non è così?»

Maeriyel sussultò. Il fiato le restò incastrato in gola e si ritrovò a muovere le labbra senza riuscire a parlare. Aveva quasi dimenticato quella proposta; non ci aveva più pensato, non aveva pensato a nulla fin quando Boyaque non era entrato in camera sua e...

«No, io non... Noi non...» sussurrò, tormentando con le dita la sottile decorazione di merletto che divideva la gonna in sezioni. Sentirne la trama sotto i polpastrelli avrebbe dovuto aiutarla, invece non faceva che pensare alla stoffa nera riversa sui fianchi mentre Boyaque si spingeva dentro di lei.

I suoi ricordi erano confusi, avvolti dalla nebbia quasi fossero vecchi di secoli, eppure le affollavano la mente. Sentiva ancora il calore di Boyaque addosso, come un fuoco che la bruciava dall'interno; le sue mani la tenevano ferma, il suo odore la soffocava e la sua voce annichiliva i suoi pensieri.

Non devi affrontare tutto questo da sola, le aveva detto. Sono qui per te, e non ho intenzione di lasciarti.

Ma l'avrebbe fatto, sarebbe partito dopo aver compiuto diciotto anni. Fino a pochi giorni prima quell'idea le donava conforto, ma adesso... Non ne era più così sicura. Come faceva a sciogliere quella matassa che si era aggrovigliata nel suo petto? Ci provava e ci riprovava, ma più ne tirava i fili e più questi si annodavano, avvolgendosi attorno ai polsi e alle caviglie, risalendo fino a imprigionare l'intero corpo.

Poteva sentirla scalpitare, quella parte di sé che non desiderava più la sua partenza. Che pregava di essersi davvero sbagliata sul suo conto, che quanto successo quel pomeriggio contasse qualcosa, perché non era pronta a perdere anche l'ultima persona che le fosse rimasta - persino se si trattava di Boyaque.

Ma partire insieme lui? Lasciare Vou-la-Forêt, tutto ciò per cui si era sacrificata, le vite che si era ripromessa di proteggere?

«Non succederà» assicurò in un soffio, lasciando andare la gonna. «Il mio posto è qui, non ho intenzione di andarmene.»

«Non mentire, Maeriyel» borbottò Eliette, assottigliando lo sguardo. «So che te l'ha chiesto.»

«Ma non ho detto sì. Non dirò mai sì.» puntualizzò, ma qualcosa cominciò a rosicchiarle il petto. Come faceva lei a saperlo? «Avete la mia parola: non voglio lasciare il paese, non abbandonerò nessuno.»

«Non si tratta solo di quello che vuoi, Mae-mae.» Soleil sospirò, umettandosi le labbra carnose. Sembrava indecisa; Soleil assumeva quell'espressione solo quando era costretta a dire qualcosa di spiacevole. «Solo il Signore della Luce sa cosa ci riserverà il futuro: nessun altro, neppure i Dotai, possono dire con certezza cosa accadrà. E qui parliamo delle sorti di un intero paese, non possiamo permetterci di dare nulla per scontato. Se dovessi anche solo ammalarti...»

«I Dotai non si ammalano.»

«Non nel corpo.»

Maeriyel sussultò. Si voltò verso Eliette, che teneva lo sguardo basso dopo aver pronunciato quelle parole. Un mormorio così lieve, eppure aveva soppresso ogni altro suono: nelle orecchie di Maeriyel non restava che un fischio acuto, lineare, assordante.

«Che hai detto?» chiese, o forse lo pensò soltanto. Non sapeva dirlo. La sua voce era un sussurro così flebile che forse se l'era solo immaginata.

Eliette drizzò il busto, prendendo fiato mentre alzava lo sguardo. «Ho detto che non si ammalano nel corpo» ripeté a voce più alta, e i suoi occhi scuri suggerivano il resto.

Sei pazza, sembravano dirle, pazza e isterica come tua madre.

Maeriyel si voltò verso gli altri, ma nessuno le rivolgeva lo sguardo: Soleil e Forois tenevano gli occhi bassi, Paver si era voltato verso la sorella. Erano tutti rigidi come tronchi, labbra strette e respiro pesante, e non servì chiedere conferma per sapere che stavano tutti pensando la stessa cosa.

Dunque ecco il problema. Non la presunta partenza, il pagamento o persino la morte; era la sua follia ciò che temevano davvero.

Maeriyel indietreggiò, sentendosi mancare le forze. Sembrava che una violenta cascata l'avesse investita, scuotendola sott'acqua e contro gli scogli. La testa cominciò a girare, annebbiandole la vista mentre il mondo cominciava a farsi distante, nient'altro che un ricordo lontano.

«Dillo. Tutti quanti, dite quello a cui state pensando» mormorò con una voce che non le apparteneva. Era la sua, ma non le sembrava di parlare davvero, era più come ascoltare un messaggio alla radio. «Sto dedicando la mia vita a Vou-la-forêt e questo è il ringraziamento? Tornate a coltivare di nascosto per paura di qualcosa che non riuscite a dire ad alta voce. Ci conosciamo da quando siamo nati e non riuscite nemmeno a guardarmi negli occhi.»

Singhiozzò, gli occhi talmente umidi che non distingueva più le forme. Non alzò una mano ad asciugarli; a dire il vero, non era certa di poterlo fare. Lo pensava, ma non accadeva nulla; il tempo si era fermato, o forse quella conversazione stava avvenendo solo nella sua mente. Forse era davvero un ricordo, qualcosa che stava rievocando nel sonno, che non poteva far altro che osservare.

Poi qualcosa si mosse, un'ombra indistinta nella foschia. Passi lievi che portarono di fronte a lei un paio di occhi azzurri. Non come quelli di Hervé, vividi come petali di giacinto, ma sporcati di sfumature verdi che li rendevano più simili all'acqua di un lago.

«Scusami» sussurrò Forois, la voce così tremante e prossima a balbettare. «Io non... Non volevo che le cose andassero così, credimi. È vero, ti abbiamo dato la nostra parola e qualcuno avrebbe almeno dovuto parlartene. Mi dispiace.»

Maeriyel boccheggiò, investita da uno stupore tale da toglierle le parole. Era un reale appiglio o solo un miraggio? Non importava; se lo sarebbe fatta bastare. Vi si aggrappò con tutte le forze e sentì di poter finalmente muovere le braccia, così si strofinò gli occhi per scacciare nebbia e lacrime dagli occhi, respirando fino in fondo.

«Cosa?» Eliette trasalì in un verso acuto, affiancando il fidanzato con rapidi passi. «Le stai dando ragione, man ange? Hai dimenticato tutto quello che...»

«Non abbiamo mai chiesto conferma, Eli. Non ne abbiamo mai parlato, nessuno vuole mai parlare di nulla.» Forois sospirò, abbandonando le braccia lungo i fianchi. «Avremmo dovuto almeno rispettare il tempo del lutto. Un paio di giorni non avrebbero sul serio fatto la differenza: non è questo il motivo, lo so io e lo sapete anche voi.»

Eliette tacque, gli occhi spalancati che fissavano il ragazzo con sconcerto. Maeriyel osservò Paver e Soleil, ma loro non erano altrettanto sorpresi; lui si guardava le scarpe, lei teneva strette le braccia al petto e lo sguardo perso nel vuoto.

«Ascolta, Mae-mae» Forois ruppe quel nuovo silenzio, sistemando all'indietro le morbide onde grigie che erano i suoi capelli. «Parlerò con i miei genitori, forse posso convincerli ad aspettare che finisca questa settimana per discutere con calma della cosa. I problemi restano, ma quantomeno potrai dire la tua. Si potrebbe trovare... non so, un compromesso. Colette è quasi un avvocato, no? Potremmo chiedere a lei di darci una mano per trovare un nuovo accordo, fintanto che si trova in paese.»

Forois sollevò una mano, mostrandole il palmo mentre un tenue sorriso si allargava sul suo volto. Teneva le dita sottili morbide e larghe, pronte ad accogliere quelle di Maeriyel in un gesto di promessa, e sul medio si vedeva il piccolo callo che l'uso intenso del carboncino aveva creato.

Maeriyel odiava ancora la fossetta che si formava sulla sua guancia quando distendeva le labbra, ma quell'espressione sembrava sincera. O forse voleva che fosse sincera, non sapeva dirlo. Era stanca, e quella speranza era un invito troppo allettante per lasciare che il seme del dubbio la incrinasse.

Alzò la mano, sfiorando le dita di Forois con le sue.

«No!» Eliette afferrò il polso del fidanzato per abbassargli il braccio, tenendo gli occhi furenti puntati su Maeriyel.

Forois boccheggiò, sfarfallando le ciglia lunghe verso di lei. «Eli, cosa stai-?»

«Non puoi assecondarla, non è giusto» lo interruppe lei, ringhiando quell'ultima parola a denti stretti. Gli rivolse lo sguardo solo per un istante e poi tornò su Maeriyel, fulminandola con un'occhiata pregna di gelosia. «Tu hai creato questa situazione! Sei stata tu a proporre l'accordo, tu a pretendere che venissimo da te per ogni cosa, perciò non lamentarti di quanto hai lavorato o di quanto abbiamo chiesto. L'hai voluto tu, quindi risparmiaci il piagnisteo da povera vittima.»

Maeriyel assottigliò lo sguardo e strinse il pugno che ancora teneva a mezz'aria, abbassandolo piano. «Non mi sarei lamentata di nulla se voi aveste mantenuto i patti.»

«È sempre colpa di qualcun altro, vero? Sbagliano tutti tranne te, sono tutti crudeli, ipocriti ed egoisti tranne te» ribatté lei, schioccando la lingua contro il palato. Forois le borbottò qualcosa all'orecchio, strattonando il braccio per liberarlo alla sua presa, ma questo non fece che inasprire l'espressione della ragazza. «Era così anche da bambini: tu eri la più intelligente, la più matura, quella che aveva già capito il mondo, mentre noi eravamo solo degli sciocchi. Quello che dicevi tu era sempre giusto, sempre saggio, e guai a chi osava contraddirti. La povera Mae-mae, l'angioletto delle piante, buona ma incompresa da quei cattivoni dei suoi amici!»

Maeriyel strabuzzò gli occhi. «Ma di che stai parlando? Non ho mai detto niente di simile, io non credo di essere...»

Si fermò. Qualcosa raschiava sul retro della sua mente, come le unghie di un gatto che grattava una porta chiusa pretendendo che gli venisse aperta.

L'angioletto delle piante. Dove l'aveva già sentito?

«Basta così, Eliette» la richiamò Soleil, posando una mano sul suo braccio. Un tocco in apparenza docile, ma i muscoli erano rigidi e tesi.

«No, mia sorella ha ragione.» Anche Paver venne avanti, piantando gli occhi sanguigni verso Maeriyel. «Essere una Dotai non ti rende migliore di noi, dove sta scritto che dobbiamo sottostare alle tue pretese? Così come abbiamo accettato l'accordo, possiamo romperlo: non abbiamo bisogno di te e non dobbiamo chiederti il permesso per coltivare i campi, non sono tuoi. Tu non sei nessuno, Maeriyel: non puoi controllarci, smettila di comportarti come se fossi la nostra Imperatrice.»

«Ma io non voglio controllarvi» sputò fuori Maeriyel, stringendo di nuovo la gonna tra le mani. «Non vi ho mai chiesto niente in cambio, niente. Vuoi sul serio dirmi che "non uccidere" è un limite così grande per voi?»

«Non si uccidono le piante, Maeriyel!» Eliette pestò il suolo con foga, sbraitando con voce tanto acuta da far sobbalzare tutti i presenti. «Sono stanca di ascoltare le tue lagne e fingere che abbiano senso. Abbiamo tolto delle erbacce e tu continui a parlare di vite spezzate come se fosse morto qualcuno di noi. Sai perché tu sei l'unica a sentirle soffrire e urlare? Perché non è vero! Te lo abbiamo detto noi, Jérôme e persino i Ricercatori. È tutto nella tua testa, Maeriyel!»

"Pazza e isterica" sussurrò una voce, facendosi largo tra i suoi pensieri. No, non una: erano dieci, cento, mille. Erano una miriade di bisbigli e risatine, echi che si confondevano e sospiravano al suo orecchio, alitando fiato freddo sul collo. "Una folle che crede di parlare con le piante e sente voci che nessun altro sente, ecco cosa sei."

«Cosa vuoi saperne tu? Sono io la Dotai, io so cosa sento» ringhiò, stringendo la stoffa tra le dita tremanti. La pelle era percorsa da brividi gelidi, ma nelle vene il sangue ribolliva di rabbia. «I Ricercatori si sbagliano. Ogni Naru è personale, è già successo che alcuni Dotai riuscissero a fare cose che i precedenti possessori non riuscivano a fare e viceversa. E anche se fosse, le piante sono vive: questo non sono io a dirlo. Sono vive e non potete trattarle come esseri inferiori solo perché diverse da voi.»

«Basta, Maeriyel. Smettila, per carità del Lucente, sei ridicola» sbuffò Eliette, liberandosi del tocco di Soleil con uno strattone. Lasciò andare anche Forois e pestò passi pesanti sul terreno, avvicinandosi alla parete esterna della bottega di fianco a cui si erano fermati. Dall'intersezione con il terreno spuntavano i verdeggianti fusti di una pianta di capperi, con i fiori bianchi dai pistilli violacei che facevano capolino tra le foglie.

Eliette puntò dritta verso il piccolo arbusto, non più alto di una manciata di centimetri. Lanciò uno sguardo incattivito verso Maeriyel e poi abbassò gli occhi sui fiori, sollevando la gonna per alzare un piede su di loro. «Devi toglierti dalla testa queste assurdità, in un modo o nell'altro: io ne ho abbastanza. Sono solo delle maudites piante!»

Tieni di più a quelle maudites piante che a tua madre.

La voce di Lisaëlle riecheggiò nella mente di Maeriyel, raschiandola con le sue grida, i pianti, le accuse. Unghie spezzate che stridevano sullo specchioche era la sua pelle, dilaniata da ferite invisibili che non si erano mai rimarginate. E il sangue sgorgava senza sosta, grondava giù dai rovi, dalle fauci del Kimse che continuava a fissarla con quegli occhi neri come abissi.

Se dovessi scegliere tra me e loro, mi impiccheresti tra i rovi come quelle povere bestie.

Le braccia di Maeriyel si issarono e con esse si risvegliarono fusti ritorti e scuri, allungando i rami irti di spine verso la caviglia di Eliette. La ragazza urlò quando le piante si avvinghiarono alla sua gamba, impedendole di schiacciare i capperi, e più si smuoveva tentando di liberarsi e più gli spesso aculei le graffiavano la pelle scura.

«Io so cosa sento» ripetè Maeriyel, sibilando a denti stretti. O forse stava urlando, non avrebbe saputo dirlo; il brusio nella sua mente era così intenso da soffocare anche il suono della sua voce. Forse uno dei suoi amici aveva urlato il suo nome; forse qualcuno si era avvicinato ad Eliette, cercando di liberarla. Maeriyel non sapeva dire neanche quello. C'erano così tanti suoni che persino gli altri sensi ne risentivano: non vedeva nulla. Non sentiva nulla. La realtà sembrava scomparsa di nuovo, ma c'era ancora Eliette. Eliette, che aveva provato a calpestare quell'arbusto solo per farle un dispetto, quasi fosse un gioco, per il solo gusto di poterlo fare.

Maeriyel agitò le braccia, movimenti rigidi e svelti che fecero correre il Sihir lungo il terreno. Rami di vite schizzarono verso le mani di Eliette, catturandole tra i filamenti sottili e insinuandosi tra le dita della sinistra.

«Pensi che le piante non provino dolore solo perché non hanno una bocca con cui gridare? Vediamo se così capisci come ci si sente, allora. Vediamo se a te piace essere spezzata.»

Maeriyel chiuse le mani e i rami si serrarono attorno alle articolazioni, torcendo con forza. Eliette urlò così forte da spaccare persino i vetri della sua mente, quelli che la separavano dalla realtà. Poi qualcosa le avvolse le braccia e Maeriyel si rese conto che erano le mani di Paver, che sbraitava di fronte al suo viso.

«Ora basta, Maeriyel! Lasciala subito!»

Ogni suono cessò, risucchiato nei meandri dell'oblio da cui erano venuti. A Maeriyel sembrò di schiantarsi al suolo, tanto violento fu l'impatto: Paver la stringeva così forte da farle male, e gli unici rumori rimasti erano i gemiti di dolore di Eliette e le parole di conforto di chi le stava accanto.

Per il Signore della Luce, che aveva fatto?

«Mi dispiace!» Maeriyel ruotò i polsi, che Paver le aveva lasciato liberi, e le piante avvizzirono in un crepitio sottile, liberando Eliette dalla sua presa. «Mi dispiace, io non...»

«Le hai rotto le dita!»

«Non volevo farle male, volevo solo fermarla, volevo solo...» singhiozzò Maeriyel. Il petto era scosso da spasmi violenti, il cuore batteva in ogni dove: rimbombava nel suo stomaco, nella sua gola, nella sua testa. Gli arti tremavano, e ogni respiro che catturava non sembrava sufficiente. «Mi dispiace, mi dispiace...»

«Boyaque aveva ragione, sei pericolosa» ringhiò Paver. Serrò la stretta attorno ai suoi avambracci, strappandole un gemito di dolore. «Sei pazza, completamente fuori di testa!»

Maeriyel trasalì, sgranando gli occhi. Schiuse le labbra, ma faticò a parlare; l'intero corpo sembrava fatto di roccia.

«Boyaque... Cosa?»

«Lo sappiamo, Maeriyel. Ci ha detto che cosa pensi di noi» tagliò corto Soleil, in ginocchio al fianco di Eliette. Gli occhi verdi lampeggiavano di un risentimento che non le aveva mai rivolto prima, le labbra piegate in una smorfia ferita. «Pensavi che non lo avrebbe fatto? Prima di essere il tuo fidanzato era nostro amico. Lo eravate entrambi, Maeriyel. Ma che abbiamo fatto per farci odiare così tanto?»

Maeriyel boccheggiò, incapace di parlare. Incapace persino di respirare, mentre le parole della ragazza sfumavano in un sussurro lontano.

Giocare a fare l'angioletto delle piante non ti riesce più così bene.

La voce di Boyaque riecheggiò nella sua mente insieme alla sua risata, al ghigno strafottente che tanto spesso gli curvava le labbra.

Non abbiamo mai chiesto conferma, aveva detto Forois. Maeriyel non ci aveva dato troppo peso. Era vero, che lei non aveva mai detto niente di simile, ma l'aveva fatto Boyaque. Aveva parlato al suo posto e loro gli avevano creduto sulla parola senza mai farne menzione, perché era così che funzionava a Vou-la-forêt.

Puoi fidarti di me.

Bugiardo.

Sono l'unico a non averti mai mentito.

Bugiardo, bugiardo, bugiardo.

Maeriyel si dimenò in un verso rabbioso, agitando le braccia per divincolarsi dalla presa di Paver, ma lui non allentò la stretta. Le sue mani erano così grandi da circondare gli avambracci sottili, e quando tirò su le braccia Maeriyel non poté far altro che assecondare quel movimento.

«Dove credi di andare?» ringhiò lui, gli occhi iniettati di sangue. «Tu non ti muovi da qui. Devi pagare per quello che hai fatto a mia sorella.»

«Calmati, Paver!» lo rimproverò Forois. Maeriyel non ricordava di averlo visto così agitato, tanto da alzare la voce. «Non è il momento di litigare, dobbiamo andare da Jérôme.»

«Dovremmo portarci lei» obiettò Paver, fissando Maeriyel con astio. «Sei tu che devi farti curare. Le hai rotto le dita per dei putains capperi!»

Strinse più forte, costringendo Maeriyel a liberare l'ennesimo verso sofferente per sfogare il dolore che si diramava in fitte acute. Sentiva le dita di Paver schiacciarle le vene, tanto che sembravano sul punto di scoppiare, e lungo il suo petto correva il brulicante timore che avrebbe presto sentito il suono delle sue ossa che si incrinavano.

«Paver, lasciala stare! Eli ha la caviglia gonfia, devi prenderla in braccio» supplicò Soleil, che si alzò di scatto per raggiungere il fidanzato. Paver inspirò a fondo senza rivolgere alla ragazza un solo sguardo, ma dopo aver gettato fuori l'aria in un lento sospiro aprì le mani.

Maeriyel per poco non cadde a terra, recuperando l'equilibrio a malapena. Si lasciò sfuggire un verso sofferente e strinse le mani al petto, indietreggiando di alcuni passi. Alzò lo sguardo, ma Paver la fissava con occhi brucianti d'odio. Soleil aveva gli occhi umidi e li spostò altrove quando tentò di incrociarne lo sguardo. Eliette aveva la testa affondata sul petto del suo fidanzato e Forois non accennava a guardare nella sua direzione. Quella mano tesa e la flebile possibilità di un compromesso sembravano miraggi lontani.

Maeriyel indietreggiò ancora, sentendo gli occhi bruciare mentre la realtà tornava ad essere una voragine confusa in cui colori, odori e suoni si mescolavano tra loro. Il dolore che pulsava sulle braccia era nulla in confronto a quello che le aveva svuotato lo stomaco, affondando i denti nel cuore. I pensieri schizzavano da un capo all'altro della mente, troppi per contarli, così veloci che non riusciva ad afferrarli; Maeriyel sentiva solo l'angoscia scoperchiarle il petto e rubare ogni stilla d'aria, lasciandola soffocare.

Si voltò, correndo verso casa con tutta la velocità che le sue gambe potevano concederle. Corse con le mani a tappare le orecchie, supplicando i pensieri di fermarsi, mentre lamenti incontrollati vibravano lungo la gola. Corse senza voltarsi indietro, eppure sapeva di avere gli occhi dei suoi amici puntati addosso: poteva sentirli bucarle la schiena come lame di coltelli, scavando in profondità tra le sue carni.

«Non finisce qui, Maeriyel» urlò Paver alle sue spalle, la voce profonda che si faceva largo a forza tra quelle nella sua testa. «Non finisce qui!»



Finalmente ci confrontiamo con il gruppo di amici, ma le cose - guarda un po' che sorpresa - non vanno esattamente come previsto.

Per quanto Maeriyel sia UN PELO esagerata nella sua logica, neanche loro si sono comportati proprio benissimo: sanno quanto significhi per lei e comunque sono rimasti in silenzio, lasciando così che lo venisse a scoprire da sola mentre la ferita della morte di Eumeric è ancora aperta. Empatia portami via.

C'è da dire che il paese ha le sue buone ragioni: al di là della questione etica e morale, è vero che affidarsi a una sola persona non è una mossa saggia, specialmente quando la persona in questione comincia a dare segni di squilibrio... Avrebbero però due cosette da imparare riguardo alla gestione delle situazioni.

Maeriyel non sta bene, ma questo diventa una "scusa" per non preoccuparsi di lei, per affibiarle ogni parte del torto e fare un po' il cavolo che vogliono senza curarsi dei suoi sentimenti.

Eliette, tu c'hai anche ragione, ma farti n'anfiteatro di cazzi tua no?

La logica di Maeriyel è tutt'altro che condivisibile a questi livelli (anche se una base di ragione ce l'ha pure lei) ma non è questo il modo di farglielo presente, dandole della pazza e minacciando qualcosa che SAI esserle caro. E la parte peggiore è che non è scattata per qualcosa inerente al discorso, ma per gelosia.

Dall'altro lato, l'overreacting è di casa e Maeriyel passa all'aggressione fisica, non volendo perdere la gara a chi reagisce peggio. Si è subito pentita, ma ormai il danno è fatto - letteralmente - e il rapporto che si era incrinato ora è definitivamente rotto, nonostante Forois fosse pronto a fare un passo avanti...

Dunque, ricapitolando: padre morto, campi in preparazione alla mietitura, amici non pervenuti, EnemiesToLovers che affonda peggio del Titanic e crollo psicologico. Peggio di così non può andare, giusto?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top